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CHI VINCE CON LA MANOVRINA

Deluso chi si attendeva misure più incisive a sostegno del reddito dei soggetti più poveri. Il governo annuncia un allargamento per via amministrativa della platea della social card, ma restano comunque invariate le risorse stanziate. L’incentivo Tremonti è una detassazione, parziale e temporanea, degli investimenti comunque finanziati. Non premia le imprese che rafforzano la struttura patrimoniale o quelle che hanno difficoltà di accesso al credito. La norma sostiene solo il settore meccanico. E rischia di essere particolarmente onerosa per il bilancio pubblico.

Non è facile individuare le misure più adeguate per fare fronte a una crisi dell’entità e della durata di quella attuale.
L’indicazione principale che sembra emergere dal dibattito internazionale è a favore di politiche di sostegno e stimolo alla domanda dirette, in modo specifico, a soggetti che non possono soddisfare la propria domanda di consumo o di investimento in quanto vincolati, per motivi di reddito o di liquidità. Sono invece sconsigliate misure generalizzate di riduzione fiscale, perché destinano risorse anche a soggetti che consumerebbero o investirebbero comunque, a prescindere dall’aiuto ricevuto.
Alla luce di queste sintetiche considerazioni possiamo esprimere alcune prime valutazioni sulla parte della manovra varata venerdì dal Consiglio dei ministri, specificamente rubricata come anticrisi. Con l’avvertenza che alcuni aspetti della manovra non sono ancora compiutamente definiti e non sono ancora note né la relazione di accompagnamento né la relazione tecnica.

QUELLO CHE MANCA NELLA MANOVRA: IL SOSTEGNO AL CONSUMO

Ci si attendeva un ampliamento delle misure a sostegno del reddito dei soggetti più poveri, con maggior propensione al consumo. Stando agli annunci del governo, questo intervento dovrebbe essere realizzato con successivi atti amministrativi volti a estendere i requisiti per accedere alla social card. Ciò potrebbe aiutare a superare uno dei due limiti che hanno significativamente ridotto l’efficacia dello strumento: l’eccessiva categorialità (dovuta ai requisiti di età – superiore ai 65 e inferiore ai 3 anni) che ha comportato l’esclusione di molte famiglie numerose e cioè dei soggetti più esposti al rischio di povertà, assoluta e relativa. (1)
Non viene invece minimamente scalfito l’altro limite dello strumento: la scarsità delle risorse impegnate. L’ampliamento annunciato avverrà infatti solo in relazione alle risorse già stanziate in passato, ma che non sono ancora state erogate, proprio perché i requisiti definiti si sono rivelati troppo stringenti.
Ci si attendeva anche l’individuazione di qualche misura di sostegno a favore dei lavoratori dipendenti o parasubordinati, che non hanno diritto a nessun tipo di ammortizzatore sociale in caso di sospensione o cessazione del lavoro. La Banca d’Italia stima che si tratti di circa 1.600.000 lavoratori, e ci ricorda inoltre che, nelle famiglie in cui sono presenti solo lavoratori “atipici”, l’incidenza della povertà è stimata al 47 per cento. Queste considerazioni aiutano a capire l’importanza e l’urgenza dell’intervento di sostegno di cui invece non si ha traccia. Si è preferito pensare ad altre misure sul fronte degli ammortizzatori sociali già esistenti, senza però attivare, neppure in questo caso, nuove risorse: sembra infatti che le misure decise siano integralmente finanziate con l’utilizzo di quelle assegnate il 6 marzo 2009 dal Cipe al Fondo sociale per l’occupazione e formazione, a sua volta finanziato con il dirottamento, deciso dal primo decreto anticrisi, di Fondi per le aree sottoutilizzate (Fas): somme quindi sottratte al finanziamento di opere pubbliche.

