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2010: LE RAGIONI DELL’OTTIMISMO

Il 2009 si chiuderà come l’anno economicamente peggiore del secondo dopoguerra. Ma per il 2010 si può provare ad essere più ottimisti. I dati del terzo trimestre mostrano infatti che l’economia italiana è ripartita. Grazie alle esportazioni, che in tutta l’area euro sono la voce più nettamente positiva. Segno che il mondo inizia a mettere dietro le spalle la crisi. Ma è soprattutto all’economia tedesca che dobbiamo guardare. Se la Germania andrà bene, come sembra, le cose andranno bene anche per il nostro paese.

Il 2009 si chiuderà come l’anno economicamente peggiore del secondo dopoguerra con un meno 4,5 di perdita di Pil rispetto alla media 2008. Dall’inizio alla fine della recessione il Pil è sceso di 6,5 punti percentuali e l’indice della produzione industriale che valeva 109 nell’aprile 2008 oggi registra un valore inferiore a 90. Fino all’ottobre 2009, la disoccupazione era aumentata “solo” di 1,5 punti percentuali – soprattutto grazie alla Cig, e soprattutto tra i giovani del Sud, molti dei quali si sono scoraggiati dal cercare lavoro. Ma è possibile che alcune delle brutte notizie sul mercato del lavoro debbano ancora arrivare.
Eppure per il 2010 si può provare a essere relativamente ottimisti. Le ragioni dell’ottimismo si possono riassumere in una battuta: se la Germania andrà bene, le cose andranno bene anche all’Italia. Vediamo perché.
 
QUALI PEZZI DI PIL ABBIAMO PERSO PER STRADA NEL 2009
 
La tabella 1 mostra come dal primo trimestre 2008, il punto di massimo prima della crisi, al secondo trimestre 2009 incluso, cioè il punto di minimo, il calo del Pil si sia articolato nelle sue quattro componenti (consumi, investimenti, spesa pubblica, esportazioni: i quattro “pezzi” del Pil dal lato della domanda) nei cinque grandi paesi europei, nell’area euro e negli Stati Uniti.

Tabella 1 – Il Pil e le sue componenti durante la Grande Recessione (q108-q209)
Δ% cumulata Pil Consumi Investimenti Spesa pubblica Export Import  
Francia -3,3 0,8 -8,7 1,8 -15,0 -12,5  
Germania -6,3 0,8 -10,6 3,2 -18,2 -12,9  
Italia -6,5 -2,6 -15,8 2,2 -23,9 -19,0  
Spagna -4,2 -6,6 -18,6 6,9 -16,4 -24,4  
Regno Unito -5,6 -3,8 -16,8 2,9 -12,3 -15,9  
Usa -3,5 -1,7 -16,7 2,9 -12,6 -19,5  
Area euro -5,1 -1,3 -12,4 3,2 -17,8 -15,3  

Si vede subito che i vari paesi non hanno perso gli stessi pezzi di Pil durante la crisi. L’Italia, il paese che ha subito la riduzione di Pil più consistente, ha sofferto più direttamente degli altri Stati europei della negativa congiuntura economica internazionale. Lo si vede dai dati sulle esportazioni: il nostro paese presenta un “-24”. Nell’area euro e in Germania il calo è “solo” (si fa per dire) del 18 per cento. L’export è invece sceso meno nel Regno Unito e negli Stati Uniti (aiutati dal deprezzamento di dollaro e sterlina, presentano un -12 per cento) e in Francia e in Spagna (-15 o 16 punti percentuali). Se si pensa che le esportazioni nel 2008 rappresentavano circa il 27 per cento del Pil italiano si potrebbe concludere che il meno 6,5 subito dal Pil italiano è quasi del tutto spiegato dalla riduzione delle esportazioni (-24 per 0,27 fa proprio -6,5).
Non è tutto però. Malgrado la relativa tenuta del mercato del lavoro, il sostegno aggiuntivo ai redditi consentito dall’aumento della spesa pubblica (+2,2 per cento) e nonostante gli squilli di tromba sulla miglior tenuta del sistema bancario italiano, famiglie e imprese italiane sembrano non essersi accorte di tutta questa fortuna. I consumi privati delle famiglie e gli investimenti delle imprese sono scesi di più in Italia che nell’area euro: rispettivamente -2,6 per cento i consumi (contro -1,3 per cento nell’area euro) e -16 per cento gli investimenti (contro -12 per cento). Certo agli spagnoli è andata peggio (consumi giù di 8,5 per cento e investimenti di giù di quasi 19 per cento). Ma in Francia e in Germania i consumi sono addirittura cresciuti – sia pure solo marginalmente – durante la crisi.
 
