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MA IL PROBLEMA NON SONO SOLO I FANNULLONI

Trasparenza e valutazione sono i due principi guida della riforma Brunetta. Il limite è l’idea che la produttività dipenda innanzitutto dagli sforzi degli individui e dalle norme di legge, ma non dai modelli organizzativi, dagli obiettivi e dalla distribuzione delle risorse sul territorio. E’ vero il contrario. Occorre dotarsi di sistemi di contabilità industriale che misurino la produttività anche nella Pa, con modelli specifici per ciascuna amministrazione. E in questi casi il principale incentivo per gli individui non è la gratifica annuale, ma il percorso di carriera.

 

Il titolo dello schema di decreto legislativo presentato dal ministro Brunetta e approvato dal Consiglio dei ministri, “in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni” fa pensare che si tratti di una riforma molto ambiziosa.
L’iniziativa è ottima e gli aspetti positivi non mancano. Alcuni li abbiamo già commentati in occasione della presentazione del disegno di legge delega. La ridefinizione degli ambiti della contrattazione collettiva, dalla quale vengono escluse, come è giusto, materie quali l’organizzazione degli uffici. Il rafforzamento del vincolo di bilancio sulla contrattazione integrativa: a quest’ultima è imputabile buona parte della crescita della spesa per il personale nell’ultimo decennio. Le misure in materia di sanzioni disciplinari e responsabilità dei dipendenti pubblici.

I LIMITI DELLA VALUTAZIONE

Positiva è certamente l’affermazione del principio della trasparenza, intesa, vale la pena di citare il testo (articolo 11), “come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione (…), allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità”. La trasparenza, naturalmente, favorisce il controllo dei cittadini che in ultima analisi può essere il fattore motivazionale più potente in organizzazioni che non producono per il mercato.
Accanto alla trasparenza l’altro principio guida della riforma è, giustamente, la valutazione. Valutazione di cosa e rispetto a quali parametri? Ci si aspetterebbe, in un paese in cui la qualità dei singoli settori dell’amministrazione è sempre stata molto eterogenea, con situazioni di assoluta eccellenza accanto ad altre molto arretrate (basta pensare alle differenze di performance che si osservano tra gli ospedali, tra le scuole, tra i tribunali), un grande sforzo teso a disegnare sistemi di misurazione per valutare e confrontare le singole unità amministrative e per ridefinire i modelli organizzativi. Numerose analisi empiriche dimostrano come siano ampi i guadagni potenziali ottenibili, in termini di costi o risultati, anche soltanto riuscendo, in ogni settore, a portare le unità meno efficienti sul livello della media osservato per l’insieme di quel settore.
Vediamo come la questione della valutazione viene affrontata dal decreto. Viene innanzi tutto creato un nuovo organismo, la “Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche”, un organo collegiale composto da cinque componenti, la cui spesa, valutata in 4 milioni di euro, di cui 1,3 milioni per i compensi dei componenti, costituisce secondo la relazione tecnica l’unico onere finanziario del decreto. I compiti della Commissione sono numerosi: ci sono anche quelli di favorire la “cultura delle pari opportunità”, la diffusione della legalità e la promozione della “cultura dell’integrità”. Il più importante è comunque quello di promuovere sistemi e metodologie “finalizzati al miglioramento della performance delle amministrazioni pubbliche”. Nelle singole amministrazioni agiranno, sulla base di modelli forniti dalla Commissione, i nuovi “Organismi indipendenti di valutazione della performance”, destinati a sostituire gli attuali servizi di controllo interno.
Si può dubitare che un sistema così centralizzato, che dovrebbe governare un mondo così variegato come quello delle amministrazioni pubbliche, possa funzionare. Qui c’è un primo limite culturale del progetto, probabilmente figlio della nostra tradizione amministrativa, già presente nella riforma che istituì una decina di anni fa i servizi di controllo interno in tutte le amministrazioni pubbliche: quello di ritenere che lo stesso modello sia applicabile a tutte situazioni, da quelle che producono servizi per i cittadini a quelle che svolgono attività che hanno rilevanza solo all’interno dell’amministrazione: per esemplificare, dal Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno alla Ragioneria generale dello Stato del ministero dell’Economia.
Il secondo limite, ancora più importante, è l’enfasi posta non sulla valutazione dei risultati delle amministrazioni, ma sulla valutazione dei singoli dipendenti. In realtà, nel decreto si parla qui e là di valutazione delle amministrazioni, si prevede ad esempio (articolo 52) che la Commissione fornisca ogni anno all’Aran una graduatoria di performance che raggruppa le singole amministrazioni per settori, su almeno tre livelli di merito. Tuttavia, si tratta di disposizioni frammentarie, il nucleo centrale del decreto è incentrato sulla valutazione delle performance degli individui.

