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INTERVENIRE PRIMA CHE PASSI LA NOTTATA

Disoccupazione all’8,6 per cento e Pil 2009 a -5 per cento: l’economia italiana soffre ancora i colpi di coda di una crisi ormai finita. Ma c’è lo spazio e la necessità per gli incentivi temporanei con efficacia limitata a sei mesi ai settori in difficoltà. Si tratta di permettere alle imprese di avviare processi di ristrutturazione in modo socialmente non distruttivo. Di interventi di questo tipo si parla da tempo, ma il governo continua inspiegabilmente a rinviarne l’adozione.

Disoccupazione all’8,6 per cento, record dal 2004”, “Pil -5 per cento, mai così male dal 1971”. Ecco le ultime notizie da un fronte che non smette mai di fare feriti (e morti, come scriveva Dario Di Vico sul Corriere della Sera, raccontando di piccoli imprenditori e artigiani suicidatisi durante la crisi). Ma come, la crisi non era finita? E perché allora i giornali sono pieni di brutte notizie? Soprattutto, il governo può fare qualcosa?

LA CRISI È FINITA?

Cominciamo con la “la crisi è finita”. Finita quando? Difficile dirlo con precisione. Se si cerca su Google la locuzione “la crisi è finita”, vengono fuori una sequenza di riferimenti, di articoli di giornale e di blog, così come prese di posizione di operatori attivi sui mercati finanziari, con date molto diverse: 22 aprile, 21 marzo, 11 novembre, 27 agosto, 17 maggio 2009 solo nella prima videata. Tutti i riferimenti annunciano lo stesso evento: la fine della crisi. Di sicuro il Pil, l’indicatore riassuntivo della capacità di produrre reddito che gli uffici statistici nazionali pubblicano ogni tre mesi, ha smesso di diminuire rispetto ai valori assunti nei trimestri precedenti nella maggior parte dei paesi europei e negli Stati Uniti più o meno durante il terzo trimestre del 2009. La diminuzione del Pil è andata avanti per cinque trimestri, dal secondo trimestre 2008 fino al secondo trimestre 2009 (incluso). In complesso, il Pil italiano è sceso in termini reali di 5 punti percentuali nel 2009 rispetto al suo valore medio del 2008. Come in Germania e nel Regno Unito, peggio che in molti altri paesi europei, tra cui la Spagna e la Francia. Ma è stata solo una “grande recessione”, e non una “grande depressione” come quella degli anni Trenta: durante la depressione il Pil Usa diminuì di ben 25 punti percentuali nei quattro anni tra il 1929 e il 1933. Oggi stiamo parlando di previsioni di crescita flebile per il 2010. Ci chiediamo se sarà “più zero virgola cinque” oppure “più uno”, non se dopo il “meno cinque” ci sarà un “meno quattro” o un “meno sei”.
Ad oggi, ci sono elementi sufficienti per dichiarare che la crisi, o meglio la grande recessione, sia finita. Il mercato immobiliare americano ha fermato la sua discesa e il Pil ha ricominciato ad aumentare ovunque. E, da dicembre 2009, anche la disoccupazione Usa ha cominciato a diminuire, un segno che non solo l’epicentro della crisi (il mercato immobiliare Usa) si è stabilizzato, ma anche il suo principale meccanismo di trasmissione (il mercato del lavoro) comincia a mandare qualche segnale positivo. Soprattutto al di là dell’oceano Atlantico.