PERCHÉ SI PUÒ PROVARE A ESSERE OTTIMISTI PER IL 2010
 
Dietro al nero del 2009, si può immaginare un 2010 più roseo? Forse sì, guardando ai dati del terzo trimestre 2009 (tabella 2), proprio a partire da quelli di export e import. I dati del terzo trimestre mostrano infatti che l’economia italiana è ripartita, non casualmente insieme con quella tedesca. E in tutta l’area euro, le esportazioni sono la voce più nettamente positiva per tutti i paesi nella tabella.

Tabella 2 – Il Pil e le sue componenti durante il terzo trimestre 2009
Δ% su q209 Pil Consumi Investimenti Spesa pubblica Export Import
Francia 0,3 0,0 -1,4 0,7 2,3 0,4
Germania 0,7 -0,9 1,3 0,1 3,4 5,0
Italia 0,6 0,4 0,3 -0,2 2,5 1,5
Spagna -0,3 -0,1 -2,3 1,6 2,3 2,0
Regno Unito -0,3 -0,1 -0,3 0,2 0,5 1,3
Usa 0,7 0,7 0,5 0,5 4,0 4,8
Area euro 0,4 -0,2 -0,4 0,5 2,9 2,6

 

È un segno che il mondo ha cominciato a mettere alle spalle la crisi. Ma per i paesi europei (almeno per Francia, Italia e Spagna) il motore del miglioramento è probabilmente quel +5,0 per cento di aumento delle importazioni tedesche. Quando la locomotiva tedesca riparte, lo fa soprattutto grazie al dinamismo dei suoi esportatori che stanno invadendo i mercati dell’Estremo Oriente con le loro lavastoviglie, lavatrici, frigoriferi, cabine telefoniche e automobili. Però, per la sua invasione pacifica, la Germania ha bisogno di tanti sub-contractor, cioè produttori di componenti spesso altamente specializzate, in cui per fortuna la meccanica italiana primeggia. Non per caso nel 2008 il 12 per cento delle esportazioni italiane andavano a finire in Germania.
 
NOI E LA GERMANIA
 
Se nel 2010 si consoliderà la ripresa dell’economia mondiale e soprattutto quella dell’Asia , la Germania ne beneficerà per prima e l’Italia ne beneficerà in modo derivato. Ma anche se la ripresa asiatica rimanesse anemica (una parte della crescita cinese potrebbe non essere sostenibile perché basata su politiche fiscali troppo espansive che il governo cinese potrebbe voler abbandonare), la crescita tedesca dovrebbe comunque beneficiare dalle politiche fiscali espansive promesse dal nuovo governo. Non saranno approvati tutti i tagli fiscali desiderati dai liberali, ma almeno una parte di questi ci sarà e ciò darà un utile stimolo alla domanda interna di consumo e investimento e, in modo indiretto, alle loro necessità di importazioni.
In tutti i casi, tanto per cambiare, la nostra ripresa, se sarà, sarà trainata dalle esportazioni e non certo dalla domanda interna. Ma può essere diversamente in un’economia globale?

