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GIUSTIZIA: ANNO NUOVO, VECCHIE INEFFICIENZE

L’efficienza della giustizia civile ha un effetto prociclico sull’economia: la lentezza dei processi aggraverà la crisi economica per le imprese italiane. Un ulteriore aumento delle risorse pubbliche non serve a risolvere il problema. Lo sostiene anche la relazione del presidente della Corte di Cassazione. Meglio puntare su una riorganizzazione della macchina giudiziaria. A partire dalla riduzione del numero di sedi, con una migliore gestione del personale e delle attrezzature e rilevanti economie di specializzazione. Le proposte per la riforma della professione forense.

 

L’apertura dell’anno giudiziario e le relazione di rito del primo presidente della Corte di Cassazione riportano il focus della discussione sul problema dell’esagerata lentezza dei processi e delle possibili riforme.
In questo momento, il problema è divenuto ancora più grave: l’efficienza della giustizia civile ha un effetto prociclico sull’economia e la lentezza dei processi renderà l’attuale crisi economica ancora più seria per le imprese.
Questa legislatura ha finora affrontato aspetti rilevanti e delicati, ma molti altri ancora ne restano per arrivare a una soluzione efficace del problema. Ma la legislatura è all’inizio e molto può essere ancora fatto.
Sul fronte della giustizia civile, gli interventi si sono incentrati finora soprattutto su necessarie semplificazioni dei riti processuali; di altri punti importanti ci si potrà occupare con la riorganizzazione della macchina giudiziaria e la riforma degli ordini professionali forensi.
La relazione del presidente Carbone offre molti spunti di riflessione, ma tre appaiono di particolare interesse per avviare un dibattito sulle possibili ulteriori riforme volte a ridurre i tempi dei processi: i) la spesa pubblica per giustizia, ii) l’organizzazione della macchina giudiziaria, iii) la rilevanza di una riforma della professione forense.

LA SPESA PUBBLICA PER GIUSTIZIA

Dalla relazione emerge chiaramente che ormai la magistratura ha compreso che l’incremento della risorse pubbliche assegnate al settore non è la chiave risolutiva del problema, si afferma infatti che “da molte parti si lamenta la scarsità delle risorse. Il problema esiste, ma non si tratta di quello più grave (anche in considerazione di quanto accade negli altri paesi)”.
Per un’analisi accurata si rinvia a quanto già scritto in passato su questo sito, ma è utile evidenziare alcuni punti. La spesa pubblica in questo settore in Italia non è affatto bassa, se confrontata con quella degli altri paesi europei: disponiamo di un numero di magistrati e di un impiego di risorse finanziarie non inferiore, e talvolta superiore, a paesi che pure mostrano una performance giudiziaria migliore.

Incrementi della spesa in questo settore non sono una leva di policy efficace: nell’esperienza passata l’efficienza del sistema non si è mostrata reattiva a iniezioni di offerta. In Italia, nel decennio scorso, la spesa per la giustizia è risultata una delle voci in maggior crescita del bilancio dello Stato. Negli anni Novanta è infatti aumentata del 140 per cento, e i magistrati in servizio sono aumentati di circa il 15 per cento. Dal 2004 al 2007 la spesa pubblica destinata alla voce “magistrati” è cresciuta di circa il 27 per cento, mentre quella per i cancellieri è rimasta sostanzialmente costante (+ 1 per cento) All’aumento di risorse destinate al settore non è però corrisposto un adeguato miglioramento dei risultati. Il numero dei procedimenti pendenti, civili e penali, non è affatto diminuito. Al contrario, il tasso di crescita è risultato in continua ascesa. Negli ultimi vent’anni lo stock di cause civili arretrate si è pressoché triplicato. Nello stesso periodo i procedimenti penali pendenti in primo grado sono più che raddoppiati
Contenuti incrementi di spesa per esigenze correnti, al contempo, non costituiscono un serio problema per il bilancio dello Stato. Infatti la spesa per l’esercizio della funzione giudiziaria civile e penale – circa 5 miliardi di euro – rappresenta soltanto un modesto 1,3 per cento del totale generale dei costi dello Stato.
Se pompare l’offerta non è utile, neppure è proficuo cercare con accanimento risparmi in questo settore della spesa.
Fondamentale è invece, anche dal punto di vista economico, perseguirne l’efficienza per gli effetti indotti che produce sulla crescita e la competitività del paese.

