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BUCHI NELL’ACQUA

Alitalia insegna: anche in periferia soldi pubblici nelle società di diritto privato. L’aumento di capitale straordinario varato dalle province di Massa-Carrara e Lucca per evitare la bancarotta di Gaia, società a capitale pubblico che gestisce il servizio idrico, è un caso emblematico. Ai contribuenti l’operazione costerà 20 milioni. Almeno due le lezioni che ne possiamo trarre: il settore è vulnerabile dal punto di vista finanziario ed è necessario definire regole contabili più rigorose. A maggior ragione quando a prendere le decisioni sono manager provenienti dalla politica. Perché potrebbero servirsi delle aziende per scaricare i problemi delle esangui casse comunali.

Le amministrazioni comunali delle province di Massa-Carrara e Lucca hanno appena deciso un aumento di capitale straordinario per evitare la bancarotta di Gaia, società a capitale interamente pubblico, dal 2005 affidataria del servizio idrico integrato.
Solo un anno prima, presentando il bilancio 2006, chiuso con un modesto utile, Gaia festeggiava “risultati ampiamente positivi e al di là delle più rosee aspettative”. (1) Nel bilancio 2007, l’utile si riduce ma rimane positivo, a prezzo tuttavia di artifici contabili discutibili, come l’imputazione a ricavi di competenza di costi capitalizzati e una riduzione immotivata delle quote di ammortamento. La procura di Lucca ha aperto un’inchiesta.
A fronte di un capitale proprio di soli 2 milioni, il debito, già elevatissimo nel 2006 (90 milioni) era salito a oltre 114. L’operazione di ricapitalizzazione costerà ai contribuenti 20 milioni. Cosa ha determinato una simile catastrofe?

LA PECULIARITA’ DEL SETTORE IDRICO

L’affidamento del servizio idrico si basa su una previsione iniziale dei costi di gestione e della loro dinamica futura, degli interventi da realizzare, degli oneri finanziari associati. Il costo totale viene diviso per i metri cubi che si prevede verranno venduti, ottenendo la tariffa media di riferimento; questa viene infine spalmata secondo una struttura a blocchi crescenti. Queste cifre costituiscono l’ossatura del “piano d’ambito” e l’oggetto del contratto: il gestore cui viene affidato il servizio ha il dovere di fornirlo alle condizioni pattuite e il diritto di ricevere la tariffa stabilita. Se però qualche previsione si rivela errata, il bilancio non sta in piedi. Per correggere gli squilibri rispetto alle aspettative iniziali, i contratti si dovrebbero rinegoziare, le tariffe adeguare, gli impegni rivedere. Ma poi prevale spesso la ragione politica, soprattutto se a decidere sono manager indicati – o peggio provenienti – dalla politica.
Gaia è partita già con una pesante zavorra: mutui comunali che le sono stati accollati, costi di personale esorbitanti per l’assorbimento di organici ex comunali eccessivi, canoni di concessione pagati ai comuni stessi (circa 2 milioni, il 4 per cento del fatturato). Senza contare i problemi nella riscossione delle bollette, con un inevaso consistente, ma anche accese polemiche sulle azioni intraprese per recuperare i crediti. Al grido “l’acqua è un dono di Dio e non una merce”, anche in Versilia hanno deciso che il servizio s’ha da pagare solo “il giusto”, sollevando un polverone mediatico e un certo imbarazzo politico.
Com’è, come non è, i flussi di cassa generati dalla gestione (ossia i margini operativi, risultanti dalla differenza tra ricavi e costi correnti) si sono rivelati del tutto inadeguati a fronte dell’indebitamento. Nel 2006 si è messa una pezza con un prestito ponte di 15 milioni, ma presto i nodi sono venuti al pettine.

