Una delle cause principali della crisi nell’Eurozona è la differenza di reddito e produttività fra i paesi, con il ritardo di quelli più periferici. L’evidenza empirica suggerisce che le riforme strutturali sono un ottimo strumento per aiutare lo sviluppo delle regioni più arretrate di un paese. Dunque potrebbero essere utili anche nell’accelerare la convergenza all’interno di un’unione monetaria. E potrebbe essere tanto più vero per quei paesi europei dove si riscontrano le maggiori diseguaglianze interregionali.
La crisi dell’Eurozona è essenzialmente dovuta alla mancata convergenza fra regioni e all’assenza di riforme strutturali. L’euro avrebbe dovuto facilitare una rapida convergenza nel livello di reddito e, soprattutto, nel livello di produttività fra paesi. I “padri fondatori” dell’euro vedevano nella moneta unica la condizione necessaria per un mercato unico, che tuttavia, si è dimostrato incompleto senza le riforme strutturali. L’attenzione si è concentrata sugli aspetti finanziari e fiscali della crisi, ma le riforme strutturali che facilitano maggiore coesione e crescita sono la chiave per una soluzione di lungo periodo della crisi della zona euro.
DIFFERENZE FRA REGIONI
Le differenze di reddito fra regioni sono importanti: i paesi che hanno una più alta disuguaglianza interregionale nel prodotto pro-capite sono generalmente i più poveri (figura 1).
Secondo la teoria neoclassica, regioni relativamente povere con minore capitale e più bassa produttività dovrebbero attrarre capitale dalle aree più ricche.(1) Il capitale dovrebbe facilitare l’adeguamento della produttività, soprattutto permettendo la diffusione di nuove idee e tecnologie dai paesi avanzati a quelli meno avanzati del mondo. La convergenza può verificarsi sia tra paesi che usano differenti monete sia tra regioni di uno stesso paese, ma il fatto di condividere una unica valuta dovrebbe accelerare il processo, perché capitale e tecnologie si possono muovere più facilmente all’interno dell’area.
Tuttavia, la velocità di convergenza in Europa non sembra avere molto a che fare con l’introduzione della moneta unica. La sua velocità è mutata molto nel tempo: la convergenza è stata molto forte fino alla fine degli anni Settanta, è rimasta stagnante negli anni Ottanta ed è poi riemersa, ma con andamento più lento. (2) La lenta (o più lenta del previsto) convergenza è dovuta alla assenza delle riforme strutturali che avrebbero dovuto accompagnare l’unione monetaria? Quali sono le riforme strutturali che favoriscono la convergenza fra regioni?
La letteratura corrente sull’impatto delle riforme strutturali sulla convergenza prende come base di osservazione il paese nel suo insieme e non considera invece il suo impatto sulle diverse regioni. Per esempio, Philippe Aghion, Peter Howitt e David Mayer-Foulkes, utilizzando dati di 71 paesi dal 1960 al 1995, nella loro regressione di crescita fanno interagire la variabile dello sviluppo finanziario con il Pil iniziale del paese e ne ricavano che lo sviluppo finanziario interno accelera la convergenza. (3) Tuttavia, le riforme strutturali possono aiutare un paese a crescere proprio attraverso una accelerazione dell’adeguamento delle regioni in ritardo verso quelle avanzate, sebbene talvolta favoriscano una ulteriore crescita di queste ultime.
Una semplice osservazione suggerisce che i paesi con minore sviluppo finanziario hanno anche una maggiore disparità di reddito fra regioni. La stessa relazione vale per la liberalizzazione del commercio.
Ma si tratta di un’evidenza solo suggestiva, perché la correlazione potrebbe essere dovuta ad altri fattori non osservati.
L’EFFETTO DELLE RIFORME
In una recente ricerca analizziamo l’effetto che le riforme strutturali possono avere sulla velocità della convergenza fra regioni all’interno di un paese. (4)
Utilizzando un ampio insieme di dati regionali di 32 paesi (avanzati ed emergenti) per un periodo di dieci anni (per alcuni paesi come gli Stati Uniti gli anni sono quaranta) mostriamo che sviluppo finanziario, apertura al commercio, basso salario minimo, bassa liquidazione e buona struttura istituzionale (rispetto della legge, qualità della burocrazia, bassa corruzione) sono associate a una più veloce convergenza verso le regioni più avanzate. Bassi sussidi di disoccupazione e basso cuneo fiscale sul lavoro hanno l’effetto opposto.
