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IL FAS? MEGLIO ABOLIRLO

L’unificazione della politica regionale comunitaria finanziata attraverso i fondi strutturali con quella nazionale finanziata dal Fondo per la aree sottoutilizzate non ha dato i risultati sperati. Occorre prendere atto che la capacità programmatoria e progettuale delle amministrazioni è limitata. E gli stanziamenti pluriennali non sono più un incentivo ad accelerare il processo di programmazione. Semmai contribuiscono a dirottare le risorse verso altre destinazioni. Meglio quindi rinunciare al Fas, nell’interesse delle stesse Regioni meridionali.

A partire dal ciclo di programmazione 2007-2013 si è stabilito di unificare la politica regionale comunitaria finanziata mediante i fondi strutturali con la politica regionale nazionale finanziata con il Fondo per la aree sottoutilizzate (Fas). La decisione si deve ai vantaggi offerti da una programmazione unica, che possa contare sulle stesse regole, le stesse priorità, il medesimo orizzonte temporale. Si è pertanto previsto per il Fas uno stanziamento pluriennale con previsione settennale e al tempo stesso il Cipe ha deliberato modalità, indirizzi e criteri di allocazione del Fondo, seguendo appunto i principi che regolano l’assegnazione e l’erogazione dei fondi strutturali.

COME È ANDATA A FINIRE

Cosa è successo in seguito può essere sommariamente riassunto nei seguenti punti:

1) le “regole” programmatorie e attuative proprie dei programmi relativi ai fondi strutturali hanno mostrato gravi carenze sia sotto il profilo della quantità che della qualità della spesa (come era già avvenuto peraltro per il ciclo di programmazione 2000-2006);
2) le amministrazioni centrali e locali hanno dimostrato in generale scarsa capacità programmatoria soprattutto sulle risorse Fas, per le quali non operano vincoli temporali propri della disciplina comunitaria con il relativo rischio di perdere parte dei finanziamenti disponibili;
3) approfittando della rilevante entità dei fondi Fas e del loro scarso utilizzo, il governo, anche in considerazione della crisi economica, ha destinato quote consistenti di tali risorse nominalmente assegnate alle amministrazioni centrali ad altre finalità, riducendo pertanto l’ammontare complessivo di finanziamenti per le politiche regionali;
4) gran parte dei finanziamenti Fas destinati alle Regioni meridionali non sono ancora stati assegnati dal Cipe, sia perché i progetti presentati non appaiono ben formulati e non garantiscono l’efficacia degli interventi, sia per la difficoltà di avvio dei programmi dei fondi strutturali (e quindi per i limiti della capacità amministrativa delle regioni a gestire contemporaneamente altri programmi), sia ancora per controllare i saldi di finanza pubblica tramite il contenimento delle spese in conto capitale, secondo una ricetta ben collaudata a partire dagli anni Novanta.

SETTE ANNI SONO TROPPI

La scarsa capacità di programmazione delle amministrazioni e l’esigenza del governo di trovare coperture finanziarie in assenza di nuove risorse in bilancio hanno agito congiuntamente nel dirottamento delle risorse verso altri scopi e nel “blocco” delle risorse Fas nominalmente ascrivibili alle amministrazioni regionali. Naturalmente, ha influito anche il fatto che la dotazione pluriennale disponibile del Fas fosse rilevante. E a ben vedere il punto è proprio questo: un orizzonte programmatorio settennale non sembra oggi alla portata di gran parte delle amministrazioni che assumono decisioni nell’arco di uno-due anni ed eccezionalmente nell’ambito previsto dalla programmazione di bilancio di tre anni. La normativa e le “regole” nazionali sono impostate su questa base e pare inutile forzarle importando il modello dei fondi strutturali che in fin dei conti non è mai stato rispettato nella sostanza, se non aggirando con espedienti e trucchi (cosiddetti progetti sponda) quelle stesse regole.
La capacità programmatoria e progettuale è limitata e occorre prenderne atto. Gli stanziamenti pluriennali oltre certi limiti non rappresentano più un incentivo ad accelerare il processo di programmazione/progettazione ma semmai quello di dirottare le risorse verso altre destinazioni (anche all’interno delle regioni stesse dove attualmente si tende a utilizzare i fondi Fas per far fronte ai disavanzi sanitari anziché per le politiche di sviluppo).
D’altra parte, se la dotazione di risorse non fosse così ricca dotazione di risorse, il Governo centrale non penserebbe ad appropriarsene per il finanziamento di altre politiche.
Il ritorno a una programmazione annuale/triennale permetterebbe peraltro il riaffermarsi di un metodo che vede la necessità di ideare e costruire progetti fattibili ed economicamente sostenibili prima di ricercare o ricevere il dovuto finanziamento. Un percorso virtuoso di programmazione/progettazione dovrebbe quindi essere premiato dall’erogazione di una maggiore quota di risorse. Anche in questo caso i meccanismi concorrenziali possono rappresentare degli stimoli per un aumento dell’efficienza amministrativa, mentre la certezza di ottenere in ogni caso la propria “quota” di finanziamenti rappresenta un elemento inerziale e in ultima analisi un serio ostacolo a miglioramenti della capacità programmatoria e attuativa delle amministrazioni.
Va infine detto che una programmazione finanziaria a “breve termine” può consentire anche una maggiore trasparenza sulle effettive disponibilità in bilancio (competenza e cassa), senza che tali grandezze siano continuamente oggetto di variazioni e rimodulazioni. In questo modo, dovrebbe essere più agevole calibrare le iniziative sulle quali concentrarsi e per le quali predisporre le valutazioni economiche e le successive fasi di progettazione.

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MA LE FORMICHE NON CRESCONO

  1. Roberto De Vincenzi

    Nella sostanza concordo con l’analisi sintetica proposta da Claudio Virno fatta eccezione per i seguenti punti: 1. Non tutte le Amministrazioni titolari di Programmi operativi regionali a cofinanziamento comunitario (Fondi Strutturali) hanno dimostrato una scarsa capacità programmatoria. Anche sul versante dell’efficienza gestionale e capacità istituzionale l’Italia "marcia a due velocità". Se da un lato è aumentato il numero delle Regioni che su questo terreno hanno mostrato capacità programmatoria e gestionale, dall’altro la distanza tra le Amministrazioni più avanzate e quelle più arretrate – nel corso degli ultimi 15 anni – è decisamente aumentata. 2. Sul tema delle politiche attive del lavoro (compresa la formazione professionale), i principali elementi di innovazione e di innalzamento della qualità del servizio offerto sono stati introdotti proprio dall’adozione di regole e modelli comunitari e, nella fattispecie di FSE. Qualche esempio: il passaggio dall’assegnazione diretta allle procedure concorsuali e la diffusione di sistemi di monitoraggio finanziari e fisici (ambedue imposti da Bruxelles).

  2. luca

    Non mi è chiaro: anche se il governo si accorge che i fondi FAS non sono ben gestiti dalle Regioni (o da alcune, come leggo dal commento precedente), l’Europa permette poi che il governo dirotti i fondi su attività che non siano di ricaduta diretta sulle aree sottoutilizzate ? Non è che fra un po’ ci sarà prima qualche monito e poi scatteranno procedure di infrazione? Se poi ci si accorge che alcune della amministrazioni locali sono incapaci nella gestione, non si può procedere (previo approvazione di Bruxelles) a qualche forma di commissariamento e gestione centralizzata per le sole regioni inadempienti?

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