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LE TASSE E QUEL REDDITO SEMPRE PIU’ DISEGUALE

La Cgil ha proposto un’imposta di solidarietà: un aumento di aliquota dal 43 al 48 per cento sui redditi superiori ai 150mila euro. L’extra-gettito servirebbe a finanziare interventi in favore di disoccupati e precari. Misure simili sono già state adottate nel Regno Unito e Stati Uniti. Tuttavia, nel nostro paese non è probabilmente la risposta più appropriata alla crescita delle disuguaglianze perché toccherebbe di fatto solo il lavoro dipendente, senza incidere sull’evasione fiscale. Ma è ora che il problema della distribuzione del reddito torni in primo piano.

Alcuni giorni fa la Cgil ha proposto l’introduzione di quella che è stata definita una imposta di solidarietà: un aumento dell’aliquota dal 43 al 48 per cento sui redditi superiori ai 150mila euro. Si tratta di una proposta in linea con quanto avviene in altri paesi.
Negli Stati Uniti, come promesso da Barack Obama in campagna elettorale, il President’s Budget presentato il 26 febbraio prevede sgravi per i redditi bassi e medi e varie misure volte ad accrescere il carico fiscale di quelli alti: un aumento delle aliquote sugli ultimi due scaglioni di reddito (rispettivamente dal 33 al 36 per cento e dal 35 al 39,6 per cento) e un aumento dell’aliquota massima su dividendi e capital gain dal 15 al 20 per cento. Nel Regno Unito è stata introdotta un’aliquota d’imposta del 45 per cento (dal precedente 40 per cento) per i redditi superiori a 150mila sterline. A questo si aggiunge un dimezzamento della “personal allowance”, l’ammontare su cui non si paga imposta, per i redditi superiori a 100mila sterline e la sua totale eliminazione per redditi superiori a 140mila sterline. In Germania, il partito socialdemocratico ha proposto un aumento dell’aliquota dal 45 al 47,5 per cento per i redditi di persone singole superiori ai 125mila euro e su quelli di coppie con reddito complessivo superiore a 250mila euro.

FACCIAMO DUE CONTI

I dati relativi alle dichiarazioni dei redditi per l’anno 2005, gli ultimi disponibili, ci dicono che i contribuenti italiani con reddito superiore a 150mila euro erano a quella data circa 115mila, con un reddito medio di circa 280mila euro. Rappresentavano lo 0,28 per cento della popolazione dei contribuenti. Un’aliquota al 48 per cento dovrebbe generare un extra-gettito complessivo di circa 750 milioni di euro l’anno. L’ammontare potrebbe in realtà essere più alto considerando che dal 2005 il numero di contribuenti con reddito superiore ai 150mila euro, nonché i loro redditi, saranno verosimilmente aumentati. Nello stesso tempo si ignorano qui completamente eventuali effetti delle aliquote sui redditi pre-tax. Nel complesso, l’ordine di grandezza del potenziale extra-gettito, più basso di quanto stimato dalla Cgil, è leggermente inferiore ma complessivamente simile a quello stimato dai socialdemocratici tedeschi per la loro proposta (un miliardo di euro) o dal governo britannico per la sua riforma (un miliardo e duecento milioni di sterline). Il sacrificio aggiuntivo medio richiesto ai contribuenti con reddito superiore a 150mila euro sarebbe di circa 6.500 euro l’anno. Il sacrificio è ovviamente crescente nel reddito: un individuo con un reddito di 160mila euro, ad esempio, verrebbe a pagare 500 euro in più all’anno, con un reddito di 200mila euro si pagherebbero 2.500 euro in più e così via.

