Un pacchetto di salvataggio che impedisca il crollo dell’euro non può prescindere da trasferimenti di solidarietà dai paesi a tripla A verso i paesi con zero A. Ma ciò richiede anche un cambiamento nella divisione dei compiti all’interno dell’Eurozona. Alle autorità sovranazionali devono essere attribuiti tutti quei poteri di controllo che rendono credibile il principio del “mai più salvataggi”. Ovvero, ciò che permette il fallimento di un singolo Stato senza per questo coinvolgere le sorti dell’intera area: dall’unione bancaria all’Iva, dal reddito minimo alla politica sull’immigrazione.

Angela Merkel ha ragione: non ci può essere solidarietà senza controllo. E ha ragione anche nella scelta delle parole – “solidarietà” e “controllo”.

PAROLE GIUSTE

Qualsiasi sia il pacchetto di salvataggio sul quale alla fine si troverà l’accordo per impedire il crollo dell’euro, dovrà inevitabilmente comportare qualche forma di trasferimento di “solidarietà” dai paesi a tripla A ai paesi a zero A. Il trasferimento potrà essere nascosto per compiacere l’opinione pubblica, proprio come i trasferimenti ai lavoratori agricoli francesi sotto la Politica comune agricola sono stati a lungo presentati come generici sussidi all’esportazione e alla protezione dell’ambiente nelle aree rurali. Ma qualunque sia il nome che gli verrà assegnato, sarà comunque un trasferimento.
Il passaggio dall’Efsf (European Financial Stability Facility) all’Esm (European Stability Mechanism) non ha niente a che vedere con la dotazione dei due fondi. L’Esm mobiliterà al massimo 500 miliardi, 60 miliardi in più del Efsf. Ma i contributi all’Esm (in aggiunta alla dotazione iniziale di 80 miliardi) saranno garanzie o capitale esigibile, che formalmente non aumenteranno il debito pubblico dei diversi paesi. Tuttavia, si tratta pur sempre di passività contingenti, che diverranno passività effettive se un qualche paese non potrà pagare i suoi debiti. Chiamiamoli pure trasferimenti contingenti, ma resta una forma di solidarietà o di solidarietà contingente.
Anche controllo è la parola giusta: ogni trasferimento di una certa dimensione richiede un cambiamento nell’allocazione dei compiti all’interno dell’Eurozona, con un ruolo più forte attribuito alle autorità sovranazionali.
Il trasferimento di controllo è in definitiva imposto dagli elettori tedeschi, che continuano a manifestare un alto consenso verso il modo in cui Merkel gestisce la crisi dell’Eurozona: coloro che chiedono solidarietà senza condizioni, chiedono alla cancelliera tedesca di ignorare le opinioni dei suoi concittadini. Merkel potrebbe certamente cercare di salvare l’euro rinunciando a salvare la sua posizione, e acconsentire a una solidarietà senza controlli rinunciando a candidarsi alle elezioni del 2013. Anche ammesso che il sistema dei pesi e contrappesi del sistema costituzionale tedesco non le impedisca di agire come una kamikaze, i mercati crederebbero che sia una linea d’azione sulla quale c’è un impegno futuro della Germania? Chi potrebbe rassicurare i mercati sul fatto che il nuovo governo non revocherebbe le decisioni prese da Merkel alla fine del suo mandato?
È vero che Angela Merkel non ha preparato l’opinione pubblica sui vantaggi e svantaggi impliciti in  una strategia di salvataggio dell’euro, ma ora è troppo tardi per farlo e ottenere il sostegno degli elettori per un cambio di rotta così radicale.

