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L’EUROPA NON APPREZZA IL BUON VINO

Il settore vitivinicolo è uno dei più importanti e dinamici dell’economia italiana. Ma l’Unione Europea sta per varare un’importante riforma che modifica il sistema di classificazione dei vini, con un appiattimento dei livelli di qualità. Rischia così di danneggiare le cantine italiane, che negli anni sono riuscite a consolidare il loro prestigio mondiale grazie all’interazione di sistema istituzionale di classificazione e reputazione collettiva della specifica denominazione. Ad avvantaggiarsene saranno invece i grandi gruppi internazionali.

 

Il settore vinicolo italiano ha raggiunto negli ultimi anni una dimensione imponente. L’Italia è infatti il primo produttore ed esportatore di vini al mondo per quantità e il secondo per valore, dopo la Francia. Le aziende del settore sono oltre 700mila e il fatturato è stato, nel 2007, di 8,3 miliardi di euro, a cui bisogna aggiungere quello di un esteso indotto: macchinari, editoria, turismo enogastronomico e così via. (1) Tuttavia, il quadro non è del tutto roseo: mentre cresce la competizione internazionale, nei paesi mediterranei si registra un calo dei consumi pro capite di vino e, più in generale, una evoluzione dei gusti dei consumatori. (2)

LE DENOMINAZIONI DI OGGI

Un elemento centrale del settore vinicolo è il sistema delle denominazioni, in Italia spesso giudicato “tout court” inefficiente. Ma un nostro recente studio mostra che la reputazione internazionale delle case vinicole ne è significativamente influenzata. (3) Per un’azienda italiana, la probabilità di acquisire una reputazione internazionale passa dal 5 per cento a circa il 20 per cento quando l’impresa produce almeno un vino appartenente alla categoria Docg. (4)

Ma vi è di più: l’appartenenza di una cantina a una prestigiosa denominazione di origine, per esempio Barolo, incide in modo sensibile sul successo internazionale. Alcuni consorzi di viticoltori sono riusciti nel tempo, anche grazie all’adozione e al rispetto di rigidi disciplinari, a costruire una solida reputazione collettiva, che influisce sul prestigio della singola azienda. In sostanza, sia il sistema istituzionale di classificazione (Docg, Doc, Igt e vini da tavola) che la reputazione collettiva della specifica denominazione (Barolo e altri) hanno un notevole impatto sulla performance del settore vinicolo nazionale.

La presenza di un sistema efficiente di classificazione è importante non tanto per paesi come Stati Uniti e Australia, in cui pochi e ben noti colossi dominano il mercato, quanto piuttosto per produttori come l’Italia in cui la proprietà terriera è estremamente frammentata e dispersa tra una miriade di piccole e medie imprese, che trovano nelle denominazioni un valido sostegno per farsi conoscere dal consumatore italiano e soprattutto da quello internazionale. (5)

