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UN LIBRO BIANCO PER RIDISEGNARE L’IRPEF

Confronto con i principali paesi partner e squilibrata distribuzione del peso dell’Irpef sulle diverse categorie di contribuenti segnalano l’opportunità di combinare il recupero di base imponibile con una significativa riduzione dell’imposta netta gravante sui singoli contribuenti. Il Libro Bianco suggerisce un intervento di riforma sull’imposta progressiva su base individuale, accompagnata da un sistema di detrazioni da lavoro e da un istituto di sostegno delle responsabilità familiari, che per i cittadini incapienti fornisca un trasferimento netto a loro favore.

Il prossimo 23 aprile verrà presentato a Roma il Libro Bianco su Irpef e sostegno alle famiglie predisposto da una Commissione di studio istituita circa un anno fa presso la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze “Ezio Vanoni”. La Commissione, che riuniva un ampio spettro di esperti in materia di imposta personale e family benefit, aveva il compito di ricostruire la storia dell’imposta sui redditi delle persone fisiche e degli assegni per il nucleo familiare (Anf), di individuare eventuali criticità, di valutare diversi metodi di intervento e di prospettare ipotesi concrete di modifica volte a migliorare e rendere più coerente l’assetto degli istituti oggetto di analisi. Gli scriventi, che hanno coordinato i lavori, ne hanno riassunto i risultati.

IL LIBRO BIANCO

Il Libro Bianco, che attualmente è in corso di stampa e che verrà messo sul sito della Scuola Vanoni, si compone di tre parti: nella prima viene ricostruita la storia ultratrentennale dell’Irpef e degli Anf e vengono chiarite le criticità tuttora presenti; nella seconda parte si propone un confronto tra diversi modelli di imposta-trasferimento e se ne ricavano alcune indicazioni operative di riforma; nella terza parte sono raccolti una serie di contributi individuali dei componenti della Commissione che sono serviti come base di discussione nel corso dei lavori.
La prima parte fornisce una ricostruzione ragionata e un corposo archivio di informazioni e di dati che vengono messi a disposizione di economisti, politici e forze sociali, come base per ulteriori analisi e per la valutazione di opzioni alternative di intervento. La terza parte è ricca di spunti di riflessione e di suggerimenti su vari aspetti del sistema di imposta-trasferimento e su altre tematiche ad esso connesse. Qui naturalmente non abbiamo lo spazio per riassumere la sfaccettata struttura di analisi che emerge da queste due parti del libro. Ci limiteremo a richiamare in estrema sintesi le principali criticità messe in luce e le indicazioni operative per affrontarle quali emergono nella seconda parte del libro dalla riflessione sui diversi possibili modelli di intervento.

LE CRITICITÀ

Va rilevato che il confronto con i principali paesi partner e la squilibrata distribuzione del peso dell’Irpef sulle diverse categorie di contribuenti segnalano l’opportunità di combinare il necessario recupero di base imponibile attraverso il contrasto dell’evasione con una significativa riduzione dell’imposta netta gravante sui singoli contribuenti.Èanche auspicabile una sua complessiva riduzione in rapporto al Pil, ma essa richiede un corrispondente contenimento della spesa pubblica. Va pur detto che dal 1998 in poi gli interventi che si sono susseguiti hanno ridotto l’incidenza media dell’imposta sui contribuenti (che era cresciuta ininterrottamente dal 1974), con un aumento della fascia di esenzione. Tuttavia gli interventi hanno irrigidito la struttura dell’imposta.
E qui veniamo alle principali criticità tuttora presenti.
Aliquote marginali effettive d’ingresso – cioè subito al di sopra dei minimi imponibili – sensibilmente elevate, soprattutto per i lavoratori dipendenti e parasubordinati. La ragione sta principalmente nella rapida decrescenza della detrazione per lavoro dipendente e l’effetto è di fatto un disincentivo sui redditi bassi, particolarmente rilevante per l’offerta di lavoro femminile.
Ne deriva un’aliquota media che inizialmente, superato il minimo imponibile, cresce rapidamente, con un duplice effetto: quello di determinare un significativo fiscal drag e quello di addensare il gettito dell’imposta sui redditi medio-bassi e medi.
Gli Anf presentano la caratteristica della settorialità, nel senso che riguardano solo i lavoratori dipendenti (e i pensionati ex lavoratori dipendenti); questa caratteristica è decisamente in contrasto con la ratio stessa di un istituto di sostegno delle famiglie con figli, che dovrebbe avere per sua natura carattere universalistico, quindi essere rivolto anche agli autonomi.
Per i lavoratori incapienti, cioè con redditi inferiori ai minimi imponibili, mancano strumenti di sostegno coerenti con la struttura dell’imposizione che aiutino a contrastare la povertà e siano incentivanti il lavoro e l’emersione.

