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PIU’ CORAGGIO CONTRO LA DEFLAZIONE

L’effetto benefico della deflazione sul potere d’acquisto dei consumatori è solo temporaneo e non deve far dimenticare gli effetti nefasti di più lungo periodo. Le famiglie devono perciò riprendere a consumare, consentendo alle aziende di assumere e investire. I paesi europei con i conti in ordine dovrebbero varare al più presto un’espansione fiscale che aumenti il reddito netto dei consumatori sottoposti a più stringenti vincoli di liquidità e con la più alta propensione al consumo. Tra questi Stati non c’è l’Italia, che però beneficerebbe di un aumento delle esportazioni.

Nell’ottobre 2008, l’indice dei prezzi al consumo nell’economia americana è aumentato del 3,7 per cento “su base annua”, cioè nell’ottobre 2008 rispetto all’ottobre 2007. Nell’area euro, l’inflazione è al 3,2 per cento, con un valore un po’ più alto in Italia dove i prezzi al consumo sono aumentati del 3,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2007. Da un anno a questa parte i prezzi sono dunque mediamente aumentati, tra l’altro, più di quanto fossero aumentati tra l’ottobre 2007 e lo stesso mese del 2006. Colpa dell’aumento dei prezzi del petrolio, degli alimentari, dei metalli nei primi sette mesi dell’anno.

L’INFLAZIONE CHE DIVENTA DEFLAZIONE

L’inflazione è stata però in calo graduale ovunque negli ultimi tre mesi. I dati congiunturali per l’ultimo trimestre, da agosto ad ottobre 2008, raccontano infatti una storia molto differente rispetto a quella dei mesi precedenti. I prezzi al consumo nell’economia americana sono diminuiti addirittura dell’1 per cento nel mese di ottobre, dopo essere rimasti fermi in settembre e dopo una marginale riduzione anche nel mese di agosto rispetto ai livelli di luglio. Nell’area euro e in Italia, i prezzi sono rimasti fermi in ottobre. Ma una semplice analisi statistica che calcoli la componente stagionale dell’inflazione europea e italiana può mostrare che il mese di ottobre è tradizionalmente un mese “inflazionistico”, in cui cioè i prezzi al consumo di solito aumentano di qualche decimo di punto percentuale in più rispetto al loro andamento medio. Se i prezzi sono stati fermi in ottobre, ciò è di per sé indice di raffreddamento della dinamica inflazionistica. In settembre e in agosto, invece, l’indice dei prezzi nell’area euro e in Italia era invece sceso di qualche decimo di punto percentuale rispetto ai rispettivi mesi precedenti.
Insomma, la deflazione, il processo generalizzato di riduzione dei prezzi, sta oggi diventando una realtà di cui valutare le conseguenze. I venti deflazionistici sono stati portati dal rallentamento indotto nell’economia mondiale dalle restrizioni del credito (il “credit crunch”) dovute alla crisi dei mutui che pian piano si sta trasmettendo al resto dell’economia americana e all’Europa.

GLI EFFETTI DELLA DEFLAZIONE

La deflazione è un fenomeno di riduzione generalizzata e continuata del livello generale dei prezzi. Inizialmente, però, quando non ha ancora influenzato le aspettative sull’andamento futuro, la riduzione dei prezzi è un fenomeno positivo, come hanno sottolineato anche molti commenti a un articolo precedente. La deflazione porta infatti un po’ di respiro a consumatori vessati da anni di inflazione e con redditi che non reggevano il ritmo di crescita dei prezzi.
Ma l’effetto benefico della deflazione sul potere d’acquisto dei consumatori è solo temporaneo e non deve quindi far dimenticare i suoi effetti nefasti di più lungo periodo. Se infatti si diffonde nell’economia l’idea che i prezzi si ridurranno non solo oggi, ma anche in futuro, allora i consumatori potranno essere indotti a rinviare sistematicamente i loro acquisti di beni durevoli (automobili, elettrodomestici, computer), tenendosi invece in tasca il denaro contante. Non solo, le aziende con la prospettiva di veder scendere i loro prezzi di vendita e quindi i loro margini di profitto, saranno indotte a fare pressione sui sindacati per ottenere riduzioni nel livello dei salari, in assenza delle quali faranno più facilmente ricorso ai licenziamenti. A loro volta, la eventuale riduzione dei salari e/o l’aumento della disoccupazione potrebbe avvitare ulteriormente l’economia in una spirale di recessione e ulteriore deflazione. Insomma, un disastro.

