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LE CONSEGUENZE DEL VASSALLUM

Cosa accadrebbe se la riforma Vassallo fosse applicata? Stimare gli effetti di una formula elettorale che non esiste è complicato, perché le strategie di partiti ed elettori dipendono dal sistema che regola le elezioni. E qui molto dipende dal disegno delle circoscrizioni. Tuttavia, le stime dicono che a parità di voti la soglia di sbarramento si riduce al crescere della dimensione della circoscrizione. Non necessariamente a vantaggio dei partiti minori. Il sistema sembra poi avere una forte spinta interna verso la bipartitizzazione del quadro politico.

La proposta di riforma elettorale formulata da Salvatore Vassallo (e altri) e fatta propria dal segretario del Pd ha avuto un effetto dirompente sulla politica nazionale. Ha scardinato la Cdl, messo in fibrillazione un governo che pensava ormai di averla scampata sulla Finanziaria, accelerato i processi di fusione nella sinistra tradizionale, suscitato epiteti che sembravano appartenere a una defunta fase politica (la definizione di “legge truffa” di togliattiana memoria) eccetera. Ma di che si tratta esattamente? Come funziona? E che effetti avrebbe se applicata in Italia? Qualche stima per capirci di più.

La proposta

La proposta rappresenta un innesto originale sul sistema “tedesco” di una correzione maggioritaria “spagnola” con la finalità dichiarata di cogliere gli aspetti positivi dei due sistemi (per una descrizione dei due sistemi) . Secondo la proposta, il territorio del paese verrebbe diviso in circoscrizioni elettorali, ciascuna delle quali dovrebbe eleggere da un minimo di 12 a un massimo di 16 parlamentari. A sua volta, ogni circoscrizione verrebbe divisa rispettivamente in 6-8 collegi uninominali, cioè la metà dei seggi assegnati dalla circoscrizione. Nel singolo collegio, l’elettore esprime la propria preferenza per un solo candidato. Il voto contribuisce tanto alla quota di voti individuali del singolo candidato, quanto alla quota di voti del partito cui quel candidato è collegato in tutta la circoscrizione. La trasformazione dei voti in seggi avviene nel modo seguente. La prima metà dei seggi viene attribuita ai primi classificati di ogni collegio. La restante metà è così attribuita: in base ai voti presi dal partito nella circoscrizione, si calcola in proporzione (col metodo D’Hondt (1)) quanti seggi spettano a quel partito nella circoscrizione. Se il numero è superiore ai collegi uninominali già vinti in quella circoscrizione da quel partito, allora i seggi rimanenti sono assegnati ai migliori perdenti nei collegi uninominali dello stesso partito nella circoscrizione. Se invece il numero è inferiore ai collegi vinti, i rimanenti seggi da assegnare vengono ripartiti nuovamente tra gli altri partiti nella circoscrizione. (2) Dunque, i seggi attribuiti dalla proposta Vassallo dipendono tanto dalla performance individuale dei singoli candidati di collegio (parte tedesca), quanto dalla performance aggregata per circoscrizione dei candidati di collegio appartenenti alla stessa lista (parte spagnola).
Un aspetto non chiarito nella proposta è come si identificano i “migliori perdenti”: in base alla percentuale dei voti ottenuti nel collegio, al numero assoluto dei voti ricevuti o in base a una “cifra elettorale” ancora tutta da definire? La prima ipotesi sembra la più ragionevole ed è quella che abbiamo adottato negli esercizi che seguono; è improbabile tuttavia che i risultati siano influenzati da tale scelta.

Simulazioni

Stimare gli effetti sul sistema politico di una formula elettorale che non esiste è complicato, perché ovviamente le strategie di partiti ed elettori dipendono dal modo come si vota, e anche perché in questo caso molto dipende in realtà dalla dimensione e dal disegno delle circoscrizioni. Usare i dati delle ultime elezioni politiche per stimare gli effetti della proposta Vassallo non è dunque molto utile, perché quei risultati sono stati ottenuti con un sistema elettorale e di alleanze diverso. Più utile invece costruire un modello astratto e indagare sugli effetti che la modifica di parametri chiave provoca sul funzionamento del sistema. L’intero set di simulazioni e ipotesi è a disposizione di chi ne fa richiesta; qui riportiamo nell’ appendice solo i risultati più interessanti.