I PRO E I CONTRO

Ci sono diverse ragioni che nell’attuale face recessiva si possono addurre a supporto di un aumento delle aliquote marginali sui redditi alti e, più in generale, in favore di un aumento del grado di progressività delle imposte. La prima e più importante è che, a causa del nostro elevato debito pubblico, l’Italia dovrà, più di altri paesi, affrontare la crisi cercando di puntare il più possibile su manovre fiscali che siano con “bilancio in pareggio”, ossia che incidano poco sui conti pubblici. Fra queste andrebbe annoverato anche l’aumento della progressività. A parità di gettito, sposta risorse da individui a reddito elevato verso individui a reddito più basso. Questo significa che le risorse vengono spostate verso i cittadini con una più alta propensione al consumo. Una maggiore progressività impositiva provoca pertanto uno stimolo dal lato della domanda aggregata. Analogo, e anche più incisivo in un contesto di crescente disoccupazione, è l’effetto che si può ottenere spostando risorse dai redditi molto alti verso i disoccupati che non hanno accesso agli ammortizzatori sociali. Ad esempio i 750 milioni all’anno dell’imposta di solidarietà sarebbero sufficienti a pagare un sussidio mensile di 500 euro per 125mila disoccupati.
La tipica controindicazione ad aliquote marginali elevate è invece che possono introdurre distorsioni, disincentivando offerta di lavoro e investimenti. Se sul piano teorico non va sottovalutata, è anche vero che l’evidenza empirica sull’entità delle distorsioni resta ambigua. (1) Sicuramente siamo oggi lontani dalle aliquote punitive degli anni Settanta e dunque il problema delle distorsioni è nel complesso meno urgente, particolarmente nell’attuale emergenza recessiva in cui incentivare l’offerta appare secondario rispetto a stimolare la domanda (si pensi, ad esempio, all’inutilità della detassazione degli straordinari).

Ci si potrebbe anche spingere fino ad affermare che la progressività danneggia esattamente le fasce di reddito più basse. In altri termini, la creazione di reddito da parte degli individui più produttivi, che risulterebbe più alta se non ostacolata da meccanismi redistributivi, dovrebbe innestare un processo di trickle-down, con ricadute positive su tutta la popolazione. Se così fosse, un aumento della progressività non servirebbe affatto da stimolo alla domanda aggregata. Pur senza la pretesa di stabilire rapporti di causalità, è tuttavia difficile riconciliare quello che è successo nel recente passato con l’ipotesi del trickle-down. Dagli anni Ottanta a oggi sia la povertà che le disuguaglianze di reddito sono aumentate in maniera considerevole in tutti i paesi sviluppati: la media dell’indice di disuguaglianza di Gini dei redditi disponibili nei paesi Ocse è aumentata di quasi il 10 per cento, mentre la percentuale di poveri, ovvero con reddito inferiore a metà del reddito mediano, è cresciuta dal 9,3 al 10,6 per cento della popolazione. Tutto ciò mentre la quota di reddito dell’1 per cento più ricco della popolazione è tornata ai livelli di settanta anni fa sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito. (2) Non è un caso se gli sforzi recenti di molti studiosi si sono concentrati esattamente sull’evoluzione dei redditi top, ossia sull’1 per cento più ricco della popolazione, dove si è accumulata la maggior parte della recente crescita dei redditi. (3) E nessuna meraviglia se il partito democratico negli Usa e il partito laburista nel Regno Unito sono tornati a porre l’accento sulla necessità di politiche di redistribuzione del reddito più incisive. (4)
Tornando a casa nostra, è bene notare che l’Italia ha un livello di disuguaglianza dei redditi fra i più elevati tra i paesi sviluppati, ha un livello di povertà ben superiore alla media dei paesi Ocse ed è uno dei paesi in cui la disuguaglianza è cresciuta maggiormente negli ultimi venti anni.
Quanto detto fin qui non implica affatto che l’imposta di solidarietà sia la risposta più appropriata alla crescita delle disuguaglianze nel nostro paese: la proposta della Cgil toccherebbe di fatto solo chi le tasse le paga, ossia prevalentemente il lavoro dipendente, per quanto ben remunerato. In realtà è sempre più chiaro che la possibilità di attuare politiche redistributive più incisive passa inevitabilmente dal crocevia della lotta all’evasione, su cui invece siamo in piena retromarcia. Ècomunque del tutto naturale nel contesto attuale e in linea con quanto succede nei maggiori paesi avanzati, che il problema della distribuzione del reddito torni a occupare un posto di rilievo nel dibattito di politica economica.

(1)Si veda al riguardo il libro di Peter Lindert “Growing Public”, Cambridge University Press, 2004.
(2) Questi dati sono tratti dal recente rapporto dell’Ocse“Growing Unequal?”.
(3) Si veda ad esempio il libro di Anthony Atkinson e Thomas Piketty Top Incomes over the 20th century, Oxford University Press, 2007.

