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LA SCARSA FIDUCIA FA CRESCERE L’INFLAZIONE

Perché i consumatori percepiscono un’inflazione molto più elevata della realtà? Una recente ricerca mostra che nella media del periodo febbraio 2003-settembre 2007, quella percepita dagli italiani è stata del 23,7 per cento annuo. I consumatori sembrano aver sofferto negli ultimi anni di una sorta di disillusione monetaria, imputando una crescita insoddisfacente del potere d’acquisto, legata al più generale ristagno del reddito e della produttività, a un aumento abnorme dei prezzi. Che tuttavia non ha alcun riscontro nei dati ufficiali.

Dopo l’introduzione della circolazione di biglietti e monete denominati in euro, si è registrato in Europa, e particolarmente nel nostro paese, un diffuso fenomeno di “paura inflazionistica”, con l’emergere di un forte divario tra l’inflazione percepita dai consumatori e quella misurata, con rigore metodologico, dagli Istituti nazionali di statistica. Più recentemente, i rincari dei prezzi dei prodotti energetici e alimentari hanno determinato una nuova risalita di giudizi e aspettative di inflazione dei consumatori dell’area euro (figura 1). Ma quale è l’esatta misura dell’errore di percezione commesso? E a cosa è imputabile la miopia dei consumatori?

Le indagini sulla percezione d’inflazione dei consumatori

I dati tradizionalmente utilizzati per misurare le percezioni d’inflazione sono quelli, di natura qualitativa, rilevati all’interno dell’indagine armonizzata a livello europeo sul clima di opinione dei consumatori. L’inchiesta chiede ogni mese di indicare se i prezzi negli ultimi dodici mesi (e in prospettiva nei successivi dodici) sono aumentati “molto”, “abbastanza”, o “poco”, o se sono “rimasti stabili” o addirittura “diminuiti”. Per l’anomalo andamento registrato da questi indicatori dopo il change over, alla fine del 2002 la Commissione ha fatto aggiungere al tradizionale questionario due domande che chiedono di quantificare esplicitamente, in termini percentuali, l’aumento registrato dai prezzi al consumo negli ultimi dodici mesi e quello atteso per i dodici successivi. La domanda non viene rivolta a quanti hanno indicato che i prezzi sono rimasti (o rimarranno) “stabili”; questi intervistati vengono comunque considerati nel processo di aggregazione dei dati individuali, imputando una percezione (o aspettativa) d’inflazione pari a zero.

 

Le percezioni quantitative d’inflazione dei consumatori italiani

L’Isae, che storicamente realizza l’indagine per l’Italia, ha inserito le due domande nel questionario a partire dal febbraio 2003, con risultati sorprendenti. (1) Nella media tra febbraio 2003 e settembre 2007, l’inflazione percepita dai consumatori italiani è stata pari al 23,7 per cento annuo; nello stesso periodo, le attese per i successivi dodici mesi sono state in media pari al 6,7 per cento annuo. (2) I dati sono del tutto incompatibili non solo con l’inflazione effettiva, ma anche con gli andamenti registrati dai consumi delle famiglie e degli strumenti di pagamento finanziari nel periodo recente. I consumi sono cresciuti infatti negli ultimi anni a un ritmo sì modesto, ma non coerente con la decurtazione di reddito disponibile reale implicita nelle percezioni inflazionistiche. D’altro lato, una dettagliata analisi ha recentemente mostrato come nel nostro paese l’utilizzo dei mezzi di pagamento finanziari è stato in linea con l’andamento dell’inflazione effettiva misurata dall’Istat, non certo con quella percepita dai consumatori. (3) A cosa attribuire allora un così vistoso errore di percezione?

Percezioni d’inflazione e conoscenza dei dati statistici

Una prima possibile spiegazione lega i risultati a una cattiva conoscenza del concetto stesso d’inflazione da parte dei consumatori: in effetti, da una recente indagine Isae emerge che oltre il 70 per cento degli italiani non è in grado di indicare il tasso d’inflazione pubblicato dall’Istat. Inoltre, secondo una specifica domanda inserita nei questionari di maggio-settembre 2007, circa metà del campione ritiene che nel calcolo dell’inflazione si faccia riferimento esclusivamente ai beni di uso quotidiano (alimentari, bollette, trasporti, svago), mentre solo il 24 per cento indica correttamente che il paniere comprende anche beni acquistati su base stagionale (abbigliamento, viaggi) e durevoli. Peraltro, una conoscenza inadeguata del concetto statistico d’inflazione non implica di per sé una sua sovrastima: i consumatori potrebbero comunque percepire o attendersi tassi di inflazione vicini o anche inferiori rispetto a quelli ufficiali.

