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EPISODIO V: LE ASPETTATIVE COLPISCONO ANCORA

Se l’Europa non coordina le politiche finanziarie, abbandonando l’ortodossia, si creeranno aspettative di una crisi ben peggiore di quella del 1929. Per i prossimi due anni, allora, il Patto di stabilità dovrebbe costringere i governi ad aumentare sensibilmente tutti i deficit, ben al di là del 3 per cento, se necessario. Politiche di bilancio aggressive, se temporanee, hanno il pregio di ricostruire la fiducia e limitano la caduta della domanda aggregata. Ed è l’ora di impegnarsi in riforme che richiedono investimenti proficui nel lungo periodo, anche se costosi nel breve.

Vi ricordate Luke Skywalker in Guerre stellari e la sua lotta per diventare uno Jedi? Durante il corso di addestramento, Luke deve entrare in una caverna umida e tetra per combattere il lato oscuro della Forza. Non sa, però, che questo lato oscuro altro non è la materializzazione delle sue paure. Reso potente dalla Forza, Luke uccide la materializzazione dei suoi nemici. Ma l’obiettivo della lotta non è questo. Il vero obiettivo è insegnare a Luke che la Forza si nasconde non tanto nella spada quanto nella mente. Luke deve lasciar da parte la sua spada laser e concentrarsi sulla sua mente. Se domina le sue paure, mostri e nemici spariranno. Questa è la vittoria che Luke deve conseguire.

ASPETTATIVE E PAURE

L’esempio, tratto da uno dei momenti più suggestivi dell’“Impero colpisce ancora”, serve a spiegare come possa avverarsi ciò che è solo frutto dell’immaginazione. È solo perché Luke si immagina che esista un nemico, che il nemico si materializza. La corsa agli sportelli è l’equivalente del filmnella realtà: se tutti gli altri correntisti lasciano i loro soldi nella banca, anche i miei soldi sono salvi. Ma se immagino un diverso equilibrio, nel quale i clienti della banca corrono a ritirare i loro risparmi, allora la banca non è più sicura, e anch’io devo correre a ritirare i miei soldi. Se poi tutti fanno così, la banca fallisce. Confermando così le mie aspettative. Proprio come Luke con la sua spada laser, i governi hanno finora mobilitato enormi quantità di energie (e di liquidità) per combattere queste paure della gente. È stata una lotta epica, ma insufficiente: i governi combattono contro nemici che si sono già materializzati.
Sinora, la crisi si è rivelata elusiva e inarrestabile, come del resto ci vien ripetuto in ogni capitolo di un buon testo di economia. Tutti gli economisti hanno studiato gli equilibri multipli e le profezie che si auto-avverano. Tutti noi – e nel “noi” includo anche banchieri centrali, broker e trader – abbiamo studiato il fragile equilibrio del sistema bancario. Tutti noi abbiamo studiato la crisi del 1929, la crisi dei risparmi e prestiti, nonché quella del Giappone. Tutti noi nutriamo gli stessi timori e ci poniamo gli stessi interrogativi, chiedendoci chi sarà il vincitore: l’azione eroica e maldestra dei governi o il panico degli operatori di borsa? Come nelle teorie di Keynes, ogni giocatore tenta di prevenire le mosse dell’altro. Ma abbiamo tutti gli stessi libri di testo e, quindi, le stesse paure nel medesimo momento. Oggi si teme che la crisi sia peggiore di quella del ’29 e possa durare di più. Questa non è una previsione. È solo una paura.
Perché le paure dovrebbero toccare anche l’Europa? Dopo le crisi degli anni Settanta e Ottanta, abbiamo messo a punto istituzioni che, sulla carta, dovrebbero garantirci, a lungo termine, una politica di stabilità di stampo conservativo: una Banca centrale europea, solida, garante di quella politica. E il Patto di stabilità che intende prevenire il verificarsi di deficit improduttivi, quali quelli degli anni Ottanta. Tali istituzioni sono tuttavia totalmente inadatte a gestire ed evitare le attuali paure del mercato. Anzi, rafforzano le aspettative che l’Europa sia incapace di adattare la sua politica macroeconomica. I libri di testo dicono che Herbert Hoover, nel 1930, aumentò le tasse per prevenire l’incremento del deficit, peggiorando così la crisi. (1) I libri di testo ci spiegano anche come il Giappone, incapace di reagire con tempestività, soffra ancora della crisi degli anni Novanta. Oggi il governo belga sta mettendo a punto il bilancio del 2009 e aspira al pareggio di bilancio. Se non coordiniamo le nostre politiche finanziarie, lasciando da parte l’ortodossia, finiremo con l’ancorare le aspettative a una crisi ben peggiore di quella del 1929.