(4)Si veda per pura curiosità la figura 9 del President’s Budget presentato dall’amministrazione Obama il 26 febbraio.

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27 commenti

  1. KingPotter

    In tempi di crisi bisogna fare innanzitutto delle scelte. Rimanere fermi significa implodere ancora più velocemente nel vortice non riposizionandosi strategicamente una volta che la crisi sarà finita. Ed è si vero che l’ Italia debba prioritariamente lottare l’evasione fiscale, ma è altrettanto vero che per reperire le adeguate risorse finanziarie (con l’attuale debito pubblico l’Italia non può permettersi margini di manovra ricorrendo ulteriormente all’ indebitamento) contro questa crisi si ha necessariamente bisogno di interventi brevi e concisi. L’ evasione fiscale d’altronde si combatte con varie riforme di carattere strutturale, ed è risaputo che l’ Italia non eccelli in questo. Quindi la proposta della Cgil non solo mi sembra valida, ma necessaria: le aziende, infatti, ricomincerebbero a produrre e ad assumere cercando di coprire sufficientemente la crescita della domanda aggregata. Poi per contrastare eventuali fenomeni deflattivi si può ricorrere a un iniezione di capitale, il che significa anche disincentivare ulteriormente la disoccupazione, rendendo così strutturale una eventuale ripresa dei consumi e della produzione industriale e non.

  2. F.Fattorini

    Sono d’accordo con tutte le considerazioni espresse nell’articolo che mostrano come, dal punto di vista economico, ci siano gli spazi per un intervento sul versante della tassazione. Tra l’altro, i dati quantitativi riportati sostengono la tesi in modo molto consistente e diffuso in molti paesi. Vorrei però aggiungere una considerazione: un intervento sulla tassazione è anche un dovere sul piano etico, se è vero che la solidarietà è un valore e l’egoismo un disvalore, se è vero che una ragione d’essere delle istituzioni è il raggiungimento di una certa giustizia, allora siamo di fronte a qualcosa che oltre all’opportunità economica è anche un imperativo etico, e anche il cemento su cui si fonda la nostra società. Abbiamo vissuto anni nei quali le piccole rinuncie di molti hanno generato le grandi fortune di pochi, nel nome dell’elasticità del lavoro, della libertà da regole ritenute soffocanti. Bene. L’abbiamo fatto con la speranza di condividere un giorno i vantaggi raggiunti. Non è successo, ma non voglio dare la colpa a nessuno: poteva andare meglio. Però adesso lo sforzo dovrà essere sostenuto maggiormente da chi ha avuto vantaggi prima. Non chiedo di più.

  3. andrea

    Trovo incredibile lo sforzo che viene fatto per analizzare tutte le problematiche legate alla distribuzione dei redditi e per limitare le disuguaglianze legate ai redditi, mentre nulla viene fatto né sul piano teorico né su quello fiscale per attenuare le grandi disuguglianze di patrimonio. Chi va tassato maggiormente, un insegnante a basso reddito e grandi proprietà in immobili e titoli di Stato, o un manager ad alto reddito e semplice inquilino? Si lamenta il problema dell’evasione, ma si dimentica che i redditi sono facilmente dissimulabili, i patrimoni molto meno. E’ forse per questo che politicanti e sindacalisti molto interessatamente si ostinano a imporre i redditi anziché il patrimonio?

  4. MAURIZIO R

    La sinistra non fa altro che pensare alle cose piu semplici e inutili.aumentere le tasse ai redditi superiori ai 150000 e come innaffiare il deserto con una goccia d’acqua. Capisco che la cgil e la sinistra devono proteggere i loro piccoli adepti, ma se si pensa soltanto a circa 40000 obisti, cioè veri e propri commercianti da redditi mega in nero,sono lì in tutti i mercatini ma non si possono toccare tanto per loro pagano quelli con le licenze regolari. Per me basterebbe l’imposizione di una unica tassa sulle tipologie del commercio sia obistico che con licenza- indefinitiva. Togliere le licenze e tassare equamente chiunque pratichi una qualsiasi forma di commercio usando soltanto l’obbligo della partita iva che se attivata ogni anno obbligo di pagare un minimo anche se non (teoricamente)incassato nulla. Voglio vedere quelli che fanno doppio triplo lavoro se non si mettono subito in riga l’evasione si può battere soltanto se si obbliga chiunque voglia lavorare ad aprire partita iva e pagare una sola tassa comprensiva di tutto ma soltato una cosi al mio nome ci sarà un ha pagato non ha pagato.