 Fattori demografici e sociali

Un’altra possibile spiegazione si fonda sul ruolo che fattori di tipo socio-demografico avrebbero nell’influenzare le opinioni individuali. (4) Dall’analisi dei dati Isae (tabella 1), risulta infatti che i consumatori meno istruiti e con redditi inferiori (unitamente alla componente femminile della popolazione e ai disoccupati) percepiscono un’inflazione mediamente maggiore degli altri. La “paura inflazionistica” si conferma comunque un risultato diffuso a tutta la popolazione italiana e non una caratteristica specifica di alcuni gruppi di individui: le percezioni più basse, registrate tra gli strati più istruiti, sono infatti comunque molto più elevate (20 per cento in media d’anno) dell’inflazione effettiva registrata dall’Istat.

Percezioni d’inflazione e clima di fiducia

Un’ulteriore spiegazione può essere cercata allora nella relazione tra percezioni d’inflazione e il più generale “sentiment” degli operatori sullo stato economico generale del paese e su quello della propria famiglia. Le valutazioni sull’inflazione sono in effetti notevolmente correlate con l’andamento della fiducia, con i consumatori più “ottimisti” che esprimono valutazioni molto più vicine ai dati effettivi rispetto a quelli “pessimisti”. Ad esempio, coloro che reputano che la situazione economica nazionale sia “peggiorata” nell’ultimo anno hanno in media percezioni d’inflazione quasi doppie rispetto a quanti la reputano invece “migliorata”. Analogamente, quanti affermano di dover fare debiti o prelevare dalle proprie riserve hanno opinioni molto più negative sull’inflazione rispetto a quanti invece riescono invece a effettuare risparmi (tabella 2).
Per comprendere la relazione tra percezioni d’inflazione e fiducia è possibile ipotizzare che i consumatori possano avere difficoltà a distinguere tra perdite (o mancati guadagni) di potere d’acquisto dovute a elevata inflazione o alternativamente a una dinamica insoddisfacente del reddito disponibile, che in Italia, secondo le stime della Banca d’Italia, è cresciuto mediamente in questi anni poco al di sopra dell’inflazione effettiva. In altri termini, in presenza di un forte dibattito mediatico su ipotetiche “fiammate” inflazionistiche (dopo il change over, ma anche, più recentemente, in relazione all’incremento dei prezzi di alcuni prodotti) e data la scarsa conoscenza delle statistiche sull’inflazione, i consumatori sembrano aver sofferto negli ultimi anni di una sorta di “disillusione monetaria”, imputando l’insoddisfacente crescita del potere d’acquisto, legata al più generale ristagno del reddito e della produttività sperimentato nei primi anni 2000, a una crescita abnorme dei prezzi, che non trova in effetti alcun riscontro nei dati ufficiali.

Tabella 1: Percezioni d’inflazione e fattori socio-demografici

  Percezioni Aspettative
Sesso    
  Uomini 22.1 5.8
  Donne 27.4 6.6
Istruzione    
  Fino alla scuola media 26.4 6.4
  Fino alla scuola superiore 22.5 6.1
 Università o più 20.5 5.4
Condizione lavorativa    
  Lavoratore dipendente 22.4 5.3
  Lavoratore indipendente 24.0 6.4
  Disoccupato 31.6 8.4
  Al di fuori delle forze di lavoro 25.2 6.1
Reddito    
  I quartile 29.4 7.1
  II quartile 25.8 6.7
  III quartile 22.7 6.5
  IV quartile 22.0 6.0
Totale 23.7 6.7

Tabella 2 – Percezioni d’inflazione e fiducia

  Percezioni Aspettative
Situazione economica, ultimi 12 mesi    
Migliorata 14.3 3.4
Rimasta uguale 15.2 4.2
Peggiorata 28.4 7.1
Non so 21.8 3.8
Bilancio familiare    
Deve fare debiti/prelevare dai risparmi 32.0 9.3
Quadra il bilancio 24.3 5.9
Risparmia un po’/molto 20.8 5.4
Non so 25.7 4.8

