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CONFINDUSTRIA NON PUÒ GUARDARE DA UN’ALTRA PARTE

Da dieci anni il nostro paese aspetta una revisione degli assetti contrattuali. Per spostare il baricentro della contrattazione a livello di azienda, dove si può meglio incentivare la produttività, cercare un’organizzazione del lavoro più efficiente, premiare il merito collettivo e individuale e migliorare le condizioni del mercato del lavoro nel Mezzogiorno. Ma tutto tace mentre quasi il 70 per cento dei lavoratori dipendenti è oggi in regime di vacatio contrattuale. Le aziende private, ristrutturate ed efficienti, che hanno unilateralmente deciso di rimpinguare le buste paga dei loro dipendenti, dovrebbero ora guidare una vera riforma della contrattazione.

Da sempre le leadership delle parti sociali, sindacato e Confindustria in primo luogo, mancano di spirito autocritico. Forse perché non rispondono direttamente ai cittadini, agli elettori, non sono politically accountable. Anche Angelo Costa, compianto presidente della Confederazione generale dell’industria negli anni della ricostruzione, negava che i dazi applicati allora dal nostro paese proteggessero i suoi associati dalla concorrenza. Scriveva ben prima dell’entrata in vigore della Comunità europea del carbone e dell’acciaio: "Oltre il 90 per cento delle industrie italiane agisce in regime della più libera e accanita concorrenza (…) I rari casi di industrie concentrate in poche aziende o gruppi si riferiscono generalmente a prodotti a prezzi controllati dallo Stato o soggetti alla concorrenza estera, per cui non possono esistere utili di monopolio".

I salari in Italia

Non sorprendono perciò le reazioni al discorso pronunciato dal governatore di Banca d’Italia alla riunione della Società degli economisti di Torino. Mario Draghi non ha, per una volta, parlato di conti pubblici, ma ha trattato di salari. Riprendendo i risultati di un lavoro recente condotto dal centro studi della Banca, ha documentato come in Italia i salari in ingresso siano diminuiti negli ultimi dieci anni in termini reali. A parità di potere d’acquisto, oggi sono inferiori del 30-40 per cento rispetto ai livelli di Francia, Germania e Regno Unito. Come messo in luce dai grafici allegati alla relazione, il divario con gli altri paesi si riduce solo per i lavoratori più anziani, in virtù di scatti automatici, legati all’anzianità anziché alla produttività. Questo pone di fatto i giovani in una condizione di sempre maggiore svantaggio relativo e impedisce che gli investimenti in istruzione vengano adeguatamente remunerati.
"Noi la nostra parte l’abbiamo fatta", ha sottolineato il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, mentre da Caserta chiamava pesantemente in causa l’immobilismo dei governi succedutisi negli ultimi dodici anni. Certo, il livello e la struttura dei nostri salari evidenzia problemi strutturali del nostro sistema formativo, che costa come nel resto d’Europa, ma offre una formazione di minore qualità. Anche l’elevata pressione fiscale e la sua forte concentrazione sul fattore lavoro riducono gli incentivi a investire in capitale umano. Ma quando si parla di salari non ci si può limitare a guardare da un’altra parte, come se si trattasse di argomento che non riguarda la principale associazione dei datori di lavoro.

