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IL PECCATO ORIGINALE DELL’AREA EURO

Per molti anni, i paesi dell’area euro hanno preso a prestito emettendo titoli denominati nella valuta comune. Che sembrava produrre una difesa automatica dai problemi associati con il “peccato originale”, mettendo i grandi debitori al riparo dai movimenti del cambio. Non è più così. Non solo l’Europa nel suo complesso, ma anche i paesi forti si avvantaggerebbero da una ripresa di investimenti e spesa. Rimane il problema di come renderla possibile, in una situazione di logoramento fiscale diffuso dopo ventiquattro mesi di crisi e parecchie ombre sui segnali di ripresa.

In molti paesi dell’area euro i problemi fiscali (alto debito o alto disavanzo) si sommano a problemi di competitività. I primi richiedono misure decise di correzione fiscale, i secondi si traducono in bassa crescita. Senza crescita, la correzione fiscale è pesante: maggiori imposte e meno trasferimenti riducono redditi già stagnanti, mentre i tagli alla spesa abbassano il livello di offerta di beni pubblici. Senza correzione fiscale, le prospettive di ripresa economica sono minate dal rischio paese: chi investirebbe in aree di instabilità macroeconomica e soggette ad attacchi speculativi?

L’ESEMPIO DEI PAESI BALTICI

La soluzione per riavviare la crescita in questi paesi, si dice, passa dal recupero di competitività. Come? Con una moneta unica, che esclude manovre del cambio, si può comunque attuare una “svalutazione interna”, ovvero una riduzione dei costi (salari e redditi) in termini nominali. A mali estremi, estremi rimedi: ad esempio il governo potrebbe prescrivere un taglio coordinato dei salari contrattuali – tutti i salari, non solo quelli della pubblica amministrazione.
Può funzionare? Dopotutto, i paesi baltici che hanno sperimentato misure simili sostengono di avere ottenuto buoni risultati. Hanno anche caratteristiche strutturali che li rendono diversi dalla media dei paesi dell’euro: sono piccoli, hanno una struttura politica che sembra capace di favorire accordi istituzionali su decisioni difficili, hanno un potenziale di crescita elevato per via dello stadio di sviluppo delle loro economie e della loro struttura demografica; infine, hanno un debito pubblico contenuto (ma un debito estero elevato).
Ignoriamo per il momento la domanda se svalutazioni interne simili a quelle degli stati baltici siano politicamente e istituzionalmente fattibili in paesi come Grecia, Portogallo, Spagna e via dicendo. E chiediamoci se possano veramente aiutare questi paesi a risolvere l’impasse alla radice della loro crisi.

IL PROBLEMA DEL DEBITO PUBBLICO

Il problema è il livello di debito pubblico. A parità di condizioni, in un paese con uno stock di debito pari al 100 per cento del Pil, una svalutazione interna del 20 per cento (una stima di quanto necessario per “recuperare produttivita” nel sud dell’Europa) si tradurrebbe in un aumento equivalente del valore delle passività del settore pubblico, in termini di beni e servizi prodotti. Ovviamente, il governo avrebbe benefici fiscali sul lato della spesa: in termini nominali, salari pubblici e pensioni cadrebbero del 20 per cento. Ma anche il gettito delle imposte cadrebbero con la svalutazione. L’effetto immediato si sentirebbe certamente sul piano del bilancio pubblico: se il governo cambia tutti i contratti nominali a eccezione di quelli finanziari, una caduta dei prezzi interni in euro significa semplicemente che i contribuenti devono di più a chi detiene il debito pubblico del paese nel proprio portafoglio.
Lo stesso vale per il debito privato. Le imprese avrebbero l’ovvio vantaggio di vedere i propri costi cadere con i salari nominali, ma, se la svalutazione interna funziona, soffrirebbero di una caduta del loro fatturato nel mercato nazionale. Ad avere i benefici maggiori, dovrebbero essere le imprese esportatrici perché hanno margini di manovra per mantenere i prezzi alle esportazioni più alti di quelli interni, discriminando tra mercati.
Per funzionare, la svalutazione interna dovrebbe aumentare la crescita al punto che l’incremento delle passività pubbliche e private in termini di unità di prodotto interno è più che compensato dall’aumento nel volume di produzione: ciò produrrebbe più gettito fiscale e risparmi nella spesa sociale per il governo, nonché maggiori profitti per le imprese.
Questo è certamente possibile, ma poco plausibile. Nei paesi di cui stiamo discutendo, le cause della bassa crescita e della perdita di competitività sono strutturali. Èdifficile che la soluzione sia (solo) una svalutazione interna: nel migliore dei casi può offrire una “boccata di ossigeno” nel breve periodo, ma più probabilmente il suo impatto sarà negativo, per via degli effetti di bilancio descritti sopra.

