Molte grazie ai lettori per i commenti e per il tentativo di dibattito auto-regolamentato stile blog che è purtroppo non proprio adatto al format del nostro sito.
Una maggioranza relativa dei lettori prevede che la Grecia uscirà dall’euro o almeno condivide l’idea di far uscire la Grecia (o di consentirne un’uscita parziale, convertendo in dracme una parte del debito greco) come modo per risolvere i problemi attuali. Per due ragioni principali: i governi greci non hanno rispettato i vincoli e le regole di contabilità fiscale e i privati si sono arricchiti con l’immobiliare dopo aver omesso di dichiarare i loro redditi. Ricordo però che il problema di oggi non è tutta colpa dei greci. Il caso greco ha fatto da cartina di tornasole per far emergere alcuni problemi irrisolti nel funzionamento dell’Unione monetaria. La mia preferenza va ad una soluzione che preveda di dare un’altra possibilità ai greci, magari in un quadro di medio-termine di nuove regole di funzionamento dell’Unione che leghi l’andamento di deficit e debiti in modo più diretto e introduca sanzioni più efficaci (la sospensione temporanea del diritto di voto) rispetto a quelle che sono rimaste non applicate durante i primi anni di vita dell’Emu. La predisposizione di un fondo di stabilizzazione dell’unione – avvenuta durante il week-end dell’8-9 maggio – sembra andare in questa direzione e infatti le Borse hanno risposto bene. Ma per evitare altri casi come la Grecia, bisognerà cambiare il trattato di Maastricht, il che sarà necessariamente più complicato. Passata la buriana, il consenso per i cambiamenti evaporerà e saremo da capo con la navigazione a vista. Con nuovi pericoli per la stabilità dell’euro, derivanti dal cambiamento strisciante della missione della Bce.
Qualcun altro mette in luce che in termini di moralità pubblica le somiglianze tra Italia e Grecia sono più di quante ci piacerebbe ammettere. Questo è rilevante perché ci renderebbe quasi inadatti ad importare il modello del welfare europeo che, da noi, diventerebbe quasi necessariamente un modello in cui sono riconosciuti i diritti di tutti e i doveri di nessuno. E’ un modo di dire che l’ambito pubblico (all’interno del paese e all’estero) per paesi come la Grecia e l’Italia è condannato al Tanto Paga Pantalone. Non è sempre e necessariamente così. Ci sono tanti casi di buon governo e di civismo anche in Italia e in Grecia. Fanno un po’ fatica a farsi strada, questo è vero.
Per l’Italia la strada di sospendere il pagamento degli interessi sul debito non è praticabile. E’ del tutto equivalente a fare default sulla restituzione dello stock di debito e si tradurrebbe in un’esclusione dal mercato dell’emissione di nuovo debito come è successo ai paesi latino-americani o, come minimo, in un aumento del costo dell’indebitamento futuro.
Alcuni lettori propongono elementi politico-strategici difficili da valutare su un periodo di tempo breve come quello di una crisi finanziaria. Mi sembra condivisa l’idea che, sotto sotto, ci sia un complotto di pochi che ci guadagnano, quelli che fanno insider trading beneficiando della conoscenza anticipata delle fluttuazioni dei cambi o gli americani che vogliono segnalare alla Cina che è meglio investire nell’area del dollaro. Per rimediare alcuni chiedono di chiudere le agenzie di rating. Sul Sole 24 Ore di domenica 9 maggio (pag. 8) c’era un articolo interessante che mostrava l’elevata profittabilità delle Big Three (Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch) e il loro azionariato diffuso, che contrasta con l’idea di un complotto. Le teorie del complotto partono solitamente dal presupposto inquietante che ci sia qualcosa di nascosto che sfugge a tutti e ci fa muovere come burattini. Magari sono teorie vere. Io non ci credo, soprattutto perché sono difficili da verificare. Se esiste una teoria alternativa basata su qualche elemento osservabile e che esclude un complotto, ammetto di propendere per quella teoria. Ma è una mia preferenza personale.
Infine, nelle risposte ai commenti di solito non parlo dei singoli (come Trapattoni). Ma devo fare un’eccezione per il commento di francocordiale che comincia con una frase che non dimenticherò: “Non essendo un economista, ragiono in termini di buon senso”. E pensare che invece, in varie occasioni, ho tentato di “vendere” la microeconomia agli studenti del primo anno con la frase: “Vedrete, la microeconomia non è difficile, è in molti casi una esposizione grafica e analitica del buon senso”.

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