Contratti e iniziative di singole aziende

Da ormai dieci anni, da quando siamo di fatto entrati nell’Unione monetaria europea, il nostro paese aspetta una revisione degli assetti contrattuali. I contratti nazionali servivano nell’avvicinamento all’euro, per interrompere il sentiero delle svalutazioni competitive che tanto male avevano fatto al nostro paese, soprattutto ai percettori di redditi fissi. Una volta entrati nella moneta unica, bisognava cambiare registro, spostando decisamente il baricentro della contrattazione, a livello di azienda, dove si può meglio incentivare la produttività, cercare un’organizzazione del lavoro più efficiente, premiare il merito collettivo e individuale e dove i salari possono meglio riflettere le condizioni del mercato del lavoro locale, facendo aumentare l’occupazione nel Mezzogiorno. Se la contrattazione non è stata riformata, se quasi il 70 per cento dei lavoratori dipendenti italiani sono oggi in regime di vacatio contrattuale (aspettano che il loro contratto, già scaduto da tempo, venga rinnovato), non è certo solo colpa di Confindustria. Le divisioni fra Cgil, Cisl e Uil hanno certamente influito su questa paralisi. Ma anche le associazioni datoriali e, soprattutto, le grandi imprese non sembrano avere fatto molto per decentrare la contrattazione. Forse perché il regime centralizzato permette loro di pagare di meno il lavoro qualificato e tiene basso il costo del lavoro, per non gravare troppo sulle imprese meno efficienti e sul depresso mercato del lavoro meridionale.
Può darsi che in questo "la nostra parte l’abbiamo fatta" si volesse richiamare la scelta della Fiat di concedere subito un aumento di 30 euro ai propri dipendenti. Questa scelta, imitata da Riello e, almeno a parole, dalle piccole imprese lombarde, sembra più un escamotage per chiudere più in fretta il contratto nazionale, piuttosto che una svolta decisa verso il secondo livello della contrattazione, quello che dovrebbe avere luogo a livello aziendale. La Fiat ha, infatti, appena chiuso il contratto integrativo. Inoltre, gli incrementi salariali legati all’andamento della produttività dovrebbero entrare a regime anziché rappresentare un gesto una tantum compiuto a sorpresa dopo aver visto i risultati dell’azienda e prima di uno sciopero dei metalmeccanici. Legare i salari alla produttività serve soprattutto se il rapporto fra remunerazione e risultati dell’azienda è ben definito e presente a tutti i lavoratori ben prima che i risultati del loro lavoro si materializzino. Solo così il premio servirà a migliorare la produttività. Altrimenti si rischia di commettere lo stesso errore dei contratti dei pubblici dipendenti, che concedono premi di produttività a posteriori a tutti, anche a chi ha arrecato col suo operato danni al proprio datore di lavoro. Ma le aziende private che oggi hanno unilateralmente deciso di rimpinguare le buste paga, a differenza delle amministrazioni pubbliche, sono riuscite a ristrutturarsi e a tornare a essere efficienti. Dall’alto di questi risultati potrebbero oggi guidare una vera riforma della contrattazione che permetta di condividere coi lavoratori questi risultati. Non c’è per questo bisogno di aspettare i tempi della politica, che oggi offre scenari poco promettenti, tra la prospettiva di avere un governo zoppo oppure di tornare in tempi brevi a votare, probabilmente ancora con una legge elettorale che impedisce la selezione della classe politica ed è fonte di instabilità. Per fortuna, questa è la vera e forse unica buona notizia, ci sono cose importanti che possono essere fatte anche senza la politica per far uscire il paese dal declino.

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26 commenti

  1. luigi zoppoli

    Anche se non del tutto pertinente all’articolo, osservo che le aziende, in gran parte piccole e piccolissime tendono ad investire assai poco sugli uomini,sulla crescita culturale e professionale. Non credo sia azzardato sostenere che questo aspetto, nella media, abbia incidenza sulla produttività alla pari dell’organizzazione approssimativa.Il turnover è un indicatore ulteriore di qual tipo di problemi il paese si trova di fronte insieme ed accanto a quello di nuove relazioni industriali.

  2. massimo

    Attenzione che a mio giudizio spingere troppo verso un’aggancio selvaggio delle retribuzioni alla produttività può essere rischioso. Bisognerebbe prima definire bene cosa è produttività e cosa è incentivo. Pensiamo ad esempio alle banche: un tale sistema che incida oltre 15% sulla busta paga dei dipendenti, minerebbe l’indispensabile eticità di coloro che allo sportello potrebbero essere spinti a operare esclusivamente in funzione dell’obiettivo da raggiungere piuttosto che in ragione delle reali esigenze del cliente. Solo un marziano può pensare che Parmalt o Cirio (adesso sono i derivatì) non si ripeteranno negli anni: vediamo la prossima scadenza di qualche obbligazione Corporate e poi ne riparliamo. E’ proprio vero che tra liberismo estremo e il comunismo d’autore, è difficile trovare una differenza di fondo poichè entrambi ritengono di essere il sistema migliore per far vivere la gente.

