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IL NUOVO FMI PARTE DALLE FONDAMENTA GIURIDICHE

Per essere credibile e sostenibile, un nuovo Fondo monetario internazionale ha bisogno di riforme radicali che conducano alla creazione di una istituzione basata su una chiara definizione delle sue competenze, caratterizzata da procedure decisionali trasparenti e moderne, da un sistema di soluzione delle controversie efficiente e imparziale e da una revisione del suo ruolo nell’ambito della comunità internazionale e dei suoi rapporti con l’Onu e le altre organizzazioni internazionali. E, soprattutto, forte del pieno sostegno degli Stati membri.

La rivitalizzazione del Fondo monetario internazionale non può basarsi solo sull’incremento (nominale) delle risorse promesso dal G20. Per evitare che il ruolo e l’esistenza del Fondo siano rimessi in discussione al termine della crisi economica, sono necessarie profonde riforme in grado di ristabilire la sua credibilità. La struttura di governo, le regole di funzionamento dell’organizzazione e le procedure che disciplinano gli aiuti finanziari destano numerose perplessità, soprattutto nella comunità dei giuristi.

LO STATUTO

Lo statuto del Fondo, seppur modificato più volte, ricalca fondamentalmente il testo stipulato nel 1944 alla conferenza di Bretton Woods. Dopo il tracollo del sistema dei cambi fissi, il Fondo non è mai stato dotato di nuovi strumenti di controllo delle fluttuazioni delle valute e non si è adeguato ai radicali cambiamenti dei mercati finanziari e valutari.
L’Fmi funziona alla stregua di una società per azioni. Il sistema decisionale è basato sul voto ponderato, con alcuni criteri di correzione: ogni Stato membro ha a disposizione una base di voti più un voto per ogni quota detenuta del capitale sociale. Tuttavia, a differenza delle società per azioni, le decisioni più importanti sono prese da un Consiglio di 24 direttori esecutivi nominati dagli Stati membri. Solo otto Stati hanno una quota di capitale sufficiente per eleggere il loro direttore esecutivo: sono Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Germania, Giappone, Russia, Cina e Arabia Saudita. Gli altri devono allearsi in “constituencies”: l’Italia, per esempio, è a capo di una constituency Albania, Grecia, Portogallo, Malta, San Marino e Timor Est. Due i problemi principali che ne derivano: le quote non riflettono l’effettiva rilevanza degli Stati dal punto di vista monetario e finanziario e vari Stati dell’Uem partecipano a diverse constituency, rendendo difficile il coordinamento fra i diversi membri di Eurolandia.
Dalla sua istituzione, in base a un gentlemen’s agreement, il Managing Director del Fondo è sempre stato un cittadino europeo, mentre il presidente della Banca Mondiale è sempre stato uno statunitense. Inoltre, la selezione dei funzionari del Fondo, che hanno un ruolo fondamentale nel negoziato con gli Stati per la concessione degli aiuti, non è basata su concorsi pubblici, ma è assimilabile alle assunzioni presso imprese private.

CONDIZIONALITÀ QUANTITATIVA E STRUTTURALE

Dalla fine degli anni Settanta all’inizio della crisi finanziaria, il Fondo si è prevalentemente dedicato al sostegno finanziario dei mercati emergenti e paesi in via di sviluppo. (1) Il sostegno finanziario è subordinato all’adozione, da parte dei paesi beneficiari, di programmi di riforma, la cosiddetta condizionalità. Ma dai primi anni Ottanta vi è stato un sostanziale mutamento: oltre a una condizionalità di natura “quantitativa” – gli impegni a perseguire un obiettivo quantitativo, come deficit di bilancio o rapporto tra deficit e Pil, lasciando però libero lo Stato di adottare gli strumenti preferiti per ottenerlo – è stata introdotta, e ha acquisito sempre più rilevanza, la condizionalità “strutturale”, ovvero impegni riguardanti anche il contenuto delle riforme, dal contenimento della spesa pubblica in determinati settori alle riforme della legislazione finanziaria e commerciale, e così via. Tale politica ha sollevato numerose critiche perché implica una disparità di trattamento fra paesi in via di sviluppo e paesi industrializzati (o meglio, fra “donatori” e “beneficiari”); perché, oltre a incidere notevolmente sulla sovranità del beneficiario, le condizioni non hanno, talvolta, condotto ai risultati sperati; e perché le condizioni non sono sottoposte ad alcun controllo da parte del diritto internazionale: formalmente si tratta di un impegno unilaterale del beneficiario.

