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PROJECT FINANCING IN VERSIONE ITALIANA *

E’ stata appena approvata una profonda riforma dell’affidamento di lavori pubblici mediante project financing. Desta perplessità la reintroduzione del diritto di prelazione, seppure con pubblicità a livello comunitario. E l’ampliamento del ventaglio di iter prospettabili determina un notevole grado di complessità procedurale, che non può certo incoraggiare la partecipazione delle imprese. Manca poi chiarezza sulle competenze e gli incentivi delle amministrazioni interessate a selezionare le procedure secondo criteri di efficienza economica.

Con l’approvazione del decreto legislativo 11 settembre 2008, n. 152, il cosiddetto terzo correttivo al Codice dei contratti pubblici, è stata realizzata una profonda riforma dell’affidamento di lavori pubblici mediante project financing (Pf), una forma di partenariato pubblico privato (Ppp) in cui l’amministrazione seleziona un contraente privato per la progettazione, costruzione e gestione di un’opera pubblica, compreso in ogni caso il suo finanziamento, totale o parziale.

ITER PROCEDURALI

Al precedente unico iter per le procedure a iniziativa privata, articolato in tre sottofasi, presentazione delle proposte, gara e procedura negoziata, si sostituisce la possibilità per le stazioni appaltanti di optare per una tra due procedure: i) una gara unica semplificata su uno studio di fattibilità della pubblica amministrazione, nella quale i concorrenti competono sulla qualità del progetto e sui costi di realizzazione, presentando offerte corredate da progetto preliminare e piano economico-finanziario; ii) una gara bifasica con diritto di prelazione, nella quale nella prima fase si compete sulla qualità del progetto e nella seconda sul prezzo. In particolare, la prima fase individua il promotore, e dunque il progetto che si vuole realizzare; mentre la seconda aggiudica il contratto, ponendo a base di gara il progetto del promotore, titolare di un diritto di prelazione. È prevista, poi, una terza procedura per i casi nei quali la Pa non pubblichi il bando entro sei mesi dall’approvazione del proprio strumento di programmazione. Ma focalizziamoci sulle prime due.
Come rispondono i due iter procedurali alle esigenze del project financing? Il Pf nasce per consentire l’esecuzione di progetti di cui sia chiara la rilevanza pubblica, ma non altrettanto il modo più efficace per realizzarli. Per esempio: la Pa è consapevole dell’esigenza di creare un sistema di collegamento tra le località A e B, ma non riesce a valutare quale sia il modo migliore per effettuarlo: trasporto ferroviario, su gomma, un ponte e così via. Diviene, pertanto, cruciale nel Pf incoraggiare la presentazione di proposte innovative da parte dei privati, attraverso l’adeguata remunerazione dell’investimento in idee.
Sia la procedura a gara unica, sia la procedura bifasica, perseguono questo obiettivo: nel primo caso, la remunerazione dell’idea avviene attraverso la valutazione delle varie proposte presentate sia sotto il profilo qualitativo sia sotto quello economico; nel secondo, attraverso l’attribuzione del diritto di prelazione al promotore nella fase in cui si compete sul prezzo.
Tuttavia, sono ben diverse le conseguenze delle due modalità sulla partecipazione delle imprese. Mentre con la gara unica competono ad armi pari sia sulla qualità delle idee sia sui costi di realizzazione, nella procedura bifasica il diritto di prelazione attribuisce nella seconda fase un vantaggio eccessivo al promotore. Questo disincentiva la partecipazione di altre imprese e, dunque, la competizione sul prezzo di realizzazione della proposta progettuale.
Inoltre, se la gara unica sembra avvicinarci al contesto europeo, il secondo iter procedurale rischia di allontanarcene sensibilmente. Si è visto in passato, prima che il diritto di prelazione fosse eliminato, come tale prerogativa avesse costituito una barriera all’entrata per le imprese estere, che avevano finito per prestare poca attenzione ai nostri avvisi. Una nota rivista inglese, specializzata in Pf, ha sintetizzato la situazione del Ppp in Italia scrivendo: “Foreigners have long said that Italy is a mistery to us”. E con meno interesse delle imprese a partecipare alle gare, si finisce per avere meno competizione: e quindi i prezzi salgono.
Da questo punto di vista, allora, desta (più di) qualche perplessità la reintroduzione del diritto di prelazione, seppure con pubblicità a livello comunitario, che potrebbe tra l’altro sollevare nuove censure da parte della Commissione europea e minare iniziative eventualmente intraprese. Inoltre, l’ampliamento del ventaglio di iter procedurali prospettabili, se potenzialmente contribuisce al miglior soddisfacimento di esigenze specifiche, determina un non trascurabile grado di complessità procedurale, che non può certo incoraggiare la partecipazione di imprese.

