Un sistema finanziario di tipo bancocentrico ha contribuito a rendere meno esposta la finanza dell’area euro alla recente turbolenza dei mercati finanziari. Ma i dati dell’Oecd ci dicono anche che in Italia e in altri paesi europei è poco sviluppata l’industria dei fondi pensione e delle assicurazioni sulla vita. E anche la composizione dei portafogli mostra una modesta attività sui mercati dei titoli di capitale. Forse è allora opportuno difendere ciò che rimane delle istituzioni per il welfare state.

Ha scritto la Bri-Banca dei Regolamenti Internazionali nella sua ultima relazione che “non si può negare che i nuovi sviluppi nei mercati finanziari, segnatamente le carenze nell’attuazione del modello originate-to-distribute, abbiano avuto conseguenze nefaste (…) Ma quel che è peggio, l’opacità di tale processo fa sì che la collocazione finale delle esposizioni non sia sempre palese. Come fare per raccogliere i cocci quando non è nemmeno chiaro dove si trovino?” (1)

AREA EURO “PROTETTA”

Nel caso dell’Italia, e di altri paesi dell’area dell’euro, non risulta ancora che di cocci ne siano stati trovati tanti quanti negli Stati Uniti (a causa di Fannie Mae e Freddie Mac e ora di Lehman e Aig) o nel Regno Unito (Northern Rock). Caso? Fortuna, menzogna?O altro ?
Una spiegazione potrebbe rifarsi al merito di un sistema bancario operante nell’area dell’euro assai più conservativo di quello nord americano o inglese. In Italia, ad esempio, i comportamenti delle banche nella concessione dei mutui per l’acquisto della casa sono molto più prudenti, e di ciò molti si lamentano, di quelli osservabili negli Usa. Vero, ma parziale.
Altra spiegazione può richiamare le difformità della struttura dei mercati finanziari nell’area dell’euro e negli Usa. Una delle ripartizioni più nota da tempo è quella per cui si giunse a definire, e molti a criticare, il sistema finanziario dell’area dell’euro, escluso dunque il Regno Unito, di tipo bancocentrico, ove prevalgono le imprese a proprietà concentrata e il credito bancario nel finanziamento delle imprese: 137 per cento del Pil nei paesi euro contro il 62 per cento negli Usa, secondo la Bce. In opposizione ai mercati anglosassoni incentrati sul mercato finanziario ove prevalgono i titoli di debito emessi dalle imprese: 8 per cento del Pil nell’area dell’euro, 26 per cento in Usa, ove la capitalizzazione del mercato azionario è del 72 per cento nell’area dell’euro contro il 112 per cento in Usa e ove prevalgono le imprese ad azionariato diffuso.
Il sistema finanziario di tipo bancocentrico avrebbe dunque contribuito a rendere meno esposta la finanza europea dell’area dell’euro alla recente turbolenza dei mercati finanziari. Anche questa spiegazione può concorrere a spiegare i pochi cocci finora raccolti.
Ma seguiamo anche la Bce (agosto 2008, p. 94) ove sostiene che i bassi tassi di interesse di questi anni potrebbero avere indotto alcuni investitori istituzionali (assicurazioni e fondi pensioni) a investire – per avvicinare i rendimenti effettivi agli obiettivi di rendimento nominale – in misura sempre maggiore in attività legate al credito, consentendo così alle banche di collocare ulteriori prestiti sui mercati finanziari secondo il modello originate-to-distribute. Aggiunge al riguardo anche la Bri a pagina 6 della sua relazione che “un certo numero di assicurazioni e di fondi pensione, benché protetti dall’uso di criteri contabili differenti, hanno annunciato considerevoli perdite dovute ai mutui subprime e ai prodotti collegati”: previsione perfettamente azzeccata per Aig, oppure già si sapeva? Si accresce così anche il rischio di controparte per l’intero sistema dovuto ai comportamenti sui mercati finanziari delle istituzioni che operano nel settore del private welfare. E, si aggiunge, può insorgere il rischio di perdere i benefici pensionistici o assicurativi

IL PRIVATE WELFARE

Bce e Bri suggeriscono quindi di considerare anche le più importanti istituzioni del private welfare, il loro peso e le loro politiche di investimento sui mercati finanziari.
Dai dati elaborati dall’Oecd emerge quanto sia poco sviluppata l’industria dei fondi pensione e delle assicurazioni sulla vita in molti paesi dell’area dell’euro. (2)
Nell’anno 2006 gli asset dei fondi pensione in Italia hanno rappresentato il 3 per cento del Pil, contro il 7,5 in Spagna, l’1,1 in Francia , il 4,2 in Germania. Negli Usa, invece, gli stessi raggiungono il 75,4 per cento del Pil e knel Regno Unito l’84,3 per cento. Se si sommano gli asset delle assicurazioni sulla vita, sempre in base ai dati dell’Oecd, l’Italia mostra un valore del 22 per cento del Pil, gli Usa il 115 per cento e il Regno Unito il 116,2 per cento.
Anche la composizione dei portafogli titoli mostra significative difformità. Ad esempio, ma in questo caso i confronti internazionali divengono più incerti e difficili, in Italia i titoli di debito rappresentano il 26, 9 per cento del portafoglio titoli dei fondi pensioni negoziali e il 34 per cento di quelli aperti, negli Usa rispettivamente il 4,2 e l’1,3 per cento. (3) I titoli di capitale in Italia costituiscono il 2,2 per cento del portafoglio titoli dei fondi negoziali e il 4,6 per cento in quelli aperti. Negli Usa tali percentuali costituiscono il 5,7 per cento nei negoziali e il 15 per cento negli aperti.
In conclusione, le istituzioni di private welfare rappresentano un quota modesta dei mercati finanziari in alcuni paesi dell’area dell’euro e anche la composizione di portafogli titoli mostra una modesta attività sui mercati dei titoli di capitale.
Si potrebbe allora sostenere che i “pochi cocci” da raccogliere nel caso italiano, e di altri paesi dell’euro, potrebbero essere dovuti anche alla presenza di istituzioni del public welfare che per garantire le prestazioni agli assistiti non devono fare ricorso ai mercati finanziari; ovvero come sostiene la Bce non devono avvicinare i rendimenti effettivi a quelli assunti come obiettivi.
In conclusione, se si sostiene che dopo le recenti crisi finanziarie nulla sarà più come prima, ci si potrebbe domandare anche se – per non doverci pentire in futuro – non valga la pena di tenerci qualche istituzione potenzialmente capace di non consentire il rapido diffondersi per via telematica di crisi finanziarie e che quindi se non sia opportuno chiedere di difendere ciò che rimane delle istituzioni per il welfare state.

(1)Relazione Banca dei Regolamenti 2008, p. 151.
(2) Oecd ha lanciato sul finire degli anni novanta un vasto programma di raccolta di statistiche sui fondi pensioni al fine di meglio comparare gli sviluppi di tali fondi nei diversi paesi. Oecd, Stat Extracts; Oecd (2005), Global Pension Statistics Project: Data, Update. Financial Markets Trends, march 2005; Oecd (2006) Pension Markets in Focus, October 2006, issue n.3.
(3) Covip, La previdenza complementare nel 2007. Dati provvisori, 27 febbraio 2008.

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