QUELLO CHE C’È: IL SOSTEGNO AGLI INVESTIMENTI

Tra i provvedimenti al centro dell’intervento del governo vi è una riedizione, in versione un po’ modificata rispetto a quelle precedenti del 1994 e del 2001, dell’incentivo Tremonti, famoso in passato più per i suoi costi per il bilancio pubblico (circa 4-5 miliardi di euro, su base annua) che per la sua efficacia, di cui si sa ben poco.
L’incentivo, per la terza volta, continua a venire erroneamente chiamato “detassazione degli utili reinvestiti”, mentre si configura come una detassazione, parziale e temporanea, degli investimenti, comunque finanziati. Questo è un suo primo importante limite perché, a differenza di quanto richiesto anche da Confindustria, non premia le imprese che rafforzano la propria struttura patrimoniale e non contribuisce quindi al processo di deleveraging, ossia di riduzione del debito che aiuterebbe le nostre imprese a riprendere un sentiero di crescita. Non si rivolge neppure alle imprese che non possono investire perché più vincolate nell’accesso al credito, in particolare le piccole e medie imprese e quelle che investono in progetti più rischiosi, solitamente le più innovative.
Più precisamente, l’incentivo consiste nella deducibilità dall’imponibile di una quota pari al 50 per cento degli investimenti in macchinari effettuati dal momento di entrata in vigore del decreto al giugno 2010. Dalla platea dei beneficiari sono esclusi, come nel 1994, i lavoratori autonomi, ma sono incluse, a differenza del 1994 e come nel 2001, tutte le società e imprese.
Premia tutti gli i investimenti, anche quelli di mero rimpiazzo del capitale esistente. Diversamente dal passato, l’incentivo non è limitato al 50 per cento degli investimenti in eccedenza rispetto alla media del quinquennio precedente: si tratta di fatto di una strada obbligata, nell’attuale congiuntura. Ma agevolando anche gli investimenti che avrebbero comunque avuto luogo, la norma rischia di essere particolarmente onerosa per il bilancio pubblico (in termini di costo-opportunità).
Vero è che l’intervento è limitato da due elementi che sarà importante valutare appena sarà resa nota la relazione tecnica.
Da un lato, molte imprese, in questa fase di difficoltà economica, potrebbero non avere utili sufficienti per potere usufruire della deducibilità. Per queste imprese “incapienti” il bonus si sposterebbe dal 2010 (nel 2009 infatti la norma non prevede comunque alcun beneficio) agli anni successivi, sempre che si ammetta, come in passato, la possibilità di riportare in avanti l’agevolazione non goduta.
Dall’altro lato, il perimetro dei beni strumentali ammessi al beneficio è molto più limitato che in passato, perché non riguarda tutti i beni ammortizzabili, inclusi capannoni e autovetture, ma solo macchinari e apparecchiature di cui alla divisione 28 della tabella Ateco, in sostanza macchine utensili e altre apparecchiature, tra cui le macchine e attrezzature per ufficio, ma non i computer (tabella ATECO; si veda la divisione 28).
La norma quindi non è selettiva nella scelta delle imprese, mentre lo è sul fronte degli investimenti da agevolare. In conclusione, il suo obiettivo principale sembra essere quello di sostenere la domanda di macchinari e apparecchiature tipiche del settore meccanico e dunque i ricavi delle imprese, italiane e straniere, che lì operano. È vero che il nostro settore meccanico è importante e sta subendo una flessione della domanda, soprattutto di fonte estera. Ma vi è da domandarsi se il suo sostegno sia da considerarsi prioritario in questa fase congiunturale.

(1) Vedi Mazzaferro, C. e Toso. S (2009) “Previdenza e assistenza: misure anticrisi e congelamento delle riforme”, in M.C.Guerra e A. Zanardi (a cura di) La finanza pubblica italiana. Rapporto 2009, Bologna, il Mulino.

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VERO O FALSO? LE RILEVAZIONI ISTAT SECONDO TREMONTI

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INDOVINELLO: UNO E TRINO, ANZI…?

  1. Loreto Ruscio

    Non sono un tecnico e non mi permetto quindi di entrare nel merito del provvedimento del governo ne’ dell’articolo. Mi solletica però una domanda: perchè queste cose non vengone riportate sugli organi di stampa nazionali, e, meglio ancora, poste come domande ai ministri competenti? Ho letto il Corriere della Sera che riportava solo giudizi positivi da Monti, in prima pagina, fino a Confindustria.

  2. rita

    Posto che si è trattato di una manovrina perchè stiamo parlando di due miliardi che sono una goccia nel mare ( scandaloso pensare che ci arrampichiamo sugli specchi per stanziare 2 miliardi senza assestare un colpo mortale ai conti pubblici, quando abbiamo un tesoretto di evasione da più di cento miliardi). Ciò posto consumi e ammortizzatori sono in pratica due facce dello stesso fenomeno, perchè chi non è colpito dalla crisi non ha motivo di smettere di consumare, sono coloro che vedono ridursi il reddito disponibile che devono per forza ridurre la loro spesa. Oa stanno per scadere le settimane di cassa integrazione, non mi pare ci sia rimedio nel decreto, i lavoratori menzionati da Draghi come non tutelati continuano a rimanere tali, e noi non possiamo non chiederci come mai il problema non è prioritario. L’impressione è che ci sia la convinzione che il Paese era tirato dall’export prima della crisi e che questa situazione non è modificabile nel breve periodo (per esempio a causa di retribuzioni troppo basse), quindi conviene pensare a tenere vitali i canali di domanda estera.