DUE LEZIONI PER IL FUTURO

Per quanto sia poco corretto generalizzare a partire da un singolo caso, questa piccola storia ci offre alcune interessanti lezioni.
La prima: il settore idrico, data la sua elevata intensità di capitale e i lunghi tempi di immobilizzo, è molto vulnerabile dal punto di vista finanziario. L’esposizione di chi investe è elevata e dura molto a lungo. È del tutto fuorviante giudicare le aziende sulla base della sola gestione corrente, evitando di fare i conti con l’esigenza di generare flussi di cassa stabili ed elevati per equilibrare oneri finanziari e ammortamenti. A parità di condizioni strutturali, una tariffa più bassa può corrispondere non tanto a migliore efficienza, quanto a minore copertura dei costi: quelli veri, di lungo periodo, più facili da occultare con un uso disinvolto dei principi contabili.
Per far fronte a questi rischi occorrono spalle robuste. Il che non vuol dire necessariamente “privato” e neppure “grandi dimensioni”, anche se entrambi aiutano. Ma è poco saggio mandare allo sbaraglio sul mercato finanziario una miriade di aziendine, oltre tutto legate alla politica e dunque né vogliose né libere di adottare le strategie più corrette.
Pubblici o privati che siano i loro azionisti, le aziende possono stare in piedi solo coprendo i costi con i ricavi. Se i capitali li chiedono al mercato, devono accettarne le regole. Non è la natura non-profit a cambiare le cose, quanto semmai il rating. E questo dipende dai rischi che corre chi mette i suoi soldi dentro un’azienda. A meno che non vi siano intermediari finanziari pubblici che si accollano parte del rischio, un tema su cui è necessario iniziare a riflettere.
La seconda lezione: avere come azionisti politici e non occhiuti operatori di borsa è, da un lato, una pacchia: anche le manovre di bilancio più spericolate non danno nell’occhio, almeno finché la riga “utile di esercizio” mostra il segno “più”. Ma da un altro lato è una disgrazia: in questi tempi di magra, ben difficilmente si resisterà alla tentazione di spremere le aziende per rimpinguare le casse comunali, anche a costo di pregiudicarne i fondamentali economico-finanziari. Accollare alle aziende costi non coperti da ricavi e debiti non pertinenti, richieste di canoni di concessione elevati, applicazione di bollette simboliche per gli usi di competenza comunale, ritardi nei pagamenti e altre politiche simili, permettono alle amministrazioni in carica di dare ossigeno alle proprie esangui finanze. E quando un bel giorno i nodi verranno al pettine, saranno magari altri a doversene fare carico.
Da qui anche la renitenza da parte dell’azionista ad avallare azioni di risanamento più strutturali, che vuol dire maggiori tariffe o taglio di costi, soluzioni entrambe impopolari, accontentandosi di una finta copertura dei costi, limitata solo a quelli operativi. Ma come tutte le bugie, anche questa ha le gambe corte. Fatte le dovute proporzioni, è lo stesso meccanismo che mise in crisi le Water Authorities inglesi prima della privatizzazione del 1989: ufficialmente vincolate fin dal 1973 a una copertura dei costi attraverso le tariffe, ma poi, per non aumentarle, costrette a ricorrere alla spirale del debito per finanziare la spesa, fino a un passo dall’insolvenza. Per non pregiudicare la privatizzazione, il governo britannico dovette accollarsi per intero il debito pregresso, per un ammontare di 6,7 miliardi di sterline dell’epoca.

GATTO NERO GATTO BIANCO

È necessario definire regole contabili più stringenti, che limitino questo rischio. Senza arrivare a misure estreme come l’assoggettamento delle società in house al Patto di stabilità interno (peraltro previsto dal comma 10 dell’articolo 23bis della legge 112/08), che avrebbe l’effetto di paralizzarle, si potrebbe almeno limitare a un tetto massimo l’impiego della leva finanziaria, imporre una congrua dotazione di capitale proprio, oppure vincolare specifiche voci di ricavo al servizio dei debiti, trasferendole automaticamente in tariffa sotto il controllo di un regolatore esterno.
Diceva Deng Xiaoping: non importa che un gatto sia bianco o nero, purché prenda i topi. Quando la smetteremo di occuparci del colore del pelo dei gatti e cominceremo a occuparci di topi?