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14 commenti

  1. gianni leoncini

    Mentre l’analisi dei dati economici e delle prospettive della ripresa dell’economia italiana (o meglio di una parte dell’economia italiana) in riferimento alla ripresa dell’economia tedesca è sostanzialmente condivisibile, quello che lascia perplessi è che il governo tedesco sta sviluppamdo una politica a sostegna della ripresa economica mentre il governo italiano spera in una ripresa delle altre economie. Per questo ritengo più corretto porre l’accento sulle speranze dell’ottimismo perchè le ragioni dovrebbero essere il frutto di azioni e progetti in grado di andare oltre l’alea di un possibile risultato. Dalle mie parti si dice “… che vada un buon inverno è la speranza dei malvestiti…”.

    • La redazione

      Speranze o ragioni, rimane che non tutti i governi sono entrati nell’attuale crisi con la stessa possibilità di spesa anti-crisi per problemi di bilancio pubblico. la Germania partiva da un deficit pubblico in pareggio e un rapporto debito-Pil pari a circa il 70%. l’Italia aveva un deficit già vicino al 3% e un debito superiore al 100%.

       

  2. vitaliano

    Leggendo l’articolo non si può che essere ottimisti. D’altra parte in passato i fenomeni economici italiani hanno molto spesso ripreso, se non sono stati causati, dai cambiamenti che si sono manifestati nell’economia tedesca. Tuttavia vorrei fare notare come l’indicatore di Pil, sebbene codificato, rappresenti nei due paesi due parametri differenti. Principalmente in quanto in Germania l’incremento del Pil si traduce in un miglioramento della vita del cittadino tedesco grazie a logiche di mercato, imprenditoriali, politiche e sociali molto diverse da quelle italiane. La maggiore disponibilità di risorse corrisponde ad una maggiore correttezza e competizione nei diversi settori del mercato interno e in particolare relativamente ai beni primari di consumo. Ciò comporta quindi anche un forte stimolo della domanda interna dando, così, origine a un circolo virtuoso che in Italia, a causa di un mercato timido o troppo egoista, non siamo capaci di produrre.

    • La redazione

      L’etica del mercato è probabilmente più diffusa in Germania chein Italia. Ma non sono sicuro che l’entità del moltiplicatore della spesa (che ci dice di quanto un dato impulso alle componenti esogene del Pil si traduce in maggiore creazione di ricchezza complessiva) sia molto più elevato in Germania che in Italia.

  3. Studente Universitario M.

    Mi chiedo io è pur vero che la Germania dipende da noi per delle componenti molto sofisticate dei loro prodotti nei quali l’Italia primeggia, ma può un paese sopravvivere senza dipendere dalla produzione di un altro paese (che produce per i paesi del Bric) ovvero puo l’Italia investire in un settore che le permetta di vendere il prodotto ai paesi del Bric (i quali hanno il mercato interno in più rapida espansione di tutti i mercati) Noi abbiamo le conoscenze, I capitali, e di certo le strategie non ci mancano, forse l’unica caratteristica di cui pecchiamo è: il Coraggio di intraprendere una ”grande” sfida (intendo la stessa sfida che hanno intrapreso i pionieri della Silicon Valley) che possa portare l’Italia fuori dall’inesorabile declino e possa dare l’esempio a tutti i paesi Europei definiti come statici e che ormai non si propongono nuove sfide(l’Europa viene definita un continente Vecchio proprio per questo). Il punto è che Usciti dalla crisi si delineranno i futuri scambi internazionali(dei prossi 10-20 anni) che tenderanno a rafforzare l’economia dei paesi che hanno intrapreso investimenti nel Bric (ovvero nuove sfide) Può L’Italia cogliere questa sfida?

    • La redazione

      Quella di vendere direttamente nei Bric è una strategia cominciata già da molti anni da aziende come luxottica, Piaggio, Fiat e molte altre. Le piccole imprese fanno più fatica ad arrivare così lontano da sole.