LE SOLUZIONI SUGGERITE

Le criticità indicate segnalano che l’esigenza di una riduzione dell’imposta netta gravante sui singoli contribuenti e di un sostegno ai redditi disponibili va perseguita migliorando il disegno dell’imposta personale e dei trasferimenti con riferimento ai tre criteri fondamentali –  dell’equità verticale, dell’equità orizzontale e dell’efficienza – su cui il Libro Bianco si sofferma con particolare attenzione. Tra le diverse opzioni vagliate (vengono fatti test anche su flat tax e quoziente familiare), la Commissione si è orientata su un intervento rilevante di riforma nel quadro dell’imposta progressiva su base individuale, accompagnata da un sistema di detrazioni da lavoro e da un istituto di sostegno delle responsabilità familiari, che per i cittadini incapienti fornisca un trasferimento netto a loro favore (cosiddetta imposta negativa).
Ecco i suggerimenti principali, di fatto le misure che appaiono più urgenti.
Riduzionedelle aliquote marginali effettive d’ingresso attraverso due interventi connessi tra loro. Il primo: una significativa riduzione dell’aliquota formale sul primo scaglione, oggi al 23 per cento. Il secondo: l’attenuazione della decrescenza della detrazione personale per tipo di reddito e la distinzione di quest’ultima in due parti, una comune a dipendenti, parasubordinati e autonomi e un’altra destinata in modo specifico a dipendenti e parasubordinati per “spese di produzione del reddito”. Per coloro che hanno redditi da pensione la detrazione dovrebbe essere articolata in funzione dell’età, cioè crescente in relazione all’età.
L’intervento sull’insieme delle aliquote dovrebbe mirare ad ottenere un andamento il più regolare possibile dell’incidenza dell’imposta. In questo contesto, il passo più urgente è quello di una riduzione della terza aliquota, oggi al 38 per cento.
Introduzione di una “dote fiscale dei figli” che riassorba gli attuali assegni per il nucleo familiare e le detrazioni Irpef, incrementando in modo significativo il sostegno alle famiglie (si veda grafico1). Lo Stato dovrebbe dotare ogni figlio, indipendentemente dal tipo di occupazione dei genitori (dipendente o autonomo), di un ammontare di reddito annuo che fornisca un consistente sostegno alla famiglia per le spese di mantenimento ed educazione puntando a una maggiore eguaglianza delle opportunità. Dovrebbe essere garantita appieno anche agli incapienti, e va erogata a dipendenti e parasubordinati direttamente come assegno in busta paga, mese per mese; gli autonomi ne usufruirebbero in sede di dichiarazione dei redditi. La dote, proporzionata al numero dei figli, viene calcolata su un indicatore di reddito familiare (in prospettiva l’Isee) e decresce, ma senza scomparire, nemmeno nel caso dei redditi più elevati;
Il problema dell’incapienza va affrontato con l’imposta negativa. Trova una risposta nella stessa introduzione della “dote” per quanto riguarda il sostegno specifico delle famiglie con figli. Per quanto riguarda in generale i contribuenti con reddito basso, si può prevedere l’erogazione di una somma corrispondente alla detrazione che eccede l’imposta lorda e che altrimenti non potrebbe essere goduta dal contribuente. Come primo passo, si tratta di erogare in busta paga a favore dei lavoratori incapienti la detrazione per “spese di produzione del reddito”. Per coloro che sono ai margini del mercato del lavoro, andrà costruito uno strumento distinto, appositamente mirato e quindi condizionato a programmi di reinserimento lavorativo, ripensando l’esperienza passata del reddito minimo di inserimento.
Un esempio degli effetti complessivi della riforma è fornito nel grafico 2, che riassume l’andamento dell’aliquota media per un lavoratore dipendente con coniuge e due figli a carico (si noti il tratto con aliquota media inferiore a zero che corrisponde all’imposta negativa, ossia al trasferimento netto a favore del contribuente).
Il costo a regime può essere valutato in poco più di 1 punto di Pil. A seconda dell’ammontare di risorse che via via si renderà disponibile, si potrà procedere ad attuare la riforma per passi successivi.