DI PREMIO IN PREMIO

In ogni amministrazione l’Organismo indipendente compilerà ogni anno graduatorie distinte delle valutazioni individuali del personale non dirigenziale, dei dirigenti e dei dirigenti generali. In ciascuna graduatoria il personale verrà collocato in tre fasce: una fascia alta (il 25 per cento del personale), una intermedia (il 50 per cento del personale) e una bassa (il 25 per cento del personale). Lo scopo è distribuire in modo selettivo il “trattamento accessorio collegato alla performance individuale”, finora quasi sempre distribuito a pioggia. Per chiarezza, si tratta per il personale non dirigenziale, la cui retribuzione netta mensile raggiunge per i funzionari di livello più alto 1.400-1.500 euro, di una cifra che oggi corrisponde grosso modo a una mensilità. Per il personale dirigenziale, una retribuzione netta mensile intorno ai 3.500-4.000 euro per il primo livello, più alta per il livello di dirigente generale, dovrebbe trattarsi (ma dal testo non è chiaro) della retribuzione di risultato che si avvicina al 30 per cento della retribuzione totale. Solo il personale collocato nella fascia alta potrà beneficiare del trattamento accessorio nella misura massima prevista dal contratto; chi viene collocato nella fascia intermedia potrà goderne in misura ridotta al 50 per cento, mentre ai meno meritevoli non sarà corrisposto nessun incentivo. Sono poi previsti ulteriori premi. Il personale collocato nella fascia di merito alta (il 25 per cento del totale) potrà concorrere al “bonus annuale delle eccellenze”, che verrà assegnato a non più del 5 per cento del personale, dirigenziale e non(si è tentati di commentare che per lo meno non viene assegnato lo scudetto…). Vi è poi un “premio annuale per l’innovazione” per ciascuna amministrazione pubblica, assegnato al miglior progetto, presentato da singoli dirigenti e dipendenti o da gruppi di lavoro, realizzato nell’anno, “in grado di produrre un significativo cambiamento dei servizi offerti o dei processi interni di lavoro, con un elevato impatto sulla performance dell’organizzazione”. Il progetto premiato in ogni amministrazione concorrerà al premio nazionale per l’innovazione nelle amministrazioni pubbliche.
La lettura di questa parte del decreto, ed è la parte centrale, lascia disorientati. Questo è a nostro avviso il vero limite culturale in cui sono affondate molte riforme. L’idea che la produttività dipenda innanzitutto dagli sforzi degli individui e in secondo ordine dalle norme di legge e non dai modelli organizzativi, dagli obiettivi e dalla distribuzione delle risorse sul territorio. Da ciò deriva che il problema siano i fannulloni e la soluzione siano gli incentivi individuali. Se quindi, ad esempio, il numero di guardie carcerarie per detenuto è in Italia circa il doppio rispetto alla Francia il problema non sono le carceri troppo piccole, troppo vecchie e un regolamento carcerario d’antan, ma il fatto che i secondini non hanno voglia di lavorare. Un bell’incentivo risolverà il problema. Questo, si noti, in un contesto in cui gli stessi dimensionamenti degli uffici spesso non derivano dall’effettiva analisi dei carichi di lavoro ma da “contrattazione” politico-sindacale e in cui un sistema di misurazione dei risultati per le singole amministrazioni, non parliamo per i singoli dipendenti, è ancora in gran parte tutto da costruire. In realtà, la rigida logica “agonistica” che pervade il disegno di attribuzione degli incentivi individuali è una ricetta di difficile efficacia per una Pa. Se non bastasse il buon senso, una letteratura enorme documenta come in attività in cui il contributo dei singoli non è facilmente misurabile sia consigliabile indirizzare gli incentivi sul gruppo. L’esperienza di molte organizzazioni pubbliche e private mostra che è meglio attribuire incentivi all’ufficio in funzione del raggiungimento di obiettivi di produttività, cioè dell’output per dipendente, creando un “bonus pool” da ripartire in funzione del ruolo, eventualmente prevedendo l’esclusione dei dipendenti poco produttivi Se c’è un problema di  “fannulloni” questo si affronta con strumenti disciplinari – su cui il decreto opportunamente interviene – non con gli incentivi. 
L’enfasi, quindi, va spostata dagli individui agli uffici. Occorre allora dotarsi di sistemi di contabilità industriale che misurino la produttività anche nella Pa. Il lavoro della nuova Commissione, se ci deve essere, dovrebbe indirizzarsi verso la costruzione di modelli di misurazione che permettano di comparare le performance collettive. Modelli che non potranno che essere specifici per ciascuna amministrazione e che dovranno servire ad aiutare ciascuna a ridefinire il proprio modello organizzativo. In questa ottica, possono aver senso incentivi individuali per i dirigenti responsabili degli uffici. 
In rapporti di lavoro di lungo periodo, quali sono quelli del pubblico impiego, il principale incentivo per gli individui, comunque, non dovrebbe essere una gratifica annuale ma il percorso di carriera. In un modello organizzativo degno di questo nome, la composizione per qualifiche è stabile nel tempo e non è determinata, come accade oggi nel pubblico impiego, dalla contrattazione con il sindacato. Una composizione per qualifiche stabile implica selettività nei percorsi individuali di carriera. È soprattutto qui che deve giocare il suo ruolo la valutazione dei singoli. La storia recente del pubblico impiego vede, invece, periodiche “riqualificazioni” del personale e promozioni di massa, con lo slittamento verso l’alto della composizione per qualifiche. Pensare di recuperare la selettività con premi annuali è illusorio.

