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SE IL PETROLIO ACCENDE L’INFLAZIONE

Perché il prezzo del petrolio continua a salire? La crescita economica di Cina, India e Vietnam ha determinato un forte rialzo della domanda. Non solo. Anche il mercato del greggio ha gradatamente, ma radicalmente mutato le sue caratteristiche strutturali. E le fluttuazioni dei prezzi rappresentano un’occasione di investimento finanziario. In più c’è la debolezza del dollaro. L’euro forte ha finora attenuato l’impatto sui prezzi interni. Ma i rischi di inflazione restano alti.

Quali sono le cause del livello così elevato del prezzo del petrolio? Le tensioni di cui parla la stampa sono relative alle quotazioni di un prezzo molto particolare: il future con scadenza a un mese del greggio West Texas Intermediate (Wti) quotato sul Nymex, la borsa merci per le materie prime a New York. La figura 1 mostra che da marzo 2006 il Wti è stato costantemente superiore ai 60 dollari al barile.

IL RUOLO DEI DERIVATI

In generale, i rialzi di prezzo sono dovuti a situazioni di eccesso di domanda o scarsità di offerta. Nel mercato del petrolio, ci sono sia spiegazioni di natura fisica, legate al gioco della domanda e dell’offerta, sia di natura puramente finanziaria e speculativa. Per il primo aspetto, la crescita economica di Cina, India e Vietnam è certamente alla base di un forte rialzo della domanda. Il fenomeno non spiega per altro un impatto così marcato sul prezzo. Se osserviamo i dati della produzione totale, notiamo infatti che l’offerta di petrolio nel corso degli ultimi anni è costantemente aumentata, e non pare proprio che alla base delle forti tensioni sui prezzi vi sia un problema di scarsità. 
Tuttavia, il mercato del petrolio ha gradatamente, ma radicalmente mutato le sue caratteristiche strutturali. A partire dal 1983, sono stati introdotti i contratti di derivati, quali i futures, quotati sul Nymex. Successivamente, dal 1995, sono state inserite anche le opzioni sul futures. Il ruolo dei derivati sui mercati delle merci è essenziale, in quanto permettono agli operatori di tutelarsi contro fluttuazioni eccessive dei prezzi spot, ovvero dei prezzi a pronti. (1)
Il ricorso ai contratti derivati è stato progressivamente sempre più massiccio e oggi il numero di quelli quotati sul Nymex è enorme, cosicché la mole di contratti scambiati non riflette, se non in minima parte, l’effettiva domanda sul mercato fisico. Infatti, a fronte di una continua crescita del volume di contratti scambiati sul futures, la percentuale portata a effettiva esecuzione sul mercato fisico è pari solo allo 0,8 per cento del volume totale. La parte restante viene lasciata scadere senza che avvenga un effettivo scambio di merce. 
Pertanto, le fluttuazioni dei prezzi non riflettono necessariamente le reali necessità del mercato fisico, ma piuttosto rappresentano un’occasione di investimento finanziario così come un’azione, un’obbligazione, per la quale gli operatori possono avere l’incentivo a generare eccessi di ribassi o di rialzi, a seconda dei propri obiettivi di guadagno. Si noti anche che le fluttuazioni del prezzo determinano ulteriori necessità di copertura da parte degli operatori e quindi un conseguente ricorso al mercato dei derivati, continuando così ad alimentarne la volatilità. 
A sostegno di questa tesi, si può registrare, a partire dal 2005, una crescente presenza sul mercato di operatori non appartenenti al mondo dell’energia, ma tipicamente riconducibili al mondo della finanza in senso stretto – banche e fondi di varia natura – che ne ha progressivamente accentuato le caratteristiche speculative. Le altalenanti performance dei mercati finanziari hanno spinto gli operatori a ricercare nuove strategie di investimento per massimizzare i rendimenti. In parte, ciò spiega le forti tensioni che si registrano sui mercati delle materie prime, petrolio e oro, in particolare. Basti poi pensare che se avessimo acquistato un barile di petrolio all’inizio del 2007  pagandolo 58,32 dollari, e se lo avessimo tenuto in cantina per rivenderlo l’11 marzo 2008 al prezzo di 108,75, ci avremmo guadagnato l’86 per cento circa. Quale altro investimento ha prodotto tali guadagni?

