L’Agenzia delle Entrate ha studiato una metodologia per quantificare la produttività del lavoro in ambito pubblico. La chiave di volta consiste nell’individuare i servizi esterni erogati, destinati ai singoli cittadini o alla collettività nel suo insieme. A ciascuna tipologia si associano uno o più indicatori, oggettivamente misurabili e verificabili: la produttività diventa così uno strumento per monitorare l’efficienza. Il metodo scoraggia l’utilizzo di arbitrarie promozioni di massa e incrementi non giustificati delle retribuzioni nelle qualifiche più alte.
In un recente contributo, Giuseppe Pisauro suggerisce di iniziare a premiare la produttività degli uffici pubblici sulla base di indicatori ben definiti e trasparenti.
Recenti lavori dellAgenzia delle Entrate offrono una metodologia per quantificare la produttività del lavoro in ambito pubblico. (1)
LA METODOLOGIA
Il corpus degli strumenti della statistica economica consente di calcolare loutput di attività svolte da alcune tipologie di servizio pubblico, trasformando il servizio reso in un ammontare di produzione espressa a prezzi costanti, calcolata separando nettamente la dotazione monetaria dal risultato del processo produttivo: si spezza, così, la non sempre verificata identità che più spesa pubblica corrisponde a maggiore/migliore servizio offerto.
La produzione include solo le attività che lente pubblico offre allesterno. Quelle che hanno unicamente finalità interne sono escluse perché possono essere aumentate indipendentemente dal risultato conseguito e, quindi, accrescere artificialmente la produzione. La definizione corretta delle attività esterne, pertanto, rappresenta un punto essenziale per scongiurare lautoreferenzialità di cui spesso è accusata la pubblica amministrazione. Nel caso specifico dellAgenzia, gli indicatori considerati riguardano, principalmente, il numero dei controlli effettuati, differenziati per tipologia, unitamente a indicatori relativi al bacino di utenza servito tramite lattività di assistenza al contribuente.
Gli indicatori incorporano sia gli elementi quantitativi che quelli qualitativi del servizio offerto, traducendo entrambi in una variazione della produzione. Laspetto della qualità è colto tramite lutilizzo dei tempi unitari medi di produzione (Tum). Il tempo di produzione, cioè, assume valore di prezzo delloutput prodotto. In pratica la produzione a prezzi costanti è ottenuta moltiplicando i pezzi realizzati, ad esempio il numero di un certo tipo di accertamenti, per il corrispondente Tum. (2)
Ècruciale, quindi, che i Tum rispecchino una tempistica efficiente. Tale problema è risolto dallanalisi in serie storica, imponendo il vincolo che, a parità di servizio erogato, il Tum dellanno successivo non possa essere superiore a quello dellanno precedente. Così facendo si innesca un circolo virtuoso che tenderà a far convergere i Tum verso una soglia di efficienza. Lassegnazione di un prezzo agli adempimenti burocratici offre, inoltre, un riscontro quantitativo immediato del risparmio di costi indotto dallintroduzione di processi di semplificazione.
Linput di lavoro è rappresentato dalle ore lavorate ponderate, ottenute pesando le ore effettivamente lavorate con le retribuzioni dei diversi livelli occupazionali, tenute fisse per un anno considerato come base. Così facendo il calcolo della produzione risulta indipendente da quello dellinput di lavoro necessario per produrlo, poiché il primo è il risultato della moltiplicazione del numero di pezzi prodotti per un tempo medio ottimale, mentre il secondo registra i tempi effettivamente impiegati per produrre tali pezzi. Inoltre, le ore ponderate includono anche quelle erogate per produrre i servizi interni, per i quali non si computa alcun output; così facendo si assume lipotesi che il servizio interno è produttivo se e solo se contribuisce a incrementare i servizi esterni.
Tramite il sistema di ponderazione, inoltre, si ipotizza che a una maggiore retribuzione corrisponda una più alta produttività. Tale vincolo stimola il corretto utilizzo del personale con qualifiche più elevate, e contrasta la possibilità di aumentare artificiosamente le posizioni di vertice delle qualifiche funzionali.