Foto: Renato Brunetta, da internet

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18 commenti

  1. Mario Viviani

    Condivido i giudizi (positivi e critici) e le proposte di Pisauro e Visalli, a cui vorrei aggiungere due cose, anche in base alle mie esperienze nei Nuclei di valutazione nella PA. Prima: la difficoltà a valutare il personale pubblico molto spesso deriva dalla labilità degli obiettivi a cui esso deve mirare. C’è in sostanza una notevole difficoltà (in media, ovviamente) a trasformare gli indirizzi politici in esiti pratici, concretamente attendibili. Ciò è dovuto allo "snodo difficile" nella relazione tra personale politico e dirigenti apicali. Potrei dire in sintesi che una buona valutazione (ma anche una buona programmazione) dipendono da una buona direzione generale, sulla quale dovrebbe concentrarsi l’attenzione del riformatore. Secondo: non credo molto nella contabilità industriale nelle PA. Una contabilità industriale ha l’esigenza di parametri (di costo, oppure di tempo, oppure di qualità) che deriva dall’esistenza del mercato. Propendo dunque per un controllo di gestione tarato sugli obiettivi, che devono essere il più possibile chiari. E rimando in questo modo al primo argomento. Cordialissimi saluti.

  2. Pietro Blu Giandonato

    Complimenti per l’ennesima analisi assolutamente obiettiva dell’ennesima riforma della PA che, come avete opportunamente sottolineato, è difficile produrrà i risultati attesi. In effetti il "fannullismo" che tanto ossessiona il Brunetta non si può pensare possa essere combattuto puntando il mirino sui lavoratori. Da un lato, il vero fannullone non farà altro che rintanarsi ancora di più nella categoria dei marcatori di cartellino, incurante della paventata gogna delle "classifiche", dall’altro il becero antagonismo introdotto dal DdL frustrerà ancora di più coloro che lavorano davvero conducendoli al più bieco individualismo, arrivismo e piaggeria nei confronti dei dirigenti. Senza togliere che le potenti categorie sindacali di funzione pubblica ed enti locali osteggeranno a spada tratta qualunque tipo di riforma che porti a un maggiore controllo dei dipendenti e del loro lavoro.