L’impatto delle riforme sulla convergenza regionale è economicamente significativo. Per esempio, quando lo sviluppo finanziario si sposta da un livello minimo a uno molto alto, il tasso annuo di crescita aumenta di circa il 3 per cento per regioni la cui distanza da quelle più avanzate è al novantesimo percentile. E quando gli indicatori per alcune riforme strutturali sono al livello minimo, semplicemente le regioni non convergono.
Ma le riforme strutturali che inducono maggiore convergenza non necessariamente incrementano la crescita delle regioni più avanzate. Per esempio, non c’è molta evidenza che lo sviluppo finanziario abbia un effetto positivo sulle regioni avanzate. Questo è coerente con l’ipotesi che la mobilità interna del capitale rafforzi il processo di convergenza, come suggerisce la teoria neo-classica. Inoltre, un buon sistema istituzionale si rivela particolarmente vantaggioso per le regioni meno avanzate, il che probabilmente indica che buone istituzioni rendono più facile la riallocazione delle risorse.
Un altro risultato della nostra ricerca è che alcune riforme strutturali, come maggiore apertura al commercio, maggiori sussidi di disoccupazione e più bassi salari minimi, sembrano far sì che le regioni di retroguardia beneficino maggiormente della crescita delle regioni più avanzate. Questo probabilmente è dovuto al fatto che alcune riforme strutturali possono facilitare il trasferimento di idee e tecnologie.
Ma in fin dei conti, che beneficio può avere un paese dalla riduzione della disuguaglianza interregionale? Per trovare una risposta, abbiamo calcolato quale sarebbe un ipotetico Pil pro capite del paese se il Pil delle regioni più povere (ovvero quelle che includono i due terzi della popolazione) aumentasse fino al punto in cui il rapporto tra il Pil pro capite delle regioni ricche (quelle includono un terzo della popolazione) e quello delle regioni povere sia pari a quello degli Stati Uniti. La tabella 1 riporta i risultati. Per un paese come la Thailandia, ad esempio, il Pil pro capite del paese sarebbe maggiore del 50 per cento circa.
Tutto considerato, i risultati dimostrano che alcune riforme strutturali sono un ottimo strumento per aiutare lo sviluppo delle regioni più arretrate di un paese. Ciò suggerisce che le riforme potrebbero essere utili anche nell’accelerare la convergenza all’interno di un’unione monetaria. Se guardiamo in particolare all’Unione Europea, importanti riforme strutturali sono da considerare un fattore chiave per la convergenza tra regioni e paesi. Questo è tanto più vero per quei paesi europei in cui si trovano le maggiori diseguaglianze interregionali.
(1) Su questa teoria si fonda una larga parte della letteratura empirica che documenta la convergenza interregionale. Per esempio, Sala-i-Martin (1996) Xavier (1996), “Regional cohesion: Evidence and theories of regional growth and convergence”, European Economic Review, 40(6):1325-1352 mostra l’esistenza di una convergenza non condizionale tra gli stati Usa, le prefetture giapponesi e un certo numero di paesi europei e una convergenza condizionale tra un gruppo di regioni europee. Esercizi simili sono stati condotti per regioni in paesi diversi: per esempio, per regioni degli Stati Uniti Holtz-Eakin, D (1993), “Solow and the states: Capital accumulation, productivity, and economic growth”, National Tax Journal, 46(4):425-439; per regioni dell’Australia Cashin, Paul (1995), “Economic growth and convergence across the seven colonies of Australia: 1861-1991”,Economic Record, 71(213):132-144; per regioni del Canada Coulombe, S and F Lee (1995), “Convergence across Canadian provinces, 1961 to 1991”. Canadian Journal of Economics, 28(4a):886-898; e per regioni dell’Europa Neven, D. and C. Gouyette (1995), “Regional convergence in the European Community”, Journal of Common Market Studies, 33(1):47-65.
(2) Magrini, S (2004), “Regional (di) convergence”, Handbook of Regional and Urban Economics, 4:2741-2796.
(3) Aghion, Philippe, Peter Howitt, and David Mayer-Foulkes (2005), “The effect of financial development on convergence: theory and evidence”, The Quarterly Journal of Economics, February, 173-222.
(4) Che, Natasha Xingyuan and Antonio Spilimbergo (2012), “Regional Convergence and Structural Reforms”, CEPR Discussion Paper 8951.
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