LE POLITICHE CONTRO LA DEFLAZIONE

Contro la deflazione bisogna fare in modo che le famiglie riprendano a consumare, consentendo alle aziende di assumere e investire. Per ottenere questo risultato, è venuta l’ora di mettere da parte le timidezze: i paesi europei che se lo possono permettere, dovrebbero varare al più presto un’espansione fiscale che aumenti il reddito netto nelle tasche dei consumatori sottoposti a più stringenti vincoli di liquidità e con la più alta propensione al consumo, quelli a basso e medio reddito. La lista dei paesi che si possono permettere un’espansione fiscale che porti a un peggioramento del deficit pubblico è per fortuna lunga e include i “piccoli” paesi scandinavi, Belgio, Olanda e Lussemburgo, ma anche Germania, Spagna, Regno Unito e Irlanda. Tutti questi paesi hanno i conti pubblici relativamente in ordine, vuoi perché presentano un basso valore del deficit pubblico vuoi perché, come nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, partono da livelli di debito pubblico al di sotto del 50 per cento del Pil. Insieme, rappresentano più del 60 per cento del Pil dell’Unione Europea a 27. Una loro espansione fiscale coordinata si tradurrà in più elevati volumi del loro Pil, ma anche in maggiori importazioni dagli altri paesi europei, di cui potranno beneficiare anche quegli Stati che l’espansione fiscale non si possono permettere, cioè la Francia, che parte da un livello del deficit già molto vicino al 3 per cento, e l’Italia che associa un elevato livello del deficit del 2,5 per cento del Pil con il debito pubblico più alto d’Europa.
Sarebbe dunque bene che l’Italia limitasse la sua azione a politiche espansive neutrali sul bilancio pubblico: per evitare che l’eventuale incremento del deficit porti a un nuovo aumento del differenziale tra Btp e Bund e che, a seguire, le famiglie italiane si trovino a dover restituire con più elevati interessi sui mutui gli eventuali bonus fiscali non coperti da nuova tassazione o da riduzioni di spesa.

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23 commenti

  1. Mirco

    La cosa buona dell’articolo è l’indicazione per l’Italia di attuare politiche antideflazionistiche "neutrali" rispetto al debito pubblico. Come lavoratore dipendente, e quindi come categoria che paga le tasse fino all’ultimo centesimo, e come consumatore, sostengo che non mi sono ancora ripreso dalla violenta speculazione che i commercianti hanno attuato dall’introduzione dell’euro. Devo comperare l’auto ma aspetterò. Voglio vedere sputare ancora un po’ di sangue, visto che ce ne avete fatto sputare con le speculazioni sui prezzi dal 2002 in poi.

  2. Elio PENNISI

    Gli effetti della deflazione riferita all’Italia sono benefici all’inizio, come descritto nell’articolo, ma per il medio periodo una correzione di segno opposto puo` essere esercitata con una politica espansionista. Ho paura che la manovra economica appena ipotizzata dal Governo sia troppo timida e poco efficace perche` rivolta solamente ai redditi piu` bassi; questi tenderanno a diminuire i debiti piuttosto che acquistare del nuovo. La riduzione della produzione industriale in regime deflazionistico puo` indurre a programmare meglio le risorse e ricercare nuovi sbocchi industriali (categorico aumentare gli investimenti) e il consumatore ritrovera` il perduto senso del risparmio. A mio parere un anno in regime deflazionistico sarebbe benefico. Leve opposte devono essere messe in campo per il "piu` tardi".