  3. Carlo Cipiciani

    Prima di tutto complimenti per l’articolo, che contiene un’analisi obiettiva di pregi e difetti dello "schema Brunetta". Oltre che essere d’accordo con le valutazioni degli autori, aggiungo, come ho scritto anche qui (http://www.giornalettismo.com/archives/26323/brunetta-e-la-riforma-pa-sotto-il-decreto-niente/) che è indispensabile che gli obiettivi ai dirigenti siano dati attraverso un processo di negoziazione in modo tempestivo (dare obiettivi a fine anno o non darne affatto è quasi la stessa cosa). Inoltre, andrebbero approfonditi i problemi dei rapporti tra questo "Organismo centrale di valutazione" e gli organismi di valutazione e di Controllo Strategico che molte amministrazioni hanno istituito ai sensi del Dlgs 286/99 (http://www.parlamento.it/leggi/deleghe/99286dl.htm). Perchè va bene le riforme, ma mi sembra una buona idea partire dall’esistente. Infine, come era già stato già scritto anche qui su La Voce, come non capire che puntare sull’individualismo e basta avrà effetti deleteri sulle organizzazioni, dove – ma Brunetta dovrebbe avere almeno un minimo di fondamenti di cultura organizzativa e saperlo – il "gioco di squadra" è una scelta vincente?

  4. giuseppe

    Gli autori hanno individuato il vero limite della "gestione" Brunetta, e cioè che tutto debba dipendere dagli sforzi degli individui, dal fatto di essere presenti sul posto di lavoro a prescindere dalla produttività e dai modelli organizzativi. Immaginiamo che la Fiat, anzicchè comunicare ogni trimestre i dati della produzione, si mette a comunicare i dati sulle assenze degli operai e degli impiegati. Sarebbe normale? Penso proprio di no. Questo accade con Brunetta anzichè far sapere se si sono ridotti i tempi del rilascio del permesso di soggiorno, o della pensione, o delle visite specialistiche e così via, vengono sbandierate le riduzioni di assenza per malattia. La cosa triste è che i media pigramente riportano e commentano dei dati insignificanti ai fini di una migliore e più efficente pubblica amministrazione.

  5. Salvatore

    Cari amici, il sig. Brunetta ci vorrebbe far credere che, mettendo i tornelli agli ingressi e dando qualche incentivo, possa risolvere i problemi nella PA. Solo il popolino può crederci. Siccome il pesce comincia a puzzare dalla testa, forse è dai dirigenti responsabili che bisogna partire. Ma questi sono gli intoccabili messi lì dalla partitocrazia. Allora che fare? Quello che è stato fatto fino ad ora: una buona mano di vernice, il cambio di qualche nome, di qualche sigla, e poi tutto come prima. Auguri Brunetta!

  6. luca

    La vostra analisi sul decreto antifannulloni è condivisibile, come le potenziali distorsioni. Io aggiungerei che, per gli ultimi arrivati, dopo tre valutazioni negative in un quinquiennio, debba essere obbligatorio il trasferimento ad altro incarico. Significa che oltre a punire il fannullone o chi non raggiunge obiettivi, si punirà anche il responsabile del servizio che perderà collaboratori validi se premia i soliti raccomandati. Molti presunti fannulloni, infatti, sono stanchi di lavorare e regalare il merito ad altri.

  7. stefano monni

    relativamente alla bozza del decreto Brunetta, ritengo neccesario richiamare l’attenzione di tutti noi su un aspetto in particolare: quello relativo alla ripartizione in tre fasce del personale a cui attribuire la produttività. Il Ministro Brunetta, rispetto alle prime bozze del decreto è intervenuto recentemente per correggere il tiro, prevedendo la possibilità per la contrattazione decentrata di modificare entro certi limiti le quote percentuali in cui le tre fasce sono definite dal decreto. Il problema che rilevo al riguardo credo sia nella rigidità del sistema soprattutto in ragione delle peculiarità delle singole realtà amministrative. Faccio un esempio per assurdo. Ipotizziamo la PA A) e la PA B). Nella prima esiste il 35% di dipendenti fannulloni, nella seconda un 15%. Che significa che nella prima il 10% di fannulloni prendono la produttività e nella seconda il 10% di bravi dipendenti vengono inseriti nella terza fascia di demerito? Mah! Le perplessità sul meccanismo del decreto sono veramente serie.