Grafico 1 (clicca qui per aprire)

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CORDATE

  1. Giorgio Antonello

    Mi scuso se il mio commento sarà OT, tuttavia prima di mettere mano all’irpef nonsarebbe meglio togliere o ridurre alcune ingiuste imposte indirette, quali ad esempio l’imp di bollo sull’estratto conto, che colpisce allo stesso modo il pensionato e il capo del governo? Inoltre: se attraverso le imposte si cercasse di costruire un rapporto dialettico tra eletti ed elettori, imposte come il bollo su estratto conto, che ci vengono tolte dalla banca e poi non si sa dove vanno a finire andrebbero tolte al più presto.

  2. Marco Lorenzetto

    Secondo me, l’educazione ed il mantenimento dei figli dovrebbero essere sostenuti non tanto con interventi di tipo fiscale quanto con miglioramento dei servizi. Chi assicura che il maggiore reddito disponibile, ottenuto in virtù del minore carico fiscale, sia effettivamente utilizzato per gli scopi desiderati? Non sarebbe meglio fornire pari opportunità a tutte le fasce di reddito migliorando, ad esempio, la scuola pubblica?

  3. Alberto Lusiani

    Non condivido l’impianto ideologico statalista della riforma proposta, anche se singoli punti come la riduzione dell’imposta al 38% su redditi medio-basse sono piu’ che corretti. Per es. si prevede che lo Stato tassi un contribuente per poi ritornare una "dote fiscale" ai suoi figli addirittura "come assegno in busta paga". Personalmente preferisco tutt’altra idelogia, quella liberale dello Stato minimo, e preferirei che l’IRPEF fosse esattamente zero sulla parte di reddito commisurata al costo della vita per il contribuente e tutti i suoi familiari (quindi con deduzioni del reddito come quelle passate di Tremonti ma pari a >10mila euro per persona, poi meno che proporzionali al numero dei familiari per tener conto delle economie di scala, ma costanti col reddito al contrario di quelle di Tremonti. Sulla parte eccedente ci potrebbero essere poche aliquote progressive (come 30% e poi 40%, oppure meglio 25% e poi 35%). Quanto ai sussidi agli indigenti, in un paese ad alta illegalita’ e lavoro nero nel 40-50% dello Stato come l’Italia sarebbe saggio limitarsi ad interventi ridotti e possibilmente calibrati per non incentivare l’imbroglio di massa (es. food stamp USA).

  4. Giuseppe Spazzafumo

    Io credo che l’unico intervento serio per aiutare le famiglie e rendere l’IRPEF più equa sia quello di rapportare l’imposta al singolo e quindi sommare tutte le entrate di ogni nucleo familiare, dividerle per il numero di componenti e calcolare l’imposta che ogni componente deve pagare. Togliere ovviamente di mezzo le detrazioni per familiari a carico, eliminare assegni aggiuntivi ecc. Ne risulterebbe un sistema più semplice e più equo. Probabilmente sarebbe necessario rivedere le aliquote al rialzo, ma in sostanza pagherebbe di più chi oggi ha un reddito elevato e deve pensare solo a se stesso, mentre si avvantaggerebbe chi con un solo reddito ha più persone da mantenere.

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