    • La redazione

      il contratto unico di lavoro stabilisce il regime di protezione dell’impiego, non il salario che ovviamente è lasciato alla contrattazione collettiva.  così come oggi i contratti a tempo ineterminati non stabiliscono il salario. la contrattazione a qualsiasi livello dovrà rispettare standard minimi, tra cui un salario minimo. che è un minimo. la contrattazione avviene solo al di sopra di questo minimo

  3. Pinuccia Cazzaniga

    Non so se Fiat ha fatto un gesto di innovazione, dubito. Le imprese italiane agiscono purtroppo nella competizione sul costo del lavoro e non sull’innovazione; dovrebbero fare un autocritica. I salari dei lavoratori sono bassi anche perchè continua ad esistere una complicità tra aziende e i sindacati (metalmeccanici Fiom ) e in parte Cgil a depotenziare la contrattazione aziendale. Montezemolo non si chiede perchè alcune Confindustrie locali preferiscono dare alla contrattazione aziendale premi fissi anzichè variabili. Voglio pace sociale, ma anche convenienze politiche. Perchè la Cgil non capisce che occorre spostare in azienda e nel territorio la negoziazione sulla produttività? Perchè Federmeccanica è sorda sull’innovazione della nuova riforma delle competenze e degli inquadramenti? Perchè le imprese hanno paura ad affrontare i contenuti del lavoro a livello aziendale e retribuire competenze e merito? Queste sono le risposte che gli economisti, Montezemolo si deve dare. Non è con 30 euro che si risolve il problema, ma dare spazio agli innovatori del sindacato che vorrebbero cambiare ma non trovano sponde.

  4. antonio pertosa

    Parlare di bassi salari in italia oggi significa non dire nulla di nuovo. Si chiede una revisione di assetti contrattuali, per spostare la contrattazione a livello d’azienda, ma tutto questo in un sistema di piccole imprese, quale è quello italiano, e’ completamente inutile. Il presidente di confindustria ,o altri dirigenti di altre associazioni,oggi non fanno altro che dare la colpa al sistema tassatrivo italiano.sicuramente è vessatorio nei confronti del lavoro dipendente, ma non è l’unico ostacolo ai bassi salari. Luca Cordero di montezemolo, purtroppo, pur essendo un ottimo rganizzatore di uomini e, uomo di marketing, molte volte è lontano dalle piccole realtà produttive del nostro paese. I salari sono tutti appiattiti, In primis, perche’ tutti i lavoratori ,sia giovani che meno giovani, sono inquadrati contrattualmente ai livelli più bassi del mercato, pur svolgendo mansioni superiori alla loro qualifica cartacea. questo è il problema principale del mercato del lavoro, collegato naturalmente alla elevata tassazione. il sindacato non rappresenta più il lavoratore, perchè ormai non è più attento a questi problemi, ma fa finta di occuparsi di poiltica industriale, pur non essendo un suo compito.

  5. Antonio

    La contrattazione sindacale in Italia oramai negli ultimi dieci anni è ancorata a quella del settore pubblico, dopo che si riconosce questo aspetto dell’organizzazione si potrebbe forse riuscire ad ottenere qualche risultato. Perché non provare a tutelare i diritti dei lavoratori pubblici e quelli dei lavoratori privati in modo distaccato? Perchè i lavoratori delle aziende private devono lottare per diritti quali ad esempio aumento di produzione rischi di competitività quando invece i lavoratori del pubblico impiego sono a livello di contrattazione fermi a valutazioni di tipo prettamente finanziario?