  5. Alberto Lusiani

    Ciclicamente specie da sinistra si propaganda l’idea che la spesa pubblica possa essere aumentata recuperando evasione fiscale: ciò è sia implausibile che demagogico. Infatti il centro-sinistra ha già governato in due occasioni per un totale di 7 anni propagandando riduzioni dell’evasione fiscale senza alcun risultato, tanto che le statistiche internazionali non rivelano ad oggi alcun recupero statisticamente significativo dell’economia sommersa in Italia. Inoltre, anche in presenza di evasione, il totale delle tasse pagate in rapporto al PIL in Italia (inclusivo di redditi evasi) è già pari alla Francia e supera la Germania. Infine, nelle aree produttive del Nord Italia l’evasione fiscale è già uguale o inferiore a quella di Francia e Germania, e non si vede con quale magia lo Stato italiano potrebbe sperare di aumentare in quelle regioni ancora di più una pressione fiscale locale che è già nettamente superiore a quella dei Paesi di oltre le Alpi.

  6. Luca

    In primo luogo a mio avviso occorrerebbe aumentare fin da subito le detrazioni sui redditi da lavoro dipendente medio bassi (tra i 15 e i 35 mila euro) e sulle pensioni. Questa operazione premierebbe oltre i 3/4 dei lavoratori dipendenti, peraltro proprio quelli onesti di fronte al Fisco. Il costo complessivo stimato di tale provvedimento non dovrebbe superare i 900 milioni di euro. In seconda battuta personalmente condivido le posizioni espresse nell’articolo dall’Autore, per cui in conclusione mi sento di dire che la misura prospettata da CGIL (per quanto auspicabile) si dovrebbe inserie all’interno di un quadro organico di riforma del Fisco…che premi finalmente gli onesti e che punisca gli evasori!

  7. Marziano Sgro'

    Condivido la linea della CGL. Distribuire risorse per gli ammortizzatori mediante espansione del debito pubblico oltre che non praticabile sarebbe un’operazione iniqua in quanto farbbe ricadere fatalmente l’onere sulle fasce più deboli e sulle generazioni giovani. A chi osserva che un aumento della pressione fiscale sui rediti alti penalizzerebbe solo chi le tasse già le paga, rispondo che anche tra chi paga le tasse, come pensionati e dipendenti, negli anni si è avuta una redistribuzione della pressione fiscale a danno dei redditi medio bassi a causa della curva degli scaglioni fiscali e del fiscal drug. E’ agevole infatti constatare che, ferma restando la curva degli scaglioni, l’effetto dell’inflazione penalzza maggiormente i reditti della fascia bassa… Al limite tutti i redditi tenderanno ad essere assoggettati allo scaglione più alto!! Inoltre, per quanto riguarda i redditi da pensione, non dimentichiamo che il sistema retributivo ha avvantaggiato notevolmente i fortunati che hanno goduto di una buona progressione della retribuzione durante la vita lavorativa, godendo di una pensione del tutto slegata dai contributi effettivameente versati.

  8. Gianluca Majeli

    Mi sembra chiaro comunque che la proposta della Cgil viaggia su due gambe: un’imposizione più alta sui redditi più elevati e la lotta all’evasione fiscale. Sotto questo punto di vista, infatti, la Cgil sta facendo una giusta campagna contro la riorganizzazione dell’Agenzia delle Entrate che bloccherà per due anni parte dell’attività di controllo dell’Agenzia. Se vi uniamo anche i cambiamenti normativi effetto della l. 133/2008, denunciati anche da voi (e pure dalla Cgil), che ostacolano il contrasto all’evasione il dato è tratto.