…E QUELLE DI DOMANI

Negli ultimi tempi, tuttavia, il sistema di classificazione dei vini è stato criticato (in alcuni casi non senza ragioni) e se ne è invocata una riforma migliorativa. L’iniziativa è stata intrapresa a livello comunitario e si è concretizzata con l’emanazione del recente Regolamento Ce 479/2008 e della successiva proposta di regolamento del Consiglio del 29 luglio 2008. Tali provvedimenti rappresentano l’inizio del processo di riforma che si dovrebbe concludere nei prossimi mesi, con l’emanazione di un nuovo regolamento attuativo.
La riforma presenta almeno due problematiche che dovrebbero, a nostro parere, essere affrontate nell’ambito del prossimo Regolamento di attuazione. Il primo è il meccanismo di attribuzione delle denominazioni che in futuro verrà gestito dalla Commissione europea, previa indagine di conformità da parte delle autorità nazionali. (6) Il meccanismo, burocratico e macchinoso, rischia di rallentare la procedura di assegnazione di nuove denominazioni, attribuendo il potere finale a istituzioni sovranazionali che non conoscono la realtà del territorio. È bene sottolineare che in nessun altro settore (energia, poste, comunicazioni elettroniche, media) ci si è spinti tanto in là da prefigurare un pressoché completo accentramento delle decisioni regolamentari in capo alla Commissione europea, come avverrà invece nel caso dei prodotti alimentari.
Il secondo problema riguarda la futura struttura piramidale della reputazione, che rischia di appiattirsi considerevolmente. Mentre, infatti, l’attuale struttura prevede quattro livelli di qualità con differenze piuttosto marcate (figura 1a), il nuovo sistema ne prevede solamente tre (figura 1b): Vdt (vini da tavola), Igp (indicazione geografica protetta) e Dop (denominazione di origine protetta). Nonostante le assonanze tra le nuove e le vecchie denominazioni, il cambiamento è radicale: Docg e Doc saranno accorpate e ricomprese nelle Dop, con un appiattimento dei segnali per i consumatori che si collocano nella fascia alta del mercato, anche se in una prima fase Docg/Doc e Igt si affiancheranno ai marchi Dop e Igp. A differenza di quanto avviene oggi, inoltre, le differenze tra Dop e Igp saranno minime. (7)
Infine, per quanto riguarda la fascia bassa del mercato, i Vdt potranno riportare in etichetta il nome del vitigno e l’anno della vendemmia, informazioni oggi proibite per questa categoria di vino.
In sostanza, invece di andare verso un sistema di denominazione più fine, sul modello di alcune storiche denominazioni francesi che identificano categorie qualitative gerarchicamente ordinate di terreni, l’Europa sta procedendo in direzione opposta, verso un sistema meno selettivo, che lascerà sempre più spazio alle risposte strategiche individuali dei grandi gruppi internazionali e sempre meno a forme collettive e istituzionali di reputazione, con un danno sostanziale per il nostro tessuto produttivo.
In un momento in cui si discute dei modi per il rilancio della nostra economia, sarebbe forse opportuno iniziare a migliorare, o almeno a non rovinare, ciò che già funziona, anche se in modo imperfetto.

(1)Mediobanca,http://www.mbres.it/ita/download/indagine_vini_2009.pdf.
(2)La concorrenza agguerrita di nuovi paesi produttori, tra i quali Stati Uniti, Australia, Sud Africa, Argentina e Cile, ha ridotto la quota di mercato dell’Europa dal 95 per cento degli anni Ottanta a meno del 70 per cento del 2007 (cfr. Oiv, 2008).
(3)http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1349992
(4)Il risultato è in linea con altre recenti analisi di tipo qualitativo: si veda Vino, Valore e Qualità, Mediobanca, novembre 2008, http://www.mbres.it/ita/download/rs_masseto.pdf. L’attuale sistema italiano di classificazione prevede quattro categorie. Dalla meno alla più prestigiosa: vini da tavola (Vdt), indicazioni geografiche tipiche (Igt), denominazioni di origine controllata (Doc) e denominazioni di origine controllata e garantita (Docg).
(5)Il maggiore gruppo vinicolo italiano, Giv, fattura 288 milioni di euro contro i 2.719 dell’australiana Foster’s e i 2.563 della statunitense Constellation.
(6)Articoli 37-39 Reg. Ce 479/2008.
(7)Si veda l’articolo 34 del regolamento Ce 479/2008. L’unica differenza è che i vini Dop dovranno essere prodotti con uve provenienti esclusivamente dalla zona geografica di riferimento, mentre i vini Igp con uve provenienti per almeno l’85 per cento da tale zona.

Foto: da internet

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12 commenti

  1. brigate grosse

    Ancora dubbi? Per chi in realtà lavora la commissione europea e gli organismi ad essa collegata? Anni fa era uscito su Report un fondamentale servizio di Paolo Barnard sul reale funzionamento delle istituzioni Ue, e delle relative leggi e regolamenti da esse emanate (si chiamava "I GLOBALIZZATORI"). Spiegava minuziosamente come le lobbies economico-industriali spingessero le istituzioni verso l’approvazione di leggi a loro favore, addirittura in questo incoraggiate da specifici inviti da parte degli stessi rappresentanti politici in seno alla UE (allora il presidente della commissione era il nostro amato mortadellone Prodi). E poi vi indignate, stupite ed arrabbiate quando i popoli sovrani chiamati a ratificare costituzioni e trattati-truffa li bocciano sonoramente? Credete davvero che le masse siano sempre e solo stupide come quelle italiane? Per fortuna esistono i francesi, gli olandesi e gli irlandesi.