  6. FRANCESCO COSTANZO

    Mi sembra che l’articolo esprima un punto di vista condivisibile. Ho una domanda: come si concilia la contrattazione decentrata con la proposta di un contratto unico per tutti i lavoratori? Immagino che l’articolo sottintenda che la contrattazione decentrata debba comunque rispettare degli standard minimi uguali per tutti, ad esempio un salario minimo, esatto? Se è così, di che ammontare dovrebbe essere questo salario minimo? Uguale a quello attuale (40% in meno che nel resto d’Europa)? La conseguenza non sarebbe comunque un allineamento da parte delle aziende di tutti i salari di ingresso in corrispondenza del minimo stabilito nel contratto unico? Quale sarebbe in tal caso il miglioramento per i lavoratori, in termini economici, rispetto alla situazione attuale?

  7. Americo Marini

    Da sempre le leadership delle parti sociali, sindacato e Confindustria in primo luogo, mancano di spirito autocritico. Forse perché non rispondono direttamente ai cittadini, agli elettori, non sono politically accountable.
    Le parti sociali. Il sindacato rappresenta i lavoratori iscritti che, volontariamente, lo finanziano e sostengono con contributi mensili e partecipazione gratuita; dalla base e su su fino ai Segretari Generali, i Rappresentanti dei Lavoratori svolgono la loro attività a titolo gratuito col solo sostegno di coloro che rappresentano e che, condividendo il loro operato, continuano a voler essere rappresentati ed a versare le quote di adesione. Non c ‘è niente di più facile che ritirare la propria adesione ad un Sindacato. I contratti collettivi nazionali di lavoro(CCNL) e la contrattazione decentrata (CIA). I CCNL definiscono i minimi salariali e visto che attualmente i lavoratori non arrivano alla fine del mese, si deve desumere che il baricentro della contrattazione si è già spostato, non si capisce, però, dove sia andato a finire le aziende, infatti, non hanno premiato l’aumento di produttività che si è verificato utilizzando il secondo livello di contrattazione che è già attuale ed è previsto dai demandi dei vari CCNL. Come uscire al declino. E’ ormai molto tempo che gli aumenti di produttività vanno a benefico solo del management e della proprietà o azionariato che sia. Se non viene risolto il problema delle retribuzioni e conseguentemente la capacità di spesa delle famiglie italiane la situazione non può migliorare. Le aziende, che non hanno investito sulla qualità e sono nell’impossibilità di ridurre ulteriormente i salari, non possono più sperare di essere competitive, ne in Italia ne all’estero. Debbono investire nella qualità del prodotto e contemporaneamente aumentare i salari per incrementare le vendite interne in modo che, sull’onda delle vendite, che sono sempre la migliore pubblicità, possano anche ripartire sui mercati esteri. Non occorre, pertanto, alcuno stravolgimento degli assetti contrattuali, bisogna utilizzare bene quelli che abbiamo; contrattando a livello di CCNL i minimi salariali, evitando che come ora siano al di sotto della soglia di sopravvivenza, e stabilendo quanta parte degli utili deve essere retrocesso ai lavoratori, lasciando poi alla contrattazione decentrata la definizione delle modalità di erogazione.

  8. M. R.

    Ultimamente temo le contrattazioni integrative aziendali. Io sono un quadro. 10 anni fà , quando eravamo parte di un’azienda americana, invece di aumenti sul sovra-minimo, abbiamo avuto "incentivi". Si partiva dal 15% sul lordo complessivo. Parte legato all’ andamento dell’azienda, parte legato al merito personale. Perfetto! Poi siamo stati acquisiti due volte, adesso facciamo parte di una azienda Italiana. Di incentivo nemmeno a parlarne e gli aumenti contrattuali sono stati assorbiti nel sovraminimo. Il sogno degli imprenditori Italiani mi sembra sia quello di avere maestranze "cinesi", senza diritti e a basso costo. Non è che c’è effettivamente un problema di seria managerialità Italiana?