COME UTILIZZARE IL PATTO

Dobbiamo sfruttare il Patto di stabilità in modo diverso, per giovarci appieno del suo ruolo stabilizzatore. Per i prossimi due anni il Patto dovrebbe costringere i governi nazionali ad aumentare sensibilmente tutti i deficit, ben al di là del 3 per cento, se necessario.
I libri di testo ci dicono che le politiche keynesiane non possono funzionare per periodi lunghi, né  quando i paesi affrontano uno shock negativo di domanda. Ma potrebbero essere estremamente utili per far fronte alla probabile contrazione della domanda, che ci aspettiamo nel 2009. Politiche di bilancio aggressive, anche se temporanee, hanno il pregio di ricostruire la fiducia e di ancorare le aspettative a una moderata e breve caduta della domanda aggregata.
L’Europa poi ha rinviato molte decisioni politiche, perché troppo costose: ad esempio, gli investimenti destinati al risparmio energetico e all’abbassamento dei livelli di CO2, gli investimenti sulla ricerca e lo sviluppo previsti dal trattato di Lisbona, nonché le riforme fiscali mirate al miglioramento dell’efficienza, ma che generano deficit. Si tratta di investimenti proficui, costosi nel breve termine, ma benefici nel medio-lungo termine. È giunta l’ora di accelerare tali riforme, lasciando aumentare sensibilmente i deficit, per tornare a controllarli quando finiranno i tempi bui. L’obiettivo non è certo quello di abbandonare le sane politiche che hanno funzionato negli ultimi anni. Però, nel momento attuale, se vogliamo soffocare le ondate di panico dei mercati, dobbiamo anticipare il prossimo capitolo dei libri di testo, e ancorare le aspettative nella giusta direzione: in tal caso no, Luke, questa crisi non ci sarà.

(1) Si veda anche l’articolo di Barry Eichengreen “Da Wall Street alla strada”.

Traduzione dall’inglese di Daniela Crocco

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11 commenti

  1. Gianni

    Quella illustrata da Castanheira, è esattamente la politica che ci ha condotto vicini al collasso: investimenti senza ritorno intrapresi solo grazie alla manipolazione dei tassi e alla creazione dal nulla di liquidità. La nostra economia ha invece necessità di liquidare alla svelta questi errori non intraprenderne in nuovi, questa volta trainati da sussidi e da altro debito pubblico. Tra l’altro ormai prossimo a livelli insostenibili e null’altro che un gravame per la prossime generazioni. La superstizione secondo cui distruggendo risparmio e risorse o peggio creando moneta dal nulla sarebbe la panacea didatti i mali economici è stata smentita e ridicolizzata secoli fa (basterebbe leggersi Smith o il carteggio di Ricardo con Malthus) ed è ora invece la teoria economica mainstream Mi domando davvero quando l’economia tornerà a essere una scienza.

    • La redazione

      Il vantaggio della scienza è di potere usare dati obiettivi per dedurne la risposta giusta. Sono d’accordo con gianni_e che una spesa senza controllo nè valore aggiunto è guasto puro. Ci sono stati tanti scandali nel settore pubblico! Però, il commento di gianni_e manca di obiettività. La Parmalat non è fallita per causa dello stato. Enron non è stato uno scandalo del settore pubblico. La crisi bancaria attuale non è nata da una decisione sbagliata di un politico. La scienza economica ci aiuta ad identificare casi dove il mercato funziona ottimamente e casi dove l’intervento dello stato può essere necessario. A mio giudizio, il momento presente è uno di questi casi.

