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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti. La maggior parte dei commenti solleva i seguenti punti, strettamente connessi tra loro:
1- Perché il lavoro si concentra sull’andamento del tasso di criminalità complessivo anziché sulla (maggiore) propensione al crimine dei cittadini stranieri che emerge dalle statistiche sulla popolazione carceraria?
2- Come si concilia il risultato principale della nostra analisi, e cioè che l’aumento dei flussi migratori non abbia portato ad un aumento significativo del crimine in Italia, con la maggiore incidenza dei cittadini stranieri (rispetto a quelli italiani) sul totale della popolazione carceraria?

In questa risposta provo a chiarire la nostra scelta riguardo alla variabile di interesse (punto 1.) e suggerisco alcune ipotesi che possono riconciliare i nostri risultati con gli alti tassi di incarcerazione osservati tra la popolazione straniera (punto 2.).
Relativamente al primo punto, abbiamo scelto SI–>DI studiare l’effetto dell’immigrazione sul tasso di criminalità complessivo perché ci sembra quello maggiormente rilevante ai fini delle politiche sulla sicurezza, in quanto i costi sociali ed economici del crimine non dipendono dalla nazionalità di chi lo commette. L’incidenza degli stranieri sulla popolazione carceraria è, in prima approssimazione, un’informazione potenzialmente utile per determinare quanta parte di tali costi è attribuibile all’immigrazione; tuttavia, può essere fuorviante se la variazione delle condanne a carico di cittadini stranieri non implica necessariamente una variazione di pari entità (o quantomeno proporzionale) dei crimini totali.
Questo è un punto cruciale, che ci porta direttamente al secondo quesito: come è possibile che gli stranieri si caratterizzino per una maggiore probabilità di finire in carcere e, allo stesso tempo, un’intensificazione dei flussi migratori non si traduca in un aumento del tasso di criminalità complessivo? A questo proposito, è doveroso ribadire che il nostro lavoro non analizza in dettaglio le cause della diversa propensione al crimine dei cittadini stranieri e italiani, quindi quelli che seguono sono solo alcuni spunti di riflessione (la maggior parte dei quali, peraltro, già suggeriti in alcuni commenti al nostro articolo).
In primo luogo, confrontare la propensione al crimine di due gruppi sulla base della loro incidenza sul totale della popolazione carceraria richiede quantomeno che, a parità di altre condizioni, la probabilità di essere incarcerati dato che si è commesso un crimine sia la stessa tra i due gruppi. Tale condizione può essere violata quando si confrontano cittadini stranieri e italiani per diverse ragioni. La più importante (ma ce ne sono altre) è che differenze reali tra i due gruppi in termini di propensione al crimine potrebbero essere notevolmente amplificate dalla discriminazione statistica nei controlli. Con tale termine ci si riferisce ad una discriminazione che non è motivata da avversione verso un determinato gruppo (in questo caso gli immigrati) ma piuttosto dal fatto che, se tale gruppo è maggiormente a rischio di commettere crimini e se i suoi appartenenti sono chiaramente riconoscibili (per esempio sulla base dei tratti somatici), è razionale ed efficiente concentrare i controlli su quel gruppo. Ne discende che differenze nei tassi di incarcerazione riflettono disporporzionatamente le effettive differenze nella propensione al crimine.
Un esempio può essere utile per chiarire questo punto. Immaginiamo che la popolazione sia composta da 50 individui di tipo A e da 50 di tipo B, e che per ogni reato commesso l’autorità di pubblica sicurezza possa indagare su un solo individuo. La reale propensione al crimine (intesa come probabilità di commettere un reato) è uguale all’1% per gli A e all’1,1% per i B. A parità di altre condizioni, dovendo scegliere se controllare un A o un B, l’autorità di pubblica sicurezza sceglierà (razionalmente ed efficientemente) di controllare sempre il B, perché ha una maggiore probabilità rispetto all’A di essere colpevole. Ne consegue che i B (qualora vengano ritenuti colpevoli) saranno gli unici ad andare in carcere; un’incidenza leggermente superiore al 50% nel numero reale di crimini commessi (1,1/2,1=52%) si è trasformata in un’incidenza del 100% sulla popolazione carceraria.
Questo esempio rappresenta ovviamente un caso limite, ma chiarisce come, in linea di principio, la significativa ricomposizione della popolazione carceraria potrebbe essere determinata da una propensione al crimine degli immigrati lievemente maggiore, ma di per sé insufficiente a muovere significativamente il tasso di criminalità. Si noti, a questo proposito, che la componente regolare dell’immigrazione rappresenta circa il 6% della popolazione residente e un’analoga percentuale degli individui denunciati. La maggiore incidenza degli stranieri sulla popolazione carceraria è dunque dovuta esclusivamente alla presenza irregolare, la cui incidenza sul totale della popolazione residente è ovviamente difficilmente quantificabile. Tuttavia, le stime effettuate sulla base delle domande di regolarizzazione suggeriscono un limite massimo inferiore al 30% della popolazione straniera, quindi inferiore al 3% del totale della popolazione residente in Italia; numeri senz’altro rilevanti, ma probabilmente insufficienti a muovere il tasso di criminalità aggregato, anche in presenza di un’effettiva maggior pericolosità degli immigrati irregolari rispetto al resto della popolazione.
Infine, un ulteriore elemento che, in linea di principio, può riconciliare la maggiore incidenza degli stranieri sulla popolazione carceraria con l’assenza di effetti significativi sul tasso di criminalità complessivo, è la relazione tra immigrazione e propensione al crimine dei cittadini italiani. Analogamente a quanto avviene talvolta in alcuni segmenti del mercato del lavoro "ufficiale", anche nel settore illegale la maggiore partecipazione (e competizione) degli immigrati può diminuire i guadagni degli altri individui (italiani), inducendoli ad abbandonare tali attività. Se questo avviene, l’attività criminale degli stranieri si sostituisce a quella degli italiani, determinando una maggiore incidenza DEGLI–>DEI primi sul totale dei crimini commessi (e quindi sul totale della popolazione carceraria) senza che ciò abbia effetti rilevanti sul tasso di criminalità aggregato.