  9. aldo

    Negli Usa l’aliquota più alta è il 35%, da noi il 43%, la pressione fiscale generale è al 25% dai noi al 43 e cresce sempre di più. Lo Stato è dappertutto e non è mai la soluzione ma è il problema, che fine ha fatto l’idea di cancellare le provincie? E liberalizzare le municipalizzate? Con questa crisi i molti dipendenti che mantengono il lavoro ( e ce ne sono di quelli che non possono perderlo) godono di mutui mai così bassi, prezzi stabili, benzina in calo , bollette più leggere e la Cigl pensa di tassare le poche persone oneste e produttive che in Italia dichiarano stipendi decorosi? Sbaglio o in Italia mandiamo in pensione i lavoratori con meno di 60 anni con aspettative di vita di 84 e facciamo pagare contributi spaventosi ai giovani precari e ai cococò ? L’Italia è ferma da 10 anni, non crea più ricchezza, il problema è rimettere in moto lo sviluppo non certo tassare chi produce di più.

  10. Claudio Pasini presidente Manageritalia

    La proposta della Cgil è l’ennesima beffa per chi già paga tanto e tutto, il lavoro dipendente qualificato. Da noi solo lo 0,28% di contribuenti (114mila) dichiara più di 150.000, in maggioranza manager pubblici o privati. Pochissimi, ma dipendenti! In America il 2% dei contribuenti dichiara più 250.000 $ di reddito familiare. La differenza si vede tutta. In Italia c’è un’elevatissima evasione fiscale (80-90miliardi di mancato gettito su un imponibile evasa di 250 miliardi) e chi non paga le tasse è un furbo e non subisce sanzioni adeguate. In Usa chi non paga le tasse è socialmente out e colpito con multe salatissime e, in alcuni casi, anche con il carcere. Obama, dove tutti pagano, alza le tasse sopra i 250mila $ e le abbassa per chi sta sotto, per quel ceto medio indicato come vero motore della ripresa. Una redistribuzione condivisibile se tutti pagano. Insomma, gli sforzi di tutti (CGIL, opposizione e Governo) dovrebbero concentrarsi su una vera lotta all’evasione fiscale e poi potremmo anche parlare di redistribuire il reddito. Magari individuando meglio da quale soglia far pagare di più e ridando fiato anche al lavoro dipendente qualificato da troppo tempo sotto pressione.

  11. Paolo Z.

    Data la pratica impossibilità/non volontà di abbattere l’evasione fiscale, perché non imporre una patrimoniale straordinaria (visto che i guadagni illeciti, a cominciare da quelli mafiosi si riversano su beni mobili e immobili)? E perché non ripristinare, almeno in parte, l’ICI? Troppo impopolare? Ma per sostenere questa crisi non siamo d’accordo che bisogna che chi ha di più sostenga chi ha di meno?

  12. giuseppe

    Per combattere l’evasione fiscale, ritengo che occorra introdurre il conflitto di interessi tra partite iva e lavoratori dipendenti. Mi spiego meglio: il lavoratore dipendente deve poter detrarre tutte le spese che sostiene per vivere in varia misura, in modo tale che lo stesso sia stimolato a pretendere lo scontrino fiscale o la ricevuta o la fattura al commerciante / professionista / artigiano. Ad esempio nessuno rinuncerebbe a chiedere la ricevuta fiscale all’idraulico se potesse detrarre dal proprio unico dal 21% in su dell’imponibile del lavoro effettuato dall’artigiano. Ovviamente per essere convenienti le detrazioni dovrebbero essere superiori all’aliquota iva applicata (nel caso in questione 20%).

  13. Maurilio Menegaldo

    Condivido il parere di chi sostiene che la proposta di tassare i redditi alti sarebbe, più che demagogica, insufficiente e quindi significativa soprattutto da un punto di vista di un segnale politico. Infatti, il recupero sarebbe pari a circa lo 0,05% del nostro PIL: visto che le ultime manovre anticrisi del governo, che coinvolgono cifre 10-20 volte superiori, appaiono chiaramente insufficienti, c’è da chiedersi appunto quale sia l’efficacia reale di questa misura. Per quanto riguarda l’evasione fiscale, se ne parla da sempre e non si fa mai granché per eliminarla. Il problema, a mio avviso, è che se si andasse a colpirla seriamente in tutti i suoi aspetti (evasione fiscale propriamente detta, evasione contributiva, lavoro nero, ecc.) si darebbe un colpo durissimo a una struttura produttiva nazionale, che, per la sua arretratezza cumulata negli anni, non sa reggersi altrimenti. E’ questo, credo, il problema che dobbiamo porci tutti e per risolvere il quale servirebbe finalmente la vera politica: l’alternativa è un declino più o meno dolce ma comunque inarrestabile, con un peggioramento continuo e inesorabile del tenore di vita generale del Paese.