  8. Riccardo Colombo

    Condivido molto di quanto è stato scritto nell’articolo, in particolare quando si richiama l’esigenza di non adottare un unico modello per tutte le Pubbliche Amministrazioni. Ritengo, tuttavia, che sia difficile pensare ad un sistema di valutazione per ufficio, in quanto il raggiungimento o meno degli obiettivi fa parte della responsabilità del singolo dirigente o responsabile. Il vero problema è quello indicato da Mario Viviani nel suo commento: non sono chiari e sufficientemente precisi gli obiettivi affidati ai responsabili per cui risulta poi difficile effettuare una valutazione. Penso, infine, che siano necessario sia un controllo di gestione legato agli obiettivi ( così da supportare l’analisi degli scostamenti e quindi la valutazione) che la contabilità industriale; quest’ultima è tuttavia finalizzata a definire il modello ottimale del servizio/attività e quindi è uno strumento propedeutico alla definizione degli obiettivi. E’ inutile ricordare che è tuttavia difficile un controllo di gestione e una contabilità industrile senza la contabilità economica.

  9. Elio Reggimenti

    L’incentivo a pioggia è una somma ingiustizia; tuttavia, nelle esperienze professionali che ho vissuto (in diversi comparti della PA) ogni qual volta si è trattato di effettuare valutazioni sui singoli (o ancora peggio assegnazioni di gratifiche economiche accessorie) sono sorti questi problemi: 1. deterioramento dei rapporti personali nell’ambiente di lavoro e tra il personale oggetto di valutazione ed i dirigenti (ho assistito personalmente a richieste istantanee di trasferimento, traslochi di stanza,ecc.) 2. l’enorme influenza che politica (soprattutto negli EE.LL.) e sindacato riescono ad avere su tali processi di valutazione, con conseguente screditamento dell’operazione, venir meno dell’effetto incentivante e penalizzazione del personale non sostenuto. Ritengo che entrambe le problematiche,di impatto assolutamente rilevante, rendano preferibile un sistema incentivante che sia commisurato sulla base di una competizione “tra uffici” piuttosto che “nell’ufficio”, così come l’autore suggerisce. Diversamente l’attività degli uffici rischierebbe di rimanere paralizzata da personale disincentivato (quando non in sciopero bianco) e colleghi di stanza che non si rivolgono parola.

  10. AMSICORA

    "I commenti di chi mi ha preceduto, sono esemplificativi della mentalità della casta dei dipendenti pubblici. Poiché, a differenza
    dei privati che lavorano per il "sordido profitto", essi operano nel "servizio pubblico" e per il "Bene Comune" si sentono talmente
    superiori rispetto a chi paga loro lo stipendio che non soltanto ritengono sia loro "diritto acquisito" assentarsi liberamente, ma
    vorrebbero evitare qualsiasi controllo sulla loro attività, perché il problema sarà sempre "ben altro": la dirigenza, la valutazione,
    l’organizzazione, i mass media pigri, Brunetta ossessionato dai fannulloni…La vera e propria rivoluzione, non procrastinabile, della
    PA non deve limitarsi certo solo ed esclusivamente ai "fannulloni", tuttavia è importante che si sia iniziato, affermando il principio che
    anche negli enti pubblici ci si deve "guadagnare la pagnotta" lavorando, e che recarsi in ufficio non è più meramente facoltativo.
    Ricordo che ci sono uffici in cui le assenze si sono ridotte addirittura del 90%: pura casualità?E fino ad un anno fa che facevano
    questi impiegati? Dov’erano? Forse avrebbe potuto utilmente occuparsene, ancor prima di Brunetta, la trasmissione "Chi l’ha
    visto?"…"