(1) Il bilancio 2006 è scaricabile dal sito: http://www.gaia-spa.it/new_site/bilanci/bilanci.html

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. bellavita

    Nonostante tutto quel che sta succedendo, non si può deviare dal mito che “privato è meglio”. Ma se un settore di servizi indispensabili richiede forti investimenti con lentissimo rientro è una cosa che i privati non possono fare, a meno di avere mano libera sulle tariffe. Il miracolo della privatizzazione delle autostrade italiane, per favore, non ripetiamolo con l’acqua. Dalla descrizione della tipologia del settore, è una faccenda che può essere solo fatta con capitali pubblici da non remunerare, neanche con convegni di liberisti sfrenati…

    • La redazione

      Mi farebbe la gentilezza di spiegarmi quali parole contenute nel mio articolo le hanno suggerito l’idea che io sia un neoliberista sfrenato?

  2. Claudio Oberlechner

    Non sono d’accordo sulla impostazione dell’articolo che sembrerebbe, nelle miste idriche (ATO) attribuire al pubblico sospette clientele che gonfano i costi. acqualatina docet: ne abbiamo esaminato i contenuti in profondità concludendo che anche nell’acqua sussiste una sorte di svendita in comodato al privato di sistemi a rete frutto di anni di intervento del pubblico. Ma l’argomento é frizzante e richiede maggiore spazio per una tematica che coinvolge il nuovo diritto societario e quindi l’inutilità delle miste ove il soggetto privato é l’organo gestore ed il pubblico, attraverso la Conferenza dei Sindaci, non é assolutamente in grado di esercitare quel “controllo analogo” previsto dalla UE ed ora anche in Italia per gli affidamenti diretti. Il business plan (con gli investimenti) viene fatto dal privato mentre nel passato, tranne rare eccezioni, la gestione idrica era in economia e con un recupero costi max del 60%….la riforma Galli ha decretato una impostazione teorica e punitiva sull’intera questione. Se ritenete posso parlare su questi argomenti in maniera diffusa con uno specifico intervento per alimentare il dibattito. Claudio Oberlechner

    • La redazione

      Mi sembra che il lettore abbia le idee un po’ confuse. Gaia non è una società mista con partner privati, ma una società in-house 100% pubblica. Non ho parlato di sospette clientele, quanto del rischio che il controllo pubblico possa generare politiche aziendali distorte dalle necessità della finanza comunale e del consenso politico, a tutto danno della sostenibilità della gestione. Forse ritiene che siano altre le cause del disastro contabile che ha portato quasi al fallimento? Ce le spieghi. Non capisco quale sarebbe l’impostazione "punitiva": i costi da qualche parte devono essere coperti; se le tariffe prima coprivano il 60% (in realtà molto meno) del costo, vuol dire che la parte restante la coprivano i contribuenti. Con la riforma si è optato, a mio avviso più che giustamente,
      per la copertura tariffaria. Oppure qualcuno pensa che i soldi crescano sull’albero degli zecchini d’oro? Qualunque sia il gestore, ad ogni modo, il meccanismo della Galli prevede che gli impianti siano dati in comodato d’uso ma che il gestore sia responsabile finanziariamente di tutti gli interventi che saranno necessari da ora in avanti, compreso il rimpiazzo dell’esistente quando sarà il momento. In questo modo, in tariffa ci finisce solo l’ammortamento dei nuovi investimenti. Forse il lettore preferiva che in
      tariffa fosse ammortizzato anche il valore degli investimenti pregressi, come peraltro avviene in Germania: è una scelta possibile, che ha il vantaggio di generare fin da subito flussi di cassa più elevati da destinare agli investimenti, a prezzo tuttavia di un aumento delle tariffe ancora maggiore di quelli che stiamo sperimentando ora.

