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FONDO MONETARIO EUROPEO, UNA PESSIMA IDEA

Chi sostiene la necessità di creare un Fondo monetario europeo non si rende conto delle sue implicazioni e delle condizioni necessarie per un buon funzionamento. Al di là del fatto che il Trattato europeo impedisce che un paese sia salvato dagli altri stati membri, i fautori dell’Fme dovrebbero rispondere a una domanda fondamentale: cosa accade se un paese in difficoltà non rispetta gli impegni assunti? Perché si corre il rischio di arrivare a una totale indisciplina di bilancio. Da non sottovalutare la questione del finanziamento.

 

Non ci sarà un Fondo monetario europeo. È un’idea balzana, sorta con motivazioni assolutamente infondate. Ed è anche un progetto complesso; i suoi sostenitori non si rendono conto delle sue implicazioni e delle condizioni necessarie per un buon funzionamento.
 
TRE MOTIVI PER OPPORSI ALL’FME
 
La prima motivazione è di ordine giuridico. Il Trattato europeo proibisce formalmente che un governo possa essere salvato dagli altri membri o da qualsivoglia istituzione comunitaria. Il governo francese e quello tedesco stanno tentando di mettere a punto soluzioni rompicapo, che aggirino la clausola. Un Fondo monetario europeo, creato al di fuori delle istituzioni comunitarie, potrebbe rispondere a tale esigenza. Ma creare un organismo appositamente per violare un’eccellente clausola è un’operazione insana, che del resto potrebbe essere sanzionata dalla Corte europea.
Seconda motivazione: Jean Claude Trichet ha dichiarato che si sentirebbe umiliato se la Grecia si dovesse rivolgere al Fondo monetario internazionale e, con questa affermazione, ha dato voce al punto di vista di molti dirigenti europei. Eppure, in occasione del G20 di Pittsburgh, gli europei, con in testa Nicolas Sarkozy, si sono battuti per aumentare le risorse del Fmi, prevedendo che la crisi finanziaria avrebbe messo in difficoltà parecchi paesi. Si può addirittura affermare che tale decisione sia stata l’unico sostanziale provvedimento adottato dal vertice del G20. Eppure, nel momento in cui un paese della zona euro si trova in condizioni tali da giustificare il ricorso alle risorse, ormai abbondanti, dell’Fmi, di colpo la musica cambia. L’Fmi viene da molti stranamente percepito come un pericolo, come un cavallo di Troia americano, nonostante il fatto che i paesi europei abbiano, in quanto a voti, un peso maggiore degli americani, e che il direttore dell’Fmi e il suo capo-economista siano francesi. Incomprensibile.
La terza motivazione è più interessante. All’epoca della crisi asiatica del 1997, il Giappone aveva proposto la creazione di un Fondo monetario asiatico. Avevo, a suo tempo, appoggiato la proposta perché – a parte lo stesso sentimento di umiliazione provato allora dai giapponesi – sostenevano giustamente che le condizioni imposte dall’Fmi per concedere il suo sostegno finanziario erano inappropriate. Era l’epoca del “consenso di Washington”, vale a dire di una visione dogmatica che predicava mobilità dei capitali e tassi di cambio flessibili. All’epoca, l’Fmi aveva decretato che la crisi era dovuta a politiche economiche errate, imponendo pertanto l’ortodossia di bilancio; il che non aveva alcun senso. In realtà, successivamente il Fondo ha “adattato” le sue condizioni e l’anno scorso ha infine ripudiato il consenso di Washington.
Ciò non toglie che l’idea di creare diversi fondi monetari meriti una riflessione. In teoria il monopolio è sempre sbagliato. L’Fmi di oggi sembra essere più illuminato di quello che aveva imperversato in Asia, ma nulla garantisce che, in futuro, non sia retto da menti ottuse. Disporre di una seconda opinione è sempre buona cosa, ma ovviamente l’Fmi è contrario a questa ipotesi, perché i monopoli non vogliono mai cedere posizioni. La proposta di un Fondo asiatico era stata allora falciata senza scampo da Stati Uniti ed europei, adducendo una valida argomentazione: un’eventuale concorrenza tra Fmi e fondi regionali poteva provocare un livellamento verso il basso, perché ogni organismo, per attirare il cliente, avrebbe proposto condizioni migliori. È lo stesso ragionamento che si può fare oggi: se, come vorrebbero i tedeschi, l’Fme fosse così duro come l’Fmi, i paesi in difficoltà andrebbero a Washington. Se invece fosse più morbido, come auspicano i paesi del “Club Med”, si rischierebbe il lassismo.
 
PIÙ DISCIPLINA O TOTALE INDISCIPLINA?
 