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  1. AM

    Mi sembra interessante l’ultima ipotesi di Pinotti volta a spiegare l’apparente inconciliabilità della maggior propensione al crimine degli immigrati con la stabilità del crimine in Italia (in presenza di aumento degli immigrati) con un processo di sostituzione nel settore malavitoso. Almeno per quanto riguarda il Nord Italia e per certe tipologie di crimine (ad es. spaccio di droga, furti in appartamento e sfruttamento della prostituzione) gli stranieri hanno soppiantato la malavita locale. Vi è poi da considerare l’andamento demografico, poiché certi tipi di crimini sono collegati all’età ed alla prestanza fisica. La nostra società sta invecchiando ed indebolendosi (ragione per cui tendiamo ad assumere il ruolo di vittime del crimine piuttosto che di autori) mentre gli immigrati sono giovani, pieni di energie, di entusiasmo, di pulsioni e di fantasia (doti invidiabili, ma in qualche caso male utilizzate).

  2. f.m.parini

    Nel mio commento ho indicato un rapporto esclusivamente numerico, non omogeneo, per evidenziare un fenomeno. Concordo con la necessità di analizzare i dati e confrontarli con classi omogenee, ma ciò evidenzierebbe comunque che il rapporto, in determinate fasce di età, è sempre maggiore per gli stranieri i quali in Italia sono costituiti da un campione anagrafico non omogeneo e rappresentativo.

  3. Nadia Valgimigli

    Per leggere i dati occorre a volte essere stati a contatto con certe realtà…In particolare, dovendo decidere se trattenere in carcere o stabilire percorsi alternativi nei confronti di un giovane italiano, o di un giovane immigrato, chi decide (dall’agente che procede al primo fermo al giudice che chiude l’iter) osserva che il primo può essere controllato: ha una famiglia con un lavoro più o meno stabile, una casa con un indirizzo esistente, appartiene a un certo territorio dalla nascita. Sembra normale fare di tutto perché possa reinserirsi nella società civile. Il secondo di solito non ha una casa, nessuno può garantire per lui, è possibile che cerchi di fuggire all’estero (visto che è nato e vissuto all’estero), quindi appare più "ragionevole" metterlo in carcere se è possibile. Dobbiamo meravigliarcene?

  4. AM

    Contrariamente a quanto afferma un intervento precedente, ritengo che molti magistrati, se non si è in presenza di reati particolarmente gravi, non a torto optano per l’espulsione invece che per la carcerazione.

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