  3. francesco pontelli

    Sono assolutamente d’accordo con la sua analisi: tuttavia rimane un aspetto da chiarire. Negli ultimi anni tutti i governi hanno colpevolmente consentito ad Autostrade (centro sinistra) Trenitali (centro destra), solo per fare un esempio, ad aumentare arbitrariamente le tariffe praticate al pubblico. Risanando diseconomie interne e scaricandole sull’utenza. L’aver reso il monopolio pubblico di Autostrade ora in mano ad un privato grida vendetta e dovrebbero essere finalmente chiare le responsabilità dei governi precedenti. Un altro aspetto poi riguarda il clima: ancora si crede che la gente consumi in base al reddito disponibile. Errato, per la maggior parte degli acquisti fondamentale è la percezione e la sicurezza di percepire dei redditi per il futuro.

  4. DIEGO MARCHIOLE'

    Credo che la deflazione sia necessaria e auspicabile soprattutto per il settore immobiliare. Negli ultimi anni i prezzi delle case e degli altri immobili hanno subito un incremento sproporzionato rispetto alla remunerazione del lavoro. Per non parlare delle rate dei mutui che sono divenute insostenibili per molte famiglie. La realtà economica è distorta a favore del settore immobiliare. Oltre alla politica monetaria che tenga il tasso di interesse a un valore del 3% e l’inflazione dei generi di consumo sostanzialmente stabile, credo che l’economia e la capacità di spesa nel nostro paese possano essere risollevate con una politica fiscale che favorisca con decisione: – gli interventi di recupero degli immobili (senza tetti di spesa e agevolando chi ristruttura perché ciò fa emergere pagamenti di lavori che spesso altrimenti verrebbero fatti in nero) – una effettiva possibilità di mettere sul mercato gli stessi immobili (rendendo rapido ed efficace lo sfratto per inquilini morosi o prevedendo dei fondi di garanzia per chi i locatori) – penalizzi con decisione i capitali immobiliari non utilizzati o sottoutilizzati (una tassa patrimoniale sarà auspicabile).

  5. Mencarini Fabio

    Gentile professor Daveri, parlando delle politiche antideflattive lei sembra individuare la soluzione nella possibilità di alimentare i consumi attraverso una politica fiscale espansiva, politica a cui "dovrebbero" dedicarsi i paesi più virtuosi per quanto riguarda le finanze pubbliche. In realtà c’è da chiedersi se esistano o meno incentivi adatti affinchè ciò avvenga; una politica fiscale espansiva infatti oltre ad alimentare la domanda interna, crea un incremento delle importazioni con effetti anche rilevanti su quella che è la bilancia commerciale del paese, conseguentemente effetti sul costo del debito estero. E’ questo il motivo per cui i paesi preferiscono che siano gli altri a mettere in pratica tali politiche per poi beneficiare degli effetti. Si potrebbe creare una situazione in cui nessun paese è incentivato ad agire (situazione già presentatasi in Europa). Spero di aver centrato la questione, e vorrei dunque sapere da lei quali possano essere gli incentivi adatti ad evitare una simile situazione.

  6. luigi zoppoli

    La "fortunata" contingenza della discesa dei prezzi di materie prime, energetiche e food comprese è una boccata di ossigeno. Rimangono in Italia i rischi strutturali connessi anche al fiscal drag che drena cifre considerevoli. C’è da augurarsi che si crei la base per sostenere un clima più fiducioso anche se l’ultimo indice ISAE non consola molto. Ma questo difficile contesto dovrebbe essere l’occasione per mettere mano alle tante riforme che anche il rapporto FMI elenca perchè alla fine si tolgano i "tappi" alle positive, nuove energie che pure nel paese ci sono.

