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PROVACI ANCORA, ZIO SAM

Il Financial Stability Plan della nuova amministrazione americana avrà un effetto leva da duemila miliardi di dollari. Cinque le linee di intervento: capitale bancario, creazione di un fondo di investimento con capitali pubblici e privati, sostegno per nuovi prestiti a consumatori e imprese, misure per evitare il pignoramento della casa ai mutuatari insolventi. Ma è soprattutto su trasparenza e responsabilità delle istituzioni creditizie che si distacca dal piano Paulson, imponendo regole dettagliate per l’utilizzo del denaro pubblico.

 

Il piano presentato dal Treasury americano o Geithner test, come definito da una parte della stampa economica internazionale, introduce elementi di rilevante novità rispetto al precedente piano Paulson, che continua comunque a rimanere in vigore.
Il Financial Stability Plan si caratterizza innanzitutto per l’intervento dei privati, questa volta non solo auspicato, ma istituzionalizzato. Poi per l’abbandono della logica delle mere iniezioni di capitale, che lascia spazio al controllo statale dei bilanci delle banche e quindi all’acquisto di asset da parte di un fondo. Nonché per il tentativo di andare dritti al cuore del problema, il mercato dei prodotti cartolarizzati, e per ovviare a quella che, nella sua applicazione pratica, era risultata essere una debolezza del programma Paulson: la mancanza di trasparenza e accountability delle banche che ricevevano fondi pubblici.
Il piano, che si ritiene avrà un effetto leva da 2mila miliardi di dollari, prevede cinque linee di intervento: sostegno al capitale bancario, creazione di un fondo misto di investimento, iniziative a sostegno di nuovi prestiti a consumatori e imprese, oneri di trasparenza e responsabilità delle istituzioni creditizie e sostegno ai mutuatari per evitare il pignoramento.

PROGRAMMA DI ASSISTENZA AL CAPITALE BANCARIO (CAP)

Per ottenere una valutazione realistica e di lungo periodo delle effettive condizioni di salute delle banche, il Tesoro americano, di concerto con tutte le autorità di supervisione, condurrà un test di stress sui loro bilanci, per valutare se hanno il capitale necessario a esercitare attività di prestito e se sono in grado di assorbire le perdite potenziali che potrebbero derivare da un declino economico più severo di quello che ci si attende. Al test devono sottoporsi obbligatoriamente tutti gli istituti con asset consolidati superiori a 100 miliardi di dollari e solo così potranno avere accesso ai fondi pubblici. Questi opereranno come una forma di “contingent equity” che servirà da ponte per l’ingresso di capitale privato e assicurerà nel breve termine che le banche continuino o incrementino i prestiti all’economia reale. Il sussidio avrà la forma di azioni privilegiate convertibili, il cui dividendo e prezzo di conversione deve ancora essere stabilito. Il fine è comunque quello di congegnare l’equity in modo che le banche abbiano incentivo a sostituirla con capitale privato o a riscattarla. Su specifica autorizzazione, gli istituti potranno chiedere di “scambiare” le azioni relative al precedente piano con quelle dell’attuale. La gestione dei fondi pubblici investiti sarà affidata a un Trust. La maggiore incognita del Cap riguarda l’esatto ammontare di fondi necessari, che potrà essere stabilito solo dopo che i test siano giunti a compimento. 

CREAZIONE DI UN PUBLIC-PRIVATE INVESTMENT FUND (PPIF)