L’ORGANIZZAZIONE DELLA MACCHINA GIUDIZIARIA

Si legge nella relazione del primo presidente della Corte di Cassazione: “una grave causa di disfunzione è l’irrazionalità della attuale distribuzione delle sedi giudiziarie, che sfugge ai più elementari principi di buona organizzazione degli uffici pubblici”. Non si può che concordare con questa affermazione.
L’analisi dei dati rivela che un maggiore recupero di efficienza sarebbe possibile con una revisione della geografia giudiziaria volta ad accorpare gli uffici di minori dimensioni, ma gli interventi  attuati finora hanno aumentato e non diminuito il numero degli uffici.
L’analisi empirica che ho svolto stimando la funzione di produzione dei tribunali evidenzia che la produttività del magistrato risulta crescente al crescere delle dimensioni del tribunale in cui opera. (1) Effetto da attribuire oltre che a diversi fattori organizzativi, come una migliore gestione del personale e delle attrezzature, a rilevanti economie di specializzazione. In un tribunale di grandi dimensioni il singolo giudice si occupa di un campo del diritto circoscritto, nelle sedi piccole lo stesso giudice decide in materia sia civile che penale. E la rilevanza delle economie di specializzazione è nel nostro ordinamento amplificata dal fatto che la crescita professionale dei magistrati fino ad oggi è stata affidata quasi esclusivamente alle esperienze maturate nel corso della carriera.
Circa il 70 per cento dei tribunali resta troppo piccolo per essere davvero efficiente, e le stime  evidenziano che i tribunali sono meno produttivi e più inefficienti nell’esercizio della funzione civile di quanto non avvenga per le materie penali. Risultato che conferma ancora una volta che il principale nodo di inefficienza si concentra nella giustizia civile.
Anche il confronto internazionale conferma l’eccesso di sedi: secondo i dati del Consiglio d’Europa, in Italia gli abitanti serviti da una corte di prima istanza sono mediamente 55mila, una densità di uffici doppia rispetto alla Germania, al Regno Unito e alla Francia, dove peraltro il governo ha predisposto un intervento di accorpamento e chiusura delle sedi minori, per migliorare l’efficienza del settore.
La revisione della geografia giudiziaria è una riforma di non facile attuazione, per le resistenze che puntualmente si manifestano quando viene proposta.
In realtà, una modifica della distribuzione degli uffici giudiziari è fattibile senza ledere il diritto al servizio per i cittadini e senza comportare necessariamente grandi spese in spostamenti di personale e ristrutturazione degli uffici.
Con investimenti di maggiore informatizzazione dei tribunali, tanto modesti quanto indispensabili per la modernizzazione del paese, si potrebbero evitare massicci spostamenti e accorpamenti fisici delle diverse sedi. Analogo risultato in termini di efficienza produttiva potrebbe essere infatti raggiunto specializzando le singole sedi di tribunale all’interno di uno stesso distretto di Corte d’Appello: tutte le materie sarebbero coperte all’interno di uno stesso distretto, ma ogni tribunale si occuperebbe solo di alcune.

LA RIFORMA DELL’ORDINE PROFESSIONALE FORENSE

Riguardo alla rilevanza delle regole che disciplinano la professione legale nella relazione del presidente Carbone si legge: “in un libero mercato di servizi, la moltiplicazione del numero degli operatori è sempre un dato positivo. Ma nel caso della Giustizia gli avvocati da un lato offrono un servizio alle parti, dall’altro lo richiedono al sistema pubblico. Occorre, allora, valutare, anche avvalendosi dell’esperienza degli altri Paesi, fino a quando tale abbondanza di operatori sia davvero funzionale a dar voce alle giuste pretese dei cittadini, e quando invece l’assenza di un numero chiuso (come accade per notai e giudici) non comporti, invece, un surplus di domanda di Giustizia, rispondente non più solo, e non più tanto, alle suddette pretese. Tale surplus ricade a carico del sistema, e potrebbe costituire una delle cause per le quali le risorse destinate dall’Italia risultano insufficienti rispetto ad altri Paesi con analoga "offerta" di Giustizia ma con ben minore, e più "filtrata", "domanda"”.
La riflessione segue i risultati di un’analisi riportata nella relazione, che evidenzia sia il numero elevatissimo di avvocati presenti nel nostro paese rispetto al resto d’Europa, secondo i dati del Council of Bars and Law Societies of Europe, sia l’esistenza per l’Italia di una correlazione, a livello territoriale disaggregato, tra numerosità degli avvocati e tasso di litigiosità.