La soglia di sbarramento

Una degli elementi più interessanti della proposta è che la soglia di sbarramento (numero minimo di voti necessari per ottenere almeno un seggio) non è stabilita per legge, a livello nazionale o regionale, ma è endogena e dipende dalla distribuzione dei voti tra i partiti e dalla dimensione della circoscrizione, cioè dal numero di seggi attribuiti dalla stessa circoscrizione. In primo luogo, le nostre stime confermano che, a parità di voti, la soglia di sbarramento si riduce al crescere della dimensione della circoscrizione. Come già suggerito da Roberto D’Alimonte (3), la diminuzione della soglia è molto rapida passando da circoscrizioni piccole (10-12 seggi) a medie (14-16), ma la riduzione diventa più moderata successivamente, cosicché per esempio, non c’è molto differenza nella soglia di sbarramento tra circoscrizioni con 20 o 30 seggi. Ma un punto che finora è sfuggito ai commentatori è che la riduzione della soglia di sbarramento non necessariamente premia i partiti minori: è infatti del tutto possibile, almeno per intervalli ragionevoli, che all’aumentare della dimensione della circoscrizione i partiti maggiori ottengano proporzionalmente ancora più seggi (si veda per esempio il caso 16 vs 18 nell’appendice). Ciò dipende dal funzionamento del metodo D’Hondt: il seggio marginale è attribuito a chi ha il maggiore quoziente calcolato sulla base di questo metodo e può benissimo trattarsi di un partito grande e non piccolo. Inoltre, la soglia non dipende solo dalle dimensioni della circoscrizione, ma anche della distribuzione dei voti tra i partiti maggiori. Per esempio, a parità di voti di tutti gli altri partiti, una redistribuzione dei voti tra i primi due partiti ha effetti molto diversi sulla soglia. In una circoscrizione in cui c’è un partito che vince sempre e uno che arriva sempre secondo, ma la differenza tra i due è limitata, la soglia è più elevata; viceversa dove il primo partito è molto più grande del secondo.

La distribuzione regionale dei voti

Come ovvio, la proposta Vassallo avvantaggia i partiti piccoli con un forte radicamento territoriale, rispetto ad altri altrettanto piccoli sul piano nazionale, ma diffusi in modo più uniforme. Tuttavia, le nostre stime suggeriscono anche che rispetto a un sistema puramente proporzionale, la Vassallo favorisce maggiormente i partiti grandi ben diffusi sul territorio nazionale e particolarmente forti in alcuni territori.

La leva maggioritaria

La proposta Vassallo è stata criticata dai favorevoli al maggioritario perché “proporzionale”; e dai proporzionalisti – i difensori per esempio del metodo tedesco – perché eccessivamente “maggioritaria”. È dunque interessante vedere come la “leva maggioritaria”, definita qui come la differenza tra la percentuale dei seggi e la percentuale dei voti ottenuti congiuntamente dai due principali partiti, vari al variare dei voti di quest’ultimi. I nostri esercizi mostrano come la leva non solo ci sia, ma come sia anche crescente nella proporzione dei voti ottenuti congiuntamente dai due partiti principali. Per esempio, con circoscrizioni mediane (14 seggi) se i primi due partiti prendono il 45 per cento dei voti, riescono a ottenere il 50 per cento dei seggi; se prendono il 60 per cento dei voti, guadagnano il 70 per cento dei seggi, e così via (vedi grafico). Il sistema dunque sembra avere una forte spinta interna verso la bipartitizzazione del quadro politico: una sua prima applicazione premierebbe i partiti già grandi con più seggi, rafforzandoli e dunque conducendoli ad avere più voti e ancora più seggi in futuro.

Accountability

Ma la proposta garantisce o no il rapporto diretto con gli elettori, cioè l’accountability degli eletti? Sì e no. Sì, perché la metà degli eletti per circoscrizione è scelta direttamente dagli elettori nei collegi uninominali e perché i “migliori secondi” sono ancora definiti sulla base dei loro risultati nei collegi, il che tra l’altro induce una benefica competizione tra i candidati dello stesso partito. No, perché i migliori perdenti sono definiti sulla base delle performance all’interno del partito nell’intera circoscrizione e non nel singolo collegio. Così, con tutta probabilità, il sistema condurrà all’elezione di candidati che in collegio non solo non hanno vinto, ma che si sono piazzati terzi o quarti, e l’esclusione di alcuni secondi. L’elezione per collegio sarà quindi determinata indirettamente anche dagli elettori degli altrui collegi nella stessa circoscrizione.

