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CONCORRENZA FERMA IN AUTOSTRADA

L’Antitrust giudica negativemente la nuova regolamentazione del settore autostradale e indica possibili revisioni. Come il rinnovo delle concessioni mediante procedure a evidenza pubblica. O se possibile l’affidamento delle diverse tratte a una pluralità di gestori, per promuovere forme di concorrenza comparativa. E un sistema di adeguamento tariffario i cui benefici possano tradursi in pedaggi più bassi.

 

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha segnalato le implicazioni negative per l’assetto del mercato del contenuto dell’articolo 8-duodecies della legge 101/2008, che interviene sulla regolamentazione del settore autostradale. E ha indicato ipotesi di revisione del testo di legge a tutela dei consumatori.
L’Autorità si sofferma, in particolare, su due elementi: 1) l’assenza di spazio lasciato “alla concorrenza per il mercato almeno per le tratte non ancora realizzate e per l’ampliamento della rete autostradale”; 2) “gli effetti distorsivi derivanti dalla modalità di regolamentazione delle tariffe autostradali”.

I RICHIAMI DELL’AUTORITÀ

Sul primo punto, l’Autorità richiama i molteplici interventi già formulati in passato con i quali si auspicava sia il rinnovo delle concessioni mediante procedure a evidenza pubblica, piuttosto che con proroghe a favore degli attuali gestori, sia l’opportunità di affidare le diverse tratte, laddove economicamente possibile, a una pluralità di gestori, per promuovere forme di concorrenza comparativa. Per l’Autorità, entrambi gli interventi potrebbero favorire il contenimento dei costi e il miglioramento qualitativo dei servizi offerti. Èinnegabile che l’attuale convezione tra Anas e Aspi sottrae, di fatto, fino al 2038 (se non ci saranno ulteriori proroghe) al meccanismo concorrenziale la parte più rilevante della rete autostradale italiana in essere e di futura realizzazione. 
In tal senso vanno letti anche gli articoli 14 e 15 della convenzione: garantiscono al concessionario l’importo stabilito nel piano economico finanziario per gli investimenti che ricadono nella voce “altri investimenti”, indipendentemente da quali interventi saranno effettivamente realizzati. (1) L’articolo 14 prevede, infatti, che nel “caso in cui, per qualsiasi motivo, non fosse possibile realizzare uno o più degli interventi [contenuti all’articolo 2.2 lett. C] il concedente e il concessionario procederanno a individuare congiuntamente, con appositi verbali, gli specifici interventi da eseguire in sostituzione di quelli stralciati, fermo restando l’importo complessivo previsto nella (…) tabella del piano economico finanziario”. L’articolo 15 stabilisce, a sua volta, che la convenzione che include i nuovi investimenti sia stipulata con decreto del ministro delle Infrastrutture di concerto con il ministro dell’Economia e delle Finanze “senza necessità di approvazione da parte del Cipe”.
Tra l’altro, solo il fatto che il concessionario auspichi, e ottenga, garanzie sull’ammontare totale degli investimenti che sarà chiamato a realizzare – indipendentemente da una loro precisa individuazione – implica che non ritiene di correre rischi reali sulla remuneratività: è un noto fenomeno distorsivo (effetto Averch-Johnson), sul quale qui non possiamo dilungarci, ma potenzialmente fonte di gravi inefficienze allocative e produttive.