L’ipotesi di ricorrere al numero chiuso per contenere l’eccesso di domanda di giustizia non mi sembra, però, una proposta condivisibile. Il fatto che si rilevi una correlazione tra numero dei processi e numero degli avvocati non dà indicazioni chiare sulle relazioni di causalità tra i due fenomeni: è possibile che ciò si verifichi perché gli avvocati, quando sono troppi, cercano di procurarsi il lavoro alimentando la domanda di giustizia, cosa che giustificherebbe il numero chiuso. Ma è altrettanto possibile che, invece, vi siano più avvocati dove vi è più litigiosità, proprio perché vi è più lavoro e vi sono più opportunità. In tal caso, il numero chiuso sarebbe una distorsione imposta dall’alto e porterebbe più danni che vantaggi, quali ad esempio rendite e inadeguatezza del servizio.
Assai più neutro e con maggiori garanzie di successo sarebbe invece un intervento che modifichi la formula di determinazione dell’onorario degli avvocati, attualmente a prestazione, in una modalità a forfait, che favorirebbe un concorrenza virtuosa tra i legali incentivando l’alleggerimento dei fascicoli processuali e riducendo i tempi dei processi.

(1)Rapporto Isae “Priorità nazionali. Infrastrutture materiali e immateriali”, giugno 2008, http://www.isae.it/Rapporti_trimestrali/Rapporto_ISAE_giugno_2008.pdf

Foto: Inaugurazione anno giudiziario – Il presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone (Fotografia © Agostino e Daniele Scudieri) – www.giustizia.it

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

17 commenti

  1. Marco Mecacci

    Da operatore pratico (avvocato), mi meraviglio della chiusura corporativa che il Presidente Carbone, nel 2009, vorrebbe applicare anche agli avvocati, istituendo un numero chiuso. Afferma: + avvocati = + cause – avvocati = meno cause. Gli avvocati sono "troppi", ergo va applicata la seconda equazione. Ad esempio, si cita da tempo la Francia, che ha il 25% dei legali italiani, e un contenzioso assai ridotto. Le poche esperienze di "diritto francese" che ho provato, mi dicono però che i colleghi francesi, ad esempio, "lasciano perdere" cause di malpractice sanitaria da cui sono seguite gravi lesioni alla colonna vertebrale del paziente "perché ritenute minimali". Il "quantum" corrisposto a seguito di morte di un congiunto, è poi risibile rispetto all’Italia e al resto d’europa. Si dica chiaramente: – avvocati = – cause – cause = – lavoro per chi giudica. Già oggi chi giudica non pare "sacrificarsi" più di tanto; così dicono i dati in crescita esponenziale sui procedimenti disciplinari a carico dei "magistrati fannulloni". Forse la "vera" riforma della giustizia potrà dirsi compiuta solo quando – su spinta europea – sarà seriamente riformata la responsabilità civile dei magistrati.

  2. salvatore providenti

    Potrebbe esserci una relazione tra numero degli avvocati e dimensione media delle imprese italiane: le imprese medio-piccole si rivolgono a professionisti anche per attività che in imprese medio-grandi vengono svolte da in house counsel. Se vi fosse un maggior sviluppo della figura del legale interno (come in altri paesi, specie anglosassoni) vi sarebbero meno avvocati iscritti all’albo e forse anche meno litigiosità.

  3. Gabriele Andreella

    L’articolo è sostanzialmente condivisibile, tranne che nell’ultima parte dove, a fianco di una proposta di riforma dell’ordine forense, manca un’analisi sulla causa del così grande numero di avvocati (sono solo abbozzate delle ipotesi generali – come se in Italia non fosse fin troppo chiaro il motivo. Come se l’autrice facesse finta di non vedere l’abnorme influenza politica degli avvocati, i quali hanno tutto l’interesse che il Parlamento legiferi in modo che gli iter normativi richiedano il bisogno degli avvocati stessi. Come se l’Italia non avesse un sistema iper-garantista che permette l’impunità a coloro che si possono permettere economicamente questi stessi azzeccagarbugli. Come se questi garbugli non fossero creati ad hoc da parlamentari-avvocati o da parlamentari-imputati).