Per monitorare lefficienza si utilizza la produttività del lavoro, data dal rapporto tra output a prezzi costanti e le ore di lavoro ponderate (figura1), che misura sia la variazione dellintensità nello sforzo prodotto dai lavoratori, sia le innovazioni indotte dal differente mix di fattori produttivi impiegati.
Dalla figura 1 si ricava che dalla sua costituzione al 2006 lAgenzia ha fatto registrare una riduzione del personale (-2,68 per cento delle ore ponderate) e un incremento della produzione (+8,80 per cento). Il combinato disposto delle due dinamiche fa sì che la produttività sia cresciuta del 11,83 per cento (tasso medio annuo pari al 1,9%). (3)
DA PARODIA A STRUMENTO DI MONITORAGGIO
Gli indicatori proposti consentono di risolvere alcune patologie individuate da Pisauro.
Il quadro di riferimento delineato consente di arginare quella che Pisauro definisce la parodia della produttività, fondata su indicatori di performance o di progetti definiti ad hoc. La chiave di volta consiste nellindividuare, e dichiarare, i servizi esterni che eroga il servizio pubblico, cioè quelli destinati ai singoli cittadini o alla collettività nel suo insieme. Se a ciascuna tipologia di tali servizi si associa uno o più indicatori, oggettivamente misurabili e verificabili, la produttività, da parodia, diventa strumento per monitorare lefficienza.
È importante che il sistema di indicatori risulti anche stabile nel tempo. Da un punto di vista metodologico lo si assicura basando lutilizzo degli indicatori di produttività sui tassi di variazione, cioè imponendo una coerenza in serie storica dei fenomeni osservati.
Il metodo di calcolo dellinput di lavoro scoraggia lutilizzo di arbitrarie promozioni di massa e incrementi non giustificati delle retribuzioni nelle qualifiche più alte. Entrambe le fattispecie, infatti, provocano un incremento delle ore lavorate ponderate, analogo allassunzione di nuovo personale. Pertanto, se alle promozioni non corrisponde un aumento delloutput prodotto il risultato che si ottiene è un decremento della produttività.
Stante la situazione attuale in cui versa il pubblico impiego è, anche, importante seguire il suggerimento di un approccio graduale, fondato sulla preliminare valutazione dellefficienza delle strutture, e solo dopo effettuare una valutazione dei singoli. In questa direzione si colloca lindice di produttività proposto che è applicabile principalmente alla valutazione delle unità elementari (uffici o parti di esso) che compongono una struttura complessa (agenzia).
(1) 2008/4 La valutazione dellefficienza nei servizi pubblici. Un approccio macro-economico – pdf
2008/5 Proposta di indicatori di efficienza per lAgenzia delle Entrate: metodologia – pdf
2008/6 Proposta di indicatori di efficienza per lAgenzia delle Entrate: Analisi dei risultati – pdf
(2) Nella pratica corrente i Tum sono aggiornati periodicamente dallAgenzia sulla basi dellosservazione dei tempi necessari per realizzare i singoli prodotti in condizioni normali.
(3)Per le analisi delle oscillazioni cicliche si rinvia a 2008/6 Proposta di indicatori di efficienza per lAgenzia delle Entrate: Analisi dei risultati – pdf
Figura 1. Variazioni percentuali della produttività e delle sue componenti calcolata per lAgenzia delle Entrate, anni 2000- 2006 (apri)
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decio
Occorrerebbe la chiamata diretta (stile azienda) con la quale l’ufficio risorse umane di una determinata PA (che non siste ma andrebbe creato) assume direttamente e risponde della propria assunzione, con colloquio e curriculum, senza prova scritta e prova orale (i concorsi). Tutto ciò, come insegna l’Inghilterra, può avvenire in 1 mese (e senza concorsi pubblici) Italia (ove i concosri pubblici sono troppo burocratici).Non sarebbe violato l’art. 97, comma , cost., giacché tale articolo dispone anche “salvo i casi stabiliti dalla legge”. Che cosa c’è di sbagliato in questa mia proposta?