PARAMETRO X E FATTORE K

Sul secondo punto, l’Autorità segnala le profonde differenze con la formula di adeguamento tariffario finora vigente per il comparto autostradale. La precedente previsione, sostanzialmente confermata anche nella delibera Cipe 39/07, prevedeva un incremento delle tariffe in ragione del tasso di inflazione programmato, al netto del tasso di incremento della produttività attesa – il parametro X – e del coefficiente per le variazioni della qualità del servizio.  
Sebbene nella determinazione del parametro X si debba tenere conto anche della remunerazione congrua del capitale investito, delle variazioni attese della domanda e dei progetti di investimento futuri, si tratta di un meccanismo ancora ispirato al criterio di regolamentazione di tipo price cap.   L’adeguamento del parametro è previsto ogni cinque anni (2), con l’obiettivo di ristabilire, periodicamente, condizioni vicine alla efficienza allocativa e incentivare, al contempo, l’impresa a comportamenti virtuosi di riduzione dei costi. Questi implicano, per i cinque anni del periodo regolatorio, maggiori profitti che l’impresa può trattenere. Nel periodo successivo, attraverso la rideterminazione della X, i benefici in termini di minori costi possono essere tradotti, invece, in tariffe più basse per i consumatori.
Il meccanismo di adeguamento tariffario previsto dalla convenzione approvata ex lege, come è già stato sottolineato su queste pagine, lega la variazione tariffaria all’inflazione effettiva, prescindendo dal livello di redditività del concessionario e dalla sua capacità di effettuare recuperi di produttività. La variazione dei pedaggi è fissata al 70 per cento del tasso di inflazione effettiva dell’anno precedente. A questo si aggiunge, ancora in termini additivi, il fattore K. Quest’ultimo garantisce la remunerazione per gli investimenti che a ottobre 2006 non erano ancora stati inseriti nel piano finanziario. 
Viene meno la possibilità di rivedere periodicamente le tariffe e di ridistribuire agli utenti almeno parte degli eventuali benefici derivanti dai recuperi di produttività attraverso tariffe meno elevate. I benefici sono destinati a tramutarsi in rendite monopolistiche. Ma una X legata alla produttività garantirebbe anche il concessionario da perdite: il fatto che nel meccanismo attuale l’ipotesi di perdite non è neppure contemplata sembra eloquente di un dispositivo regolatorio molto peculiare.
Quale che sia il giudizio sulla congruità del prezzo pagato nel 1999 – circa 15 volte l’Ebitda –  certamente non poteva scontare allora quanto oggi si è inserito nella convenzione. Èquindi un regalo quanto ora viene concesso in termini di tariffe e di allargamento del perimetro dell’attività di Aspi.
Non possiamo non condividere, dunque, quanto richiesto dall’Autorità. Da un lato, ricorrere alle aste competitive per aggiudicare il diritto temporaneo di servire il mercato ed estrarre la rendita del monopolista promuovendo, al contempo, forme di concorrenza comparativa; dall’altro, salvaguardare “un sistema di adeguamento tariffario che incentivi la minimizzazione dei costi e il trasferimento dei relativi incrementi di efficienza produttiva agli utenti, in modo che i benefici in termini di minori costi possano essere tradotti in tariffe di pedaggio più basse per i consumatori finali”.
Si sostiene da parte dei vertici di Aspi che questo nuovo schema allinei la prassi regolatoria agli “standard europei”. Èforse vero, ma solo per gli aspetti più favorevoli al concessionario e senza tenere conto delle differenze pagate per la concessione. Se si guarda alla Spagna, per esempio, nel calcolare la variazione delle tariffe si tiene conto anche dell’andamento del traffico: ad aumenti di traffico corrispondono incrementi minori nelle tariffe, arrivando, addirittura, a riduzioni delle tariffe nel caso di aumenti di traffico sostanziosi.
D’altra parte l’erba del vicino non sempre è più verde. In Francia, paese al quale si sostiene sia ispirato lo schema della convenzione, la variazione tariffaria predeterminata al 70 per cento dell’inflazione ha portato, in realtà ad aumenti effettivi molto superiori come rilevato dalla Corte dei conti che, a febbraio del 2008, ha bollato il sistema francese come “economicamente incoerente” e “falsamente rigoroso” . Perché inseguire presunte “best practice” straniere quando, questa volta, si partiva da un sistema di regolamentazione teoricamente fondato e solidamente ancorato a principi di efficienza allocativa? Si trattava di farlo funzionare.
Infine, il price cap non è una qualsiasi limitazione alle tariffe: è un dispositivo consolidato di incentivo all’efficientizzazione, che consente il graduale passaggio agli utenti dei benefici così conseguiti: i dispositivi francesi e spagnoli non sono price caps, come non lo è più quello italiano.