  9. Salvato Tommaso

    Non è giusto generalizzare, la CISL è stata l’antesignana della contrattazione di 2° livello. Anche oggi continua a proporre la riforma della contrattazione dando maggior rilievo a quella aziendale. Purtroppo per fare queste riforme non basta la volontà di una sola Organizzazione. Posso testimoniare che molti contratti collettivi prevedono la contrattazione aziendale ma le organizzazioni sindacali trovano un muro invalicabile nelle aziende al di la di quello che profferisce in pubblico il loro presidente nazionale!

    • La redazione

      Concordo con il lettore.  La CISL è l’organizzazione sindacale più favorevole al decentramento della contrattazione.

  10. diego

    L’analisi dell’autore mi sembra discutibile. Innanzi tutto sarebbe bene essere più prudenti riguardo le affermazioni sulla qualità degli studenti in uscita dal sistema scolastico italiano. Se sui costi le stime possono essere fatte, sulla qualità il terreno è più scivoloso. In secondo luogo sarebbe bene andare a controllare se le industrie italiane necessitano o no di lavoratori altamente qualificati e, a quanto pare, sembra proprio di no perchè in recenti ricerche è stato evidenziato che i diplomati sono molto più “ricercati” che i laureati e che mediamente guadagnano meglio. Parlare poi di “rimpinguare” fa proprio sorridere (30 euro sono il tre per cento di mille euro e l’inflazione corre vicina al due per cento annuo da parecchio tempo ormai). Non si dimentichi inoltre che le riforme del mercato del lavoro, se come merito hanno avuto quello di rendere più “flessibile” il lavoro stesso, dall’altro hanno contribuito in modo palese a ridurre le retribuzioni dei lavoratori (e i dati sul differenziale salariale dei lavoratori entranti lo dimostrano). Questa riduzione del costo del fattore lavoro ha contribuito a fare sopravvivere le imprese con una sorta di svalutazione competitiva nascosta, è innegabile. Lo stesso fattore “lavoro”, diventato più conveniente, è stato più estensivamente utilizzato ma è diventato meno produttivo in termini relativi (pil che non cresce e occupazione aumentata assieme alla riduzione della disoccupazione; controllare dati Eurostat se necessario). Dobbiamo ammettere che molte delle nostre produzioni sono esposte alla concorrenza internazionale (ma una ricollocazione del nostro sistema produttivo non si è ancora nemmeno avvistata). Per concludere, in una situazione simile sia Confindustria che i Sindacati (colpevoli di non rappresentare più nessuno a parte i pensionati e gli “insider”) dovrebbero dialogare assieme alla politica per creare condizioni per una ripartenza e non arrogarsi meriti (inesistenti) o appioppare colpe (anche proprie) ma questo è un sogno….

  11. Mariagrazia Zotti

    Mi sembra un dato di fatto che la contrattazione a livello collettivo si stia avviando verso il viale del tramonto. Il modello ha trainato e retto bene per decenni, finchè non è subentrata la strumentalizzazione politica perpetrata da entrambe le parti in causa, sindacati e confindustria. Rimangono le perplessità sull’alternativa. Contrattazione a livello aziendale? Si’ certo nelle realtà medio-grandi, dove ancora si puo’ parlare di bilanciamento del peso contrattuale delle parti, nelle aziende a forte sindacalizzazione dove comunque esiste un’organizzazione in grado di gestire una contrattazione a livello aziendale, ma sappiamo benissimo che queste realtà corrispondono si’ e no al 50% dell’organizzazione produttiva italiana. Caratterizzata, e ben si sa, dalla frammentazione in miriadi di imprese piccole se non piccolissime. E in queste realtà che tipo di contrattazione aziendale si potrebbe ipotizzare? Non vorrei che questa nuova strada indicata da economisti piu’ o meno politicizzati portasse alla creazione di lavoratori di serie A e B, o C, D, ecc. Privando del tutto le organizzazioni sindacali di qualsiasi rappresentatività e possibilità di influenzare l’azione di governo.
    Non vorrei insomma che la cura fosse peggiore del male…

    • La redazione

      Oggi il 70 per cento dei lavoratori e’ senza contratto. E la contrattazione collettiva a livello di impresa serve a far aumentare la produttiviota’.  Quindi gli stessi datori di lavoro saranno interessati a far si’ che si svolga.