LA DEBOLEZZA DEL DOLLARO

Alla base delle fluttuazioni eccessive del prezzo del petrolio ci sono anche altre cause. Una, assai importante, è la forte debolezza del dollaro che perdura da almeno due anni. Se rappresentiamo il cambio dollaro/euro (quantità di dollari per 1 euro, linea rossa, scala a destra) e il prezzo del futures Wti Nymex (linea blu, scala a sinistra), in figura 2 osserviamo un’interessante correlazione: nell’ultimo anno, a fronte di un deprezzamento del dollaro, il prezzo del petrolio aumenta.
Il prezzo ufficiale del petrolio è in dollari e la gran parte degli scambi petroliferi mondiali avviene in quella valuta, come deciso dall’Opec.  Tuttavia, la gran parte dei paesi esportatori di petrolio dell’area medio-orientale hanno come partner commerciali preferiti i paesi europei: la vendita di un prodotto in una valuta “deprezzata” anche di oltre il 50 per cento rispetto a pochi anni fa crea un’analoga riduzione del potere d’acquisto in euro. Pertanto, a fronte di consistenti spinte al deprezzamento del dollaro, il rialzo del prezzo del petrolio ha un effetto compensativo della perdita di potere d’acquisto che si verifica in euro. 
Quali sono le conseguenze in termini reali? Prima di tutto, a quanto corrispondono in euro gli attuali livelli del prezzo del petrolio? Nella figura 4 abbiamo rappresentato in rosso il prezzo del petrolio in euro, mentre in blu il medesimo prezzo in termini reali, ottenuto deflazionando la serie rossa con l’indice dei prezzi al consumo per l’area euro. Osserviamo che un valore massimo di 108,5 dollari al barile, corrisponde in euro a 71,55 nominali, che in termini reali ammontano a 67,63. L’euro forte, quindi, attenua l’impatto sui prezzi interni derivante dalla fortissima crescita delle materie prime, tra cui il petrolio.
Ma quali sono i riflessi sull’inflazione? La variazione del prezzo del petrolio in euro su base annua per il 2007 è pari al 4,67 per cento, mentre la variazione dell’indice dei prezzi al consumo dell’area euro da gennaio 2007 a gennaio 2008 è del 3,5 per cento: è questo che preoccupa la Bce e che la spinge a non abbassare la guardia per i timori di inflazione futura. Se l’euro fosse stato più debole, l’impatto sui prezzi interni derivante dalle fluttuazioni del prezzo del petrolio sarebbe stato molto più forte. In effetti, una crescita del petrolio come quella osservata non fa presagire nulla di buono in termini di inflazione futura, dal momento che, normalmente, dopo circa 6-9 mesi i prezzi al consumo assorbono l’effetto dello shock a monte. Per limitare i danni sull’inflazione senza dover ricorrere a rialzi dei tassi di interesse, la politica dell’euro forte aiuta a contenere la crescita prezzi, già comunque fuori linea rispetto all’obiettivo del 2 per cento su base annua.
Fare previsioni sul futuro non è facile in un momento di così forte turbolenza. Tuttavia, non ci sentiamo di dire che il prezzo del petrolio ritornerà ai livelli di due anni fa. Gli effetti sulle nostre economie dipenderanno strettamente da quanto a lungo il petrolio si manterrà a livelli superiori ai 100 dollari al barile.

(1) In sostanza, se un operatore sa di dover disporre di una data quantità di petrolio tra due mesi, acquistando oggi una serie di contratti futures con consegna tra due mesi, può fissare il prezzo oggi. Se il prezzo tra due mesi sarà maggiore del prezzo pagato per il contratto future, il nostro operatore avrà guadagnato. Viceversa, se invece il prezzo sarà sceso.

Figura 1: Futures Wti prima scadenza. Fonte: Nymex.

Figura 2: Tasso di cambio dollaro/euro (quantità di dollari per 1 euro) e futures Wti prima scadenza.  Fonte: Thomson Datastream.

Figura 3: Spare capacity e prezzo del petrolio. Fonte: Rie, Ricerche Industriali ed Energetiche, elaborazione su dati Platt’s.

Figura 4: Prezzo del petrolio Wti denominato in euro (linea blu continua) e prezzo petrolio Wti in euro in termini reali (deflazionato con Indice prezzi al consumo area euro), linea rossa tratteggiata. Fonte: Thomson Datastream.