La redazione
Il problema della selezione è cruciale e centrale ma esula dagli ambiti del lavoro proposto.
ciro daniele
Ci sono dei trabocchetti nell’approccio che propone. Il primo è che, nella maggior parte dei casi, l'”output” da misurare dipende dalla domanda: se la domanda non c’è, manca anche l’output. E nel caso del lavoro di forze dell’ordine, protezione civile, esercito e servizi sanitari d’emergenza è meglio che “producano” poco. Quando poi la struttura da valutare produce solo beni e servizi “strumentali” o “intermedi”, la sua produttività dipende sostanzialmente dalla sua collocazione nella catena o nella rete produttiva. Per esempio, se l’ufficio protocollo (che è tra i più classici ed inutili della PA) è il collo di bottiglia di tutta la corrispondenza di un ministero, allora sarà giudicato molto produttivo; se invece la corrispondenza viene smistata prevalentemente “a monte” di questa struttura essa sarà (giustamente) giudicata inutile. Purtroppo, un sistema di indicatori di produttività che tenga conto di questi paradossi sarebbe così invasivo e costoso da vanificarne l’ulitità (anche se risulterebbe estremamente produttivo perchè interviene in ogni singola fase del lavoro di un ministero). Un es. di “produttività” dell’Agenzia delle entrate. Quando questo organismo emette un adeguato numero di cartelle pazze, il suo “output” misurabile aumenta vertiginosamente per almeno due motivi: 1) per la predisposizione e la spedizione delle cartelle; 2) per il ricevimento del pubblico e l’accoglimento dei ricorsi. Tanto varrebbe scavare buche per ricoprirle. In compenso, quando gli accertamenti sono pochi ed efficaci, gli indicatori di output fisico e quelli legati al gradimento da parte del pubblico (e di vari politici) calano vistosamente.
La redazione
Rispondo in base alla sequenza dei quesiti illustrati nella mail:
1. le forze dell’ordine, la protezione civile, l’esercito ed i servizi sanitari d’emergenza offrono dei servizi pubblici tipicamente indivisibili (non individuali) e, pertanto, l’indicatore proposto non è applicabile;
2. nel nostro indicatore l’attività dell’ufficio protocollo fa aumentare la produttività se e solo se serve per produrre più servizi esterni, indipendentemente da dove e come si svolge tale attività;
3. l’impatto che ha l’emissione delle cartelle sull’indicatore di produttività è molto basso, poiché si tratta di attività molto automatizzate e, quindi, a basso valore aggiunto, il maggiore lavoro dovuto all’esame delle cartelle pazze non è considerato poiché i servizi di assistenza solo valutati con un indicatore indiretto legato al bacino d’utenza ed è, quindi, insensibile al maggior afflusso allo sportello dovuto a queste patologie.
Pur se il nostro indicatore non risente delle cartelle pazze rimane la validità dell’osservazione che si collega ai problemi efficienza/efficacia affrontati in una precedente risposta.
Filippo Crescentini
Ci saranno sicuramente dei problemi legati alla misurazione della produttività per quei servizi della P.a. che si sostanziano in rapporti diretti con le persone (servizi educativi ed assistenziali). Come verrà calcolata?
La redazione
Nel caso dei servizi educativi cito due esempi tratti dalla letteratura:
1. l’efficienza si misura tramite un funzione dei rapporti professori/studenti e infrastrutture/studenti, che cresce fino a un certo valore considerato ottimale e poi decresce se il numero di professori e/o l’entità delle infrastrutture aumenta a parità di numero di studenti;
2. l’efficacia può essere quantificata o tramite gli esiti di test sugli studenti, del tipo test di Pisa, ovvero considerando i risultati acquisiti nel mondo del lavoro (o degli studi superiori) a x anni dall’uscita dell’istituto scolastico.