I TRASFERIMENTI DI SOVRANITÀ NECESSARI

Il problema è individuare quali sono i trasferimenti di sovranità necessari: da una parte, dovrebbero essere in grado di rassicurare i tedeschi, i finlandesi e più in generale i contribuenti dei paesi con tripla A e dall’altra, dovrebbero essere accettabili per i paesi che si trovano oggi nell’epicentro della crisi, perché non è vero che i paesi che affrontano una crisi di credibilità non hanno potere contrattuale: si sono di molto avvicinati a quella soglia oltre la quale è meglio star fuori dall’Euro che dentro all’unione monetaria.
L’austerità senza che si intravedano progressi nella riduzione degli spread rende la situazione insostenibile. L’attuale recessione nell’Europa meridionale è di gran lunga peggiore della grande recessione: deriva interamente da una caduta della domanda interna, mentre nel 2008-2009 era dovuta a una caduta delle esportazioni, ed è associata a cali significativi del reddito disponibile (fatto che non si era verificato tre o quattro anni fa neanche nei paesi con più forti riduzioni del prodotto interno lordo).
In queste condizioni, uno scenario che preveda l’uscita dall’euro può raccogliere un consenso maggioritario se la strategia di salvataggio è vista come troppo costosa in termini di perdita di sovranità: imporre condizioni troppo rigide può rivelarsi controproducente. Dopotutto, è la lezione lasciata da un altro trattato, il trattato di Versailles, che né gli elettori francesi né quelli tedeschi  dovrebbero aver dimenticato.
Tuttavia, si vedono in giro troppi tentativi di esercitare una moral suasion su Angela Merkel, e nessun tentativo invece di convincere François Hollande e Mariano Rajoy a cedere parte della loro autorità e di preparare la loro opinione pubblica a questa eventualità. Leader all’inizio del loro mandato possono modificare le preferenze degli elettori e, anche se non riescono a farlo, possono essere credibili quando si oppongono a opinioni pur maggioritarie nel loro elettorato. Avranno tutto il tempo per spiegare perché si è resa necessaria una scelta impopolare e come sia servita a evitare un risultato di gran lunga peggiore.
Ecco dunque un criterio per individuare il tipo di controllo che deve andare di pari passo con la solidarietà: dovrebbe avvenire un passaggio di autorità a istituzioni sovranazionali che renda possibile in futuro il fallimento anche di un grande stato senza che questo comporti il crollo dell’Eurozona.
Nella nuova divisione di compiti tra autorità nazionali e sovranazionali deve essere credibile una clausola che affermi “mai più salvataggi”.
Ciò ridurrebbe l’azzardo morale, rassicurando così i contribuenti sia del Nord (che non dovrebbero più intervenire per salvare le cicale spendaccione) sia del Sud (i cui politici sarebbero costretti a comportarsi come formiche e a risparmiare per il futuro). E questa è la lezione della storia americana: un salvataggio di stati sovrani (come quello deciso nel 1790 da Alexander Hamilton) deve portare a un cambiamento di regime che impedisca nuovi salvataggi in futuro (come nel 1840 la decisione del Congresso degli Stati Uniti di non permettere un nuovo salvataggio federale).

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QUALI POTERI VANNO DELEGATI?

Coerente con il concetto di “mai più salvataggi” è senz’altro uno dei principi sui quali si basa la cosiddetta unione bancaria, secondo il quale la Bce dovrebbe essere pienamente responsabile della vigilanza su tutte le banche dell’Eurozona (e non solo su quelle principali). Significa in altre parole che il default di uno stato dell’Eurozona non deve essere necessariamente seguito da un collasso delle sue banche.
Un altro cambiamento nella distribuzione dei compiti va più in profondità: l’Eurozona deve stabilire e finanziare un programma comune di assistenza sociale di base, un reddito minimo. Significa che anche se uno Stato appartenente all’area fa bancarotta, resta comunque un qualche trasferimento che permette di evitare la povertà assoluta, così come negli Stati Uniti, il fallimento dello stato di New York o della California non impedisce che siano distribuiti buoni alimentari o sussidi alle fasce di popolazione più bisognose, ovunque si trovino.
Un’altra delega di autorità coerente con il principio del “mai più salvataggi” è correlata all’aggiustamento attraverso la migrazione. La rimozione delle barriere legali alla mobilità delle persone all’interno dell’Eurozona può richiedere l’adozione di una politica comune dell’immigrazione verso i paesi terzi, dal momento che un mercato unico del lavoro implica anche confini davvero comuni. Se la libera circolazione è davvero garantita, uno stato dell’Eurozona può fallire e nello stesso tempo lasciare aperta ai suoi cittadini, ai dipendenti pubblici che perdono il lavoro, l’opzione di emigrare e lavorare altrove all’interno dell’area.
Un altro trasferimento di controllo necessario riguarda l’amministrazione e l’attuazione comune della imposta sul valore aggiunto. Oltre a ridurre le frodi transnazionali, questo darebbe alle autorità sovranazionali uno strumento di penalizzazione politica piuttosto potente contro i governi che non riducano il debito: questi governi sarebbero costretti a tassare visibilmente di più i loro consumatori. La penalità politica si accompagnerebbe alla svalutazione fiscale, che dovrebbe essere efficace anche nel ridurre il divario di competitività tra gli equivalenti moderni della formica e della della favola di Esopo.
Ci sono ovviamente altre forme di delega di autorità o perdita di controllo dei governi nazionali che sono coerenti con il principio del “mai più salvataggi”. Come è chiaro dagli esempi di cui sopra, non c’è bisogno di creare una “transfer union”, il mondo è pieno di federazioni che comportano una redistribuzione tra stati molto modesta: Brasile, India e Stati Uniti, per fare solo qualche esempio, appartengono tutti a questa categoria.
Quello che è oggi importante è discutere in maniera pragmatica di quale sia quella nuova divisione dei compiti fra governi nazionali e autorità sovranazionali europee che, insieme alla solidarietà, possa farci uscire dalla crisi dell’Eurozona: discutere di unione monetaria e politica senza ridefinire “chi fa che cosa” è un’assurdità.
Il documento dei quattro presidenti (Herman Van Rompuy, José Manuel Barroso, Jean-Claude Juncker e Mario Draghi), presentato prima del vertice del 29 giugno, era troppo vago per essere efficace: non sorprende che sia stato completamente ignorato nella dichiarazione finale dei capi di stato e di governo dell’Eurozona. Sembra che sarà tema di discussione negli incontri di autunno: speriamo che i quattro presidenti siano abbastanza onesti da presentare tutti i vantaggi e svantaggi impliciti in ogni strategia di salvataggio e che non sia troppo tardi per parlarne.

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* Il testo in lingua originale è pubblicato su Vox.

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