  14. Giacomo Correale Santacroce

    Perchè non si propone di reintrodurre l’ICI o qualcosa di simile per liberare risorse da destinare agli ammortizzatori sociali generalizzati? O perchè non si bloccano i finanziamenti alle centinaia di enti inutili (vedi Sole-24 Ore del 2 febbraio 2009) assistendo i relativi disoccupati alla stregua degli altri lavoratori?

  15. martino

    Leggo su questo sito, e non solo, molti articoli su tasse, lotta all’evasione, redistribuzione del reddito.Anche un’imposta di solidarietà potrebbe essere una cosa giusta.Ma siamo sicuri che lo sia in Italia? Ho cercato dei dati e tra i pochi che ho trovato cito (da Cgia Mestre, Agenzia delle Entrate, Repubblica): 316 miliardi di imponibile evaso di cui 200 economia sommersa ( 3 miliodi di lavoratori in nero di cui 2.3 secondi o terzi lavori), 100 economia criminale, 10 grandi aziende e 6 autonomi. Intensità evasione IRAP (dati simili anche sul reddito): Lombardia 13.04% – Campania 60% – Calabria 93.89% (70% evasione del redditto). Sono veri?Se si, la realtà è un po’ diversa e più complessa della sola disparità ricchi evasori contro poveri dipendenti che non possono evadere. Ogni tentativo giusto di aiutare chi è veramente povero o meno abbiente, rischia di agevolare ancor di più i furbi e creare un senso di ingiustizia crescente in che è chiamato ad un contributo maggiore.

  16. edoardo

    Mi sembra strano che la Cgil si sia fermata lì, perchè non chiedere un esproprio totale dei guadagni con gravi sanzioni detentive per chi si rifiuta di lavorare per disoccupati e precari.

  17. Maurizio Sbrana

    Io credo che occorra: 1) aumentare al 30% l’iva sui beni non di base (pagherebbero anche gli evasori); 2) mettere in conflitto di interesse i soggetti che si scambiano beni e servizi (come negli USA); 3) mettere in galera gli evasori scoperti dalla Finanza…(sul serio!): come negli USA. Se si continuerà a far finta di nulla, perdendo un gettito di tasse non pagate di circa 100 miliardi di euro all’anno, è logico che l’Italia continuerà a retrocedere (è dagli anni ’80 che ciò accade). E prima o poi questo potrà anche comportare ‘sgradevoli’ conseguenze dal punto di vista degli scontri sociali. Questo non è di destra o di sinistra, è semplicemente scegliere se essere un Paese moderno e serio, oppure un Paese destinato al continuo declino.

  18. am

    Fra le tante proposte bislacche della Cgil, quella di un’imposta di solidarietà merita attenzione. Dovrebbe trattarsi tuttavia di un’imposta straordinaria riguardante uno o al max. 2 anni. Dall’esperienza passata dovremmo temere che diventi continuativa con conseguenti minori sforzi per ridurre l’evasione (molto alta), gli abusi delle varie caste e gli sprechi di pubblico denaro (enormi). Vi è poi il dilemma se colpire i redditi (rilevabili) o il patrimonio (rilevabile). Lasciano perplessi alcuni commenti che sembrano ignorare il sistema delle imposte italiano. Non è vero che i patrimoni non siano tassati. Quelli immobiliari, anche dopo la stravagante idea dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa, sono tartassati da una serie di balzelli con una fiscalità complessiva più pesante rispetto alla maggior parte dei paesi: oltretutto si tassano i ricavi invece che i redditi netti. Lo stesso accade per gli investimenti finanziari, dove si colpiscono redditi lordi e perdipiù nominali invece che netti e reali. Aggiungasi che la compensazione tra guadagli e perdite di capitale è limitata da una regolamentazione vessatoria. Infine non è vero che non vi sia evasione per l’ICI.