  12. Federico

    Riformare le relazioni sindacali (“industriali” è decisamente riduttivo e riguarderebbe un unico comparto) significa, a perer mio, tra le altre cose, inserire una procedura rigida secondo la quale le parti devono sedersi al tavolo e negoziare entro un determinato periodo di tempo e non aspettare mesi e, come accade spesso oggi, addirittura anni.
    Così fosse e stabilita l’architettura generale nel contratto nazionale con costi certi per almeno 3/4 anni (il biennio fisiologicamente non è più percorribile), si darebbe spazio alla contrattazione decentrata che, si badi bene, non è detto che, per tutti i settori economici, sia l’aziendale. Non tutte le aziende producono auto. Ci sono quelle del commercio, dell’agricoltura, dell’artigianato, del turismo, ecc., ossia aziende spesso piccole, piccolissime.
    L’altra logica di cui occorre liberarsi è che non tutti i “lavori” e conseguentemente i “lavoratori” cui sono addetti sono necessariamente a tempo indeterminato. Nell’ottica infine del mercato del lavoro europeo e del principio della “flessibilità-sicurezza”, poste le tutele minime al livello nazionale, lo scambio per una migliore gestione ed organizzazione del lavoro con il recupero di salario può ben essere effettuato a livello territoriale (regionale o provinciale) o aziendale a seconda dei comparti economici e del livello di dimensione delle aziende.

  13. matteo

    C’è una cosa di fondo in questo discorso dell’ancoraggio del salario alla produttività che non riesco a fare mio. Perché il salario deve essere legato a un parametro che è ampiamente estraneo al lavoro? La produttività di un’impresa dipende dalle innovazioni che essa realizza, tecnologiche e organizzative; dipende dalle capacità dei manager; dipende dagli investimenti, dalle innovazioni di prodotto e di processo. E solo in minima parte da quanto un operaio si impegna. (Questa è anche la mia critica a Ichino quando imputa al fannullonismo ciò che invece è imputabile al manager della pubblica amministrazione che in posizione di rendita smettono di organizzare il lavoro, determinando un forte incentivo al nullafacentismo). Grazie, matteo

    • La redazione

      Che sia giusto o meno, il salario puo’ continuare a crescere solo se aumenta la produttivita’

  14. alberto

    Che sia fatta dalle autorità centrali o decentrata alle aziende la sostanza non cambia;è il salario in termini di beni che dovrebbe essere aggiustato in quanto il potere d acquisto di un salario va via via diminuendo,segno che chi deve tutelare questi diritti sta operando al di sotto del livello ottimale. L’ incentivo al lavoro più efficiente:certo che con il minimo sindacale offerto e con un contratto di precariato è assai arduo chiedere di effettuare delle migliorie in determinati cambi aziendali -che soggettivamente potrebbero se non altro essere rivisti – da coloro che entrano in contatto con una nuova azienda. Ma lasciando stare per un secondo la questione salariale, apportare modifiche anche lievi ad un processo lento antiquato di una azienda è veramente un impresa titanica ,e non per le difficoltà che si potrebbero incontrare nel rivedere un processo, ma per come esso è radicato nelle menti di chi lo utilizza,questa e davvero la più grande delle sfide, anche se ciò che si propone diminuirebbe i tempi del 50/60%. Le aziende private, ristrutturate ed efficienti…non rimpinguano le buste paghe di tutti i dipendenti ma solo di alcuni e non mi riferisco di certo a coloro che fanno il loro dovere o magari anche di più.

