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NON CI RESTA CHE CRESCERE

Si riaffaccia sui mercati il rischio-paese, confermato dalla pessima situazione economica e finanziaria di numerosi stati. In Italia è visto come un limite all’attuazione di una politica economica espansiva. E la questione torna a essere quella di garantire la sostenibilità del debito in maniera credibile. La strada migliore è un’azione volta a innalzare il tasso di crescita del prodotto. Se la crescita non ripartirà, anche gli equilibri del nostro bilancio pubblico resteranno fragili, obbligando il governo a politiche di carattere quasi punitivo nelle fasi basse del ciclo.

E’ da meta settembre che sui mercati emerge di nuovo un “rischio-Paese”, confermato dalla pessima situazione economica e finanziaria in cui si trovano numerosi paesi. Come altre volte in passato, ciò si accompagna ad una flight-to-quality che privilegia i paesi maggiori all’insegna del principio, tante volte ascoltato nell’ultimo anno, del too-big-to-fail. Ad esempio, nonostante la gravità della situazione finanziaria ed economica degli Stati Uniti, che è sicuramente oggi fra quelle più peggiorate al mondo, dopo metà settembre è il dollaro USA che si rivaluta e sono i tassi USA che si riducono di più.
In ambito Euro, il “rischio-Paese” colpisce soprattutto i paesi meridionali: Italia, Grecia, Portogallo, Spagna. Nel dibattito politico italiano, ciò viene interpretato come un nuovo limite (di mercato e quindi più rilevante dei soliti appelli di Bruxelles) alla possibilità di una politica economica espansiva. Il mercato finanziario ci manda a dire che abbiamo troppo debito pubblico e quindi non se ne può fare più di quanto già previsto. Questa rimane la posizione ufficiale del Governo, nonostante il Presidente del Consiglio avesse inizialmente tentato una parziale correzione, ridimensionando la “pagella” che viene dai mercati, con la tesi che l’elevato risparmio e il poco debito privato italiano misurano una nostra posizione relativa migliore quanto alla sostenibilità del debito pubblico.
Ma è vero che lo spread, rispetto al benchmark dato dal Bund tedesco serve a delimitare i gradi di libertà della nostra politica di bilancio? Oppure quello spread misura (come sostenuto da M. Feldstein) la tenuta della zona-Euro e quindi la capacità di sopravvivenza dell’Euro? Più in generale, in epoca di totale sfiducia nei confronti della capacità dei mercati di prevedere i guai che man mano si verificano, è possibile attribuire a questo spread la corretta misura dell’interesse dell’Italia?
Poiché tale spread misura la percezione del mercato del rischio sui titoli di Stato italiani, il tema su cui riflettere è relativo alla probabilità che l’Italia sia colpita da un default del debito. Viceversa, potrebbe trattarsi di un cambiamento nell’atteggiamento dei mercati, divenuti più accorti nel prezzare un rischio che non sarebbe però mutato rispetto a pochi mesi fa. Infine, potremmo essere un paese sostanzialmente solido, ma la cui percezione da parte dei mercati, in una fase difficile come quella attuale, è distorta: un indiscriminato incremento del premio al rischio su tutti i tipi di asset ci costringe per ora a pagare tassi d’interesse troppo elevati.
In tutti e tre i casi, per la politica economica italiana la questione torna ad essere quella di garantire la sostenibilità del debito in maniera credibile, tale cioè da ricondurre la probabilità di default, e il relativo premio richiesto dai mercati, su valori prossimi a zero. A seconda del caso in cui ci troviamo, l’accento deve però essere spostato dal rafforzamento delle condizioni di sostenibilità a quello della relativa credibilità.