  4. Vittorio Bonini

    Concordo coll’interessante analisi che la dr.sa Marchesi fa sul piano economico e dell’efficienza del sistema giustizia: troppi tribunali, troppe corti di piccola dimensione e con poco "traffico giuridico". Non concordo con le conclusioni del Primo Pres. Cassaz. Carbone, sull’eccessivo numero degli avvocati (di per sé effettivamente altissimo) quale una delle cause dell’inefficienza del sistema giustizia; alcuni esempi del perché in Italia servono più avvocati rispetto agli altri Paesi della lista CCBE? Ci si è chiesti in quale di questi Paesi una compagnia assicurativa non paga il danneggiato pur in presenza di ordinanza esecutiva del giudice? Ci si è chiesti in quale altro Paese la P.A. non fornisce la documentazione in base alla quale ha emanato un determinato provvedimento seppur ordinato da una sentenza del TAR? In quale altro Paese il concessionario della riscossione, seppur a voce ammetta l’errore, pignora comunque l’immobile della persona sbagliata invitandola "…a fare ricorso…"? In quale Paese l’avvocato apprende solo 3 min prima della tanto attesa udienza che essa viene rinviata d’ufficio a circa 1 anno dopo per imprecisata ed incontrollabile assenza del giudice?

  5. Giorgio Zanutta

    Una buona analisi, anche se a me sembra manchi il rapporto sul n° leggi e raffronto tra il n° avvocati, il n° dei giudici e cancellieri rispetto alla popolazione (ogni quanti abitanti) dei paesi a confronto (anche se la litigiosità può dipendere sia dalla caratteristica di un popolo quanto della sua struttura sociale). Ma se da questi raffronti si potrebbe desumere la più o meno efficienza del sistema riferito alla produzione di sentenze e tempistica, c’è un altro esame che sembra lasciato a margine o poco considerato generalmente ed è quello della soddisfazione cliente come risultato: come percepisce la giustizia il cittadino in riferimento anche al risultato delle sentenze? E’ differente infatti il senso che si ha davanti ad una causa durata 18 anni ma che ti reintegra in pieno nei tuoi diritti da una che ti reintegra parzialmente o affatto. Il cittadino che si reputa leso nei suoi diritti e si lamenta delle sentenze in che n° sono ed a chi danno la causa (se ne fanno una causa) eventualmente? Giudici, legislatori, avvocati, procedure?

  6. danilo d'antonio

    Armonica Rotazione Sociale (ARS). 1) Per una democratizzazione della Pubblica Amministrazione, quindi per un Pubblico Impiego assegnato a rotazione tra quanti desiderino svolgerlo ed abbiano i necessari requisiti di competenza, io voto: SI’. 2) Per un bilanciamento del nostro assetto economico, quindi per una ripartizione delle attività economiche di pari peso tra settore pubblico e privato, io voto: SI’. 3) Per l’istituzione della garanzia di un tempo di lavoro minimo, assistita a sua volta da un reddito da cittadinanza tra l’assegnazione di un ruolo ed un altro, io voto: SI’. 4) Per una rotazione del personale in diversi ambiti di competenza, e parimenti entro uno stesso ambito, quindi per l’affermazione di una cultura sistemica, organica, olistica, che integri la cultura specialistica, io voto: SI’. Danilo D’Antonio nella Seduta n. 523 del 22/4/1999: http://web.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed523/s020.htm http://Pubblica-Amministrazione-Democratica.hyperlinker.org

  7. umberto carneglia

    Ho diretta esperienza del funzionamento degli uffici giudiziari e concordo pienamente con la diagnosi di D. Marchesi. Ritengo che sarebbe in primo luogo necessario da un lato semplificare le norme, troppo spesso farraginose ed ingombranti, dall’altro dare una gestione manageriale ai processi ed agli uffici giudiziari. Ci sono elementari e basilari problemi organizzativi da risolvere in un’attivita’ che produce un prodotto cosi’ complesso com’e’ un processo ed occorre qualcuno che organizzi e controlli queste attivita’ con una visione efficientista, ovviamente senza interferire nel merito del giudizio che spetta al Giudice.