  7. Massimiliano Claps

    L’idea suggerita dall’articolo è in linea di principio corretta; e sono anche d’accordo con gli altri commenti che qualche mese di deflazione potrebbe salubremente sgonfiare qualche bolla. Mi resta invece il dubbio sull’ultimo punto, ovvero far fare politiche espansionistiche ai paesi virtuosi e lasciare che Francia e Italia restino alla finestra beneficiando dell’aumento della domanda di consumi e investimenti proveniente dall’estero. Nell’ambito di una Unione Europea già indebolita, negli ultimi due anni di scossoni alla "costituzione", quella suggerita mi pare una linea d’azione difficilmente sostenibile a livello politico; mi ricorda un po’ le vecchie svalutazioni della Lira. Quando le cose andavano male si faceva pagare il nostro ritardo agli altri con un bello sconto sull’export. Sarebbe forse più equo che un po’ di politica espansionistica la facesse anche il governo italiano e distribuisse i costi fra la generazione dei baby-boomers (tagliando un po’ le pensioni) e i nati dopo il 1970 (aumentando ancora un po’ il debito pubblico).

  8. andrea

    Egregio professore, sono in profondo disaccordo con la sua analisi. Nell’attuale situazione dell’Europa, una forte e duratura deflazione rappresenta la sola via di uscita all’impasse storica della stagflazione. I sindacati devono comprendere l’importanza delle riduzioni di salario, che portano inevitabilmente riduzione di prezzi al consumo e degli asset, riprendendo a ritroso la rovinosa strada di inflazione keynesiana percorsa per interi decenni, e ritrovando la competitivita` internazionale in un’economia globalizzata dove non si giustificano piu’ i colossali differenziali di retribuzione oggi presenti da una macroregione all’altra. La futilita` della sua proposta di espansione fiscale invece, appare evidente qualora si consideri che e` indirizzata alle fasce di bassi redditi, proprio quelle che saranno interessate da forti licenziamenti, e che quindi non trarranno beneficio alcuno da tagli fiscali. Diventerebbe cosi’ l’ennesimo dispositivo assistenzialistico, atto ad alimentare la calamita` del voto di scambio.

  9. davide guerra

    Tutto questo terrore per una eventuale deflazione mi pare fuori luogo. Noi veniamo da una fase (introduzione euro) che in Italia ha raddoppiato i prezzi in alcuni settori (commercio, artigianato, professionisti) dimezzando quindi i redditi fissi. Un po’ di calo dei prezzi non può fare che bene alle famiglie dei lavoratori e pensionati e non credo che questo comporti necessariamente chiusura di aziende e licenziamenti. Al contrario aumenteranno i consumi di coloro che finora hanno avuto difficoltà a quadrare i conti mensili. E questo avrà un effetto benefico sull’economia. L’analisi quindi mi sembra astratta, se riferita all’Italia. Come se noi fossimo un Paese normale e non un paese in cui negli scorsi anni sono stati massacrati i redditi da lavoro e da pensione. Dovremmo forse gioire quando i prezzi aumentano? Se questa è un’economia di mercato la dinamica deve funzionare nei due sensi: quando aumenta la domanda aumentano i prezzi, quando diminuisce i prezzi diminuiscono. Vorrà dire che qualcuno restituirà un po’ di quello che ha rubato negli scorsi anni. E questo non è male.

  10. basitano

    Come lavoratore dipendente, con il contratto bloccato agli stessi livelli reddituali da due anni, con un figlio assunto per dieci mesi, una moglie che non può permettersi il "lusso di lavorare" in quanto disabile ed una ragazza di 16 anni che studia mi ritrovo a 60anni ad avere seri problemi economici. E pensare che otto anni fa portavo a casa 2.000.000 di lire. Ero l’unico e si viveva bene! Adesso perchè ho paura? Sono diventato spendaccione? Una sola macchina (sono disabile e non percepisco accompagno) una casa pagata di 70 mt ferie sono tre anni che non si fanno; cinema…home video; pizza…fatta in casa; teatro…mi diverto con le burattinate che spesso trovo in TV. Mi chiedo dove ho sbagliato io, non dove hanno sbagliato, sbagliano e sbaglieranno quelli che decidono?