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15 commenti

  1. Massimo GIANNINI

    L’autore ha corroborato con dati precisi la mia analisi in un commento con lo stesso oggetto. Tuttavia nel mio precedente commento concludevo comparando la situazione del petrolio al grano. Sarebbe interessante vedere se maggiori rischi d’inflazione non provengano piuttosto dall’aumento del prezzo del grano piuttosto di quelli del petrolio. E’ sicuramente vero che i due aumenti si cumulano e l’aumento del petrolio incide anche sul grano, ma un’analisi attenta eviterebbe di dire che l’aumento del prezzo del pane o della carne sono dovuti all’aumento del petrolio piuttosto che della farina. Questo serve a vedere chi specula su cosa. Se poi incidentalmente a comprare il pane ci si va in automobile…

    • La redazione

      Sono pienamente d’accordo con questo commento. Varrebbe sicuramente la pena di valutare l’impatto determinato sull’inflazione dal prezzo del grano.  E’ anche vero che i due aumenti tendono a cumularsi (petrolio e grano). Tuttavia, va anche ricordato che la misura dell’inflazione dipende dal paniere di consumo.  Se i prodotti che subiscono i maggiori rincari non entrano (o vi entrano, ma con un peso molto basso) nel paniere di consumo, ecco che l’impatto sull’inflazione potrebbe essere molto ridotto, nel breve
      termine (tre mesi).  Col trascorrere del tempo, quando tali aumenti si propagano in tutti gli altri settori allora il loro effetto inizia a farsi
      sentire anche su altri beni che compongono il paniere, con la conseguenza d impattare sul tasso di inflazione, anche se con ritardo.  E’ chiaro, comunque, che visti gli effetti indotti e cumulati, non è facilissimo identificare ‘il colpevole’.

  2. FRANCESCO COSTANZO

    La ringrazio per la Sua puntuale analisi. La considerazione che mi ha maggiormente interessato è che la crescita del prezzo del petrolio non dipende necessariamente da un problema di scarsità. Credo che anche i consumatori siano interessati a questo aspetto, perchè la stampa trasmette l’idea (giusta o sbagliata?) che la carenza di petrolio determina un aumento del prezzo, che a sua volta influisce sul potere di acquisto, che è la maggiore fonte di preoccupazioni al momento. Quanto pesa effettivamente sui prezzi odierni la scarsità del petrolio?
    Io non condivido l’idea di quella parte politica che spinge per un ritorno al nucleare: secondo Lei ci sono attualmente le condizioni per puntare in modo deciso su fonti energetiche pulite e rinnovabili (fotovoltaico, energia eolica, etc.)? Quanto tempo e quale sforzo richiederebbe una simile scelta? Crede che questa decisione possa determinare finalmente l’inizio del cambiamento del modello industriale italiano?

    • La redazione

      Non vi è assolutamente alcun problema di scarsità al momento attuale. Quindi le fluttuazioni di oggi non riflettono scarsità.  Al limite, vi può essere un problema di scarsità futura, alimentato dal fatto che le compagnie petrolifere investono poco in nuovi sondaggi (per ragioni da approfondire in un nuovo articolo).  In ogni caso, con prezzi così alti, diviene conveniente l’estrazione anche in aree dove è molto costoso il processo di estrazione, trasporto e raffinazione.
      Riguardo alle fonti alternative: esse stanno diventando seriamente competitive, per via del prezzo del petrolio così alto.  Il loro problema è l’applicabilità su scala vasta e industriale, dal m. che all’energia chiediamo di essere continua e certa (pensiamo ad un’interruzione – molto frequente con energie rinnovabili – mentre scriviamo al computer, o in una grande azienda o ospedale).  Sicuramente, col tempo si potrà rivedere – almeno per taluni scopi – la produzione di energia, dirottandola sulle rinnovabili.  Il nucleare per essere applicato e operativo necessita di almeno altri 10 o 15 anni.  Potrebbe, in effetti, non essere la scelta migliore allo stato delle cose. Ma almeno è un’opzione.  Indubbiamente, sulle rinnovabili si potrebbe fare di più, almeno per uso domestico.