  19. Luca

    L’erogazione di un sussidio di solidarietà potrebbe rivelarsi inefficace, qualora le imprese – mediante strategie finalizzate ad accrescere la propria concentrazione industriale – accrescano i margini sui prezzi. Il che è anche verosimile, dal momento che l’aumento dei salari reali – per una certa struttura di mercato e in assenza di incrementi di produttività – ne riduce i margini di profitto. In tal senso, l’introduzione di un reddito minimo può dar luogo a esiti inflazionistici, se le imprese sono in grado di neutralizzare per questa via il rafforzamento del potere contrattuale dei lavoratori. Per l’obiettivo di contrasto alla povertà, queste considerazioni portano a ritenere preferibile – rispetto all’erogazione monetaria – la fornitura diretta di beni e servizi pubblici, proprio perché offre ai beneficiari la certezza del miglioramento delle loro condizioni materiali di vita. Il che potrebbe essere realizzato mediante misure di ridistribuzione del reddito che garantiscano una maggiore produzione di beni e servizi pubblici mediante la tassazione dei redditi più alti, in primo luogo colpendo le rendite finanziarie.

  20. GIANLUCA COCCO

    Quando al governo c’è la destra la sinistra dice anche cose di sinistra e cerca di ridurre i danni prodotti quando al governo c’era la stessa o presunta tale. Infatti, la diminuzione (dal 51 al 46%) delle aliquote irpef per i ricchi è avvenuta nel 1996, come del resto la maggior parte dei provvedimenti a sfavore dei ceti meno abbienti, ad opera del centro-sinistra. Redistribuire i redditi è sacrosanto per salvare questo Paese dal collasso. A parte il nome orrendo, questa proposta della Cgil dimostra che in realtà non c’è una seria intenzione di ridurre la forbice tra ricchi e poveri. Invece, con semplici scelte politiche, si dovrebbe ridurre l’evasione fiscale a livelli fisiologici, si dovrebbero quasi abolire tutte le imposte indirette e si dovrebbe rendere fortemente progressiva l’imposta sui redditi. Ora si è ancora in tempo per salvare l’Italia. Senza una inversione di tendenza, tra qualche anno piangeranno anche i nipoti degli attuali privilegiati!

  21. Michele

    L’intervento sull’ICI eliminata sull’abitazione principale di proprietà, ha favorito i proprietari di unità immobiliari con più valore che prima pagavano più ICI. Sono un tecnico informatico comunale e partecipo alla verifica dei dati catastali del mio Comune per certificare allo Stato il mancato gettito ICI. Osservo la grande proliferazione di scissioni di nuclei familiari, di fatto fittizie ed illegali poiché senza un decreto di separazione del Tribunale, di famiglie con più di una unita’ immobiliare di abitazione per ottenere, con 2 residenze diverse nello stesso Comune, 2 agevolazioni per 2 abitazioni principali di proprietà, sottraendone 1 al gettito ICI. Osservo che l’Agenzia del Territorio ha accettato in categoria catastale A7 unità immobiliari (oltre 500 mq di sup e box da oltre 200 mq), per fortuna poche, da classificare in categoria A8 e pagare l’ICI. Osservo che le rendite catastali non sono applicate in modo omogeneo: per unità immobiliari costruite nella stessa zona con caratteristiche costruttive simili e valore diverso la rendita maggiore è attribuita all’unita’ con minore valore di mercato. Che fare nel paesedeifurbetti dove chi paga le tasse è sciocco?