  11. luis

    Afflitti da un deficit commerciale senza precedenti, gli Stati Uniti devono ora affrontare una situazione oramai evidente di deflazione. Crollo dei prezzi delle case, dei titoli, del valore dei fondi pensionistici, delle materie prime e poi disoccupazione e licenziamenti. Questo serve a ridurre il deficit commerciale? Penso di no, perché i debiti, in proporzione, aumentano in una situazione deflattiva. L’attuale difficile momento viene affrontato con la riduzione dei tassi, oramai prossimi allo zero, ed enormi iniezioni di liquidità. Siamo sicuri che a breve non piomberemo in una nuova bolla e in una situazione di iper-inflazione, questa sì utile a ripianare il deficit commerciale? Per quanto riguarda l’Europa, credo che gli asfissianti appelli agli acquisti non saranno sufficienti ad invogliare i consumatori a mettere in circolazione denaro perché, per la prima volta, intere generazioni hanno assistito all’angosciante spettacolo di veder fallire dalla sera alla mattina banche ritenute dei tempi sacri e, con terrore, vedere tutti i propri risparmi bruciare in pochi giorni. E poi, le nostre case sono già piene di beni di consumo, non sappiamo più dove collocarli.

  12. Seminara

    Egregio Prof. Daveri, mi capita di leggere e di sentire, in questi giorni, ad ogni pie’ sospinto l’esortazione – che è divenuta una giaculatoria – : " le famiglie devono riprendere a consumare!", e mi domando se questa esortazione tiene conto delle condizioni psicologiche nelle quali viene a trovarsi il consumatore di oggi, in ogni angolo del pianeta. Mi sembra che sfuggano ai più, e soprattutto agli esperti di questioni economico- finanziarie, le dinamiche che sottostanno a quel macrofenomeno che pur viene spesso citato, allorquando si parla di panico, sia pure troppo genericamente. Non ho ancora trovato un qualche approfondimento su questo tema, che peraltro chiamerebbe in causa più la psicologia che l’economia. Allora semplicemente le chiedo: che fare se il cavallo, sia pure alla fonte, non vuole bere? Se il consumatore, o le famiglie peggio ancora, non se la sentono di consumare?

  13. Giorgio

    Assistendo alle continue e poderose iniezioni di liquidità dell’unica banca commerciale operativa in America (la FED), congiuntamente all’ampliamento della loro spesa pubblica, mi domando se il vero problema sia la deflazione o il fatto che gli americani finiranno con lo scaricare sul dollaro, quindi sul mondo, il costo della loro crisi. Personalmente vedo più rischi di iper-inflazione che deflazione.

  14. Andrea G. (Como)

    L’esatto contenuto dell’articolo (e di molti commenti) non sottolinea un’evidenza strutturale che pochi esaltano in tempi di crisi. I più attivi richiedono che la BCE cestini il trattato di Maastricht e adotti una politica più aggressiva come la FED fa da parecchi anni quando shocks di domanda bussano alle porte ed irrompono nelle vite quotidiane di tutto il settore privato. Ma gli stessi, rapiti da una cecità estrema, non vedono come a diverse economie corrispondano diversi canali di trasmissione della politica monetaria. La deflazione che sta colpendo gli USA è una realtà troppo lontana dalla nostra economia e quindi non è adeguato traslare le medesime ipotesi sull’area Euro. La nostra economia è un strettamente basata su shocks di offerta e quindi difficilmente vedremo un livello di inflazione negativo nel breve periodo.