LA LETTERA DI INTENTI

Dal punto di vista giuridico il sostegno finanziario del Fondo si configura come una decisione dell’organizzazione e non come un accordo internazionale. L’atto costitutivo del Fondo precisa che gli Stati membri hanno il diritto di accedere alle risorse dell’organizzazione, a determinate condizioni. E il Fondo decide di erogare l’aiuto se considera soddisfacenti quelle presentate dallo Stato. Le condizioni hanno una funzione di garanzia: consentire all’Fmi di rientrare in possesso delle somme erogate. Formalmente, pertanto, le politiche di condizionalità sono un autonomo impegno volontario dello Stato beneficiario e infatti sono contenute in una “lettera di intenti” redatta e sottoscritta dal governo. Irrilevanti sono, ai fini giuridici, i negoziati intrapresi fra il Fondo e il beneficiario sul contenuto della lettera di intenti. Quali sono le conseguenze? La condizionalità si configura come un impegno dello Stato beneficiario e non come un’imposizione dell’organizzazione. L’opinione pubblica nazionale può quindi essere tenuta all’oscuro dei risultati del negoziato, anche se negli ultimi anni gli Stati hanno dato il consenso alla pubblicazione della lettera di intenti. E si attenua il ruolo del Parlamento nazionale del paese beneficiario: se non si tratta di un accordo, non deve autorizzare la conclusione o ratifica dell’accordo, come invece accade normalmente in questi casi nelle Costituzioni nazionali. Né generalmente, il Parlamento sottopone a esame l’intero “pacchetto” di condizioni sottoscritte dall’esecutivo, con conseguente esclusione di qualsiasi discussione relativa agli effetti sociali delle riforme. Infine, il beneficiario è “deresponsabilizzato”: in caso di mancato soddisfacimento delle condizioni, l’unico rischio è il blocco di ulteriori erogazioni del sostegno finanziario da parte del Fondo, invece della violazione di un accordo.

A CHI (NON) RISPONDE IL FONDO

Il Fondo non è accountable, in sostanza, nei confronti di nessuno. Il Fondo non è obbligato a seguire rigidamente le decisioni dell’Onu. Pur trattandosi di un’istituzione specializzata delle Nazioni Unite, è un’organizzazione indipendente dotata di personalità giuridica internazionale. Il suo rapporto con l’Onu è regolato da un “accordo di collegamento” che lo invita semplicemente a “tener debito conto delle risoluzioni dell’Onu”. Il rischio è di promuovere il sostegno finanziario di un paese che è colpito da embargo Onu, come ad esempio il Sud Africa negli anni Settanta.
Il Fondo non ha alcun strumento di natura giuridica che lo obblighi a rifiutare il sostegno a governi antidemocratici o che non rispettano le normative internazionali in materia di protezione dei diritti umani. Non è dotato di alcun sistema di soluzione delle controversie che possa essere attivato, per esempio, dal beneficiario di un aiuto che ritenga di aver ricevuto un pregiudizio dalla condotta dei funzionari del Fondo contraria allo statuto. Qualsiasi controversia interpretativa è risolta dal medesimo organo politico-tecnico, il Consiglio dei direttori esecutivi, che decide in merito alla erogazione degli aiuti: in altre parole, “imputato” e “giudice” sono il medesimo soggetto. Solo recentemente è stato istituito un sistema indipendente di revisione delle attività del Fondo, il cui rapporto finale, tuttavia, non può avere alcuna conseguenza diretta nei confronti dei responsabili di atti pregiudizievoli per lo Stato beneficiario.
Attribuire al Fondo il potere di emanare disposizioni vincolanti per il controllo dei mercati finanziari comporterà che gli Stati membri rinuncino a parte della loro sovranità in materia. In caso contrario, il controllo rimarrebbe solo sulla carta e senza efficaci strumenti dissuasivi e punitivi. In più gli Stati dovranno collaborare fattivamente attuando concretamente le decisioni del Fondo nel proprio ordinamento giuridico. L’esempio è quello dei tribunali penali internazionali: senza la collaborazione degli Stati dove si trovano coloro che sono accusati di crimini, nessuno ha il diritto e la forza di prelevare (legittimamente) il reo per condurlo nella sede del tribunale.