LA PAROLA CHE CI MANCA

Un ultimo punto: manca chiarezza sulle competenze e gli incentivi delle amministrazioni interessate a selezionare le procedure secondo criteri di efficienza economica. La relazione annuale 2008 dell’Osservatorio nazionale sul Ppp, su dati 2006, mette in evidenza come, per il quarto anno consecutivo, il maggior numero di iniziative avviate si concentri nelle regioni del Sud, il 40 per cento degli avvisi. Su scala regionale le amministrazioni più attive sono la Campania, con 89 avvisi, seguita dalla Puglia, con 57 avvisi, e dalla Sicilia, con 52. Cosa dedurne? Le amministrazioni più attive nel Pf sono quelle più competenti, o quelle che ne hanno maggiore necessità dato il gap infrastrutturale, o cos’altro? E qual è la performance di questi progetti, in termini di tempi di consegna, rinegoziazione del contratto, qualità del servizio? Perché in Italia il 53,3 per cento delle iniziative muore prima del completamento delle procedure? (1)
Le analisi al riguardo mancano, dove sono i dati? Focalizzarsi solo sull’aspetto ex ante della regolamentazione non è sufficiente e anzi può essere controproducente: per cercare di garantire che i contratti di Ppp aiutino a colmare il nostro gap infrastrutturale con risultati adeguati al compito, c’è bisogno di un monitoraggio attento e trasparente sull’esecuzione dei contratti e di una maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni per le scelte fatte e i risultati ottenuti ex post. In inglese questo concetto si riassume in una parola: “accountability”. In italiano un termine equivalente non esiste, e il Pf ne risente.

* Cristina Giorgiantonio fa parte della Banca d’Italia – Servizio Studi di struttura economica e finanziaria. Le opinioni espresse nell’articolo sono attribuibili esclusivamente all’autrice e non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia.

(1) Vedi Bentivogli, C., E. Panicara, A. Tidu (2008), Poca finanza e poco progetto: il project finance nei servizi pubblici locali, Questioni di economia e finanza n. 25, Banca d’Italia.

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  1. Alessandro Abati

    Sì, la riforma sembra recepire le “best” e a risolvere le “worst” practices domestiche più che ad allinearci alle modalità internazionalmente comprensibili e comprovate. L’Italia paga per aver fatto nascere il "project finance" come soluzione al debito pubblico. Se il PF fosse proposto culturalmente all’interno di schemi di Public Private Partnership (PPP), lo stesso bando di gara diverrebbe strumento strategico (1) di pianificazione di finanza pubblica (2) di public procurement per servizi e investimenti capaci di generare economie durevoli. Mentre spesso questi bandi rispondono a obiettivi di speculare a breve (es. public assets management), ovvero perseguono soluzioni contabili ottimali. Ma per il fallimento di tanti PF, forse c’è un approccio sbagliato. Un long-term investment richiede un long term committment delle parti contraenti. A volte, il contratto riesce a vincolare il privato ad un comportamento virtuoso nel tempo; il quale, però, si ritrova come contraente non la PA, ma l’Amministratore di turno che risponde a valutazioni politiche. Mancano la capacità di strategic planning. di pianificazione pubblica finanziaria e di long-term contract management, rischi compresi.

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