  4. MARIO ROYCH

    Le differenze percentuali nella tabella 2 a quale base sono riferite? Se prendono in considerazione il punto più basso della crisi i confronti con gli altri paese europei possono ingannare: cresco di più perché parto da un punto più basso.

    • La redazione

      Il punto di riferimento di partenza della tabella 2 è il livello della variabile nel secondo trimestre. si tratta di variazioni trimestrali, dunque non annualizzate. ovviamente il tasso di crescita della variabile dipende anche dal punto di partenza. ma confrontare i tassi di crescita è una prassi consolidata per effettuare confronti internazionali.

  5. Maurizio

    Resto sempre perplesso a queste ventate di ottimismo, sarà per la mia collocazione geografica, sarà perché operando in un settore in crisi ho una visione distorta… Mi sembra troppo facile essere ottimisti sulla base dei soli numeri in quanto si trova sempre un modo per farli sembrare buoni. In realtà dietro i cali di Pil c’è sempre dispersione di saperi di investimenti imprese che falliscono e sono tantissime, imprese che delocalizzano e sono tantissime imprenditori che chiudono a fine ciclo che si ritirano ecc non basterà di certo l’aumento della domanda a revocare il fallimento o a metter su una azienda ex novo in un mese. Si sono chiusi i rubinetti del credito e degli incentivi nel giro di un biennio è probabile che la ripartenza della domanda venga soddisfatta da altri paesi in cui gli italiani hanno aperto le loro fabbriche.

    • La redazione

      L’articolo non è ottimistico. Indica solo le possibili ragioni dell’ottimismo che, anche per le ragioni indicate dal lettore, stanno soprattutto sul fronte estero più che su quello della domanda interna.

  6. Gianni

    Suvvia, alcuni spunti son pure interessanti, ma da un sito come questo mi aspettavo qualcosa in più rispetto alla sfilata di numeri da dare in pasto al popolo bue, senza uno straccetto di commento. Come si fa a prendere per oro colato i valori di Pil derivanti, nel bene e nel male, da inizioni folli di liquidità e sovvenzioni degli stati centrali? (Guarda caso si punta l’attenzione sul settore meccanico, che nel 2009 ha visto incentivi come non mai in mezza Europa). Come si fa a considerare ancora il Pil quale misura dello stato reale dell’economia, quando anche i bimbi dell’asilo sanne che la scarpe prodotte in Cina dalle aziende italiane, rimpatriate giusto per incollarci l’etichetta, nei fatti rientrano a pieno titolo nel conteggio del Pil italiano? Come si fa ad analizzare le dinamiche del Pil futuro senza uno straccio di ipotesi di scenario dell’andamento delle principali valute future? Se, ad esempio, il dollaro volasse un rapporto contro euro di 2 a 1, siamo sicuri che le esportazioni italiane sarebbeo comunque euforiche. Erano solo alcuni dubbi, i primi che mi son venuti in mente, ma ripeto: da un sito come lavoce mi aspettavo molto di più. Adios!

    • La redazione

      Dati i vincoli di spazio dei nostri pezzi, sulla Voce non svolgiamo compiute analisi di scenario.

       

  7. riccardo fabbri

    Ci sono trppi “se”, ad esempio se la produzione di questi grandi gruppi si spostasse verso altri Paesi come l’India, che fine fara’ il terziario? Se qusta ripresa di lavoro degli ultimi tre mesi dell’anno non vera’ recepita in modo positivo nei prossimi due trimestri del 2010 cosa succedera’ a noi terzisti? Che badget di incremento possiamo considerare per il 2010? Vorrei continuare ad essere ottimista.

    • La redazione

      La produrre per conto terzi espone a rischi molto diversi rispetto a chi produce con un marchio. Non è una novità di questa crisi. Per resistere da terzisti non c’è alternativa a esserlo in modo non facilmente riproducibile altrove oltre a quella di cercare nuovi grandi clienti.

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