  15. enrico villa

    La deflazione, nel medio periodo, avrà conseguenze anche sulle entrate fiscali, stante il prevedibile calo dei fatturati (minor gettito IVA, minor gettito Irpeg). Dunque poco spazio ad eventuali alleggerimenti, stante i vincoli europei. Consumare meno e a prezzi decrescenti è un vantaggio di breve durata: la crisi economica si avvita su se stessa. Paradossalmente, meno si consuma e a prezzi decrescenti, più aumenta la disoccupazione. E’ una pia illusione anche il ricorso al debito meno oneroso: i debiti si pagano con i futuri redditi, ma quale prospettiva per i futuri redditi, soprattutto quelli dei precari, dei cassaintegrati, dei licenziati? Non ci sono vie d’uscita se non l’impegno ad una vera redistribuzione: le aziende che ancora guadagnano (banche in testa) devono assumere, altro che tagliare! Vanno ridotti gli stipendi dei top manager e fortemente tagliati quelli dell’apparato politico (Stato, Regioni, Provincie, Comuni e simili). Si deve capire che l’impoverimento (sic!) dall’alto non è più rinviabile. E’ una concertazione che deve avere come protagonisti responsabili maggioranza, opposizione, sindacati, Confederazioni di ogni categoria. Non c’è altro tempo da perdere.

  16. az

    Mi stupisce che l’allarme deflazione si colleghi al repentino sgonfiamento della bolla delle commodities, petrolio compreso. La deflazione più marcata dell’ultimo decennio ha riguardato il valore del lavoro, manuale o intellettuale che sia, nel comparto manifatturiero, dalle scarpe all’high tech. L’eccesso di liquidità che ha governato i mercati finanziari fino a poco fa è anche da ricollegarsi a questo. In alcuni settori un calo di prezzo alla produzione massiccio (fino all’80%) si è riversato tutto nei profitti, senza che i prezzi al consumo calassero di conseguenza. E basta rivedersi una delle poche inchieste sul "Made in Italy" per trovare conferma. Ennesimo parallelo con gli anni 20 negli USA, quando contadini e operai sopravvivevano a fatica mentre Wall Street festeggiava record su record. Che ci fosse qualcosa di marcio in Danimarca si sapeva da anni, ma c’era chi parlava di tendenza alla reciprocità paretiana con i paesi asiatici con la massima tranquillità. Vediamo bene come alla fine tutto si sia aggiustato.

  17. Daniele

    Concordo pienamente con l’articolo. In una situazione deflativa quale imprenditore avrebbe interesse ad investire al tempo quando prevede di poterlo fare al tempo t1 ove i fattori produttivi avranno costi minori? E quindi se si bloccano gli investimenti si ferma tutto il sistema economico.

  18. Carlo Bertanelli

    Io credo che un periodo di deflazione,in Italia, sia del tutto positivo. E’ un dato certo che con l’ avvento dell’euro vi sia stato un ingiustificato ed indiscriminato aumento dei prezzi che ha di fatto ridotto il potere di acquisto. Il problema di non arrivare alla famosa quarta o terza settimana non si è verificato solo ora in conseguenza della crisi che stiamo vivendo, ma è un fenomeno esploso e denunciato da almeno 3 anni orsono. Certamente la deflazione di lungo periodo ha le nefaste conseguenze descritte nell’articolo, si tratta però, prima, di ritornare ad un livello di prezzi giustificati. Se la dinamica di crescita dei prezzi è slegata da giustificati motivi, evidentemente qualsiasi intervento per sostenere i consumi si rivelerebbe vano. Come altrettanto vano, se no pernicioso, sarebbe aumentare il debito pubblico per, ad esempio, detassare le tredicesime. Il risultato sarebbe di non favorire un incremento dei consumi significativo ai fini della ripresa dell’economia. ma di contro realizzare un aggravio certo del deficit pubblico con tutte le conseguenze nefaste che ciò significherebbe.