PREVISIONI E PRIORITÀ

Rispetto a ciò, tre sono le variabili in gioco: il livello iniziale del debito, la nostra crescita reale e il tasso d’inflazione; da esse si deriva – residualmente – il deficit che possiamo permetterci nei prossimi anni. Si comprende subito come, in un quadro economico come quello attuale, la scommessa non produca esiti scontati. Chi è oggi in grado di formulare una previsione su crescita e inflazione su un orizzonte temporale di medio termine, senza associarvi un ampio margine di incertezza?
Sulla crescita, i timori legati alla crisi internazionale si sovrappongono a quelli più specifici della nostra realtà domestica; già prima dell’aggravarsi della crisi le stime della crescita potenziale italiana non andavano molto l’1 per cento all’anno. Oggi, dopo lo scoppio della crisi la quantificazione della crescita potenziale dell’economia italiana deve essere rivista al ribasso; un trend di crescita vicino allo 0.5% all’anno non pare peccare di particolare pessimismo.
Assumiamo una crescita dei prezzi in linea con il target della Bce, e che dopo uno sforamento di un paio d’anni si desideri mantenere il deficit su un valore del 3 per cento; valendo entrambe le ipotesi, si può quantificare l’obiettivo “critico” di crescita del prodotto, al di sotto del quale il rapporto debito/PIL continua a crescere, in un tasso dell’1,1 per cento. Volendo imprimere a tale rapporto una traiettoria debolmente decrescente, occorre invece portare la crescita almeno verso l’1.5 per cento (ma in questo caso nel lungo periodo il debito si stabilizza appena poco sotto il 100 per cento); per puntare al 60 per cento di Maastricht sul rapporto debito/Pil abbiamo bisogno di una crescita del 3 per cento all’anno!
Una crescita del Pil vicina all’1,5 per cento diventa quindi oggi un obiettivo minimo. Si tratta di un valore apparentemente semplice da raggiungere, ma anche tale requisito non è affatto scontato. In assenza di una strategia di politica economica in grado di incidere sulla crescita potenziale dell’economia, nulla ci garantisce che le forze spontanee del sistema si portino verso tale valore.
Per restituire solidità agli equilibri finanziari, la strada più plausibile è quella di una azione volta a innalzare la crescita del prodotto. Meno importante è una politica improntata a estremo rigore nel breve, sino a rinunciare anche ad un grado minimo di espansione fiscale in una fase di recessione, se poi non si avvia contestualmente un insieme di riforme ad ampio stretto. Il richiamo è a tutto il filone legato alla cosiddetta “strategia di Lisbona” e che ci riconduce alle grandi scelte in tema di politiche per la concorrenza, innovazione, ricerca, capitale umano.
Il legame fra crescita e risanamento dei conti pubblici va del resto al di là dell’effetto algebrico che porta ad una sostenibilità dei conti più agevole in presenza di un prodotto che accelera. Conta anche la sostenibilità sociale: una maggiore crescita di reddito e occupazione rende sostenibili più alti carichi fiscali, e meno necessaria quella parte della spesa sociale che nelle fasi difficili risulta invece essenziale.
Poiché il concetto di crescita cui facciamo riferimento è quello rilevante per la sostenibilità del debito, e dunque quello che il sistema è in grado di mantenere nel medio termine, è anche chiaro che poco conta l’aspetto del passaggio congiunturale che stiamo attraversando, mentre rileva di più la nostra capacità di uscire bene dalla crisi. Se la crescita non ripartirà, anche gli equilibri del bilancio pubblico in Italia resteranno fragili, mantenendo la politica fiscale su un sentiero impervio, e obbligando i Governi a politiche di carattere quasi punitivo nelle fasi basse del ciclo economico.

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12 commenti

  1. Maurizio

    La strada migliore è una azione volta ad innalzare il tasso di crescita si ma come? vuol dire una azione volta ad incentivare chi produce ad es. le imprese? Mi pare che in Italia non ci si pensi neppure anzi … si pensa di estorcere percentuali più alte fantsticando sui risultati magnifici della lotta all’evasione. Ormai l’estorsione/tassazione rende poco praticabili alcune attività produttive e molte imprese chiudono, il racket fiscale deve garantire sempre più soldi ad un sistema che ne spende sempre più ed è sempre più indebitato. Mi pare che a record di pressione fiscale corrisponda record di indebitamento e di spesa Ritengo che la Famiglia mafiosa Italia debba iniziare a spendere meno e a mantenere molti meno picciotti che non fanno nulla e vogliono garanzie. Fare questo in periodi di crisi contrasta la dottrina economica ma con il prossimo crollo delle entrate e con un record di pressione fiscale o si passa alle maniere forti (gambizzare gli autonomi, rapire gli imprenditori e chiedere riscatti, ecc) o soldi per mantenere questo sistema non ce ne saranno.

  2. mirco

    Posso fare una domanda semplice semplice. Se è vero che in Italia esiste quasi il 40% di PiL sommerso e che quindi non essendo dichiarato evade il fisco, se lo riportiamo alla luce il rapporto dal 106 torna al 60? credo sia cosi quindi basta stanare gli evasori. Non ci preoccuperemmo più del troppo debito e avremmo anzi delle risprse per lo sviluppo e il contrasto alla crisi.

