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LARGO ALLE GIOVANI IMPRESE*

Le grandi imprese europee se la cavano bene nella competizione internazionale. Invece, hanno difficoltà ad affermarsi le start up, al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti. Dove da tempo il sistema finanziario è in grado di garantire gli investimenti necessari alle aziende emergenti. L’Europa dovrebbe allora rivedere la regolamentazione prudenziale, aprire il settore a soggetti non banking e stabilire regole semplici valide per tutti. Insieme a una tassazione omogenea delle attività finanziarie e alla armonizzazione delle norme sulla bancarotta.

Le recenti turbolenze finanziarie indurranno i politici a ripensare le regole dei mercati finanziari e dei soggetti che vi operano. Sarebbe però sbagliato concentrarsi esclusivamente sulla stabilità. Quello che manca al sistema finanziario europeo è soprattutto la capacità di favorire la crescita di imprese emergenti.
Lo sviluppo finanziario è particolarmente importante per l’avvio e l’espansione di nuove aziende, probabilmente più della flessibilità del mercato del lavoro, sostengono Philippe Aghion, Thibault Fally e Stefano Scarpetta. (1) Noi facciamo un passo ulteriore nel ragionamento: alcuni tipi di sviluppo finanziario sono più necessari di altri in questo momento della storia economica europea.

L’ASSENZA DI NUOVE IMPRESE IN EUROPA

Ingresso e uscita dal mercato e riallocazione di risorse fra imprese giocano un ruolo cruciale nel processo di crescita economica. (2) E tuttavia in Europa il panorama delle imprese è dominato da aziende vecchie e consolidate.
Uno sguardo alla distribuzione per età delle 500 maggiori società quotate del mondo ci dice che i “campioni” europei sono in generale molto più vecchi di quelli americani, per non parlare di quelli dei mercati emergenti, come si vede dalla figura 1. Tra i giganti europei ci sono solo 12 società fondate nella seconda metà del Ventesimo secolo, contro le 51 degli Stati Uniti e le 46 dei paesi emergenti.

Figura 1. Le “piramidi della popolazione” per le FT Global 500 nel 2007

Le colonne orizzontali indicano il numero di società in ciascuna fascia d’età.
Fonte: Nicolas Véron, “Europe’s Ageing Corporate Champions”,Bruegel Working Paper, forthcoming in 2008. Rielaborazione sulla classifica FT Global 500 delle più grandi società mondiali quotate del 30 settembre 2007 e pubblicata su www.ft.com.

I campioni europei si comportano bene nella competizione globale: negli ultimi cinque anni il loro peso relativo tra le “top 500” globali è leggermente cresciuto. Viceversa, quello dei campioni Usa continua a scendere e nel frattempo le imprese dei paesi emergenti prendono via via il loro posto. (3)
Le grandi imprese americane subiscono non solo la concorrenza straniera, ma anche quella interna delle nuove entranti, invece in Europa le società più grandi hanno maggiori probabilità di rimanere a lungo al vertice dei loro settori.
Perché l’Europa non riesce a produrre nuove grandi imprese così come fanno gli Stati Uniti? Un ruolo è certamente giocato dalle interazioni dinamiche tra aziende e università, ma va ricordato che le imprese hi-tech restano comunque una minoranza tra i nuovi giganti americani e che gli innovatori nei servizi sono altrettanto importanti. Un’altra ragione del perché le aziende degli Stati Uniti crescono molto più velocemente delle start-up europee è che l’industria finanziaria americana offre loro maggior supporto.

FINANZIARE LE IMPRESE EMERGENTI

Imprese emergenti e imprese consolidate hanno necessità finanziarie diverse e l’Europa dà minor sostegno alle prime rispetto alle seconde. Le grandi imprese del continente possono affidarsi a mercati dei capitali vasti, liquidi e efficienti, ma quanto a finanziamento di aziende con poca liquidità e scarsa capacità di fornire garanzie fisiche, l’Europa è in grave ritardo rispetto agli Stati Uniti.
Una parte dell’impressionante crescita del settore finanziario negli Stati Uniti è dovuta proprio alla necessità di finanziare le aziende emergenti. La figura 2 mostra la quota degli investimenti fatti da imprese americane il cui cash flow copre meno di un terzo della spesa in conto capitale. Tale quota è cresciuta nel Dopoguerra: ciò indica una crescente capacità del settore finanziario nel garantire a quelle imprese fondi adeguati per finanziare gli investimenti. Questo in contrasto con gli anni Cinquanta e Sessanta, quando gli investimenti erano attuati dalle imprese con un forte cash flow e scarsa necessità di intermediazione finanziaria.