  19. Vincenzo Brancatisano

    E’ venuto il tempo che paghino i ladri. Chi ha raddoppiato i prezzi infischiandosene della concertazione ora piange miseria. Quale commerciante avrebbe scritto, in questi ultimi anni, "7.000 mila lire al kilo" sullo scaffale delle arance o delle pere o del pane? Nessuno! Eppure arance, pere e pane costano al kilo anche 3 euro e cinquanta, 4, 5 e anche 6. Non era prevedibile che con gli stipendi bloccati i denari sarebbero un giorno finiti. Spero che i soldi rubati siano stati in gran parte investiti in borsa.

  20. Daniele Marrama

    Stima che l’inflazione a Novembre 2008 sarà del 2,7% perchè ha registrato un aumento mensile del -0,4%. Ma lo sapete che con quell’aumento negativo del -0,4% l’inflazione annua è del 2,6% e non del 2,7%? CHI SBAGLIA? Lo dimostro: Indice nov-07 133,5 Dato certo. Indice nov-08 137,1 Dato Stima ISTAT. Aumento annuo 2,70%. Indice nov-07 133,5 Dato certo. Indice nov-08 137 Dato Stima. Aumento annuo 2,62%. ott-08 137,6 Dato certo. nov-08 137 Dato Stima. Aumenti mensili -0,44%. ott-08 137,6 Dato certo. nov-08 137,1 Dato Stima. Aumenti mensili -0,36%. Come si può notare (arrotondando ad una cifra decimale l’aumento mensile) si ottiene in ambedue i calcoli -0,4%. Questo significa che se utilizzassimo 137 o 137,1 otterremmo sempre lo stesso aumento mensile del -0,4%. Però le cose cambiano nei 12 mesi! Se utilizzo l’indice 137 (che genera sempre un aumento mensile del -0,4%) ho un’inflazione del 2,6%. Quindi l’inflazione annua sarà…? Noi siamo per il 2,6%. Buon lavoro a tutti Daniele http://www.rivaluta.it/inflazione.htm

  21. Luigi Zoppoli

    Ho riletto l’articolo e riflettuto. Stante la difficile situazione della finanza pubblica un intervento a saldo zero per la finanza pubblica è una scelta ragionevole. Ma la questione è ipotizzare ex ante che la manovra così strutturata serva davvero a conseguire l’obiettivo. Non conosco le simulazioni che di certo sono state fatte sulla base di diversi scenari e ne ho davvero curiosità. Penso però che la scelta compiuta dal governo che si accompagna al tentativo di agganciarsi alla ripresa degli altri paesi europei e non sia un rischio notevole che forse sarebbe stato opportuno contrastare con una maggior audacia. Dopo tutto lo spread sul debito pubblico italiano risente moltissimo delle aspettative di crescita o meno dell’economia. Dunque l’entità/modalità della manovra è sufficiente o no? Luigi Zoppoli

  22. luca.grezio

    A parte la scarsa o nulla attendibilità delle rilevazioni istat (politiche) penso che alcuni settori iperprotetti e quindi potenzialmente superinflazionistici sopporteranno assai bene un’eventuale deflazione vista l’ingordigia manifestata nel fare strage di prezzi nell’epoca euro. Diverso il discorso per il mercato del lavoro dipendente che fa i conti in molti casi con una riduzione senza precedenti del potere d’acquisto.

  23. andrea

    Sbaglia chi crede che l’imprenditore rinvierebbe l’investimento in regime di deflazione, perche’ rinviando scendono i costi di produzione ma anche i prezzi di vendita, quindi il suo margine non cambia. Non vi e` alcun interesse a rinviare, come non vi e` in periodo di inflazione, quando salgono insieme costi e prezzi di vendita. La grande differenza e` che una deflazione sufficientemente forte renderebbe un po’ di competitivita` ai sistemi paese occidentali, oggi totalmente surclassati da quelli asiatici, nella maggior parte delle produzioni.

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