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COSI’ L’ITALIA AIUTA LE BANCHE

Il piano italiano di salvataggio delle banche è molto più ampio di altri adottati in Europa, ma sembra anche più vago e con requisiti meno stringenti. Il rischio è un circolo vizioso in cui lo Stato è incentivato a rimanere nel capitale finché non ha recuperato il suo investimento mentre la banca non ha alcun interesse a chiedere la dismissione della partecipazione: gli azionisti non ne sono economicamente danneggiati e senza diritti di voto in assemblea ordinaria, lo Stato non può intervenire nella governance. Si indebolirebbe però l’autonomia decisionale dell’istituto.

 

Per completare la nostra analisi dei piani di salvataggio delle banche messi a punto dai governi europei, vediamo le misure contenute nell’ultimo decreto approvato dal governo italiano, per capire se e in che misura si discostino dal resto d’Europa.

GLI AIUTI ALLE BANCHE

I precedenti decreti, emanati a ottobre, attribuiscono al ministero dell’Economia la facoltà di garantire le passività delle banche adeguatamente patrimonializzate nonché le loro operazioni di rifinanziamento sull’Eurosistema. Il ministero è anche autorizzato a compiere operazioni di scambio titoli e a sottoscrivere o garantire aumenti di capitale di banche in difficoltà, dietro presentazione di un programma di stabilizzazione e rafforzamento dell’istituto valutato dalla Banca di Italia. In cambio, il governo riceve azioni privilegiate che, dovrebbe prevederlo la legge di conversione dei decreti, non attribuiscono diritti di voto.

GOVERNO E SOTTOSCRIZIONE DI STRUMENTI FINANZIARI

Nell’ultimo decreto viene invece disciplinata la possibilità di sottoscrivere, su esplicita richiesta dell’istituto, strumenti finanziari – computabili nel patrimonio di vigilanza – emessi da banche italiane o da società capogruppo di gruppi bancari italiani quotati.
Questa volta si specifica che gli strumenti devono essere privi dei diritti di voto e, sempre su richiesta dell’emittente, possono essere convertibili in azioni ordinarie, previo relativo aumento di capitale. Può essere anche prevista la possibilità che lo stesso emittente rimborsi o riscatti tali strumenti, sempreché l’operazione non pregiudichi la solvibilità dell’istituto.
La sottoscrizione può avvenire solo se è economica nel suo complesso, se tiene conto delle condizioni di mercato ed è tesa ad assicurare un adeguato flusso di finanziamenti all’economia e un adeguato livello di patrimonializzazione del sistema bancario.
Inoltre, la sottoscrizione è condizionata all’adozione di un codice etico sulla remunerazione dei dirigenti e all’assunzione da parte dell’emittente degli impegni definiti in un protocollo di intenti con il ministero dell’Economia sul finanziamento alle piccole e medie imprese e alle famiglie, nonché di politiche sui dividendi tese a mantenere un adeguato livello di patrimonializzazione.
La valutazione delle condizioni economiche dell’operazione compete alla Banca d’Italia. La remunerazione degli strumenti può essere subordinata in tutto o in parte all’esistenza di utili distribuibili.

COSA NON C’È SCRITTO

Comparato a quelli europei, il nostro piano è molto più ampio, vista l’eterogeneità delle materie trattate, ma sembra essere più vago e prevedere requisiti meno stringenti. Al contrario di quanto accade in tutti gli altri Stati, manca ogni indicazione sull’ammontare massimo di denaro che si vuole investire per la sottoscrizione degli strumenti finanziari.
E manca anche l’indicazione esplicita che il rimborso degli strumenti sottoscritti sia privilegiato rispetto agli altri titoli emessi dalla banca, come invece è detto in quasi tutti gli altri piani. Anche questo è un elemento importante, perché si rischia di allungare di molto i tempi del rimborso.
L’altro dato mancante è il termine ultimo entro cui le partecipazioni statali devono essere rimborsate o riscattate. Nel nostro piano, il riscatto da parte della banca è considerato solo eventuale ed è subordinato a una valutazione sull’esistenza o meno di un pregiudizio delle condizioni finanziarie o di solvibilità dell’istituto. Inoltre, nel caso in cui sia previsto il rimborso, il decreto non specifica che questo debba avvenire allo stesso prezzo di sottoscrizione, come indicato da molti altri governi. Si determina così una implicita assunzione di rischio, in capo allo Stato, della diminuzione in futuro del valore di mercato dello strumento.
Non viene neanche specificato se i titoli saranno sottoscritti dietro prestazione di apposite garanzie, se è previsto, oltre al normale interesse, il pagamento di una commissione allo Stato da parte degli istituti beneficiari, per “remunerarlo” dei rischi assunti, se i titoli devono essere dotati di rating, se devono essere già esistenti o se le banche che fanno richiesta devono avere particolari requisiti di solvibilità, come specificato invece nei decreti di ottobre: la sottoscrizione è qui subordinata a una valutazione delle “condizioni economiche dell’operazione”. Tutte queste previsioni sono contenute nei piani di salvataggio degli altri governi, assieme alla possibilità di ammettere a partecipare al programma anche succursali di banche estere presenti sul territorio e all’obbligo di non pubblicizzare l’intervento statale a fini commerciali.
I paesi che prevedono un codice etico, poi, stabiliscono specificamente, al contrario del nostro, che debba essere predisposto dallo Stato.