  11. AM

    Sicuramente non pochi di coloro che lavorano alle dipendenze altrui sia nel pubblico sia nel privato tendono a minimizzare gli sforzi ed i rischi connessi all’attività lavorativa. E’ compito quindi dei datori di lavoro contrastare questa tendenza. Sinora nella PA in Italia non vi è stato un valido contrasto (non solo repressione, ma anche incentivi). Sono necessarie innovazioni di tipo organizzativo e normativo. In particolare sarebbe necessaria anche una diversificazione retributiva in relazione al costo della vita per impedire la migrazione dei dipendenti pubblici verso aree caratterizzate da minor costo della vita e da maggior facilità di reperimento dell’alloggio.

  12. Aram Megighian

    Preferisco un Ministro che esterni meno e, soprattutto, dopo aver girato e constatato di prima persona i problemi. Cosa che non mi pare si possa dire, con rispetto, di Brunetta. Sono pienamente daccordo con l’articolo in quanto chiaramente evidente nei fatti di tutti i giorni. Esempio 1: Comuni; l’addetto comunale esegue i calcoli ICI usando il PC. Niente di male, anzi. Peccato che i dati catastali siano quelli in possesso del Comune (vecchi e non aggiornati) e non quelli, più aggiornati, disponibili in rete dall’Agenzia del Territorio. Risultato? ICI intestate a persone che hanno già venduto da anni terreni e case e conseguenti diatribe. Esempio 2: Concorsi universitari: una serie di norme e regole da seguire per mantenere, giustamente, l’anonimato del candidato nella valutazione della prova scritta. Peccato che non esista alcuna norma che indichi di omettere tutto se il candidato è unico. Risultato? I Commissari devono stare attentissimi a mantenere "l’anonimato" del candidato. Esempio 3: tutto deve andare in rete nei vari siti. Benissimo. Ma allora perchè comunque sempre le solite copie cartacee controfirmate, firmate, e timbrate? Non basterebbe una ricevuta per e-mail?

  13. Cosimo

    La domanda di fondo, che questa cortina di fumo da novello Savonarola vorrebbe nascondere, anzi far sparire, è: ma cosa fanno le pubbliche amministrazioni oltre ad essere terra di conquista per le varie cordate politiche, appaltifici, alberghi per consulenti d’ogni genere? Per cui, per non toccare i veri interessi, ossia i piccioli che gli amici della maggioranza di turno mungono da questo ministero o da quel tal’altro ente, si fanno queste grida manzoniane, sostituendo all’untore, il fannullone o supposto tale.

  14. AMSICORA

    Una breve nota. Il professor Aram Megighian ci ha ricordato, en passant, che molti concorsi nelle università siano, per ossimoro, "con un solo candidato" e non una selezione fra una pluralità di concorrenti: ovvero, verosimilmente, i vincitori sono già predeterminati dalle baronie accademiche ed è consigliabile non parteciparvi nemmeno per "non disturbare il manovratore" e per non farsi dei nemici in prospettiva di una futura carriera universitaria. Un macroscopico caso di abuso di potere cronico ed aggravato…perpretato proprio dagli stessi intellettualoni e professori che magari ci fanno pure la morale dalle colonne dei quotidiani o dagli schermi della Rai sul conflitto d’interessi dell’odiato Berlusca…

  15. mlv

    Ritengo che Brunetta stia facendo quello che si può fare almeno per tentare subito di migliorare la situazione. Da semplice cittadino, prima studente e poi lavoratore, credo che in primo luogo occore responsabilizzare gli uffici locali, si che i cittadini non si sentano più rispondere "mi spiace non dipende da me" oppure "devo sentire dal mio superiore" o "guardi capisco ma io non ho il potere per fare"! Oltre a ciò incominciamo però anche ad ammettere che nella P.A., non tutti si sono specializzati alla London School of Ecomincs, quando invece molte, troppe volte, si devono misurare e decidere (perché ne hanno il potere) su temi delicati che per il cittadino possono volere dire un’intera vita di sacrifici mentre per loro (P.A.) al più solo un errore di valutazione o di interpretazione di una norma. Proposta: perchè non impostare una riforma della P.A. che anzichè basarsi su promozioni automatiche (per anzinità) si basa invece su concorsi per funzioni con retribuzioni adeguate anche per chi ha alternative di lavoro nel privato? Quelli "capaci" se no perchè dovrebbero fare domanda di lavoro alla P.A.?