  2. luca dambizzi

    Comprendo l’esigenza di armonizzare i criteri di classificazioni tra i vari paesi appartenenti alla UE, ma non bastava rendere più omogenei i criteri delle categorie già esistenti? Italia, Germania, Francia e Spagna avevano tutti un sistema di classificazione basato su quattro livelli. I livelli erano simili tra paesi, partivano tutti dai vini da tavola (vin de table in Francia, vino de mesa in Spagna, deutscher tafelwein in Germania), passavano per i vini ad indicazione geografica tipica (vin de pays in Francia, vino de la tierra in Spagna, Landwein in Germania) e così via a salire. Riducendo il numero di categorie e rendendo le differenzemeno marcate, più che ad una armonizzazione sembra si sia proceduti ad una semplificazione al ribasso.

  3. mirco

    L’Unione europea ha comportamenti e atteggiamenti che mi fanno sempre più dubitare se una unione cosi fatta serva ancora. E un’accozzaglia di stati che stanno insieme per fregarsi economicamente l’un l’altro e poi figuriamoci dal punto di vista dell’unione politica; neanche a parlarne. L’uniformità a volte è ridicola: i fari sempre accesi anche di giorno vanno bene per la Finlandia che ha il sole raso terra per parecchi mesi non certo per l’Italia e la Grecia. Per dirne una sull’uniformità del codice della strada. Molte campagne giornalistiche nei singoli paesi sul costume o sulle abitudini dei locali vengono create ad arte per abituare psicologicamente gli abitanti su innovazione (direttive europee) che poi gli sconvolgeranno la vita. Un esempio? Legge comunitari a n. 88/2009 art.23 vendita e somministrazione di bevande alcoliche. Uniformarsi ai divieti perche al nord europa sono ubriaconi? Che si arrangino! Noi abbiamo a che fare con l’alcool fin dai tempi della magna grecia e non abbiamo i fenomeni di alcolismo inglesi. Ora tocca al vino! Che schifo! Quando tocchera alle aringhe?

  4. Massimiliano Coppola

    A me sembra che in materia alimentare l’Unione europea proceda sempre con armonizzazioni al ribasso, come nel settore della cioccolata. Nel 2000 infatti la UE ha consentito di inserire nel cioccolato, al posto del burro di cacao, altri grassi vegetali nella misura del 5% del peso complessivo. Prima era prioibito. Bello schifo! Il tutto per far risparmiare un po’ di soldi alle multinazionali, danneggiando i consumatori europei e le economie dei paesi emergenti che producono cacao (basti pensare che l’esportazione del burro di cacao rappresenta quasi il 40% del PIL Ghanese, il 38% di quello della Costa d’Avorio ed il 18% di quello del Camerun).

  5. vincesc

    E già successo che la legislazione europea ha penalizzato prodotti tipici italiani, e giù tutti a criticare i burocrati della UE, per poi scoprire che, al passaggio dei provvedimenti in aula per la discussione e votazione, i nostri rappresentanti non erano presenti. Speriamo che stavolta facciano sentire la loro voce.

  6. luca

    Può darsi che sostituire le denominazioni doc e docg con altre possa indebolire la posizione di mercato delle nostre aziende. Ricordo però che tali denominazioni sono solo indirettamente indice di qualità. Indicano infatti l’aderenza ad un disciplinare (quantità percentuale di ogni singolo vitigno, provenienza geografica delle uve, resa per ettaro ecc.). Il Sassicaia, premiato per anni come il nostro miglior vino (cabernet sauvignon e merlot: nota da uso degli sciovinisti) non aveva nè doc nè docg (solo recentemente è stata introdotta la doc Bolgheri Rosso) e il nostro vino più venduto all’estero era del pessimo (pessimo) Chianti con tanto di doc. Non vedo poi perchè conoscere il vitigno e l’annata dei vini da tavola danneggerebbe il consumatore. Forse il venditore. Io so quale vino e quale cioccalato mi piace, forse brigate rosse e compagni no.