Con molta esperienza e cautela è quasi sempre possibile individuare degli indicatori per quei servizi pubblici che sono definiti come "individuali".
alfonso
Lo sforzo è apprezzabile e va incoraggiato. Peraltro una crescita media della produttività del 2% verrebbe giudicata palesemente insufficiente in una struttura che non abbia mai visto un intervento organizzativo. Una obiezione è già stata espressa: ci sono molti casi in cui l’output non è facile da misurare. Ce ne sono altre, ma mi limito ad una: la produttività (output / input) va associata alla qualità (numero di output “sbagliati”/numero di output “giusti”) ed alla tempestività (tempi di risposta effettivi/tempi di risposta obbiettivo). In altre parole: è facile aumentare la produttività diminuendo la qualità o la tempestività, basta diminuire il numero degli addetti e continuare a farli lavorare come prima. Le soluzioni ci sono e di sicuro risultato, se si vuole davvero migliorare; ne cito solo una: l’esame delle attività a valore aggiunto, che consentono aumenti di produttività molto più elevate senza per questo dovere necessariamente arrivare a licenziamenti di massa. Sarò ben lieto di fornire riferimenti bibliografici a chi sarà interessato.
La redazione
Ringrazio per le osservazioni molto pertinenti e sicuramente sono interessato ai riferimenti bibliografici citati.
Due risposte puntuali:
1. l’aspetto della tempestività è affrontato tramite l’utilizzo dei TUM, tendendo a ridurli si velocizza necessariamente la risposta fornita all’utente;
2. l’indicatore definisce come servizi a più alto valore aggiunto quelli per i quali l’Agenzia investe più risorse, conseguentemente i servizi a maggiore valore aggiunto hanno un impatto maggiore sulla crescita della produttività.
Questo non risolve i problemi sollevati.
Al fine di affrontare completamente il problema della qualità è, infatti, necessario associare all’indicatore di efficienza anche uno di efficacia. Il primo, proposto nell’articolo, si centra sul come si produce e serve,essenzialmente, per governare i costi. Il secondo punta a cosa si produce e serve per migliorare la qualità del servizio offerto.
Sono entrambi utili: infatti, se si considera solo l’efficienza si corre il rischio di una gestione "economicamente" ottima ma che produce un servizio scadente, se si prende in considerazione solo il secondo si tende ad un servizio di qualità ma con costi che possono diventare ingovernabili.
La proposta metodologica è quella di non mettere insieme efficienza ed efficacia ma di costruire due indicatori distinti e monitorare che convergano.
GIANCARLO FICHERA
Non mi convince la scelta di misurare solamente i servizi esterni erogati: per dare un servizio esterno devo aver svolto prima della attività interne, senza le quali il servizio esterno non può uscire.
Nel privato si considerano anche le attività interne: infatti, la produzione viene misurata attraverso cicli standard, composti di fasi (interne ed esterne, quando ci sono) ad ognuna delle quali è assegnato un tempo standard (ottenuto per cronometraggio in condizioni dette normali, secondo una “scienza” aziendale detta Metodologia dei Tempi e Metodi, scienza molto nota ed applicata nell’industria metalmeccanica ma completamente ignorata nella PA). Con questo sistema ogni prodotto erogato assume un tempo std unitario come somma dei tempi delle singole fasi.Moltiplicando il tempo std per il costo minuto std si ottiene il costo std unitario di ciclo. A questo va aggiunto,poi, anche il costo del materiale impiegato per produrlo: qui entra in gioco la cosiddettaa Distinta Base dei Materiali (Bill of Materials), che la PA non considera mai perchè crede di non consumare mai materiali ma non è sempre così. Mi fermo qui, per semplicità.
La redazione
Penso che occorra intendersi sulla definizione di attività interne. Nel nostro indicatore, al pari dell’industria privata, sono considerati tempi delle attività necessarie a produrre un bene/servzio intermedio ad un attività esterna. Non sono, invece, considerati degli indicatori di output per quelle attività tipicamente ancillari (come l’ufficio del personale, le segreterie, ecc.).