(1) In base al metodo D’Hondt, il numero di voti ottenuti dai singoli partiti viene diviso per 1, 2, 3, …, n, dove n indica il numero di seggi in palio in ogni circoscrizione. A questo punto, si ordinano i risultati ottenuti in ordine decrescente e si assegna un seggio ciascuno ai primi n risultati della lista.
(2) Se un partito ottiene più del 50 per cento dei seggi nella circoscrizione, pesca i seggi aggiuntivi all’interno di una unica lista circoscrizionale di sette nomi. Tale lista è bloccata, ma data l’attuale distribuzione dei voti, l’eventualità di ricorrervi è in realtà molto bassa.
(3) Sul Sole24Ore del 29/11/2007.

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14 commenti

  1. Giorgio Antonello

    Perchè in questo paese non si tenta di semplificare le cose invece di complicarle?

  2. Mario Tognocchi

    A cosa serve una riforma elettorale? Le domande sono: è possibile avere governabilità e rappresentanza? E’ possibile ottenere una reale separazione dei poteri in modo che il Governo (potere esecutivo) sia effettivamente controllato dal Parlamento (potere legislativo)? Oggi, è sotto gli occhi di tutti, i due poteri sono riuniti: se le fanno (al Governo) e poi se le votano (in Parlamento). Oggi, in barba alla separazione dei poteri, chi siede al Governo siede anche in Parlamento. Da qui la pletora di Ministri e Sottosegretari: per assicurare i voti. La soluzione? Un’elezione, in 2 turni, per decidere il Governo (e garantire la governabilità). Un’altra, in 2 turni, uninominale, per decidere i Rappresentanti (e garantire il controllo e le funzioni separate dal Governo). Fantascienza? No. Nella nostra Costituzione è lasciata al Presidente della Repubblica la scelta di chi nominare "candidato premier". E allora, piuttosto che quello uscito dalle segreterie dei Partiti, non è meglio che sia quello uscito dalle elezioni Governative? Un candidato premier che per la nomina dei Ministri si dovrà davvero conquistare la fiducia di Camere allora davvero veramente indipendenti. E’ la democrazia.

  3. Franco Fagiani

    Ottimo articolo, arriva al momento giusto ed è esauriente nel descrivere il meccanismo. Resta fondamentale la suddivisione territoriale e quindi non si possono fare simulazioni sui dati pregressi. Grazie

  4. Piero Borla

    La simulazione Balduzzi è corretta; ma ci si può attendere che, ripetendola su numerosi casi ciascuno con differenti distribuzioni di voti, al crescere dei seggi disponibili si avvantaggino i partiti minori. Si ipotizzi invece che, nella circoscrizione a 16 seggi, i voti si distribuiscano con gli stessi numeri, tranne che il PD ottiene 35 voti nel collegio 1, e solo 29 voti nei collegi 2 e 3; ne consegue che, al maggioritario, il PD ottiene 1 seggio e PPL 7 seggi. Alla distribuzione proporzionale, i totali di voti non variano rispetto al caso Balduzzi, ma, per la regola della conservazione dei seggi maggioritari, PPL mantiene i 7 seggi già ottenuti, a spese di SA che perde l’unico seggio (quoziente 6, uguale ad AN ma con meno voti). Ci si può attendere che, alla successiva tornata elettorale, alcuni elettori di SA optino per una scelta strategica e si spostino su PD per riequilibrare il rapporto con PPL (vedi lo studio delle elezioni tedesche di Feltrin e Fabrizio su Polena, n° 1/2006) La proposta Vassallo presenta quindi un ulteriore effetto di polarizzazione sui due partiti maggiori (effetto che può riguardare in modo del tutto analogo il centrodestra).

  5. fabio capocaccia

    Vivissimi complimenti. La stampa quotidiana ha la pessima abitudine di esprimere giudizi e commenti, senza descrivere l’oggetto. La vostra impostazione è preziosa.