  7. Gianluca Stefani

    Sicuramente il territorio è importante per la valorizzazione dei vini italiani prodotti in piccole e medie aziende. Tuttavia non credo che il regolamento 479/08 ed il suo applicativo 607/09 incidano prevalentemente sugli attuali DOC e DOCG per i quali è prevista la possibilità di conservare questa menzione tradizionale (in luogo di DOP). In un’analisi del regolamento che abbiamo redatto per Città del Vino è emerso che i nodi da sciogliere interesseranno piuttosto il destino delle attuali IGT, troppo poco qualificate per diventare IGP, e quello dei vini da tavola per i quali si dovrà decidere se valorizzarli o meno mediante l’indicazione di annata, vitigno e paese di origine. Si tratta sicuramente di scelte strategiche che andranno fatte anche a livello nazionale.

  8. Andrea Costa

    Da piemontese d’origine, sono d’accordo con le conclusioni dell’articolo: il nuovo sistema non valorizza i vini di qualità né i territori che li producono. Mi sembra però strabiliante che il governo del primo esportatore mondiale di vini (l’Italia, appunto) non abbia a quanto pare fatto nulla per impedirlo. La cosa è tanto più incredibile se si pensa che il ministro competente è della Lega, che del rapporto strettissimo con i territori fa la sua ragione d’essere. Evidentemente questo ministro non è così in gamba, oppure abbiamo pagato in questo e altri modi l’indulgenza della Commissione sul caso Alitalia.

  9. da

    Non vi è solo lo schiacciamento della piramide delle denominazioni, che farebbe scomparire i DOCG, i disciplinari più rigidi, (ma non meno frodabili, come dimostra la frode in commercio scoperta a Montalcino questo inverno) mentre e per contro si richiede la tracciabilità assoluta del prodotto (da una bottiglia riesco a risalire alle vasche che hanno contenuto il vino fino al filare che ha dato il grappolo). Le nuove norme in materia di Ocratossina B per esempio, stanno facendo tremare i produttori di Passiti dall’Elba fino a Pantelleria, perchè è veramente assurdo, un’esasperazione igienista, pretendere che grappoli fatti appassire sulla pianta e poi nei solai non sviluppino alcuna coltura fungina e successivamente micotossine. Ciò ci priverebbe di un prodotto raffinatissimo che riproduce in sè tutta la storia dell’area mediterranea. Resta il fatto che governance e deregulation appaiono sempre più termini funzionali all’accentramento della produzione e della commercializzazione, strangolando quell’unica nota democratica nel mercato globale che sono le nicchie, alla faccia della concorrenza sbandierata dai liberisti.

  10. rosario nicoletti

    A fronte di una UE pilotata dagli interessi delle lobbies più potenti, l’unica nostra speranza di evitare una nuova prevaricazione sui vini risiede nei nostri cugini francesi.

  11. mirko

    Se quanto dicono gli autori e’ vero, ovvero che in un primo periodo si puo’ decidere se conservare la menzione doc al posto della dop, non viene a crearsi un po’ di confusione tra i consumatori non esperti (che poi costituiscono il grosso del mercato)? E poi lo sappiamo tutti che in Italia cio’ che e’ temporaneo puo’ restare tale per sempre o mutare improvvisamente. Magari tra un paio d’anni tutte le vecchie denominazioni vengono abolite e sostituite con dop etc. Insomma, mi sembra che la situazione sia ancora tutta in divenire. Ma in tutto cio’ il nostro ministro delle politiche agricole Zaia cosa dice? Tanto piu’ che e’ enologo, quindi la questione dovrebbe stargli a cuore.

  12. Manfredi Pomar

    Personalmente la penso come Andrea Costa. Per l’Italia il vino è una grande risorsa economica, se Zaia si occupasse di tutelare i produttori italiani, penalizzati da un possibile appiattimento della qualità, anzichè promuovere proposte non di sua pertinenza (come ad esempio quelle sui dialetti e sugli stendardi locali), si dimostrerebbe un politico molto più corretto nei confronti del suo elettorato. Ma si sa, la Lega parla parla, ma alla fine è interessata solo al cadreghino come tutti gli altri.

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