I debiti denominati in valuta straniera dei paesi dell’Europa centrale e orientale ammontano a 250 miliardi di dollari. Quello che era stato presentato come un affare, si rivela oggi una dura lezione per le imprese e le famiglie che hanno fatto ricorso a quei prestiti. Il totale delle perdite è di circa 60 miliardi di dollari. Ma quali sono le conseguenze per le finanze pubbliche? E per la valutazione del rischio di default di Stati sovrani? Si allargano gli spread sui credit default swap. Anche se non tutti i paesi sono uguali. Delle ricadute della crisi nelle diverse aree dell’economia globale si parlerà al Festival dell’Economia di Trento, dal 29 maggio al 31 giugno.

 

Spinte dal desiderio di raggiungere l’Europa occidentale negli investimenti e nei consumi e ingannate dai bassi tassi di interesse nominali di franco svizzero, euro e dollaro americano, le famiglie e le imprese del settore non bancario di molti paesi dell’Europa centrale e orientale hanno accumulato l’equivalente di 250 miliardi di dollari di debiti denominati in valuta straniera. In Austria, essenzialmente a causa della vicinanza alla Svizzera e del significativo differenziale tra tassi di interesse di euro e franco svizzero, il totale dell’esposizione in valuta straniera è pari a 100 miliardi di dollari.

UN PESSIMO AFFARE

Quello che era stato presentato come un affare dalle banche locali e internazionali si è rivelato una dura lezione per le imprese e le famiglie che hanno fatto ricorso a quei prestiti. Per esempio, negli ultimi sei mesi, il franco svizzero si è apprezzato del 31 per cento rispetto allo zloty polacco e il fiorino ungherese ha perso il 14 per cento rispetto all’euro. Data l’ampiezza delle posizioni finanziarie, i rapidi apprezzamenti delle monete hanno determinato enormi perdite aggregate per i paesi che hanno contratto i prestiti.
A sostenere larga parte delle perdite sono state famiglie e imprese, ma la maggior parte dell’esposizione è concentrata in quelle famiglie e imprese che sono meglio attrezzate a sostenere il rischio, mitigando così in parte gli effetti negativi reali delle esposizioni. (1) Tuttavia, gli operatori del mercato hanno anticipato che alla fine sarà lo Stato a “pagare il conto” del settore privato nei confronti delle banche locali, con gravi ripercussioni sulle previsioni di finanza pubblica e sulla percezione che il mercato ha della possibilità di fallimento di uno Stato sovrano.
In un recente lavoro, abbiamo quantificato le perdite del settore non bancario per debiti denominati in valuta straniera in nove paesi dell’Europa centrale e orientale e in Austria. (2) E abbiamo stimato l’effetto che le perdite hanno avuto sulle valutazioni implicite del mercato relative al rischio default degli Stati sovrani, ovvero sugli spread dei credit default swap.

LE PERDITE DI DIECI PAESI

La figura 1 mostra la perdita cumulata del settore non bancario attribuibile alla rivalutazione dei prestiti in valuta straniera a partire da agosto 2008 in Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia. I dati utilizzati includono informazioni su tutti i prestiti in valuta straniera ottenuti da imprese non bancarie, famiglie e Stato e concessi da istituti nazionali. A questo si aggiunge il debito estero dello Stato. (3)
Le perdite totali nelle dieci economie assommano a circa 60 miliardi di dollari. In termini relativi, spiccano l’Ungheria e la Polonia, con un debito cumulato che raggiunge rispettivamente il 18 e l’8 per cento del Pil. Negli altri paesi, le perdite totali non sono insignificanti, ma non superano il 5 per cento del Pil.

Figura 1: Stime della rivalutazione del debito del settore privato non bancario e dello Stato in % del Pil

GLI EFFETTI SUGLI SPEAD SUI CDS

Fino a che punto il mercato assume che alla fine sarà lo Stato a ripagare le perdite del settore privato nei confronti delle banche locali? Fino a che punto il costo atteso del salvataggio, e le perdite dirette dello Stato sui prestiti Forex, influiscono sul giudizio del mercato rispetto alle finanze pubbliche?
La figura 2 mostra la relazione tra perdite/guadagni relativi a valuta estera sui prestiti non bancari e gli spread sui credit default swap nel periodo tra il 1 agosto 2008 e il 16 marzo 2009 per gli otto paesi per i quali lo spread è disponibile. Sull’asse orizzontale, sono indicate le variazioni giornaliere del valore dei prestiti non bancari denominati in valuta straniera come quota del Pil del paese. Una perdita corrisponde a un valore negativo
e un guadagno a un valore positivo. Sull’asse verticale, le variazioni assolute giornaliere dello spread sui Cds a cinque anni del paese sono riportate in punti base.