La Germania, in effetti, non fa mistero delle sue intenzioni. Vuole imporre la disciplina di bilancio a quei paesi cui non ha potuto impedire di entrare nell’Unione monetaria con i criteri di Maastricht, inventati a tal scopo. Ha cercato di prevenire col Patto di Stabilità, ma il Patto è troppo lacunoso per essere efficace. Il suo difetto principale consiste nel fatto che la politica di bilancio resta una prerogativa nazionale e che risulta pertanto impossibile forzare i parlamenti e i governi contro la loro volontà. Esistono sì le sanzioni, ma sono soprattutto simboliche e una multa, inflitta a un paese sovrano, rischia solo di ritorcersi contro “Bruxelles”. L’ultima idea dei tedeschi – rendere più severe le sanzioni, bloccando il versamento dei fondi strutturali – va nella direzione contraria a quella auspicata. L’Fme fa parte dello stesso arsenale di punizioni.
Ma ammettiamo per un istante che l’Fme venga creato e che la Grecia vi si appelli. L’Fme offrirebbe il suo aiuto, come potrebbe fare l’Fmi, e imporrebbe le sue condizioni. Anche se fossero più morbide, l’austerità non è mai popolare e l’Fme finirebbe col divenire il capro espiatorio. Il che piacerebbe forse all’opinione pubblica tedesca, ma nei paesi in difficoltà renderebbe ancor più impopolare l’idea dell’Europa. E, in ogni caso, un paese chiede aiuto solo quando è obbligato a farlo e quindi quando la crisi è già scoppiata. L’Fme non riuscirebbe a evitare le difficoltà economiche dei vari paesi, tanto più se fosse percepito come una versione più “soft” dell’Fmi.
Cosa accade se un paese in difficoltà non rispetta gli impegni assunti? In teoria, l’Fmi sospende i prestiti erogati, se ne ha il coraggio. Perché il rischio di provocare volutamente una crisi fa sempre esitare i dirigenti del Fondo. Un Fme soft esiterebbe ancor di più. Osservando, oggi, la reazione dei politici, si può facilmente immaginare quali pressioni eserciterebbero sull’ipotetico Fme, per evitare una crisi. Tuttavia, se non venissero comminate le sanzioni, tutto l’edificio crollerebbe e si finirebbe coll’ottenere l’esatto contrario di quanto auspicato, vale a dire la totale indisciplina di bilancio.
Esiste un ultimo problema da non sottovalutare, perché molto delicato: il finanziamento dell’Fme. L’Fmi guadagna il necessario per sopravvivere quando concede prestiti ai paesi in difficoltà. Nel periodo 2003-2007, gli anni della cosiddetta moderazione, l’Fmi ha dovuto affrontare una situazione finanziaria difficile e ha dovuto licenziare. Se, con 186 paesi membri, è difficile che si ripeta una situazione del genere, cosa dire di un Fme con solo 16 membri? Questa è la prima crisi da dieci anni a questa parte, cioè da quando esiste l’euro. Bisognerebbe quindi trovare un diverso sistema di finanziamento. Si potrebbe ricorrere ai contribuenti, come sempre, ma questi potrebbero chiedersi perché dover pagare per un servizio del Fondo monetario. Si potrebbe anche strutturare il Fondo alla stregua di un’organizzazione non-governativa. Ma, in tal caso, chi chiamare a dirigerlo e controllarlo?
 
(traduzione di Daniela Crocco)

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UN COMMENTO DI BRUNO JAFORTE ALL’ARTICOLO DI BERIA E RAMELLA – LA REPLICA DEGLI AUTORI

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IL DIBATTITO POLITICO IN TV

  1. Luigi Bernardi

    Quanto si capisce è che dovrebbe restare il Fmi e basta, con tutti i probabili costi di transazione di un regime di doppia sorveglianza (Quando si costituiì lo Sme, si creò un fondo di intervento, non ricordo tante opposizioni). Quanto non si capisce, dai pochi accenni del testo, è come dovrebbe essere realizzata la governance fiscale dell’Unione. La Commissione sta procedendo, cercando di risuscitare in tempo stretto gli obiettivi ormai inconsistenti del Patto. I tedeschi li vogliono blindare con sanzioni in parte palesemente contrarie ai Trattati. Nel caso ci riescano, di crescita in Europa, tuttavia, non si sa bene quando si potrà tornare a parlare. Ma questo nel dibattito in corso non sembra interessare a nessuno.

  2. maria di falco

    Il fondo monetario europeo mi sembra un’ottima idea, perchè in tal modo si possono aiutare meglio i paesi europei in difficoltà, stabilendo sicuramente delle regole e un codice di condotta che gli Stati membri dovrebbero rispettare: penso in particolare alla politica fiscale o meglio alle linee fondamentali della poltica fiscale degli Stati membri. A livello non certamente tecnico, ma di principio mi chiedo: ma perchè non dovrebbe esistere un organismo monetario in una aggregazione di Stati grande e importante come la UE? Come penso d’altra parte ad una unione monetaria tra gli Stati del Sud America, ma questo è un altro discorso che affronteremo in un’altra sede. Tornando al tema vorrei suggerire all’autore l’approfondimento dell’esperienza di risanamento del bilancio pubblico della Malesia che è riuscita a risanare il proprio debito pubblico non ricorrendo al FMI, io credo che, mutatis mutandis, si dovrebbe adottare quella filosofia.

  3. Stefano Dovico

    Il tipo di economia a cui stiamo assistento è di tipo globale! Ed è di tipo globale, non perchè è il frutto di una teoria economica accettata e condivisa da tutti gli stati, ma solo perchè è la conseguenza di eventi e singole scelte economiche aziendali che complessivamente hanno condotto alla globalizzazione economica. Premesso ciò, come può essere accettato un fondo monetario regionale europeo? Se lo accettassimo dovremmo accettare anche un fondo monetario regionale, e poi un fondo monetario provinciale e poi un fondo monetario comunale e poi chissà che cosa! Quindi è assolutamente chiaro che un fondo monetario europeo non ha alcun senso! L’unica cosa che ha senso è che ognuno debba fare bene il proprio lavoro senza fare il furbo e senza rubacchiare! Come è ormai la norma nei paesi europei: cari amici, vi invio un cordiale saluto. Stefano Dovico

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