  15. Giuseppe Di Liddo

    Condivido appieno l’analisi del “problema”.
    Non condivido affatto la “soluzione” proposta dal Prof. Boeri.
    Sostanzialmente usa parole “tecniche e moderneggianti”, se così si puo’ dire (spostare il baricentro della contrattazione a livello di azienda, dove si può meglio incentivare la produttività, cercare un’organizzazione del lavoro più efficiente, premiare il merito collettivo e individuale e migliorare le condizioni del mercato del lavoro nel Mezzogiorno.) per proporre una situazione vecchia di due secoli.
    Eliminare le organizzazioni dei lavoratori.
    Contrattare in fabbrica, per un lavoratore, significa non avere nessun tipo di potere…contrattuale.
    Vi immaginate una piccola azienda con 5 operai..
    chiediamo l’aumento…siii….ve lo dò subito
    ahahah

  16. federico

    Concordo con il lettore sulla diversa posizione della CISL sulla contrattazione di secondo livello, ma vorrei porre in evidenza un aspetto. Attualmente mi sembra che il sindacato, soprattutto la CIGL, sia troppo vicino alla politica, in un momento particolarmente delicato come questo che vede il governo aver “bisogno” anche dell’appoggio più piccolo, si fa per dire, che può essere dato loro. Se la rappresentanza sindacale avesse la funzione di un tempo, sarebbe tutta unita nel chiedere a gran voce la contrattazione decentrata, data la scarsità delle retribuzioni attuali. Ma il sindacato non dovrebbe tentar di riequilibrare l’asimmetria contrattuale insita nel mondo del lavoro? E chi rappresenta se, per altre ragioni, non pone in essere gli strumenti necessari al fine di tutelare i propri iscritti, e non solo i dipendenti pubblici?

  17. luciano

    Mi riferisco alla parte dell’articolo in oggetto ove si parla dei risultati dell’azienda, cui dovrebbero essere legati gli incentivi salariali, per chiederVi come i dipendenti, o meglio le commissioni interne o i sindacati, potrebbero conoscere tali risultati dell’azienda stessa, dato che i bilanci sono di solito poco veritieri.

  18. Sergio

    Come mai oggi si discute tanto di contrattazione decentrata? stanno forse finendo le agevolazioni portate dall’ era della “mobilità-flessibilità”? e l’innovazione tecnologica che fine ha fatto? Viene il sospetto che anche stavolta si vogliano offrire agevolazioni più agli imprenditori che ai dipendenti.

    • La redazione

      Se ne discute perchè il 70 per cento dei lavoratori è senza contratto

  19. marco

    La mia opinione e’ che spostando la contrattazione a livello aziendale un risultato si ottiene sicuramente: indebolire i lavoratori delle piccole imprese.
    Non tutti gli imprenditori sono illuminati, sono pochi quelli disposti a riconoscere un premio per la produttivita’.

  20. athos di stefano

    Sono d’accordo che il il contratto nazionale è uno strumento troppo rigido, ma a mio avviso non c’è la maturità degli imprenditori per attuare una contrattazione decentrata che sia equilibrata. il fine del lavoro è si il guadagno, ma è anche migliorare la qualità della vita sia del lavoratore sia dell’imprenditore. questo secondo aspetto oggi è poco considerato. io credo che il tempo del lavoro vada ridotto il più possibile per lasciare spazio ad altri ambiti dell’esistenza. oggi impresa e lavoro in italia non riescono a fare sistema perchè vi sono idee di sfruttamento del lavoro ancora diffuse dal lato dell’impresa e scarsi stimoli da parte del lavoratore. queste sono le mie idee. saluti e buon lavoro

  21. Gabriele

    Mi chiedo perchè molti siano così diffidenti verso la contrattazione decentrata. Se non sbaglio, la Svezia è carattarizzata da questo tipo di struttura di contrattazione ma non mi sembra un paese dove i diritti dei lavoratori sono calpestai ogni giorno.

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