LA LUNGA CODA DELLA CRISI SUL MERCATO DEL LAVORO

Il problema è che il Pil ha ricominciato a crescere, ma troppo lentamente per riuscire a riassorbire la disoccupazione latente che le imprese hanno accumulato in questi mesi di crisi durissima sul fronte delle vendite. Ecco perché, anche se “la crisi è finita”, il lavoro non c’è e “in Italia la disoccupazione è ai massimi dal 2004”. È vero, i disoccupatierano più di due milioni e centocinquantamila persone in gennaio, l’8,6 per cento del totale. Mentre erano l’8 per cento a ottobre 2009 e il 7 per cento a ottobre 2008 e solo il 6 per cento nell’agosto 2007. L’aumento della disoccupazione è tuttavia – e purtroppo – un evento fisiologico, data l’intensità della crisi dell’anno scorso. Chi, resistendo al furore iconoclasta di questi mesi, avesse conservato un manuale di macroeconomia potrebbe infatti controllare le previsioni della legge di Okun, una regola del pollice stimata per l’economia americana già negli anni Sessanta. Questa legge dice: “Se il Pil diminuisce di due punti percentuali rispetto alle possibilità di crescita di lungo termine, la disoccupazione è destinata, dopo qualche mese, ad aumentare di un punto percentuale”. Insomma, secondo Okun, tra Pil e disoccupazione c’è una relazione 2:1.
E così, se il Pil dell’Italia scende di 5 punti in un anno e dato che la crescita di lungo periodo dell’economia italiana è all’1 per cento annuo, a causa della crisi, la disoccupazione in Italia deve salire di circa tre punti. Se, prima della crisi, siamo partiti dal 6 per cento di tasso di disoccupazione, sulla base della legge di Okun, possiamo aspettarci che la brutta botta subita dal Pil italiano nel 2009 finirà per tradursi in una disoccupazione non lontana dal 9 per cento in questi primi mesi del 2010. Per i primi nove mesi del 2009, la crisi non è arrivata sul mercato del lavoro perché il governo ha usato la Cig, che ha congelato il numero degli occupati ai livelli pre-crisi. Ma anche la Cig è destinata a diventare mobilità e poi licenziamento se l’economia non riparte. Ciò che vediamo oggi è dunque il manifestarsi della legge di Okun.

NON ASPETTARE CHE PASSI LA NOTTATA

Chi crede nella legge di Okun potrebbe trarre due implicazioni. Primo, il rapido aumento della disoccupazione osservato negli ultimi sei mesi non sarà indefinito, ma raggiungerà probabilmente un tetto massimo. Almeno a patto che il Pil ricominci a crescere intorno all’1 per cento. Tutt’altro che scontato, ma non impossibile con i dati che conosciamo oggi.
C’è però una seconda cosa da dire. Anche se quelli che osserviamo sul mercato del lavoro sono solo i colpi di coda di una crisi alle spalle, c’è spazio per misure di sostegno ai consumi che accompagnino il mercato del lavoro fuori dalla crisi, ad esempio gli incentivi temporanei (con efficacia limitata a sei mesi) ai settori in difficoltà di cui si parla da giorni e la cui adozione il governo continua a rinviare. È vero, tutti i produttori di tutto il mondo vogliono gli incentivi e poi non viene mai un buon momento per smantellarli. Ma, in questo caso, si tratta di garantire incentivi temporanei ai settori che producono elettrodomestici, dispositivi elettronici, macchine agricole, mobili, cucine e veicoli diversi dall’automobile. Non si tratta di tenere in piedi industrie decotte. In tutti questi settori, le aziende dovranno e hanno già cominciato a ristrutturare, ma hanno bisogno di un po’ di ossigeno per farlo in modo socialmente non distruttivo. Non ci sono soldi per tutti? Il governo scelga e spieghi i criteri che lo hanno indotto a decidere in un modo piuttosto che in un altro. Meglio scegliere e spiegare piuttosto che rinviare per non scontentare nessuno.

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L’ELETTORE DISINFORMATO

12 commenti

  1. Tarcisio Bonotto

    Egregi, gli incentivi hanno la coda corta, se non si risolve il problema più grave della struttura produttiva italiana, non ne avremmo più da distribuire. La globalizzazione, le importazioni massice hanno destrutturato il tessuto produttivo locale: “no produzione, no lavoro, no reddito, no consumi, no produzione…” Sarebbe ora di una ricostruzione decisiva dell’economia, anche andando contro le regole europee che impongono le famose quote produttive, le regole dei trattati Wto che impongo l’incondizionata apertura dei mercati. Se questi hanno aiutato le multinazionali e non le economice locali, che ce ne facciamo? Creiamo un’economia che favorisca la popolazione locale, tutta. Una classe ristretta di persone si è arricchita in questo modo. E’ ora di pensare ad un’economia sociale, non elitaria, per garantire a tutti le minime necessità per l’esistenza e l’aumento del potere di acquisto.