(1) Vedi M. Malgarini (2007a), “Percezioni e attese d’inflazione dei consumatori italiani”, Nota mensile Isae, giugno. E M. Malgarini (2007b) “Quantitative Inflation Perceptions and Expectations of Italian Consumers”, lavoro presentato al EC Workshop on Business and Consumers Surveys, Bruxelles, 14 novembre 2007.
(2) I dati sono in linea con quelli ottenuti per l’intera area euro da S. Linden (2006), “400.000 Observations on Inflation Perceptions and Expectations in the Eu”, lavoro presentato al workshop della Banca nazionale della Polonia sul “Ruolo delle aspettative d’inflazione per le decisioni di politica monetaria”, 9-10 febbraio 2006. E sono coerenti con i risultati raggiunti su un diverso campione di consumatori italiani da Del Giovane, P, Fabiani S., Sabbatini R. (2007), “What are «Inflation Perceptions» about?A survey-based analysis on Italian Consumers”, Banca d’Italia, mimeo.
(3) Angelini P., Ardizzi G., Lippi F. (2005), “Change over e inflazione: indicazioni dagli strumenti di pagamento in Italia e nell’area dell’euro”, in P. Del Giovane, F. Lippi, R. Sabbatini (a cura di), L’euro e l’inflazione, Il Mulino, Bologna.
(4) Bryan M. F., Venkatu G. (2001), “The Demographics of Inflation Opinion Surveys”, Federal Reserve Bank of Cleveland Economic Commentary, ottobre; “The Curiosly Different Inflation Perspectives of Men and Women”, Federal Reserve Bank of Cleveland Economic Commentary, novembre.

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16 commenti

  1. Claudio Resentini

    Il tasso di inflazione è un indicatore statistico sintetico. Un numero, insomma, un solo, misero, striminzito numero che non può dare conto delle complesse dinamiche della condizione socio-economica di decine di milioni di individui. Se non si ricorda questo si fanno i ragionamenti del prof. Malgarini che non riesce a farsi una ragione del fatto che persone poco istruite e con basso reddito si ostinino a non capire che se loro fanno fatica ad arrivare a fine mese agli accademici poco importa perché invece il “consumatore medio”, quella creatura mitica che consuma un immaginario paniere di beni, diverso dal loro, ce la fa benissimo. Basti pensare ai prezzi delle case, aumentati a dismisura negli ultimi anni nelle grandi città, non certo in linea con il tasso di inflazione e che ovviamente incidono in maniera diversa sui vari “panieri” delle persone reali. E’ la statistica che deve comprendere la realtà, professore, non il contrario. Tra l’altro di queste problematiche avevo già letto su la voce tempo fa, quando forse andava di moda o per ragioni politiche che mi sfuggono, criticare la visione distorta indotta dalla lettura acritica di indicatori sintetici. I tempi cambiano…

  2. Francesco Gagliardi

    Il dott Malgarini sembra non aver fatto caso che ad un decennio di moderazione salariale sancito con gli accordi di luglio ’92/’93 ha fatto seguito un quinquennio di ulteriore moderazione imposta surrettiziamente dalle imprese attraverso la tecnica dei mancati rinnovi contrattuali. Senza contare che dal 4/2002 al 4/2003 si è verificato un raddoppio dei prezzi della quasi totalità dei beni (compresi quelli durevoli) ignorato sia dall’Isae (e infatti il dott cita solo i dati 2003) sia dall’Istat. Ecco la spiegazione.

  3. Diego Marchiolè

    Nella nostra testa dall’avvento dell’Euro i prezzi sono aumentati più di quanto dice la statistica… forse perche’ il prezzo di alcuni “prodotti specchietto” (che molte persone prendono a riferimento per i ragionamenti sull’inflazione) ha subito incrementi piu’ elevati della media : Benzina, Affitto di casa, Biglietti e abbonamenti del treno…
    Vorrei sapere se i prezzi delle Case e gli affitti rientrano nel paniere dell’Istat e come sono rilevati.
    Non potrebbe essere che la scarsa fiducia nel domani, e i bassissimi rendimenti dei titoli di stato abbiano fatto aumentare (come di fatto sono aumentati) i prezzi delle case e i valori degli affitti e di conseguenza ora si sia creata una solida base per una futura crescita dell’inflazione?
    Giusto per ragionare vorrei fare meditare su quanto l’affitto incida sul Reddito di un italiano medio. Non so le statistiche ufficiali ma il dato che riscontro nella mia realtà è di almeno 1/3.
    Osservo in ultimo che con la trasformazione delle abitudini “i prezzi del Telefono sembrano aumentati” semplicemente perchè si usa il telefonino e non piu’ il telefono fisso. Bruciamo così piu’ soldi di prima, e il lavoro e gli amici sono gli stessi!