LE IMPLICAZIONI DEL DECRETO

Deve ancora essere emanato il decreto del ministero dell’Economia in cui si stabiliscono meglio i criteri, le condizioni e le modalità di sottoscrizione di tali strumenti. È forse necessario in quelle sedi prevedere norme più stringenti perché altrimenti lo Stato rischia di rimanere imbrigliato nel capitale delle banche. Infatti, non aver stabilito il divieto di distribuzione dei dividendi agli azionisti o una distribuzione privilegiata degli utili, l’aver previsto la possibilità che queste obbligazioni si trasformino in azioni a richiesta dell’emittente, l’aver reso la possibilità di ri-acquisto dei titoli da parte della banca solo eventuale e soprattutto il non aver stabilito il termine massimo entro cui i titoli devono essere riacquistati potrebbe creare un circolo vizioso in cui lo Stato ha incentivo a rimanere nel capitale fintanto che il proprio investimento non verrà recuperato, mentre la banca non ne ha alcuno a chiedere la dismissione della partecipazione perché i suoi azionisti non sono economicamente danneggiati e lo Stato non ha diritti di voto in assemblea ordinaria che gli consentano di essere un elemento di disturbo nella governance dell’istituto.
Nulla vieta, tuttavia, che a quegli strumenti finanziari siano attribuiti altri tipi di diritti amministrativi su particolari argomenti, come ad esempio diritti di preventivo assenso in materia di fusione, scissione, livelli di indebitamento, cessione di rami d’azienda, e distribuzione dei dividendi. In questo caso, però, lo Stato potrebbe avere ampi margini di influenza sulle banche, rischiando di indebolirne, così, l’autonomia decisionale.

Foto: Credit © European Communities, 2008

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IL TRENO VA VELOCE. QUANDO NON RALLENTA

  1. Gasparini Fabrizio

    Non credo che sia l’Italia quella che muove Tremonti. L’Italia è quella che sentendosi proporre interessi al di sopra del 4% cadrà nelle trappole dei vari bond. Il trucco è quello di invogliare a non prelevare i propri investimenti e se possibile attirarne altri. L’esposizione delle banche italiane è fuori controllo e Tremonti gioca d’attesa.

  2. Simone Grassi

    I punti non chiari sono tanti e da soli farebbero drizzare i capelli, come il non limite massimo in termini di tempo, la non chiarezza sugli importi e il non introdurre un interesse chiaro delle banche a rientrare dell’aiuto avuto dallo stato. Ma un’altra cosa inficia tutto quanto, perche’ viene scritto: "…dietro presentazione di un programma di stabilizzazione e rafforzamento dell’istituto valutato dalla Banca di Italia." Ma scusate, la Banca d’Italia è di proprieta’ delle Banche stesse che andrà ad aiutare, come e’ possibile fare un piano del genere su questa base? Le banche controllate che posseggono il controllore, chi vogliono prendere per il sedere? Da sole 5 banche posseggono il 66% di Banca d’Italia: Gruppo Banca Intesa : 26,83% Gruppo Banca di Roma: 11,10% Gruppo Unicredito Italiano: 10,98% Gruppo Cardine Banca: 8,90% Banco di Napoli: 6,33% che speranza c’e’ di un controllo? Nessuno, tanto vale dare carta bianca alle banche e le password del sistema del ministero delle finanze, sarebbe uguale.

  3. giovanni

    E’ pure assurdo che lo Stato entri nel capitale delle banche e gli attuali azionisti possano gestire il denaro pubblico in autonomia e nel proprio interesse. Se si vuole prevenire il ritorno ad un intervento dello Stato dell’economia, occorre pure una regolamentazione ad hoc, temporanea, per il periodo durante il quale lo Stato deterrà quote del capitale bancario, per evitare che gli azionisti abusino del capitale pubblico.

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