  22. Antonio Aghilar

    A dire la verità, ciò che maggiormente stupisce della proposta della CGIL, è che prenda di mira i "redditi più elevati", ma trascura il nodo delle rendite finanziarie, che pure il precedente Governo intendeva ritoccare (portandola al 20%). Non si capisce davvero come mai in Italia si continui a mantenere un’aliquota del 12,50% (mentre è del 31,65% in Germania, del 30% in Svezia, del 27% in Francia e del 20% in U.K.) sui redditi da attività finanziarie, così introducendo una clamorosa distorsione nell’allocazione delle risorse, dal momento che chi investe in attività reali deve invece pagare le ben più onerose Irpef ed Ires (per non parlare dell’assurda Irap..). E si noti che alcune delle motivazioni addotte dagli oppositori della riforma, come quelle legate al fatto che si "tasserebbe il risparmio delle famiglie che investono in titoli di Stato" sembrano essere molto labili, primo perchè più del 60% dei nostri Titoli di Stato è detenuto da investitori esteri (spesso istituzionali), secondo perchè in un momento in cui è necessario stimolare investimenti in attività reali, continuare a mantenere questo assurdo privilegio di cui godono le rendite è davvero anacronistico.

  23. CARLO CATALANO

    Da anni assistiamo alla riduzione del potere d’acquisto dei redditi medi e medio bassi a vantaggio dei redditi elevati. La progressiva riduzione della massima aliquota marginale IRPEF associata al mancato recupero dell’enorme drenaggio fiscale che ha gravato sui redditi medi e medio bassi hanno generato quanto sostengo. Empiricamente il fenomeno è reso evidente dalla costante crescita dei consumi dei beni di lusso associata ad una generale stagnazione dei consumi. Io credo che per stimolare l’economia occorra innanzitutto correggere questo fenomeno restituendo potere d’acquisto ai redditi medi e medio bassi, solo così si possono far ripartire i consumi. La crescente sperequazione dei redditi e delle ricchezze costituisce una tendenza generalizzata a livello mondiale che, sia sul piano etico che su quello economico, occorre contrastare. Bisognerebbe quindi innalzare notevolmente gli scaglioni IRPEF, mantenendo inalterato il gettito recuperando quanto necessario tramite un sufficente incremento dell’aliquota marginale massima.

  24. Davide Prandi

    Mi spiace che la CGIL proponga ancora di tassare i redditi più alti trascurando il vero problema: l’evasione fiscale. Occore affrontarla in maniera organica, cercando di promuovere i cittadini onesti che pagano le tasse e punire sempre di piu’ quelli che non pagano, anche negando i servizi base. Lo stesso vale per le aziende. Questa è e rimane l’unica via per contrastare la crisi economica ora e il grosso problema del debito pubblico poi. A voi economisti trovare le soluzioni tecniche.

  25. Italo Nobile

    Aumento della progressività delle imposte e lotta all’evasione possono benissimo essere portate avanti insieme, quindi bisogna fare attenzione a vedere nella lotta all’evasione (su cui la Cgil ha sempre puntato) un qualcosa di "ben altro" rispetto all’aumento della progressività.

  26. AM

    Alcuni commenti propongono un aumento della tassazione delle "rendite finanziarie", oggi tassate al 27/% in alcuni casi e il 12,5% in altri. Premesso che il termine "rendite finanziarie" è usato spesso dai politici, ma non piace agli economisti perchè causa di confusioni. E’ comunque scorretto comparare le aliquote dei redditi finanziari (cedole e capital gain) con i redditi di altra natura (es. lavoro). Ad ogni modo ben venga un aumento delle aliquote, ma a precise condizioni per garantire un minimo di equità. Le condizioni sono ad es.: (1) tassazione dei redditi reali e non di quelli nominali, (2) allungamento sino a 10 anni del periodo di compensazione, (3) possibilità di compensare perdite di capitale e cedole perlomeno per le obbligazioni acquistate sopra la pari. Il contribuente ha il dovere di pagare le imposte sui redditi finanziari incassati, ma deve avere il diritto di non pagarle quando non ha realizzato guadagni, ma perdite.

  27. dvd

    Il fatto che una piccola percentuale della popolazione possiede la percentuale più grossa delle ricchezza del paese è un fenomeno sovranazionale per cui non condizionabile. Che in Italia la forbice si sia più dilatata che altrove va mediata con il dato sull’evasione, perchè se c’è per un verso se ne deve tenere anche conto anche questi calcoli, per cui tale maggiore forbice è solo contabile e non reale. Detto questo per il lavoro dipendente maggiore coraggio ci vorrebbe da parte di tutti, Stato in primis, defiscalizzando il costo del lavoro. I benefici indiretti per privati e imprese per me più alti dell’immediato minore gettito.

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