Figura 2: quota delle imprese con scarso cash flow sul totale degli investimenti nel periodo 1955-2005

Ripreso da Thomas Philippon, “Why Has The U.S. Financial Sector Grown So Much?”, Working paper, NYU-Stern, 2007.La linea mostra la frazione di investimenti sul totale delle imprese il cui cash flow è meno di un terzo della spesa in conto capitale. Purtroppo, non sono attualmente disponibili informazioni simili per l’Europa.  

Disporre di strumenti finanziari adeguati è fondamentale, in particolare per le aziende di servizi e per quelle all’estremità alta dell’attività manifatturiera (come design, ricerca e sviluppo, management della catena dell’offerta) perché i loro investimenti si concentrano su intangibili, per i quali è difficile dare una garanzia. Lo stesso leasing, un’altra delle più comuni soluzioni finanziarie, è inaccessibile per le aziende che non investono in attività tangibili. Il sistema finanziario degli Stati Uniti è stato veloce a fornire nuove soluzioni finanziarie, come titoli ad alto rischio, “mezzinine debt” (4) e private equity. Tutti questi mercati sono relativamente meno sviluppati in Europa.

IL RUOLO DELLA POLITICA

Per essere d’aiuto, la politica si dovrebbe concentrare sulle esigenze delle imprese emergenti. L’integrazione dei mercati finanziari europei ha già dato i suoi frutti per le grandi aziende: per le piccole imprese le divergenze legali o di informazione sono più difficili da superare, ma si può agire su alcuni punti-chiave.
Primo, il settore finanziario deve essere competitivo. Soggetti non banking, opportunamente regolati, dovrebbero poter competere con le banche, eliminando le attuali distorsioni: per esempio, in Austria, Francia, Italia e Portogallo ancora oggi le società non-banking non possono offrire servizi di leasing e di factoring.
Secondo, dovrebbe essere ripensata la logica della regolamentazione. Come punto di riferimento abbiamo oggi una regolazione restrittiva e complessa, che prevede eccezioni per le piccole imprese. Di conseguenza, le piccole società devono ricorrere a consulenze legali non solo per comprendere le regole, ma anche le eccezioni. Questa stessa logica andrebbe rovesciata: dovremmo avere regole semplici valide per tutti, e laddove sono necessari, ulteriori obblighi a carico delle grandi imprese.
Terzo, il fisco dovrebbe trattare nello stesso modo tutti gli strumenti finanziari. Per esempio, non ha alcuna valida giustificazione economica il trattamento fiscale differenziale di debito e capitale di rischio: crea forme di elusione e pregiudizi verso gli investimenti in attività equity. Alla fine del 2005, l’Us Advisory Panel on Federal Tax Reform propose di tassare tutto il cash flow delle imprese a un’aliquota fissa, esclusi i nuovi investimenti, e di eliminare le deduzioni delle spese per interessi per le imprese non finanziarie. (5) È una proposta che l’Europa dovrebbe prendere in considerazione.
Quarto, la legislazione sulle insolvenze dovrebbe essere migliorata e armonizzata per quanto possibile. Sono le norme sulla bancarotta a determinano in larga parte l’attrattività o meno di prodotti obbligazionari di rischio. Dovrebbero perciò essere certe e poco costose. E dovrebbero permettere soluzioni rapide per imprese in sofferenza, con la possibilità di veloci trasferimenti di capitali e di equi compromessi tra i diversi stakeholder, molto più di quanto non accada oggi nella maggioranza dei paesi. (6) Inoltre, le norme europee sulla bancarotta dovrebbero essere armonizzate per sfruttare i possibili rendimenti di scala.
Infine, dovrebbe essere rivista la regolamentazione prudenziale che ostacola gli investimenti in attività rischiose (private equity comprese) da parte di investitori istituzionali, come fondi pensione e compagnie di assicurazione: si completerebbero in questo modo i già significativi miglioramenti fatti in questo campo da molti paesi europei negli ultimi anni.
Queste cinque riforme dovrebbero incoraggiare l’espansione di giovani imprese e permettere l’emergere di una nuova generazione di giganti. Senza di loro, l’Europa rischia di non cogliere i benefici del dinamismo mentre i suoi vecchi campioni continuano a dominare.