    • La redazione

      Temo che chiuderci dentro nella nostra (dorata?) fortezza Italia non salverebbe i nostri disoccupati e i nostri giovani.

  2. Giovanni Volpe

    Stop al continuo balletto delle cifre, alle vuote parole e promesse. Bisogna agire ora, è tempo di intervenire con la massima urgenza con misure idonee a sostenere le persone in difficoltà. Subito, una indennità di sostegno per i disoccupati, con precedenza agli over 45 e ai pensionati con pensioni minime. In tempi stretti, varare una Riforma del lavoro, al passo con i tempi, innovativa e coraggiosa, non limitarsi ad interventi di facciata. http://www.giovannivolpe.it

    • La redazione

      Un’indennità generalizzata di sostegno ai disoccupati sarebbe molto importante. Ma non farebbe diminuire il numero dei disoccupati, allevierebbe solo il costo sociale della disoccupazione. Quindi non è un sostituto degli incentivi temporanei di cui parlavo nell’articolo. E costerebbe molto più di 300-400 milioni.

  3. Valerio Maurizio

    Dire così semplicisticamente, basandosi su dati forvianti, quali il pil, o gli indicatori di borsa che la crisi è finita mi sembra un azzardo, sono gli stessi indicatori che solo pochi anni fa ci dicevano che tutto andava bene e che non c’era motivo di preoccupazione alcuna. I dati reali, indice occupazionale, cassa integrazione, potere d’acquisto, volumi di vendite e di ordini nei più disparati settori, difficoltà nei pagamenti, mancanza di liquidità, volume delle esportazioni in calo, sembrano evidenziare il contrario. Io mi chiedo, se solo 2-3 anni fa con un Pil al 1.5-2.0 per cento si parlava di stagnazione, ora con un Pil al -5 per cento e una disoccupazione artificiosamente (come confermato dalla banca centrale) all’8.6 per cento ma destinata drammaticamente ad aumentare si può dire che la crisi è finita. Come può il governo far fronte a tutte le spese, se già con un economia (2-3 anni fa) più solida aveva un debito enorme e una perenne mancanza di risorse, mai sufficenti a coprire tutte le spese, ora con fatturati in calo, maggior disoccupazione, perciò meno entrate, aumento della cassa integrazione, incentivi vari, maggiori uscite, qualcuno me lo può spiegare? Grazie.

    • La redazione

      Provo a spiegare. Il meno 5 è la riduzione del Pil 2009 rispetto al 2008. Il dato si riferisce alla media dei quattro trimestri 2009 rispetto agli stessi trimestri 2008. Il dato medio riflette quindi l’andamento di tutti questio trimestri. quando si dice che la crisi è finita non ci si riferisce al meno 5, ma al fatto che la variazione del Pil trimestrale destagionalizzato (cioè corretto per eliminare gli effetti della presenza di Natale, Pasqua, le vacanze d’agosto e altri fenomeni stagionali) ricominci a crescere rispetto al trimestre precedente. Ciò in Italia è avvenuto nel terzo trimestre 2009; in Francia e Germania nel secondo trimestre 2009. il probloema è che ci vuole un po’ di tempo prima che le buone notizie sul fronte del Pil diventino buone notizie per i disoccupati, perchè occorrerà che prima tornino a lavorare i cassintegrati e solo successivamente la ripresa (per ora flebile) dei fatturati si traduca in nuove assunzioni.

  4. elio morselli

    Trichet e altri responsabili della Unione europea vanno dicendo che non è più il caso di continuare con gli incentivi. Avranno o no le loro buone ragioni? Comunque si deve avere il coraggio di apprezzare la politica economica seguita da Tremonti, dando a Cesare quel che è di Cesare.