  3. Giuliano Scalarone

    Nell’articolo si dice che la pruduzione di petrolio negli ultimi anni è costantemente cresciuta. Non metto in discussione il dato di per se; non viene però citata nell’articolo la disponibilità di petrolio in relazione al picco di produzione. Anche i più ottimisti prevedono il raggiungimento del picco di produzione nel giro di 30 anni! 30 anni per rivedere il sistema economico globale non sono molti; perchè non se ne parla?

    • La redazione

      In realtà non vi è certezza su quanto petrolio ancora ci sia da scoprire, in quanto i sondaggi effettuati negli ultimi anni sono molto stati molto limitati. Di fatto stiamo ancora consumando i grandi giacimenti scoperti negli anni ’50 e ’60. Questo perché dove sappiamo che il petrolio c’è non è politicamente conveniente effettuare sondaggi, mentre ne facciamo dove è più probabile la sua assenza (sempre per motivazioni geopolitiche). Riguardo alla scarsità, dunque, è intellettualmente onesto sospendere il giudizio in attesa di rivederlo alla luce di ulteriori sondaggi da parte delle compagnie petrolifere. La ragione della riduzione delle esplorazioni ha anche a che vedere con la necessità – molto più di breve termine – di effettuare operazioni buy back da parte di molte compagnie petrolifere, piuttosto che investire in sondaggi lunghi e incerti. In ogni caso, è sicuramente urgente mettere l’ambiente al centro delle preoccupazioni di tutti. Anche se qualunque modello di sviluppo ha come condizione essenziale l’energia.

  4. Silvestro Gambi

    Bellissimi grafici, tutto vero, ma resta un fatto: che, conoscendo fin dall’epoca dagli inizi della rivoluzione industriale la crestente dipendenza dello sviluppo dall’energia, anche la classe dirigente più modesta avrebbe dovuto pensare a differenziare le fonti e le tipologie di energia (bastava leggere cosa fece Robinson Crusoe con le sue riserve di polvere da sparo). Si è invece demolito il nucleare e si sono spese cifre pazzesche per la produzione di modeste quantità di energie diverse e non si sono trovate risorse per l’ipotesi di Rubbia che è dovuto migrare in Spagna. Ora che la dinamica del prezzo del petrolio ridefinisca molti fattori di sviluppo economico nel mondo è una realtà ovvia come è ovvio che influirà di più nel paese governato da questa classe dirigente (e industriale) arruffona, ignorante e famelica. E non trovo in nessun programma elettorale nessuna ipotesi di piano per l’energia, molte ipotesi di incremento di pensioni e salari, sacrosanti, ma che saranno spazzati via alla prima bolletta del gas. Che fare? boh, a caso, e non è una novità, un po’ di ghigliottina? Magari attivando una moratoria nella moratoria? Esagerato? Certo! Ma meno della situazione in Campania

  5. Francesco Liucci

    La forte correlazione dollaro debole-petrolio credo porti con sè anche un’altro problema per l’inflazione: gli Usa, a fronte della crisi che stanno attraversando, stanno attuando una forte politica di abbassamento dei tassi d’interesse, forti della storica irresponsabilità legata alla possibilità di esportare la loro inflazione al resto del mondo proprio in virtù del fatto che il prezzo del petrolio è quotato in dollari e che molti paesi nel mondo mantengono il proprio debito pubblico nella valuta statunitense. Forse un primo passo per limitare il signoraggio internazionale degli Stati Uniti (che si "salverebbero" a spese del resto del mondo) sarebbe quello di quotare il petrolio in altre valute (euro,yuan,rubli?). Qualcosa già si è mossa in questo senso – borsa iraniana del petrolio – ma i tempi potrebbero essere lunghi. Rimane l’altra grande incognita: la Cina, detentore della maggior quantità di dollari del mondo nelle proprie casse, fino a che quota sarà disposta a mantenere molta della sua ricchezza in una valuta così debole?

  6. Giorgio Antonello

    Il picco del petrolio, secondo gli studi dell’associazione ASPO, non sarà tra 30 anni, ma tra oggi e il 2010… e forse è gia avvenuto.