  3. Filippo Strati

    Sono anch’io in cerca di chiarimenti su alcuni interventi a favore dell’occupazione. Autoimpiego: la possibilità di fruire dei sussidi in una unica erogazione era già contemplata per i lavoratori in mobilità. Contratti di solidarietà: l’integrazione salariale è allineata alla CIGS, ma già altri incentivi non hanno stimolato l’uso di tali contratti. Formazione durante la CIGS: già strumento dei piani di ristrutturazione aziendale, ma la nuova norma prevede che i lavoratori in CIGS (80% dell’ultima retribuzione) possono essere impiegati nell’attività produttiva dell’impresa di appartenenza tramite progetti di formazione o riqualificazione con un costo aziendale ridotto (l’altro 20% dell’ultima retribuzione). Fonti di informazione rilevano che, in aree territoriali ove mancano controlli efficaci, alcune imprese fanno lavorare “a nero” dipendenti messi in CIGS. Il nuovo provvedimento vuole sanare questa illegale attitudine? Non si legittima così una pratica scorretta per ridurre il costo diretto del lavoro da parte di imprese con posizione di mercato relativamente buona ma strenuamente nascosta per ottenere la GIGS?

  4. Giovanni Napol

    Ancora una volta assistiamo ad un nuovo annuncio. Difficile da interpretare per gli addetti ai lavori e perfino ai potenziali beneficiari. Figuriamoci alle persone normali. L’informazione vine gestita in modo da alimentare una cortina fumogena con un senso finale positivo. L’obiettivo è lasciar intendere che il governo si muove e agisce contro la crisi. Poi il cosa, il come, il quanto, cioè la realtà, anche se è l’esatto contrario di quanto affermato, non importa e non serve. L’importante è tirare avanti con gli annunci. Settimana dopo settimana. Mancano all’appello 37 mld di entrate fiscali, e il nostro Tramonto cosa dice?: "Siamo in linea con le previsioni"! Meno male.

  5. ANGELO MATELLINI

    l’ultimo cdm ha sbloccato risosre per pagare le imprese. Di per sè sembra una buona notizia e senz’altro la è. Ma il dubbio è quello che questo provvedimento avrebbe dovuto far parte della manovrina di un anno fà. Al contrario il Governo ha perso almeno sei mesi di tempo del 2008 per dimostrare che la crisi non esisteva se se c’era non riguardava l’Italia. Questo anno di ritardo ha prodotto un danno enorme alle imprese che forse Emma Marcegaglia dovrebbe valutare quando interviene criticando una volta si e una volta no il Governo.

  6. Jonkind

    Beh, a leggere il bilancio e l’attività della Marcegaglia Spa, direi che ci guadagna sopratutto l’azienda di famiglia. Della serie, vieni avanti conflitto di interesse.

  7. BOLLI PASQUALE

    Il Ministro Tremonti con l’approvazione della commissione sulla disponibilità dei fondi al posto della provvigione sul massimo scoperto ha creato un grave danno alla ripresa dell’economia. La provvigione sul massimo scoperto, così come veniva applicata in passato, si calcolava sugli utilizzi del fido, cioè sugli accordati. La commissione sulla disponibilità dei fondi viene calcolata sull’accordato anche senza l’utilizzo del fido. Dare la possibilità agli istituti di credito di applicare una commissione sugli affidamenti, anche se in ragione del 0.5% trimestrale, significa oberare di notevoli costi finanziari l’economia reale del paese già abbasstanza dissestata. Perchè il Ministero, tecnico, prima che politico ha avuto tale atteggiamento nei confronti del sistema creditizio? Perchè, da sempre il sistema politico è colluso con le banche. Sicuramente la vecchia provvigione sul massimo scoperto creava meno danni e si non si doveva sostituire. Si è preferito fare proclami politici, agevolare le banche nel fare profitti, ma danneggiare gli operatori economici. Il Ministro Tremonti, quindi non ha aiutato, ma beffeggiato le imprese.

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