(1)Aghion, Philippe, Thibault Fally e Stefano Scarpetta (2007). “Credit constraints as a barrier to the entry and post-entry growth of firms.” Economic Policy October: 731-779.
(2)Tra gli altri, si vedano Foster L., Haltiwanger J. e Krizan C.J. (1998) “Aggregate Productivity Growth: Lessons from Microeconomic Evidence” Nber Working Paper 6803, e Bartelsman E., Haltiwanger J. e Scarpetta S. (2004) “Microeconomic Evidence of Creative Destruction in Industrial and Developing Countries”, Iza Discussion Papers No 1374.
(3) Le fluttuazioni dei tassi di cambio hanno un ruolo, ma non spiegano il trend, dal momento che il declino più forte si è registrato nel periodo 2004-2006, quando la parità euro/dollaro era relativamente stabile a 1,2-1,3 dollari per un euro.
(4) Il mezzinine debt è uno strumento finanziario. E’ una via di mezzo tra debito e azioni, dato che è debito subordinato ad altre forme di debito ed ha priorità in caso di fallimento solo rispetto alle azioni.
(5)www.taxreformpanel.gov.
(6)Vedi per esempio “Submission on Insolvency Law Reform”, European High Yield Association (EHYA), aprile 2007.

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DEMOCRATICI E FINANZA DALL’AMERICA ALL’ITALIA

  1. MARCO MUSCETTOLA

    Per quanto riguarda le capacità che le microimprese start-up italiane hanno di svilupparsi in maniera armonica, molte delle variabili che ci differenziano dall’ambiente macroeconomico americano si possono ritrovare nella gestione del credito delle nostre banche. Il sistema finanziario italico, infatti, è sempre stato sorretto su una solo apparente concorrenza tra intermediari, una forte frammentazione delle attività produttive, un’estrema e arrogante ignoranza imprenditoriale ed una vincente plutocrazia e clientelismo praticato dalle banche. Le erogazioni di denaro sono da sempre finalizzate a finanziare imprese che hanno già superato la fase di start-up, piena di troppe incognite, avendo sempre come contropartita la patrimonialità, o almeno il nome, del debitore piuttosto che la sua capacità di rimborso, la sua idea e, pertanto, la sua redditività (tutte queste capacità indiscusse di un’impresa che crea valore e che fa fruttare gli investimenti/risparmi migliorando anche tutto lo status economico circostante).

  2. donata cappelli

    Purtroppo il sistema bancario italiano rappresenta uno dei più seri ostacoli alla modernizzazione del nostro Paese. Il problema fondamentale sta nel fatto che le banche non sanno valutare il business delle imprese, non conoscono i mercati né i prodotti, di fatto non sanno (non vogliono) fare quello che sarebbe il loro mestiere: valutare il rischio. La difficoltà nell’accesso al credito è oggettiva anche per le imprese esistenti che, almeno, possono presentare bilanci pregressi e assets patrimoniali in garanzia. Figuriamoci le start-up, che non vantano grandi patrimoni né trend passati, che addirittura hanno un’idea nuova, basata su innovazioni tecnologiche, scientifiche, commerciali, non ancora testate. Soluzione per le start-up? Puntare sui soggetti non banking. Largo a nuovi fondi pre-seed, seed e private. Benvenute le partecipazioni a questi fondi di enti locali, fondazioni bancarie in misura, magari, decrescente quando si passa dal seed al private equity. E infine nuove borse. il MAC poteva essere un tentativo apprezzabile per facilitare l’accesso ai mercati finanziari delle PMI ma purtroppo, ancora una volta, sembra un gioco tutto tra banche: fanno le palle e se le tirano.

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