Figura 2: Guadagni e perdite sui prestiti Forex e spread sui Cds a 5 anni

 

La figura 2 indica che le perdite relative a valuta straniera nel settore non bancario hanno un forte impatto sugli spread sui Cds. Nel nostro lavoro, proviamo che la relazione è significativa in un contesto econometrico. Abbiamo adottato una stima di panel che copre gli otto paesi e 163 giorni lavorativi dal 1 agosto 2008. Nelle nostre stime controlliamo per gli effetti fissi del paese e consentiamo agli spread sui Cds di ritornare alla loro media. Poiché è probabile che le variazioni dei tassi di cambio siano correlate agli spread sui Cds attraverso canali diversi dall’esposizione del paese per prestiti denominati in valuta straniera, controlliamo anche per le variazioni dei tassi di cambio delle economie prese in considerazione rispetto alle valute utilizzate per operazioni carry trade.
Le nostre stime puntuali mostrano che se in un dato giorno le perdite subite dal paese riconducibili a un apprezzamento delle valute straniere ammontano all’1 per cento del Pil, lo spread sui titoli di Stato di quel paese sale dello 0,1998 per cento, ovvero di 20 punti base. Mostriamo anche che le perdite che si verificano nel settore non bancario hanno un impatto sullo spread sui Cds significativamente minore rispetto alle perdite statali dirette. La stima puntuale mostra che se le perdite del settore privato non bancario ammontano all’1 per cento del Pil, lo spread sui Cds sui titoli di Stato aumenta di 11 punti base. Questo coefficiente indica che le perdite del settore non bancario, in media, si trasferiscono alla posizione finanziaria del settore pubblico con un tasso di 11/20 o del 55 per cento.
Per dare un’idea migliore della correlazione tra le nostre stime e le reali variazioni degli spread sui Cds, la tavola 1 riporta gli spread sui Cds degli otto paesi registrati il 1 agosto 2008, il 16 agosto 2009 e la differenza tra le due date. La colonna 4 mostra che parte dell’incremento dello spread sui Cds può essere spiegato dalle perdite sui prestiti Forex.

Tavola 1: variazioni degli spread sui Cds attribuibili a perdite Forex

  Spread sui Cds (punti base) Differenza
  (1) (2) (3) (4)
  01.08.2008 16.03.2009 Variazione totale
reale =(2)-(1)
Parte di (3) dovuta a perdite Forex
Austria 11 195 184 27
Croazia 82 507 425 37
Repubblica Ceca 37 249 212 27
Ungheria 114 523 409 265
Lituania 138 770 632 10
Polonia 51 309 258 123
Slovacchia 34 162 128 8

 

Come si può vedere confrontando le ultime due colonne della tavola, le perdite relative a valute straniere possono spiegare una larga parte dell’improvviso e forte aumento degli spread sui Cds per Ungheria e Polonia. Tuttavia, tali perdite possono spiegare solo una piccola quota degli stessi aumenti registrati in altri paesi, come ad esempio la Repubblica Ceca. Un tale andamento indica che gli operatori dei mercati finanziari non hanno tenuto conto del fatto che le posizione Forex delle economie dell’Europa centrale e orientale sono molto diversificate tra loro, le hanno invece inserite tutte quante nella stessa categoria di rischio, sulla base di considerazioni decisamente ad hoc. (4)
Gli spread sui Cds non hanno mostrato solo una tendenza a salire, ma anche a differenziarsi: i differenziali sugli spread tra paesi come la Repubblica Ceca e l’Ungheria si sono ampliati. La differenziazione indica una crescita generale del costo di assicurazione contro i rischi di default, piuttosto che un reale spostamento verso l’alto della probabilità di default.(5)

(1) Vedi Brown, Martin, Steven Ongena e Pinar Yesin, Foreign Currency Borrowing by Small Firms, working paper presentato alla SNB-CEPR Conference: “Foreign Currency Related Risk Taking by Financial Institutions, Firms and Households”, 22/23 settembre 2008. E vedi anche Beer, Christian, Steven Ongena e Marcel Peter, Borrowing in Foreign Currency: Austrian Households as Carry Traders, Swiss National Bank Working Paper 2008-19.
(2) Auer, Raphael e Simon Wehrmüller, 2009, “Carry Trade-Related Losses and their Effect on Cds Spreads in Central and Eastern Europe”, mimeo, Swiss National Bank.
(3) Questa definizione non comprende i prestiti che il settore privato ha ottenuto direttamente da un istituto straniero. Abbiamo escluso questi prestiti sulla base delal considerazione che è molto meno probabile che un governo decida di intervenire in favore di chi ha un debito verso un creditore straniero piuttosto che verso una banca nazionale. Assumiamo perciò che l’esposizione diretta verso  un creditore estero non incida molto sulle finanze del settore pubblico. Per il calcolo preciso delle esposizioni si rimanda al nostro studio.
(4) La Lituania rappresenta un caso particolare perché il paese è stato finora in grado di difendere il proprio tasso di cambio con l’euro, eliminando perciò le perdite sui prestiti denominati in euro. Il recente aumento dello spread sui Cds riflette la probabilità di una svalutazione e le perdite future a questa associate.
(5) Si veda Remolona, Eli M. Michela Scatigna e Eliza Wu The Dynamic Pricing of Sovereign Risk in Emerging Markets: Fundamentals and Risk Aversion, 20th Australasian Finance & Banking Conference 2007 Paper, Journal of Fixed Income, Vol. Spring, 2008.

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