  3. Maurizio

    L’azione migliore è spendere meglio quella grossa parte di PIL gestita dall’Amministrazione Pubblica secondo le regole del bonus pater familiae. Anche se questo vorrrà dire limitare diritti acquisiti di pre pensionati, pensionati d’oro, nullafacenti pubblici ecc ecc. ma se non si può licenziare i dipendenti e i consulenti, non si possono toccare i diritti acquisiti frutto di leggine di rapina, non si può toccare l’indennità di parlamentari, manager pubblici, ministri e consiglieri di circoscrizione, non si possono far lavorare i professori più di 25 ore, i baroni universitari per 90 ore annue, ecc ecc come si può pensare di intraprendere una via di crescita? Perché mai una distruzione d ricchezza così diffusa e sistematica dovrebbe consentire un innalzamento del tasso di crescita? ormai non spendiamo più in infrastrutture, capitale umano, sostenibilità ambientale i numeri ci dicono che sprechiamo in pensioni d’oro, pubblico impiego e sanità.

  4. Nat

    Perché non agire tagliando la marea di spese folli ed improduttive a favore degli investimenti? Forse perché si ha paura che si tocchino i vantaggi acquisiti dalle innumerevoli corporazioni? Ma se non si ha il coraggio adesso, che la crisi dà forza di fare, allora è meglio che i governanti se ne vadano a casa al più presto per manifesta incapacità. Oppure temono le prossime tornate elettorali? Se così fosse siamo in un vicolo cieco da cui sarà difficile uscire, altro che crescita!

  5. nello

    Continuo a leggere sui giornali che l’unica soluzione a questa crisi (anche se non ci fosse stata la crisi il concetto di crescita sarebbe stato lo stesso inevitabile per migliorare il debito pubblico etc etc) è il tasso di crescita del prodotto. La mia domanda è semplicissima: visto che la crescita economica della maggior parte dei paesi è dipesa dalle vendite di case americane (poi cartolarizzate, con tutte le sue implicazioni), come farà ora a ripartire l’economia mondiale se le case americane hanno subito un deprezzamento ed un calo di domanda? secondo: ma che stabilità economica può avere una società se ci si basa solo sull’economia di un paese (gli Usa)? Fermi loro fermi tutti?

  6. Maria di falco

    La priorità è la crescita del PIL. Forse però dovremo anche chiederci: cosa c’è dentro il PIL? Io credo che la misurazione del Pil solo in termini di produzione (di merci e servizi) non sia sufficiente o meglio quali merci e servizi ? Ad esempio, la cura parentale delle donne che scelgono il part time o che scelgono di non lavorare non viene conteggiata nel PIL (piccolo e marginale esempio, lo so! Ma forse tante altre cose importanti non sono nel PIL, perchè non misurabili in termini di prodotto/merce e quindi in termini monetari. E’ interessante come l’uomo sappia crearsi da sè le gabbie in cui rinchiudersi!) Debito pubblico alto: altro grosso anzi immenso problema! La domanda è: perchè il denaro pubblico(quello speso per i servizi pubblici o per gli appalti pubblici) non si trasforma in volano dell’economia reale, ma solo in volano della criminalità organizzata ? Perchè nel sentire comune il denaro pubblico vale meno del denaro privato? Eppure è sempre denaro! Ecco che l’economia in quest’ottica non può prescindere dalla politica, intesa come gestione della cosa pubblica.

  7. Giancarlo Mazzone

    Ci sono riforme non portate avanti dall’attuale governo che certamente porrebbero in una luce migliore il profilo di rischio del nostro Paese avendo effetto sulla situazione finanziaria ed economica di lungo periodo. Una riforma da completare è quella pensionistica con l’equiparazione dell’età pensionabile femminile a quella maschile e con il trascinamento in avanti degli anni delle pensioni di anzianità. Una altra riforma riguarda la riorganizzazione delle amministrazioni locali con la fusione dei piccoli comuni in comuni di maggiore dimensione e di più vasta area, con l’abolizione delle province e la eliminazione o la ridefinizione di diverse comunità montane. I risparmi di spesa e l’ attesa maggiore produttività derivante da questi interventi inciderebbero sul rapporto debito pubblico/PIL con la graduale liberazione di risorse da destinare parzialmente in modo più efficace ad altre finalità.