SOLDI VERI O PROMESSE VAGHE?

Non va, infine, sopravvalutata l’entità delle somme che i partecipanti del G20 hanno dichiarato di voler mettere a disposizione del Fondo. In primo luogo, qualsiasi promessa dei rappresentanti dell’esecutivo degli Stati partecipanti deve essere approvata individualmente dai vari organi legislativi. E si ricordi la difficoltà, al Congresso Ua, nell’approvare lo Stimulus Act. In secondo luogo, e tenendo sempre conto il ruolo dei Parlamenti nazionali, solo i 250 miliardi di dollari di contributo diretto degli Stati sono, utilizzando le parole del presidente di Confindustria, “soldi veri”. Infatti, l’impegno di contribuire per 500 miliardi di dollari è limitato a una sorta di “sottoscrizione” di capitale ai cosiddetti “new arrangements to borrow” che i membri del G20 hanno promesso per il futuro e che, soprattutto, non rappresentano una iniezione immediata di liquidità, ma semplicemente un impegno da parte degli Stati a mettere a disposizione del Fondo, in caso di necessità, le somme promesse, una sorta di apertura di credito. Infine, 250 miliardi riguardano l’allocazione di nuovi diritti speciali di prelievo (Dsp), una moneta nominale che serve ai paesi membri per incrementare le loro riserve ufficiali. La decisione, sicuramente importante, non comporta alcun esborso monetario e deve essere approvata dagli organi del Fondo. (2)
Un nuovo Fondo monetario internazionale, per essere credibile e sostenibile, ha bisogno di riforme radicali che conducano alla creazione di una nuova istituzione basata su una chiara definizione delle sue competenze, caratterizzata da procedure decisionali trasparenti e moderne, da un sistema di soluzione delle controversie efficiente e imparziale e da una revisione del suo ruolo nell’ambito della comunità internazionale e dei suoi rapporti con l’Onu e le altre organizzazioni internazionali. E, soprattutto, forte del pieno sostegno degli Stati membri.

 

(1)Fino al 2007, Italia e Regno Unito erano stati gli ultimi paesi sviluppati a ricevere l’aiuto del Fondo, nel 1977.
(2)Una proposta di allocazione di Dsp risalente al 1997 non è stata ancora attuata a causa della mancata, a oggi, approvazione degli Stati Uniti.

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ITALIA MIA

  1. Gloria Bartoli

    Interessante il punto di vista giuridico sul FMI. La riforma della governance è una priorità stabilita da tempo per migliorare la rappresentatività e quindi l’efficacia del Fondo. Un primo aumento delle quote dei paesi emergenti si è avuto nel 2008. Proprio per l’importanza della governance nella credibilità di un’organizzazione internazionale è meglio non sbagliare nella definizione delle quote e quindi potere di voto dei diversi paesi. L’articolo sbaglia nell’attribuire a Russia e Arabia Saudita ( la loro quota è 2,74% e 3,20% del totale, rispettivamente) quote superiori a quella dell’Italia (3,25%) Inoltre, il problema fondamentale della governance del FMI sta nel potere di veto degli Stati Uniti, un residuato del secondo dopoguerra, che è alla base della sfiducia di molti paesi nella neutralità del FMI. Un problema che il recente rapporto di esperti indipendenti sulla riforma della governance del FMI ha proposto di risolvere abbassando la maggioranza necessaria alle decisioni più importanti al 70/75% dall’85% attuale.

  2. Armando Pasquali

    A proposito delle condizionalità poste dal Fondo Monetario, l’autore ricorda che "oltre a incidere notevolmente sulla sovranità del beneficiario, le condizioni non hanno, talvolta, condotto ai risultati sperati". Ma se fosse vero, ci sarebbero state tutte queste polemiche riguardo agli interventi dell’FMI? Ovviamente no. La frase si sarebbe potuta scrivere così: "oltre a incidere notevolmente sulla sovranità del beneficiario, le condizioni hanno, in molti casi, condotto a dei risultati disastrosi". Più aderente alla realtà, quindi. Altrimenti è difficile prendere credere fino in fondo alle varie proposte di riforma. Viene il sospetto che si voglia perseverare nelle vecchie politiche di destra usando, al posto del pugno di ferro, il guanto di velluto.

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