    • La redazione

      Trichet e i membri della Commissione fanno il loro lavoro. Ma ci sono regole in Europa che vietano alcuni tipi di incentivi in quanto aiuti di Stato, mentre altri -quelli temporanei – sono consentiti. un fondo di poche centinaia di milioni non creerà un buco nel bilancio dello Stato. Per dare a Giulio quel che è di Giulio, ho personalmente apprezzato (ed esposto in varie occasioni) la sua capacità di dire di no all’assalto alla diligenza dei mesi scorsi quando non si conosceva l’entità e la durata della crisi. Ma ora che i confini della crisi sono più chiari, una piccola deviazione che accompagni le ristrutturazioni in corso sarebbe a mio avviso utile.

  5. Andrea

    Mi chiedo: nel breve periodo, meglio una politica di incentivi mirata a specifici settori (che agisce dal lato dell’offerta, ma potrebbe anche avere effetti negativi sulla ricerca del prezzo di equilibrio di quei settori) oppure un piano di riduzione delle imposte (o di bonus pro-consumo) che aumenti il reddito disponibile delle fasce di reddito più basse, quelle con più propensione al consumo stesso? A parità di cifre impiegate, quale sarebbe la più efficace?

  6. Andrea Bortoli

    Dalla Prima Relazione ANAS emerge che nel 2008 le 24 concessonarie delle autostrade hanno avuto utili netti complessivi pari al 21% dei ricavi. Nei settori dell’Energia e dei Servizi Pubblici tale rapporto si è attestato rispetivamente al 7,6 e 6,7%, contro il 4,1% dell’industria. Nel 2009 è presumibile che gli utili netti dell’industria siano diminuiti ad un tasso maggiore di quello dl calo dei ricavi, mentre i settori "protetti" da tariffe "amministrate" e prezzi "regolati" non sono stati per niente scalfiti dalla crisi. Non sarebbe il caso di farli contribuire al finanziamento di una "cassa conguagli" da cui attingere le risorse per "incentivi temporanei" ai settori con residue potenzialità competitive?

  7. alberto lanza

    Penso sia assolutamente pertinente porsi il problema di aiutare particolari settori produttivi in crisi, ma con possibilità di ripresa, con incentivi temporanei in grado di sostenerne e ampliarne le potenzailità. Penso, tuttavia, che il problema del mercato del lavoro del nostro Paese sia di natura strutturale e non congiunturale; il tasso di disoccupazione giovanile al 26,8% dimostra che un mercato del lavoro costruito, almeno nell’ultimo decennio, all’insegna di elevati livelli di flessibilità e deregolamentazione ha prodotto, spesso, cattiva occupazione più che buona occupazione e non ha consentito una larga partecipazione dei giovani al mercato stesso.Gli interventi tampone, sia sul versante degli ammortizzatori sociali che su quello delle regole del mercato, incideranno ben poco se non si prende atto della necessità di una riforma strutturale del mercato del lavoro a partire dall’introduzione del contratto unico coniugata alla riforma del sistema degli ammortizzatori sociali.

  8. BOLLI PASQUALE

    Goethe affermava che proprio quando non si hanno idee arriva la parola giusta. A Berlusconi la parola giusta arrivata, in mancanza di idee, è" ottimismo" o per dire con le sue parole:si deve cavalcare l’ottimismo. Che cos’è l’ottimismo? L’ottimismo tende a guardare il lato positivo delle cose e ad assumere la buona fede nelle persone.Se questo è il concetto di chi governa un Paese significa che non si conosce l’economia.Governare,pertanto,l’economia italiana supportandola con la sola psicologia,come si sta facendo,è come dire portarci, sempre più velocemente,verso la situazione della Grecia.Ma il Premier che a suo dire è un’icona del fare e dell’imprenditoria, le sue tante aziende private così le ha governate? Visti i risultati, non credo proprio! Avrebbe riposto fiducia come imprenditore privato e con il suo attuale ottimismo nelle mani di tanti suoi collaboratori pubblici a livello centrale e periferico? Ho molte perplessità ! Le gestioni delle aziende e ,quindi dello Stato,non si fanno con il cuore,con allegria e con l’ eccessiva fiducia negli altri. Amministrare bene significa:gestire le risorse del Paese e proprie con uguale oculatezza e non con l’ottimismo in senso alterno!

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