  8. Stefano da Dublino

    Non vedo alcuna speranza per il sistema Italia… la strada mostrata da maurizio… mi pare la più realistica… (lo stato si metta a rapire gli imprenditori ecc…) Tutto merito della generazione tra i 45 e i 75 anni… Le tanto discusse riforme strutturali non vengono portate avanti… A mio giudizio i prossimi 10 anni in Italia saranno interessanti… La generazione dei precari raggiungerà i 40/ 50 anni senza aver avuto un lavoro stabile… se avranno avuto la fortuna/disgrazia di sposarsi non riusciranno a mantenere il nucleo familiare… di comprare la casa se lo possono scordare… mutui facili in Italia non ci sono mai stati (almeno non come in america). I pensionati cresceranno ancora di più… come i costi sanitari per mantenerli in vita. I lor signori evasori continueranno ad evadere… al primo accenno di controllo più intensi… sposteranno i loro investimenti all’estero.. Aziende italiane non abituate alla competizione verranno falciate all’estero e l’italia diventerà terra di conquista per società straniere (le quali data la riottosità dei sindacati produrranno qualsiasi bene all’estero). Un bel tasso di disoccupazione oltre il 10%: la ciliegina sulla torta! Scappate!

  9. Luigi Mancini

    Vado a memoria e non sono un esperto, quindi mi aspetto eventuali smentite, ma da quel che ricordo per letture sparse il PIL prima che un indice di prodotto e’ un indice di spesa. Si parte dal presupposto che più uno spende per produrre e piu’ produce, quindi l’indice di spesa e’ indicativo della produzione. Ma in Italia questo non è vero. A causa del sommerso e degli innumerevoli sprechi, di cui abbondante parte di origine politica, la spesa e’ altissima ma sappiamo bene che il prodotto correlato non è paritario né per quantità né per qualità. Oggi in Italia per politiche clientelari ci sono spese enormi con risultati zero. Si veda molti degli scandali al sud per depuratori mai fatti o in tutta Italia per viadotti, strade e superstrade iniziate e mai finite, carceri fatte e mai aperte e simili. Vanno tutte nella voce "infrastrutture", alzano la spesa e quindi il PIL ma in realtà sono pozzi neri per soldi senza riscontro. QUesto per dire che alzare il PIL in Italia non e’ necessariamente una cosa buona, ma e’ di sicuro un metodo certo (e da molte parti politiche voluto e incoraggiato ) per chiedere piu’ soldi ai contribuenti e farli finire nelle tasche degli amici.

  10. maria di falco

    Vorrei fare seguito alla e.mail dell’altro giorno sulle modifiche da apportare alla determinazione del PIL, per cancellare l’impressione di velleità nelle cose che si dicono in questo campo. E vorrei citare un intervento sulla Voce del 26.2.2004 di Enzo Di Giulio dal titolo"Un PIL a tonnellate". Sarà agevole trovarlo nei vostri archivi da parte degli autori dell’articolo che sto commentando. Mi sembra importante il riferimento all’indizio di malessere a pag. 2 dell’articolo di Di Giulio. Non sono d’accordo sulla conclusione quando parla di "una maggiore felicità" (forse vuole essere ironico!) aspetto umano difficilmente misurabile. Però partendo dal problema dei rifiuti in Italia io traggo due considerazioni. La prima è che dobbiamo cominciare a considerare i rifiuti come fonte di ricchezza e di produzione (penso al ciclo dell’inertizzazione e del riuso organizzato) e qui siamo nell’ambito tradizionale del PIL inteso come misuratore di una transazione economica.D’altro canto si deve cominciare a pensare a livello europeo se non mondiale alla misurazione negativa della spesa relativa alla cura di un tumore da inquinamento o alla spesa di un danno ambientale.

  11. Luca

    Alla luce dell’articolo che condivido non posso che sottolineare come l’azione dell’attuale governo sia miope: invece che investire risorse per spingere la ripresa economica, come a suo tempo illustrato da Keynes e dal suo moltiplicatore, si limita a tagliare quà e là nel tentativo impossibile di mantenere una parità di bilancio. Se un paese taglia i fondi alla scuola, all’università, alla ricerca come fa a non essere considerato a rischio declino dal mercato?Se a questo aggiungiamo un rapporto debito/PIL superiore al 110% non si può che giustificare l’aumento della forbice tra il rendimento dei nostri titoli di stato e quelli della Germania. Nel medio-lungo termina la possibilità che il debito diventi insostenibile è decisamente concreta…

  12. Massimo

    Il problema in Italia è diverso rispetto all’America, non siamo già in crisi da 15 anni (infatti neppure la crisi a noi fa molto effetto) Il nostro problema è la produttività molto bassa anche nel settore privato. Per inalzare la produttività c’è un solo modo: abbassare le tasse e quindi diminuire la spesa pubblica – alzare la spesa pubblica e amentare le tasse da noi è già stato fatto e ci ha portato a questo punto, bassa produttività. Si parla tanto di evasione e prodotto interno sommerso, se ne parla da 30 anni e non si è mai riusciti a fare nulla, perchè la leggi sono sbagliate e spingono all’evasione: se prendo una colf è mai possibile che sia come assumere un’operaio fiat.

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