  3. Andrea Buosi

    E’ la nuova società di gestione idrica dell’Alto Friuli Venezia Giulia…sono proprio curioso di vedere se farà la fine di questa società toscana… ovviamente temo proprio che sarà così, con maggiori oneri tariffari per l’utenza, quando l’acqua nella mia zona è abbondante come il petrolio in Arabia Saudita.

  4. giampiero di santo

    Che dire del caso dei 26 milioni di euro spesi dal ministro delle politiche agricole, Luca Zaia, per acquistare 100.000 forme di Parmigiano reggiano e Grana padano da distribuire, testualmente, "agli indigenti"? Quei soldi pubblici, o un aiuto di stato spudorato a imprese private (sia pure in difficoltà, ma chi non ne ha?), non sarebbe stato meglio destinarli alla ricerca, o a una o più università che si sono particolarmente distinte per i loro studi sullo sviluppo del settore agricolo e zootecnico?

  5. marie arouet

    La questione rappresentata si innesta in un quadro più grande nel quale sono saltati per aria tutti i meccanismi di freno alla cattiva gestione della cosa pubblica a cui inevitabilmente consegue una maggiore spesa. Se nessuno mai paga in prima persona per i propri errori è naturale che il gestore pubblico o parapubblico sarà sempre tentato quantomeno ad essere poco attento soprattutto se dalla poca attenzione gli posssa derivare un beneficio direto o indiretto. bisogna ristabilire il principio di responsabilità in capo a chi ha il potere gestorio con una articolata serie di limitazioni controlli e sanzioni aratterizzaate dalla rapidità e dalla agilità. Di contro tutta la legislazione degli ultimi 15 anni è andata in senso contrario (vedi la riforma sui segretari comunali ) Occorrono meccanismi di esposizione alla pubblica disapprovazione degli amministratori pubblici chei prediligono la cura degli interessi propri a detrimento di quelli generali. Occorrrono meccanismi di immediato recupero del maltolto e congelamento delle gestioni sospette. Occorre un forte giro di vite sulla discrezionalità delle scelte di spesa pubblica.

  6. Gino Berro

    Nel vasto dibattito sulle società che gestiscono i servizi pubblici locali uno dei problemi sta nell’effettiva separazione della gestione dal controllo, prima ancora che nella definizione di regole contabili più rigorose. Siamo ancora in una fase in cui gli organismi di controllo e governo del sistema (gli ATO in questo caso) sono deboli e non hanno le strutture per poter esercitare i propri compiti. Hanno spesso personale che arriva dalle aziende che dovrebbero controllare o dagli enti locali che sono i proprietari delle stesse aziende. Spesso i piani d’ambito e le tariffe sono definite a partire dai dati che arrivano dalle aziende stesse, non certo con la terzietà necessaria ad un regolatore. Così pure gli investimenti, quantomai necessari in molte realtà dove la rete acquedottistica è parecchio vecchia e perde… Chi verifica per esempio che queste aziende riescano effettivamente ad investire quanto riconosciuto in tariffa e non scarichino ad investimento, capitalizzando costi, interventi ordinari di manutenzione per non dover conguagliare ciò che non hanno speso?

  7. Luca Bussandri

    Bello l’articolo. Pessimi i commenti. Sono direttore generale di un consorzio d’irrigazione. Generiamo un servizio richiesto da tutti, fino al momento fatidico di generare il contributo di irrigazione (equivalente alla tariffa dei servizi idrici integrati). Noi non possiamo fare aumenti di capitale (per fortuna direi). Quello che c’è di diverso rispetto ad altre epoche e che anche da noi alla fine la politica, anche non dei partiti, ci rende difficile esigere ciò che è giusto. Negli ultino anni il mio consorzio ha generato per due volte buchi di bilancio sempre nella speraza che un intervento pubblico coprisse ciò che doveva essere coperto con i contributi dei consorziati. Il ragionamento è sempre lo stesso: altrove avviene perchè da noi no!

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