Nel public-private investment fund saranno convogliati capitali pubblici e privati. Il fondo acquisterà gli asset tossici delle banche, per ridurre la componente di maggior rischio dei loro bilanci e incentivare così l’attività di prestito. Il capitale pubblico, inizialmente 500 miliardi, che potranno arrivare fino a mille, sarà fornito dalla Federal Reserve e dalla Fdic, l’agenzia di tutela dei depositi. Nulla si dice invece su chi siano i “privati” interessati – o meglio, che possano avere incentivo – alla partecipazione al fondo. Ad ogni modo, la presenza di capitale privato farà sì che la valutazione del prezzo degli asset illiquidi sia affidata al mercato. Questo dettaglio ha però due conseguenze. Quella positiva è che si può sperare che venga così fissato un valore “giusto” per tali strumenti e che quindi si ristabilisca la fiducia tra gli operatori finanziari, con beneficio anche per i contribuenti che eviterebbero il rischio di pagare troppo o troppo poco, ipotesi questa che comporterebbe la necessità di ulteriori interventi pubblici. Quella negativa è che in realtà anche il fondo misto può divenire “avverso al rischio”, per cui pagherebbe il prezzo più basso possibile: avrebbe l’effetto di comportare immediate perdite contabili per gli istituti che si intendevano aiutare. Le stesse banche potrebbero mostrarsi dunque riluttanti a partecipare al programma. Non a caso, stante il silenzio del legislatore americano sul modus operandi del fondo, vi è già chi propone soluzioni pratiche al problema. (1)

SOSTEGNO AI PRESTITI A CONSUMATORI E IMPRESE

Il governo americano intende aumentare di 200 miliardi di dollari, con effetto leva fino a mille miliardi, una misura già presente nel piano Paulson, ma sinora inutilizzata: la Talf, Term asset-backed securities loan facility. Si tratta di finanziare l’acquisto da parte di investitori privati di prodotti cartolarizzati (Abs) garantiti da prestiti per l’acquisto di auto, carte di credito, o concessi a studenti e piccole imprese, assistiti da rating AAA, nonché commercial mortgage-backed securities (Cmbs), anch’essi a tripla A. Il Tesoro prevede, dietro consultazione con la Fed, di estendere l’ambito di applicazione della misura anche ai non-Agency residential mortgage-backed securities (Rmbs) e ad asset garantiti da obbligazioni societarie. La Federal Reserve continuerà il precedente programma di acquisto di obbligazioni emesse da agenzie governative (le Gse, come Fannie Mae, Freddie Mac e le Federal Home Loans Banks) e mortgage backed securities, per un totale di 600 miliardi. La misura mira evidentemente a riattivare il mercato dei prodotti cartolarizzati ormai in stallo.

TRASPARENZA, ACCOUNTABILITY E MONITORAGGIO DEI FONDI

Su trasparenza, accountability e monitoraggio dei fondi si registra forse il punto di maggior rottura con il piano Tarp. Anche perché le valutazioni del Troubled Asset Rescue Plan emerse dai primi audit sono state nel complesso negative, pur considerando la frammentaria applicazione e le continue modifiche effettuate. È risultato che parte dei soldi pubblici erogati sono stati utilizzati per pagare bonus ai manager, o sono stati trattenuti in bilancio piuttosto che investiti in attività di prestito. Addirittura, in alcuni casi sono serviti per operazioni di fusioni e acquisizioni che hanno prodotto un ulteriore taglio di posti di lavoro. Il nuovo piano prevede, al contrario, che le banche debbano dimostrare come “ogni dollaro ricevuto” abbia permesso loro di continuare a concedere o a generare nuovi prestiti rispetto a quanto sarebbe stato possibile senza il sostegno pubblico. Inoltre devono presentare un piano dettagliato di utilizzo dei fondi e un resoconto mensile di quanti prestiti hanno concesso a consumatori e imprese e quanti prodotti cartolarizzati (Abs, Mbs) hanno acquistato. I dati verranno resi pubblici sul sito del programma. (2)
Gli istituti partecipanti saranno altresì soggetti a restrizioni sui dividendi trimestrali e sull’acquisto di azioni proprie e sulle acquisizioni di imprese, tutte operazioni che in ogni caso dovranno essere autorizzate dal Tesoro. Si prevedono limiti agli stipendi degli amministratori, incluso il caso di stockoption pagabili solo dopo l’uscita del Tesoro, nonché all’acquisto di beni di lusso da parte delle imprese. Si predispospongono anche misure che evitino ogni ingerenza politico-lobbista nell’utilizzo, nella richiesta o nella restituzione dei fondi. Al fine di garantire la massima trasparenza verso i contribuenti, il Tesoro pubblicherà sul sito tutti i contratti effettuati nell’ambito del piano, compresi dettagli sulla quantità di azioni ricevute, sul prezzo di esercizio delle garanzie e sui tempi di rimborso. I dati dovranno essere comparati con i prezzi di mercato di analoghe transazioni, se disponibili.