Renzo
I commenti di alcuni altri lettori evidenziano alcune possibili limitazioni ai vari metodi di valutazione della produttività nel pubblico impiego. Sono limitazioni effettive, ho qualche perplessità solo sul commento in cui si sostiene che andrebbero valutati anche i processi interni: secondo me, gli indicatori devono essere tutti esterni, in quanto quello che l’ente fa e rimane all’interno dello stesso non solo non interessa, ma potrebbe non giustificarne l’esistenza. In ogni caso, meglio un criterio approssimativo e rozzo, con dei limiti, ma oggettivo, piuttosto che nessun criterio o peggio, la discrezionalità da parte della dirigenza, che si traduce sempre in dipendenza dalla politica e clientelismo. Il criterio si potrà poi raffinare man mano con l’esperienza.
La redazione
Concordo, a proposito si veda anche la risposta precedente.
Antonino Leone
Occorre pervenire alla misurazione del lavoro e della produttività in tutti i settori della Pubblica Amministrazione. L’Italia non si può permettere il lusso di spreghi e spese improduttive è necessario che i cittadini conoscano in modo chiaro i risultati, il grado di conseguimento degli obiettivi e la qualità dei servizi pubblici erogati. E’ insufficiente e improduttivo decidere solo il taglio delle spese per far quadrare i conti pubblici e non entrare in merito alle questioni del pubblico impiego. I cittadini devono essere messi nelle condizioni di capire, conoscere e confrontare la qualità dei servizi pubblici offerti.
Ugo
Nel comparto pubblico l’Agenzia Entrate sin dalla nascita ha prodotto lodevoli sforzi per dotarsi di strumenti oggettivi di valutazione del lavoro. Oggi possiamo ritenerci soddisfatti dei risutati? La risposta è negativa. Se infatti i misuratori di prodotti quantitativi possono risultare di qualche utilità nelle attività riconducibili alla cd. Area Servizi (erogaz. certificati, registrazione atti, ecc.) non altrettanto può dirsi per i prodotti dell’Area Controllo, in quanto tali prodotti sono a contenuto "intellettuale" e non "seriale" e l’indicatore del T.U.M. rappresenta un artificioso espediente verbale in quanto basato su standard astratti. Il "peso" di un accertamento fiscale ha finito per tradursi in una sommatoria di additivi – invio questionario, indagine finanziaria, ecc. – su un elemento ponderato con criteri astratti (es.: prodotto-verifica valutato sul volume d’affari dichiarato) inidoneo a valutare il contenuto concreto della produttività (difficoltà dell’istruttoria; produttività monetaria del risultato; pericolosità del soggetto e capacità di "fare deterrenza") Proposte: un sistema di internal auditing "propositivo" formato dalle migliori "teste" dell’Agenzia.
Davide Balzani
Ogni misurazione della produttività deve essere subordinata alle seguenti operazioni: 1) Piani organici del personale delle P.A. seri e non inquinati dalle necessità della poilitica. 2) Conseguente spostamento del personale dove serve e non dove fa comodo. 3) Eliminazione dei lavori inutili che nella P.A. sono tanti. 4) Creazione di una classe di dirigenti con effettive capacità ed effettivi strumenti di organizzazione e decisione ma con responsabilità diretta. 5) Lotta serrata a tutti i comportamenti individuali scorretti. Non colpevolizzare una categoria ma colpire il singolo responsabile di atti scorretti. Fatto questo potremo seriamente cominciare a parlare di valutazione della produttività. Ma con attenzione, perchè non sempre un servizio acquista valore solamente in termini di tempo di fruizione o costo.
Giuseppe
Premetto che non mi riferisco solo ed esclusivamente all’articolo, peraltro curato ed interessante del professor Pisani, ma piuttosto faccio un discorso più generale. E’ singolare che un sito "liberal" e che si presume non sia fazioso, non menzioni neanche minimamente i risultati che il ministro della funzione pubblica sta conseguendo. Spesso si critica in modo netto il governo Berlusconi su ogni aspetto politico, mentre si tralascia, per un settore delicato e importantissimo come la pubblica amministrazione, l’azione di Brunetta. Senza che siano ancora valutabili gli effetti del decreto 112, già la sua condotta mediatica ha un effetto mai raggiunto dai governi precedenti. Una ridzuzione sensibile dell’assenteismo, che misurato rispetto a luglio 2007 è del 37,5%. Aspettando gli effeti del decreto, come inizio mi sembra niente male. Che ne pensate?