  6. Gian Maria Honich

    Da non esperto, ma da lettore, la mia proposta, forse sciocca, sarebbe quella di mantenere misto il sistema (come il Mattarellum) ma bilanciarlo in senso proporzionale cui spetterebbe non solo il 25% degli eletti ma qualcosa di più. E se non si riesce a fare in un solo turno, ecco il "doppio turno all’italiana": primo turno proporzionale che assegna ad esempio il 50% dei seggi e secondo turno maggioritario secco co il restante 50%. Nel primo si misurano tutti i partiti con soglia di sbarramento; nel secondo si misurano le coalizioni, laddove si formino o si siano già formate (tipo le elezioni comunali). Un po’ bizzarro, lo ammetto, ma in Italia bisogna o no accontentare tutti?

  7. venturoli massimiliano

    L’ articolo e la " simulazione " è dettagliata ed interessante, infatti, cerca di vedere i " pregi e i difetti " del sistema proposto. Ma rivela sopratutto l’ incapacità della politica italiana nel riformare il Bel Paese. Una riforma elettorale Proporzionale "corretta" con: un quarto di tedesca, un quinto di stagnolo…. è un sistema elettorale destinato al fallimento. Di fatti se il sistema non è semplice, non è capito dagli elttori, quindi è sogetto a brogli o presunti tali. Il sistema elettorale prospettato, come si evince anche dalla simulazione, non crea un chiaro legame "d’ impegni politici " tra il candidato-eletto e il collegio in cui ha vinto, quindi annulla il vantaggio dell’ uninominale. Ed pevedendo il " ripescaggio " per i " migliori secondi " non premia in modo definitivo chi vince nel colleggio. Siceramente credo che questa proposta non differisca molto dalla vecchia " mattarellum " ( tranne per il fatto che premia in maniera decisiva i Partiti più grandi ) nel senso che rimane una mediazione, mal fatta ed astrusa, che allontanerà sempre di più l’ elettorato dalla politica.

  8. Francesco Iannello

    Balduzzi e Bordignon sottolineano, giustamente, la complessità di prevedere gli effetti di un sistema elettorale che non esiste. Tuttavia hanno colto un punto molto importante e cioé il fatto che a parità di voti la soglia di sbarramento si riduce al crescere della dimensione della circoscrizione. E fin qui tutto semplice e normale; infatti, poi, viene messo in luce che tutto ciò non necessariamente va a vantaggio dei partiti minori. Questo é un punto che vede il parere scettico di alcuni politologi i quali hanno a che fare con un punto fondamentale di questa proposta: ossia, cosè che rende più "maggioritario" il sistema? Più la formula del divisore D’Hondt o la dimensione delle circoscrizioni? é difficile dare una risposta. Sono francamente un pò scettico sulla bipartitizzazione del sistema; per quanto possa essere incisiva la sovrarappresentzione dei due partiti maggiori essi avranno sempre il bisogno di allearsi almeno con un altro attore per conseguire la maggioranza. Azzardando un’ipotesi si potrebbe pensare ad una sorta di "quadriglia bipolare" sempre se gli elettori decidessero strategicamente di votare in massa per i due partiti maggiori.

  9. FRANCESCO COSTANZO

    Ringrazio gli autori per l’articolo molto esauriente, ma purtroppo devo dire che, a mio avviso, la legge elettorale non è "il problema" di cui occuparsi in questi anni. Credo che gli anni di governo di Berlusconi e Prodi abbiano dimostrato che la stabilità politica di cui ha bisogno il paese non dipende dal numero di voti di vantaggio sull’opposizione, ma soltanto dalla capacità di chi governa di "mediare" tra i diversi "interessi" degli alleati di governo. Interessi che sfortunatamente mi sembrano molto lontani dai bisogni quotidiani dei cittadini… Mentre l’Italia passa da un debito pubblico record, alle morti bianche, allo sciopero dei tassisti fino a quello dei tir, con disagi assurdi per qualunque paese civile, Berlusconi, Veltroni ed altri discutono di modello Spagnolo e Tedesco. Così si finisce per concedere ai tassisti che bloccano una piazza importante di Roma il rinnovo contrattuale, dimostrando in tal modo a tutti che se si calpesta ogni regola, si ottiene quello che si vuole… Ma se non adottano queste "soluzioni rapide", poi come si trova il tempo per discutere della legge elettorale?