  4. Armando Avallone

    Negli ultimi anni molti agenti in grado di influenzare il discorso pubblico, per interessi contingenti, hanno elaborato retoricamente il tema inflazione, ingigantendolo. Nel momento 1 l’agente A ha detto che l’inflazione era fuori controllo; nel momento 2 l’agente B ha ribadito che l’aumento dei pezzi era galoppante etc. Un processo di questo tipo ripetuto (non così semplice né lineare) ha portato a una cristallizzazione del discorso sul tema inflazione, costruendo una formula generica, poco ancorata alla realtà ma condivisa a vari livelli e che ingigantisce l’inflazione degli ultimi anni (“tutto quello che costava mille lire ora costa un euro” “la quarta settimana non si compra neanche il latte” “nella fase di transizione lira-euro il problema dell’inflazione è stato gestito in modo assolutamente insoddisfacente”), distorcendo di conseguenza la percezione delle persone.
    Concludendo: perché gli italiani sono convinti di aver “pagato” negli ultimi 5 anni un’inflazione del 23% annuo?sarebbe a mio parere fertile affrontare il problema da più punti di vista: quello economico tradizionale, quello economico “comportamentale” (alla Kahneman), quello “politico-sociologico”.

  5. Paolo Brera

    Uno storico economico avrebbe la sua da dire sul concetto di inflazione che sottende simili ragionamenti. Il concetto è manchevole, non descrive tutto ciò che davvero importa per la vita sociale anche se tecnicamente può essere rigoroso. Facciamo un esempio. Se l’importo delle multe rimane costante come i prezzi dei beni di consumo ma si verifica un giro di vite, per cui il cittadino è costretto a pagarne di più, sarà costretto a ridurre gli acquisti degli altri beni PROPRIO COME SE i prezzi fossero aumentati — nel senso che troverà proibitivi prezzi che in precedenza avrebbe considerato normali. L’inflazione (nella definizione data dalla scienza economica) è ferma, ma viene percepito un aumento. E psicologicamente, questo fa altrettanto danno di un aumento dei prezzi. Semplice, no? La situazione di inasprimento del prelievo fiscale (non solo delle multe) riduce il reddito disponibile e fa sembrare gli stessi prezzi più alti — perché SONO più alti per le tasche dei cittadini.

  6. Pietro Della Casa

    A parte i veri e propri errori che si possono compiere nello stimare una grandezza quantitativa come l’inflazione attraverso l’insieme disorganizzato delle proprie impressioni, c’è un fraintendimento di base da puntualizzare: ciascuno di noi può legittimamente definire il proprio paniere personale, in accordo con le proprie abitudini ed aspirazioni di spesa. Per esempio, io posso inserire con peso 20% la voce benzina perché mi muovo molto in automobile, mentre il mio vicino che si muove in bicicletta non la inserisce affatto. Se non mi interessa acquistare una casa, l’aumento dei prezzi dell’edilizia residenziale non rientra nel mio paniere, se invece desidero comprarmi casa tale aumento per me diventa molto importante, potrei decidere di attribuirgli un 80% di peso. E questo anche se, alla fine, non procedo affatto all’acquisto!

  7. Paolo Bossi

    E’ probabile che l’inflazione reale sia effettivamente superiore a quella calcolata. Non sono affatto convinto che i dato inflattivi Istat ed i metodi utilizzati siano corretti. Alcuni elementi mi fanno pensare che siano "drogati" al basso. Intanto, l’Istat non è indipendente dall’esecutivo. Quest’ultimo ha interesse ad attestazioni di modesta crescita inflattiva: accredita il proprio successo, contiene il costo del debito pubblico e le pressioni per aumenti retributivi … Inoltre, la composizione del "paniere" è sempre arbitraria e si presta ad ottenere il risultato voluto dal governo. Le stesse rilevazioni dei prezzi al dettaglio hanno meno significato, se non gestite ed effettuate da operatori neutrali. Infine, il comportamento di molti operatori non è neutrale, ma agisce su prezzi e tariffe in modo da limitare l’impatto sul metodo di calcolo. Per esempio, le Ferrovie aumentano i prezzi delle varie tariffe (Intercity, ecc.), lasciando fermo solo il sempre meno utilizzato biglietto ordinario (analogamente, si faceva in passato coi tabacchi, non aumentando le tasse solo per un introvabile e desueto tipo di sigarette). Paolo Bossi

  8. Francesco

    Sarebbe interessante conoscere gli effetti di una fiducia ‘elevata’sull’inflazione e la percezione altri indicatori economici, come il rapporto deficit/p.i.l.
    Da profano mi vengono in mente gli anni 80, anni di generale ottimismo e spensieratezza, dunque di crescita della ‘fiducia’ (posto che si intenda la stessa cosa) ma anche anni di crescita abnorme del debito pubblico.