MARCELLO
Biongiorno da un dipendente tecnico della Giustizia. Lavoro nel Pubblico Impiego dal 2001, ne ho attraversate molte di peripezie, sentite tante sull’argomento. Il vero problema è che a Qualcuno (mi sembra negli anni ’90) venne la strana quanto fragile idea di evitare di imporre a chi era allora Capo degli Uffici di sansionare con dovizia gli inadempienti (il più delle volte assunti senza il debito concorso ma per le cd. vie traverse), benpensando di mutare gli assetti di produttività, così da far passare termi ‘buonisti’: trasparenza, comunicazione ecc,ecc,ecc Se mai queste ‘fandonie’ fossero vere, riusciremmo a lavorare e, sopratutto vivere meglio laddove la maggior parte dei cd. fannulloni (e sfruttatori di benefici facili per taluni) della PA sono fra quelli che ‘firmano’. A Napoli c’è un detto intramontabile : "il pesce puzza dalla testa" , pertanto pochi minuti fa , è passato di qui il mio padrone di casa (600 ldi affitto su 1300 di stipendio) e mi ha chiesto dove pitturo? Ebbene non è colpa di chi non lavora ma di chi non gli ordina di farlo! E tutto a beneficio di ditte e dittarelle che usurpano le nostre funzioni sponsorizzati dall’interno.
Fabio Caciolli
Devo essere sincero, l’aver letto l’articolo di Pisani, sulla misurazione della produttività, mi ha fatto riflettere sul fatto che il Brunetta ce lo siamo davvero meritato. Sono ormai 10 anni che è copernicamente cambiato il contratto del pubblico impiego, ed in particolare quello degli EE.LL. (ai quali appartengo), ed in questi 10 anni che cosa abbiamo fatto? Cosa hanno fatto i sindacati perchè non si arrivasse a ritrovarsi, con molta naturalità e non chalance, a questo ministro, che può permettersi il facile lusso di sparare nel mucchio. Che cosa abbiamo elaborato, da quel 31/03/1999, perchè il sistema contrattuale appena nato si sviluppasse favorendo meccanismi che, non premiassero, ma valorizzassero? Il vecchio contratto del 1999, che metteva in moto un puerile sistema di valutazione nel pubblico, come mai non siamo mai riusciti a farlo nostro? Perchè non abbiamo raccolto la sfida mettendoci in discussione per far cambiare la gestione della cosa pubblica? Sinceramente non abbiamo fatto nulla, o comunque troppo poco perchè non arrivasse uno che potesse usare il peggio del peggio per mettere chi lavora onestamente e con coscienza dalla parte della gogna.
luigi del sordo
Premesso che in una organizzazione sociale civile i controlli dovrebbero essere semplici, intelligenti ed efficaci, l’attività qualificante della P.A. consisterebbe nella produzione di atti, progetti, piani, programmi (tutti per niente semplici) che, nel tradurre un "dettato" istituzionale, possano concorrere allo sviluppo del Paese ed al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. Quì entra in gioco il concetto di "qualità" della P.A., ossia la sua capacità a svolgere tali compiti. Come si misura la produttività su tali atti? Quelli che darebbero alla P.A. il diritto di esistere, altrimenti non sarebbe meglio lasciare i controlli a società private, più organizzate a farlo? Occorre iniziare dalla piante organiche, ossia le persone giuste al posto giusto. Dopodichè, chi non volesse collaborare potrà avere un’altra possibilità (mobilità), poi va a casa e si assume un disoccupato. Semplice, no? No, Impossibile! La lotta ai "fannulloni" appare comica. Il problema vero è cosa produce la P.A.e di chi la responsabilità, il resto attiene alla pubblicità, alla cronaca, ad un dibattito forviante ed inconcludente.