  8. Massimo Merighi

    Piu’ i processi si allungano piu’ gli avvocati si assicurano un lavoro, piu’ la giustizia non funziona piu’ servono avvocati e l’anello si chiude! In un parlamento formato dal 67% della categoria sopra indicata non ritengo possibile che una eventuale riforma possa avvenire in maniera da agevolare chi e’ il beneficiario reale del sistema giustizia, il cittadino vittima, ma che ancora una volta serva ad agevolare chi opera solo nella giustizia.

  9. lorenzo albertini

    Credo che: -sia vero che molti avvocati favoriscano l’incremento delle pendenze giudiziarie; -molte cause siano promosse superficialmente e ciò andrebbe scoraggiato (in che modo? ad es., non tanto tassando quanto agendo pesantemente sullla liquidazione delle spese di lite quando la domanda o la difesa de convenuto siano palesemente infondate).

  10. martino

    i) la proliferazione del numero di avvocati, la loro sempre più scarsa formazione dovuta anche alla assenza di qualsivoglia filtro in tutto il corso di studi (l’obbligo del liceo classico, abbiate pazienza, era sacrosanto, proprio per la funzione di filtro che aveva e che, a sua volta, l’avvocato ha rispetto all’accesso alla giustizia); la mancata collaborazione tra università ed ordini per tenerne a bada il numero. ii) Scarsi controlli sul lavoro dei magistrati, alcuni dei quali lavorano poco, non leggono gli atti e non decidono mai (eccessivo uso CTU) e scarso uso, da parte loro, dei mezzi che l’ordinamento processuale gia’ predispone che potrebbero far desistere dal proporre cause. Ad esempio: la soccombenza nelle spese (troppe volte si hanno spese compensate); iii) eccessivo potere dei giudici civili di riqualificare i fatti oggetto della domanda; se fosse lasciato alle parti l’obbligo di qualificare giurdicamente la fattispecie, sarebbe onere degli avvocati individuare subito il punto della controversia, salvo vedersi rigettare come inammissibile l’azione proposta. A quale costo? Zero in termini economici, ma molto in termini socio-politici, specie il punto i). Au revoir

  11. rosario nicoletti

    L’eccessivo numero degli avvocati, conseguenza dell’inefficienza della giustizia, dimostrabile dai raffronti con gli altri paesi, non deve fuorviare nel pensare ai rimedi. L’articolo è sostanzialmente condivisibile, e vorrei segnalare che il tribunale di Torino, (ri)organizzando il lavoro degli uffici ha ottenuto importanti risultati nella “velocizzazione” delle cause civili. Non mi soffermo, essendo il tutto scritto nel libro di Abravanel, “Meritocrazia”. Un punto importante, sollevato in un commento, è quello relativo alla “compensazione delle spese”, di cui si largo (ed improprio) uso; così come sarebbe importante controllare gli eccessi nelle nomine di CTU. Per sfoltire il numero dei processi, sarebbe sensato costringere l’attore a presentare ogni documento a supporto, e verificare preliminarmente l’accettabilità del ricorso. Ad ogni modo fino a che non vi sarà un controllo sulla produttività dei singoli magistrati, e non sarà possibile liquidare a forfait le parcelle degli avvocati, la lentezza dei processi sarà inevitabile.

  12. sergio

    Già oggi è possibile, attraverso l’accordo tra avvocati ed assistito, modulare il sistema tariffario. Se si guardano i redditi medi di un avvocato di 30-35 anni in Italia credo si possa affermare che la causa della numerosità degli avvocati non è nella domanda (se le persone sono razionali). Allora forse il numero chiuso diviene una soluzione da percorrere.

  13. Alessio

    Faccio un esempio. Non si è mai visto che, se vi è una quantita’ smisurata di venditori di mele, questi prolifichino a dismisura. E’ vero invece che se tutti vogliono mangiare mele crescerà il numero di venditori! Ma e’ altrettanto vero che se tutti vogliono mangiare mele e limitiamo il numero di venditori, questi inizieranno a non avere concorrenza, a non essere efficienti e ad aumentare i prezzi, come notai, tassisti e farmacisti. Gli avvocati non vanno solitamente in giro a farsi pubblicità o a sponsorizzarsi o a fomentare disordini e cause.