  9. GIROLAMO CAIANIELLO

    19.12.2007
    Telegraficamente mi limito ad una sommaria testimonianza, per quello che può valere, poiché uso conservare gli scontrini degli acquisti. Ci serviamo normalmente per l’alimentazione ad un Discount, e senza entrare in dettagli (che a richiesta potrei fornire) posso affermare di non aver riscontrato negli ultimi tre-quattro anni significativi aumenti dei prezzi, che spesso risultano addirittura immutati. Pronto ovviamente a ricredermi (se smentito da analoghi scontrini…)
    Girolamo Caianiello- Roma

  10. Paola Castelli

    Manca un ragionamento ovvio. I redditi bassi spendono soprattutto per gli alimenti e le spese non eliminabili (luce gas affitto) perciò se x gli alimenti l’inflazione cresce e x i voli aerei scende quella statistica è = ma quella percepita cresce.

  11. cristian masci

    Sarò breve: il paniere non solo dà un indicatore di sintesi, ma ha anche il difetto di essere aggiornato con ritmi molto lenti rispetto all’evolversi della realtà. Penso all’introduzione del DVD rispetto alla videocassetta, all’eliminazione della racchetta in legno quando c’era già da molto quella in carbonio…

  12. franco bortolotti

    1. Il consumatore ragiona sul potere d’acquisto al margine degli acquisti "necessari" (ovviamente un concetto soggettivo anche questo): se questo margine si sposta verso il punto di rottura (le uscite superiori alle entrate) sembra che i prezzi siano aumentati di chissà quanto. 2. Inoltre c’è una "dissonanza cognitiva" di massa: tutti fanno filtrare le informazioni (anche di quanto percepiscono che sia l’inflazione) che convengono a loro, distorte secondo l’interesse particolare (cosa che non dovrebbe essere scordata dagli statistici che raccolgono informazioni dalle imprese e neanche da coloro che le commentano). Il consumatore/lavoratore "sente" che se "si dice" che l’inflazione è alta la sua richiesta di più salario/reddito è più legittimata. 3. C’è una attenzione selettiva. L’informazione che il prezzo del telefonino è diminuito non viene rilanciata da nessuno (proprio come quella sul tasso di omicidi); se il prezzo della casa aumenta lo calcolo nell’inflazione anche quando non ne sono colpito.

  13. Marco La Colla

    Io ritengo che l’inflazione percepita si riferisca ai beni di prima necessità che sono quelli che tutti compriamo ogni giorno, alle bollette di luce e gas, agli abbonamenti o al biglietto del treno e dell’autobus e via dicendo. Se l’ISTAT calcolasse l’inflazione su due panieri separati, il primo sui beni di prima necessità ed il secondo sul resto, la differenza tra inflazione reale del primo paniere e di quella percepita dalla gente comune si ridurrebbe di molto.

  14. carlo lucchesi

    il fatto che nel 2000 pizza, birra e caffè costassero £. 15.000 mentre adesso nello stesso locale e con lo stesso servizio costano € 15, scontrini alla mano, non è un’illusione ottica. Si possono fare innumerevoli esempi come questo. Certamente non tutto è raddoppiato, ma che l’inflazione reale, e non solo quella percepita, sia stata di molto superiore a quella ufficialmente dichiarata è proprio difficile da contestare

  15. Antonio Cavani

    Salve, si potrebbe cercare di dare una spiegazione alla distanza fra giudizi sul tasso d’inflazione nell’anno passato e sulle attese sul tasso d’inflazione dell’anno futuro formulate dai soggetti nel campione indagato? E’ una differenza di più di 20 punti percentuali. Grazie

  16. Ercole Palmeri

    Ritengo che una spiegazione del divario esistente tra l’inflazione percepita e reale, si possa trovare nelle abitudini sociali. L’aumento e il perfezionamento di modalità di acquisto (es. internet), e di strumenti di pagamento (carte, paypal, credito al consumo) aiutano ad aumentare l’inflazione percepita. L’articolo indicato da Malgarini “Change over e inflazione: indicazioni dagli strumenti di pagamento in Italia e nell’area dell’euro” (3), è del 2005 e secondo me non più attendibile.

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