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FMI DAVVERO INTERNAZIONALE CERCASI

La crisi finanziaria globale ha creato l’opportunità per riaffermare il ruolo del Fondo monetario internazionale. A patto però di diventare davvero internazionale e non solo euro-atlantico come lo giudicano oggi molti paesi emergenti. E’ il momento giusto per stabilire regole eque anche per i debitori. Ma serve prima di tutto una riforma della governance, che ridimensioni il ruolo e i privilegi dell’Europa, rispecchi l’attuale dimensione e influenza delle economie ed elimini i diritti di veto. Altrimenti, i paesi asiatici potrebbero decidere di fare da soli.

L’aumento delle risorse del Fondo monetario internazionale è probabilmente l’unico tema su cui il G20 ha trovato un accordo. E nel prepararsi a distribuire questo denaro a potenziali richiedenti, la settimana scorsa l’Fmi ha annunciato la volontà di rendere l’accesso ai prestiti più semplice, meno caro e soggetto a minori vincoli.
Ma ben pochi paesi prendono in prestito il denaro dell’Fmi perché esiste un problema fondamentale: sono in molti a pensare che il Fondo monetario internazionale non sia davvero “internazionale”. Le economie emergenti dell’America Latina, ma soprattutto dell’Asia, lo vedono come un’istituzione Atlantico-centrica, anzi a dominio europeo: un Fondo monetario euro-atlantico. E sono poco propensi a richiedere prestiti al Fondo perché lo considerano incline a usare due pesi e due misure con i paesi membri: “mai più” hanno giurato dopo l’esperienza della crisi finanziaria asiatica di fine anni Novanta e non hanno più cambiato idea.

DUE PESI E DUE MISURE

Sono critiche giustificate? Prendiamo il recente piano per la Lettonia. Il paese ha un deficit delle partite correnti del 24 per cento del prodotto interno lordo, tuttavia una svalutazione della moneta non è stata chiesta. Un “immacolato aggiustamento” probabilmente corretto e giustificato dall’ammontare del debito in valuta straniera e non assicurato contro il rischio cambio della Lettonia, ma altre economie emergenti extraeuropee, che hanno ben impresse nella memoria le vicende della crisi finanziaria asiatica, hanno iniziato a chiedersi: “Se ci fossimo rivolte al Fondo in circostanze simili, avremmo ricevuto lo stesso trattamento?”.
Giustificata o no, la percezione dei “due pesi e due misure” ha già prodotto alcune conseguenze. Nella crisi economica attuale, diversi paesi emergenti (Brasile, Messico, Corea e Singapore) hanno avuto bisogno di interventi di emergenza per il sostegno della liquidità, ma si sono rivolti alla Federal Reserve, non al Fondo monetario. Al contrario, nei paesi europei emergenti, una simile riluttanza a chiedere prestiti al Fondo non c’è stata. Possibile conclusione: solo i paesi emergenti dell’Europa chiedono prestiti al Fondo perché l’Fmi è un’istituzione europea. La maggior parte degli altri paesi non lo fanno.
È un peccato perché la crisi ha creato un’opportunità reale per riaffermare il ruolo del Fondo. L’origine, l’impatto e le conseguenze della crisi sono tutte di dimensione globale, sottolineando così la necessità di rafforzare la cooperazione.
La crisi ha però creato un’opportunità anche in un altro senso, più sottile. il Fondo monetario è sempre stato afflitto da una asimmetria tra i creditori, che avevano più potere e più voce in capitolo, e i debitori, che questi poteri non li avevano. Le identità (e i pregiudizi) degli uni e degli altri non cambiavano mai, dando luogo a posizioni cristallizzate e spesso inconciliabili.
La crisi globale ha messo in crisi quelle identità. Alcuni debitori del passato oggi siedono su montagne di riserve in valuta straniera. E ancor più importante, i creditori sono diventato debitori. Se oggi l’Islanda, l’Ungheria, la Lettonia e Singapore hanno bisogno di interventi per sostenere la liquidità e se perfino l’Irlanda e la Grecia sono pericolosamente vicini a quella soglia, la conclusione che la maggior parte dei paesi può trarne è che praticamente tutti potrebbero trovarsi in futuro nella condizione di mendicante finanziario.

MORALE DELLA STORIA

Se è così, i paesi saranno meno propensi a concepire regole che riflettono il potere dei creditori, anzi è più probabile che escogitino regole eque per i debitori. Il filosofo John Rawls ha mostrato che una società nella quale gli individui sono dietro un “velo di ignoranza” circa la loro vera identità ha più probabilità di stabile regole giuste. La crisi ha creato proprio questo utile velo di ignoranza.
Trasformare la crisi in una opportunità richiede però alcuni passi fondamentali. I paesi industriali, in particolare quelli europei, devono accettare di ridisegnare dalle fondamenta la struttura di governance dell’Fmi. Per comprenderne la necessità, basta considerare una sola anomalia: se dopo i recenti problemi, in Belgio si fosse arrivati a una divisione tra Vallonia e Fiandre, ciascuna delle due regioni, che ha più o meno le dimensioni di una periferia o di uno slum di Mumbai o San Paolo, avrebbe avuto diritto a una rappresentanza nel Fondo non molto diversa da quella dell’India o del Brasile. 
La cessione volontaria di potere è certamente rara nella storia. Ma i paesi in via di sviluppo hanno l’opportunità di riparare lo squilibrio nella governance proprio perché l’Europa ha bisogno dell’Fmi per aiutare le flagellate economie alle sue frontiere orientali. Come dovrebbero giocare le loro carte? Dovrebbero rifiutare la proposta di aumentare le risorse, se non è accompagnata da una seria riforma (e non un rattoppo) della governance dell’Fmi. La riforma dovrebbe mettere fine all’occupazione europea della poltrona di direttore operativo, con il prossimo capo del Fondo monetario selezionato per merito, e dovrebbe anche cambiare il sistema delle quote e dei seggi in modo da riflettere l’attuale dimensione e influenza delle economie. Se ne dovrebbe andare anche il potere di veto di cui oggi godono Stati Uniti ed Europa.
Se la strategia dei paesi emergenti non riesce a convincere l’Europa a spogliarsi delle ultime vestigia imperiali che il suo predominio nell’Fmi rappresenta, allora questi paesi devono “votare con i piedi”: la triste verità è che probabilmente solo la credibile minaccia di una alternativa, come un Fondo monetario asiatico, può costringere quello che è oggi il Fondo monetario euro-atlantico a diventare un vero Fondo monetario internazionale.

Il testo originale in inglese su Forbes

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PERCHÉ ALL’ORDINE NON PIACE LA CONCORRENZA

  1. bellavita

    L’articolo non parla dei guai infiniti provocati dal fondamentalismo liberista che ha ispirato l’azione del FMI a partire dagli anni ’90. La richiesta preliminare di privatizzare e portare in borsa le aziende sovietiche, ha divorato i risparmi dei russi (che sarebbe stato meglio usare per costruire abitazioni) e consegnato le aziende meno fallimentari alla mafia e poi ai bojardi di stato. Le stesse pretese sono state avanzate verso Argentina e Brasile: se volevano un aiuto, dovevano svendere agli stranieri le azioni delle loro aziende di pubblici servizi. In nome di una liberismo da talebani, sono stati compiuti dei veri crimini economici, qualche investitore internazionale è riuscito a fare dei profitti, le economie di qui paesi sono andate per anni alla deriva. E nessuno dei saccenti e arroganti esperti del FMI ha mai chiesto scusa.

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