  10. Emanuele Bracco

    Negli USA le circoscrizioni contenere esattamente lo stesso numero di votanti ed eleggono lo stesso numero di rappresentanti (uno). In questo modo ogni voto (come da costituzione) vale uguale. In Italia (e in Europa mi pare) nessuno sembra preoccuparsi di questo. Va bene che 630 non e’ molto divisibile, ma soprattutto per i partiti piccoli queste asimmetrie potrebbero contare molto, a meno che ci sia un riparto nazionale dei resti (che mi sembra tuttavia impegnativo!).

  11. Marco D'Egidio

    Mi voglio soffermare, per quello che le mie scarse conoscenze mi concedono, sull’assunto secondo cui i governi che usciranno da elezioni "alla Vassallo" saranno forti, in grado di durare un’intera legislatura e di attuare le riforme di cui il Paese ha bisogno. Forti? L’abbandono del premio di maggioranza implica che i partiti possano correre da soli alle elezioni, senza il fardello di un’alleanza con forze ideologicamente diverse. Ma nessun partito è neppure vicino alla maggioranza assoluta dei voti, ciò che permette di formare un governo. Un’alleanza è dunque necessaria, non più prima ma dopo le elezioni, come accadeva nella Prima Repubblica (en passant, famosa per la stabilità dei governi…). Dal momento che i governi sarebbero comunque di coalizione, e che il potere di ricatto deriva non tanto dal momento in cui si stipula il patto ma dal patto stesso, come si può pensare che una coalizione post-elettorale sia più stabile di una pre-elettorale, alla vecchia maniera? Mi piacerebbe sapere l’opinione degli autori a riguardo.

  12. Maurilio Menegaldo

    La discussione sui meccanismi elettorali mi sembra certo importante, ma sicuramente non è risolutiva. Il problema credo non sia tanto la stabilità dei governi, quanto la continuità delle politiche. Mi spiego: se è vero che dal 1946 al 1994 si sono succeduti circa 50 governi, con una media di meno di uno all’anno, è altrettanto vero che si possono individuare precise coerenze politiche nella legislazione, almeno fino a tutti gli anni Settanta. E’ invece evidente che la politica dell’alternanza, coi governi di durata maggiore (anche di legislatura), determinata dall’attuale maggioritario più o meno corretto (o corrotto, secondo i punti di vista) ha provocato andirivieni anche impressionanti nella produzione legislativa. Un esempio per tutti: le riforme e controriforme della scuola negli ultimi quindici anni. Risultato: il Paese non va avanti, il che vuol dire che arretra. Credo che un problema simile non possa risolversi con una legge elettorale basata su interessi più o meno confessati . C’è bisogno di politiche (sociali ed economiche in primo luogo) serie e condivise, in modo che l’alternarsi dei governi possa dare luogo ad aggiustamenti, non a stravolgimenti.

  13. Massimo D.

    La simulazione a mio avviso sottovaluta l’effetto del premio maggioritario nel momento in cui si concentra sul caso di una circoscrizione in cui i due partiti maggiori si aggiudicano ciascuno una parte dei seggi maggioritari. La dimensione delle circoscrizioni ipotizzata sarebbe tale da determinare in realtà una notevole omogeneità nella distribuzione dei voti nei collegi di ciascuna circoscrizione. Insomma, l’esito più probabile è che nella maggior parte dei casi uno dei partiti maggiori si aggiudichi tutti i collegi uninominali nella stessa circoscrizione. Ciò determinerebbe un effetto ben più consistente di quello ipotizzato, ovvero un premio di circoscrizione quantificabile in 10-15 punti percentuali per partiti che ottenessero una percentuale intorno al 35%.

  14. Giuseppe Caffo

    Grazie per aver chiarito una complicata proposta di legge elettorale. Ma è proprio questo il punto.Concordo con i commenti di Francesco Costanzo e Giorgio Antonello.Una buona legge elettorale deve essere di facile comprensione per tutti gli elettori e comunque non può essere considerata la soluzione a tutti i mali.Quello che serve è la comprensione reale dei problemi e dei bisogni da parte di una classe politica che sappia di conseguenza esprimere proposte politiche forti e adeguate.Classe politica formata da esponenti autorevoli,capaci e consapevoli dei problemi complicati da affrontare,capaci di formulare programmi chiari, comprensibili e efficaci.Secondo me per questo occorre una legge elettorale chiara,comprensibile e efficace.

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