  7. Paolo Zagaglia

    Questo articolo e’ interessante perché da un’interpretazione sistemica della dinamica del prezzo del petrolio in termini di mercati finanziari. Ne deduco una cosa interessante: il prezzo del petrolio è determinato dalla propensione al rischio degli investitori. Tipicamente la commodity “petrolio” è ritenuta una forma rischiosa di investimento. Questo è dovuto, per esempio, al fatto che la volatilità del prezzo del greggio ha a che fare con variabili fortemente geopolitiche, come Massimiliano sottolinea. Ma il ruolo della propensione al rischio spiega i picchi del prezzo del 25-26 di Marzo: quando gli stock markets sono andati a picco, gli investitori hanno preso posizioni “short” sui futures del petrolio. A seguito del bisogno di sollevare liquidità per sostenere gli equity markets, si è poi visto un enorme unwind delle posizioni short, e questo ha generato una correzione del prezzo del 10-15%.

    • La redazione

      Tale domanda solleva un ulteriore punto degno di grande interesse: la prospettiva degli investitori nell’ambito delle scelte ‘di portafoglio’. Questo commento rinforza la tesi di fondo del mio intervento sottolineando ancora di più l’idea secondo cui il petrolio sta assumendo sempre di più le caratteristiche di un bene con caratteristiche molto simili agli ‘asset’ di natura finanziaria.

  8. Giorgio Antonello

    L’attuale prezzo del petrolio equivale – grossomodo – alla somma di:
    – 30 US $
    – 30 euro
    – 3000 Yen
    Insomma, una ipotetica quota “30”.
    Sarebbe possibile quindi il passaggio ad un mix di valute in cui i quantitativi delle tre valute sono fissi (esempio 1 euro, 1 dollaro, 100 Yen) moltiplicati per la quotazione giornaliera del petrolio?

    • La redazione

      Sicuramente il passaggio ad un mix di valute è una possibilità, se non altro perché – a seguito del mix – si crea una nuova valuta utilizzabile nelle transazioni petrolifere. Ma il punto è un altro: fino a che punto la debolezza del dollaro sarà sostenibile, nel senso che sarà tollerata dagli operatori petroliferi ? E’ chiaro che questo è un punto politico, più che tecnico e coinvolge il
      ruolo del dollaro come valuta di riserva.

  9. Domenico Ciccopiedi

    Io sono per una spiegazione più semplicistica del fenomeno dell’aumento del prezzo. Nei paesi OPEC sta avvenendo un cambiamento di classe dirigente, anziani attenti alla "realpolitik" sono sostituiti da giovani formati in MBA americani ed attenti soprattutto al profitto. Se l’arabia saudita (o la Russia) decidono da un momento all’altro di eliminare dal mercato il 30% della produzione giornaliera (diciamo 30 milioni di barili) di quanto salirebbe il prezzo del greggio? Gli studi economici mi dicono che se il prezzo sale di oltre il 30% ho convenienza a procedere in questo senso, ed è chiaro a tutti che in un caso del genere il prezzo raddoppierebbe o triplicherebbe. E questo faranno d’ora in avanti questi manager (non il 30% ma valori più piccoli). Per quale motivo non dovrebbero farlo?

  10. Pietro

    Una cosa ovvia, se l’euro si apprezza il dollaro si deprezza e l’opec per non diminuire il suo guadagno aumenta il prezzo del petrolio(definito in dollari), il problema e’ che la maggior parte della gente e molti tg dicono "cresce il prezzo del greggio, meno male l’euro e’ forte e ne limita i danni!" ma pensa te e c’e’ gente che ci crede, purtroppo l’opec non e’ soggetto a regole di concorrenza molto rigide essendo un cartello, e non essendoci sostituti i consumatori compreranno sempre il petrolio anche se salisse a 200 $ al barile (ps già si vendono contratti d’opzione a 200$ barile!) Il problema e’ che secondo me il deprezzamento del dollaro e’ voluto dalla fed e la bce ne e’ complice in quanto non prende misure per limitarne gli effetti, il deprezzamento del dollaro serve a loro per diminuire i pesanti debiti nelle partite della loro bilancia commerciale, infatti un deprezzamento reale secondo la condizione di M.L. fa aumentare le esportazioni nette , e migliora la bilancia commerciale, il problema e’ che a noi succede il contrario con una valuta forte peggioriamo la bilancia commerciale e l’economia va degradando. Ma a chi è costato di più all’America o all’Europa??

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