  2. Angelo Andretta

    Due rimarchi: 1) E’ ormai la crisi (dell’economia reale) troppo grave per parlare ancora di “aspettative circa la crisi”? Sono d’accordo, comunque, sul fatto che le aspettative possano incidere come moltiplicatore della crisi (in caso di aspettative negative) o come speranza per una sana e breve recessione (in caso di aspettative positive). 2) Tremonti parla di “enorme swap fra debito privato a pubblico”. Corretto a mio giudizio. Quindi: devono, queste grosse “acquisizioni” su scala globale da parte dei contribuenti, avere come ovvia conseguenza un periodo di contrazione forte della domanda aggregata nonostante “aspettative positive”?

  3. ciro daniele

    Condivido in pieno le tesi di Castanheira. Aggiungerei solo una postilla. Le crisi hanno come unico vantaggio quello di ripulire il mercato dalle imprese meno efficienti. Le politiche economiche dovrebbero assolutamente assecondare questa tendenza, concentrando gli aiuti sui settori più dinamici (a partire dall’ecoindustria) invece che su quelli in declino da anni (come le microimprese, il settore dell’auto e quello dei prodotti "tradizionali"). Solo in questo modo le aspettative di imprenditori e risparmiatori favorirebbero un miglioramento strutturale dell’economia nel medio e lungo periodo. In caso contrario, si confermerebbe l’idea che è meglio sbagliare con la maggioranza (sperando in un salvataggio di massa), piuttosto che avere ragione da soli (perdendo i vantaggi di un futuro salvataggio ed anzi pagandone i costi). In questa prospettiva, anche le politiche keynesiane di sostegno alla domanda, se sono abbastanza selettive, possono avere effetti di lungo periodo.

  4. Giuseppe Caffo

    Ormai siamo entrati nell’era della globalizzazione.Quindi è inevitabile che essendo tutti cittadini del Mondo, il reddito pro-capite tenda ad una convergenza.Nel medio periodo è insostenibile la enorme disparità di reddito e di consumi tra Europa, Nord America e paesi poveri in via di sviluppo.E’ di questi giorni la notizia che negli ultimi anni sono aumentati gli 800.000.000 di cittadini sottoalimentati, mentre nei paesi sviluppati è allarme sanitario per milioni di cittadini sovralimentati e obesi che rischiano gravi malattie cardiovascolari.Tutto questo è assurdo.Le recenti turbolenze finanziarie secondo me derivano dal fatto che i popoli ricchi non vogliono accettare l’esigenza di dover fare un passo indietro in redditi e consumi.La recessione in cui siamo entrati è strutturale e segnala l’inizio della convergenza dei redditi.In questo quadro è importante mantenere rigidamente i parametri del Patto di stabilità,soprattutto per quei Paesi come l’Italia gravati da un alto debito pubblico.

  5. Massimo GIANNINI

    Non si capisce questa frenesia di dare ora fondo alle risorse pubbliche, come se ciò non fosse già stato fatto, con risultati discutibili, anche quando l’economia tirava e c’erano più margini di crescita. Alcuni paese, tra queste l’Italia, non possono permettersi ancora sperperi di risorse pubbliche. Inoltre bisogna prima dimostrare che gli investimenti nelle banche, che faranno sicuramente aumentare il debito e quindi anche il deficit a seguito degli interessi pagati, siano produttivi e non vadano perduti. Non mi sembra, tra aiuti alle industrie automobilistiche o alle banche, di vedere in giro un’efficiente allocazione delle risorse pubbliche, a prescindere del Patto di Stabilità.