(1)Negli “altri investimenti” rientrano: adeguamento e potenziamento rete autostradale, potenziamento sistemi locali di adduzione alla rete autostradale, eccetera.
(2)Il periodo regolatorio, vedi allegato delibera Cipe 39/07.

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NON È TUTTO ORO (BLU) QUEL CHE LUCCICA

  1. Martino Venerandi

    Leggendo l’articolo mi è venuto in mente che le stesse considerazioni possono essere applicate alle concessioni per la gestione delle spiaggie. Chi ha una concessione pubblica per la gestione di una spiaggia opera di fatto in regime di stretto oligopolio. Anche nella Riviera Romagnola in cui abito, benché ci sia un buon numero di operatori, essi applicano prezzi di cartello ai clienti. La componente imprenditoriale e di lavoro è bassa in confronto alla rendita di posizione. I gestori si appropriano di tutta la rendita e pagano un canone di concessione irrisorio. Le concessioni vengono sempre gratuitamente rinnovate. La non trasferibilità della concessione è facilmente aggirabile costituendo una società titolare della concessione e facendo passare di mano la proprietà della società: così le concessioni di fatto vengono vendute a milioni di euro, come fossero proprietà privata! L’articolo fornisce un’idea per ridurre la rendita degli operatori a favore del settore pubblico o dei consumatori. Le concessioni alla loro scadenza potrebbero andare all’asta, assegnandole a chi offre un canone maggiore o a chi pratica dei prezzi migliori ai clienti, o con un criterio che è un mix dei due.

  2. Piero Torazza

    L’articolo è come al solito illuminante sui benchmarking internazionali. Lo si potrebbe utilizzare per allargare il discorso alla politica industriale nazionale. Nel salvataggio Alitalia ci sono un pò troppi "concessionari" di autostrade nazionali e non (genova/milano, calabria) per essere semplicemente un caso. Chiamiamola sinergia "pianificata" dei trasporti terrestri e dei cieli. Ma a mio parere non è semplicemente una spalmatura mascherata dei costi del salvataggio sulle spalle della comunità per fini politico/elettorali. E’ la convinzione da parte dell’elite politico/finanziaria che il sistema Italia se viene lasciato al mercato è troppo fragile per resistere. Così facendo le imprese non sono indotte a recuperare efficenza, la debolezza si perpetua nel tempo, ma la globalizzazione aumenterà e di molto i costi dei compromessi del passato. Senza contare che il deficit infrastrutturale (mancati nuovi investimenti in reti di comunicazione) penalizzerà "tutto" il nostro sistema economico per decenni. Per finire ho un dubbio: è solo miopia dell’elite.. oppure è la cultura della popolazione che li spinge ad agire così? Scusate se son stato poco "tecnico".

  3. Carmine Meoli

    Confesso che mi piacerebbe capire perchè solo alle autostrade vengano riservate tante attenzioni. Peraltro , come utente , vorrei capire se vi sia o vi debba essere una relazione tra la intensità di uso e la tariffa . Mi riferisco non solo al fatto che la tariffa sia costante a prescindere dalla frequenza di uso, ma anche al fatto che la tariffa a chilometro possa contenere sussidi incrociati a carico di utenti delle tratte più frequetate in favore di utenti di tratte meno frequentate. Per non dire della difficoltà a comprendere per quale ragione solo i cittadini di Napoli godano del singolare privilegio di utilizzare una tangenziale a pedaggio , quando le tangenziali o i raccordi di altre grandi città sono utilizzati senza pedaggio. E da utlimo, ma la concessione di frequenze per emissioni radiotelevisive è gratuita e perché?

  4. Comitato Promotore "Senza Pedaggio"

    Perchè non si analizza l’idea di abolire il pedaggio (o almeno questo sistema) autostradale?
    Con l’ingegnosa operazione della proroga si è mantenuta una gabella.

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