  16. loremaf

    Le considerazioni svolte nell’articolo sono molto pertinenti, mettono in rilivio alcuni limiti dei provvedimenti del ministro. E’ trascorso un anno dall’insediamento di questo ministro, ma ricadute positive sul funzionamento della PA sono ancora attese. Credo che tutti possano condividere il fatto della riforma profonda di questa PA, dell’introduzione di parametri di misurazione, di controllo e di pianificazione adeguati a quelle che sono gli obiettivi che ogni apparato sia pubblico che privato debba perseguire. Alcune esperienze virtuose vi sono nella nostra penisola, altre guardando oltralpe possono essere introdotte, basta la volontà, ma anche la condivisione, nonchè la motivazione. Tutti sappiamo, però, che oltre alle enunciazioni occorre che i fatti e gli atti susseguanti siano coerenti con i propositi: e qui viene il bello! Tutti sappiamo che vi sono enti inutili, altri improduttivi, cosa si intende fare in questo campo? Altro problema endemico è la cattiva distribuzione delle risorse umane e strumentali nel terriorio, da sempre i parametri favoriscono alcuni territori penalizzando altri, ma vedo con dispiacere che lo status quo regna sovrano.

  17. Frank

    Sulla valutazione credo che una delle maggiori difficoltà, oltre a quella segnalata dal sig. Reggimenti, sia quella di avere a parametro degli elementi oggettivi prestabiliti su cui basare la stessa in modo coerente e serio. Oggi, in diverse realtà, la valutazione e conseguente incentivazione vengono spesso utilizzate per premiare "doti" non sempre di carattere funzionale. E’ ovvio che in tale ipotesi la carenza di elementi oggettivi è quanto di meglio si possa auspicare per giostrare assai più che discrezionalmente il processo. Una parola sugli incentivi a pioggia, su cui certamente non sono entusiasta, ma che ritengo non siano il male assoluto. Beninteso, quando sono pienamente meritati e guadagnati !! Spesso accade che per somme irrisorie, per di più attribuite non di rado in modo poco trasparente e motivato, si vogliono creare differenziazioni forzate che non producono in chi le riceve un reale incentivo, mentre chi ne è escluso si sente penalizzato e demotivato. Senza considerare i possibili deterioramenti di rapporti anche all’interno dello stesso ufficio. Soltanto se il sistema di incentivazione-valutazione è ben congegnato, l’incentivo meritato a pioggia ha poco senso.

  18. BOLLI PASQUALE

    Chi sono i fannulloni nella pubblica amministrazione? Nel fare una graduatoria di merito dovremmo scrivere: politici, sindacati e pubblici dipendenti. I problemi più irrisolvibili non provengono dai pubblici dipendenti, a cui il Brunetta vuole far portare la croce, ma dai politici e dai sindacati. Riusciremo mai a far moralizzare la politica? Riusciremo mai a non far dominare, nei rapporti di lavoro, il sindacato? Non credo proprio! La classe politica con la sua proliferazione e voracità ha devastato il Paese. I sindacati, collusi con i politici, hanno privilegi incredibili: permessi sindacali retribuiti, favoritismi nelle carriere e protezioni varie. Se un dirigente con moralità e responsabilità vuole far rispettare i doveri imposti dal rapporto di lavoro, deve temere, soltanto, una sicura azione per comportamento antisindacale. Il datore di lavoro, cioè lo Stato, non ti protegge, perchè è sempre dalla parte del sindacato e, quindi, del dipendente, ed a chi vuole fare il proprio dovere, cioè, controllare il personale sottoposto, impone, per quieto vivere, il classico "pizzico sulla pancia". Ed allora, per favore Ministro, non ci racconti favole!

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