  6. andrea

    "La crisi bancaria attuale non è nata da una decisione sbagliata di un politico." Direi da piu’ decisioni errate. 1) la monumentale creazione di moneta sotto Greenspan e Bernanke che ci ha portato alla bolla tecnologica, a quella sulle materie prime, e a quella immobiliare. 2) la riforma Clintoniana del Community Reinvestment Act, (1995) che ha forzato migliaia di banche a erogare mutui a persone che mai avrebbero potuto rimborsarli 3) l’abrogazione ancora Clintoniana dello Stegall-Glass Act, (1999) che ha abolito la sana distinzione tra banche commerciali e di investimento. Le crisi scoppiano quando i politici si mettono a fare gli apprendisti stregoni con l’economia. E purtroppo adesso ci vogliono riprovare. Si salvi chi puo’. Personalmente metto tutto in oro.

  7. Massimo MERIGHI

    Nella situazione attuale non bisogna confondere le cause (perche’ siamo arrivati in questa situazione) con gli effetti (crollo dei mercati e stato recessivo del’economia), per cui abbassare tassi ed affondare bilanci pubblici con creazione di debito curano solo l’effetto della malattia e non le cause nel giro di qualche anno saremmo di nuovo in una situazione peggiore di quella attuale, ma con un debito maggiore da ripagare prima o poi. Pertanto per ricostruire la fiducia non servono fiumi di denaro, ma una politica coerente che mostri ai cittadini che si sta lavorando per risolvere la crisi mostrando fatti concreti e non parole, ne palliativi, ne aiuti a pioggia, ma sopratutto non possiamo risolvere i problemi continuando a ragionare nel modo in cui li abbiamo creati. La medicina indolore di solito non salva l’ammalato.

  8. Federico Brunelli

    Non va bene allentare il Patto di Stabilità e permettere così che gli stati procedano in ordine sparso (tremo al pensiero di cosa succederebbe in Italia…), mettendo in pericolo tra l’altro la nostra moneta unica. Serve invece un governo europeo democratico, dotato dei poteri di gestire un bilancio federale europeo, finanziato da imposte sovranazionali e da un limitato debito pubblico europeo (gli Union Bonds che sarebbero molto appetibili per i risparmiatori di tutto il mondo). Il governo europeo potrebbe lanciare un grande piano per la ricerca, l’innovazione tecnologica, le nuove reti di comunicazione. Il coordinamento tra stati che restano sovrani non ha funzionato in passato (es. fallimento della Strategia di Lisbona e, prima ancora, dell’ambiziosissimo piano Delors) e non funzionerebbe nemmeno in questo caso. Serve la Federazione europea, con un governo federale responsabile di fronte al parlamento europeo. Questa è la verità.

  9. Giorgio

    Domande: con 700 trilioni di dollari di controvalore di derivati in circolazione nel mondo (mercati ufficiali e OTC), fuori controllo, che politiche economiche si può pensare di mettere in atto? Non sarebbe ora il caso di chiudere i mercati e fare una moratoria complessiva così da per evitare la polverizzazione del risparmio delle prossime 200 generazioni? Weimar insegna!

  10. Beppe

    Tassi di sconto regolati dal tasso di inflazione. Tutto giusto finché l’inflazione di una nazione è generata dalle condizioni del mercato interno: le condizioni migliorano, la gente inizia a spendere di più, la cosa viene segnalata dall’inflazione che cresce e la banca centrale “dà una regolata” a chi rischia di fare il passo più lungo della gamba. Un sistema perfetto per fare un minimo di selezione fra chi sa gestire investimenti impegnativi e chi invece non sa esattamente cosa sta facendo. Il sistema non mi pare più così giusto quando i costi dei trasporti, le ridotte barriere doganali e la crescita industriale dei paesi del terzo mondo iniziano a introdurre deflazione nel mercato controllato dalla banca centrale. Le inflazioni del 1.5-2.5% erano generate da prodotti con inflazione del 6/7% e prodotti con deflazioni di -1/-2%. I tassi di sconto del 2/4% non selezionano chi sa davvero creare un azienda o comprare una casa e chi invece vede solo un’opportunità per “fare il salto di qualità” a costo zero. L’unica uscita mi pare siano tassi di sconto parametrati all’inflazione interna, a 3-4 punti in più degli attuali. Solo oggi capisco Trichet. A quando la vera stretta?

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