  14. angelo agostini

    Articolo interessante, direi che andrebbe sotttolineata maggiormente la necessità della semplificazione delle procedure, oltre che della razionalizzazione e gestione manageriale delle risorse. Tutti sanno che in fatto di leggi e norme il nostro paese è particolarmente prolifico, e che la mentalità degli adetti al settore è assolutamente orientata al rispetto della correttezza formale, e non dell’effettiva efficacia e giustizia intrinseca. E non tutto questo accade nella piena buona fede. Viviamo però in un paese in cui gli interessati non riescono a far di meglio che ad accusarsi reciprocamente: es. qualcuno ha suggerito nel suo commento che il desiderio di diminuire il numero ridicolo di avvocati sarebbe artificialmente fomentato da magistrati pigri desiderosi di ridurre ulteriormente il proprio carico di lavoro. La perla è però nell’affermare che la colpa è del mancato obbligo di liceo classico! Dove pensiamo di andare nel mondo globalizzato del 21. secolo con questa mentalità da azzeccagarbugli di provincia? Come faranno nel resto del mondo, dove il liceo classico non esiste affatto, a non morire sepolti dalle cause arretrate?

  15. micc

    Negli anni ’90 si riformò il processo civile perchè lento; i responsabili erano gli avvocati che chiedevano rinvii avendo interesse alla lunghezza del processo; dopo la riforma il processo restò lento. Venne ulteriormente riformato, sempre per impedire agli avvocati di ……prevedendosi termini perentori (=rischio di errori). Il processo restò lento; abolita la pretura, introdotti il giudice monocratico, il g. di pace (=meno garanzie) e i riti speciali il processo è rimasto lento. Si agirà sul numero degli avvocati ma il processo resterà lento. Il problema vero è una pubblica amministrazione dove l’efficienza è lasciata al senso del dovere individuale, presente ma non frequente. Tra le tante anomalie del sistema, note a tutti, vi è il sovraffollamento del personale amministrativo in talune regioni quando è scarso in altre. Cosa si aspetta ad imporre i trasferimenti? L’Italia è il sistema dei "termini ordinatori"; termini che, se scadono, non succede nulla e che quindi non sono veri termini. I termini assegnati ai giudici civili sono ordinatori. quando i giudici avranno dei termini perentori (=sanzionati) come tutti in questo mondo?

  16. barbara raggi

    Non sono avvocato né magistrato, solo una giornalista free lance che ha avuto la ventura di seguire molti processi civili per di più di scarsa rilevanza. Trovo meraviglioso il fatto che i giudici parlino sempre di "sistema giudiziario" come se non ne fossero parte. Non devono giustificarsi se concedono rinvii di due anni; se non si presentano alle udienze, se per produrre una sentenza impiegano sei anni quando una persona dotata di buon senso ne impiegherebbe due. Molti di loro sembrerebbero più versati per la filosofia che per l’amministrazione della giustizia a persone in carne e ossa, che se portano qualcuno in tribunale è per necessità e non certo per svagarsi. I giudici non timbrano cartellini di presenza, si portano a casa un discreto stipendio, godono di un anno lavorativo dimezzato rispetto ad altri mestieri. In nome della sacrosanta indipendenza della magistratura rifiutano qualunque controllo sul loro operato. Poi inaugurano l’anno giudiziario senza neanche un filo di autocritica. La responsabilità è sempre dei cittadini litigiosi, degli avvocati e della procedura. Un mistero italiano come un altro.

  17. Sebastiano Corrias

    Inaugurazione anno giudiziario 1996 – Proc. Gen. ZUCCONI GALLI FONSECA: "La legalità è ferita in ogni settore e ad ogni livello, la coscienza civica e quella morale sembrano decadere sempre più, la criminalità non recede, la corruzione invade molti degli apparati pubblici, ricorrenti sanatorie di illeciti manifestano l’impotenza dello Stato all’accertamento e alla repressione e diseducano i cittadini al rispetto della legge, i controlli amministrativi sono fiacchi ed insufficienti, le leggi sono troppe e farraginose, per lo più oscure e mal redatte….La sfiducia che questo stato di cose genera negli italiani onesti può trasformarsi in cedimento e lassismo e produrre a sua volta nuova illegalità…..L’inefficienza a sanzionare i comportamenti illeciti aumenta il loro numero: questo aumento è causa di nuovo lavoro giudiziario che produce e aggrava l’inefficienza; le lentezze sono poi fonte di una domanda di giustizia aggiuntiva, quella che punta sui ritardi processuali per differire al massimo le decisioni finali…" Domanda: da allora è cambiato qualcosa?

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