EVITARE I PIGNORAMENTI

Evitare il più possibile i pignoramenti: è il filo conduttore che pervade l’ultima parte del piano, che si occupa del sostegno al mercato immobiliare.Èperò anche la più scarna e si attendono maggiori dettagli nelle prossime settimane.
Per aiutare i soggetti che rischiano di perdere la casa, il Tesoro e la Fed, da un lato, investiranno fino a 600 miliardi nell’acquisto di obbligazioni e prodotti cartolarizzati emessi dalle Gse e impegneranno risorse fino a 50 miliardi per prevenire pignoramenti “evitabili” di case già occupate. Dall’altro, obbligheranno tutte le istituzioni che aderiscono al programma a partecipare a piani di rinegoziazione dei mutui-foreclosure mitigation secondo regole stabilite dal Tesoro. È anche previsto di dare maggior flessibilità ai programmi Hope for Homehowners e Fha.
Qui l’interrogativo di fondo riguarda i soggetti specificamente deputati a effettuare la rinegoziazione dei mutui e a evitare i pignoramenti: giudici fallimentari? Camere di conciliazione? E che incentivo sarà dato alle banche per partecipare a tali piani?

(1) Si veda Sachs, A strategy of contingent nationalisation, in www.voxeu.org
(2) www.financialstability.gov

Foto: New York Stock Exchange, da internet

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IL GOVERNATORE DI AQUILONI

  1. Antonio Aghilar

    Sono più avanti di tutti gli altri. Che si tratti di promuovere le "virtù" del libero mercato o di correre ai ripari per sanarne gli squilibri, proponendo una "statalizzazione dell’economia" che fino a un anno fa avrebbe fatto gridare allo scandalo tutti i "neo-classici" (che del resto insistono a dire che il libero mercato esiste davvero e funziona pure…) sono sempre più avanti. Inutile dire che alla fine, con ogni probabilità, gli USA usciranno da questa crisi più forti di prima. Inoltre, se davvero l’opera di riconversione energetica di Obama avrà successo, anche dal punto di vista della geo-politica si affrancherebbero dalla (costosissima) necessità di "controllare" le risorse petrolifere… E l’Europa? L’Europa dovrà accodarsi. E qui forse c’è un pericolo che forse pochi avvertono. Perchè quando (e se) ripartirà la locomotiva USA, lo farà molto probabilmente su binari diversi da quelli su cui ha corso finora (scarsa accumulazione di capitale, poco risparmio, troppi consumi). Ed a quel punto chi non avrà avuto la capacità di rinnovare il "materiale rotabile" rimarrà sul vecchio binario e comunque indietro, molto, molto indietro…

  2. Arcangelo Esposito

    Il piano ha tanti bei numeri, la realta` ad oggi che per esempio in California solo 25 (venticinque) homehowners sono riusciti a rinegoziare il mortgage. La realta` e` che molte banche non hanno poi molto interesse nel voler rinegoziare o fare short sales per evitare le foreclosures. Sembra che preferiscano andare a foreclosure per mostrare perdite, a me sembra che stiano alla finestra aspettando di capire quanto potranno "mungere" il governo federale.

  3. Arcangelo Esposito

    Molti mutui non sono più in mano al lender originario, sono stati acquistati da grandi gruppi ed assicurati. Che convenienza hanno i lenders americani ad andare in short sale o rinegoziazione del mutuo quando andando in foreclosure possono recuperare quasi il 100% del credito assicurato? Considerando che gruppi come AIG adesso possono pagare perché svendere il patrimonio immobiliare?

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