UN PECCATO ORIGINALE

Ironicamente, tra i vantaggi tradizionalmente attribuiti all’adozione dell’euro, si indica spesso il fatto che governi e privati dovrebbero essere al riparo dai problemi patrimoniali creati da fluttuazioni del cambio, particolarmente acuti come ci insegna l’esperienza delle crisi negli ultimi decenni. Basta vedere quanto è accaduto ai paesi latino americani e in altri mercati emergenti, dove, per una serie di motivi, sia i governi sia le imprese hanno difficoltà a indebitarsi nella propria valuta e quindi emettono titoli denominati in dollari. Nella letteratura economica, la patologia che “costringe” un paese a indebitarsi in valuta va sotto il nome di “peccato originale”. Un paese con il “peccato originale” è vulnerabile a crisi che si traducono in una caduta del cambio: invece di generare occupazione, un cambio debole genera fallimenti e difficoltà nel mercato del credito, che si trasformano in una caduta dell’attività economica.
Per molti anni, i paesi dell’area euro hanno preso a prestito emettendo titoli denominati nella “propria” valuta comune, a tassi bassi e con il beneficio di accedere a un mercato dei capitali europeo grande e liquido. La valuta comune sembrava produrre una difesa automatica dai problemi associati con il “peccato originale”, mettendo i grandi debitori al riparo dai movimenti del cambio. Ci stiamo ora rendendo conto che non è così.
Sfortunatamente, non esistono soluzioni semplici. Nei paesi che ora sono costretti a misure draconiane di correzione fiscale, una “svalutazione interna” avverrà anche senza misure politiche mirate, poiché il consolidamento fiscale avrà effetti deflativi sui prezzi: l’inflazione in questi paesi non solo sarà certamente più bassa rispetto alla media europea, ma sarà probabilmente negativa.
Qualunque sia la modalità di svalutazione interna, i problemi patrimoniali per i governi altamente indebitati, ma anche per famiglie e imprese, aumentano il rischio di strategie politiche che mettano l’intero fardello dell’aggiustamento macro e fiscale sulle spalle dei paesi deboli. Sarà difficile uscire dalla crisi senza una qualche forma di azione coordinata, che ad esempio subordini la svalutazione interna alla ristrutturazione del debito (il piano B su cui insiste Nouriel Roubini), o crei le premesse per un aumento della domanda (soprattutto di investimento) nei paesi in surplus. Entrambe le soluzioni sono politicamente spinose – la seconda perché si tratta del surplus commerciale tedesco. Ma un grande surplus commerciale corrisponde per definizione a uno squilibrio dell’investimento interno (troppo basso) rispetto al risparmio. Una ripresa dell’investimento e della spesa nell’area euro rimane una prospettiva di grande razionalità, non solo per l’Europa nel suo complesso, ma anche per i paesi forti. Rimane aperto il problema di come renderla possibile, in una situazione di logoramento fiscale diffuso dopo ventiquattro mesi di crisi e parecchie ombre sui segnali di ripresa.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

13 commenti

  1. antonello oliva

    …certo non è il massimo, su "la voce" veder perorata (seppure tra le varie ipotesi, ma comunque lasciando il giudizio "sospeso" ) la possibilità per i governi di ridurre salari e stipendi interni… della serie "meglio che paghino sempre gli stessi". Mi sembra che le riflessioni di Stiglitz e Fitoussi ed altri, in questi giorni siano, politicamente, di tutt’altro tenore. cordialmente

  2. Giancarlo corsetti

    L’articolo non propone la svalutazione interna, ma spiega le sue implicazioni fiscali e evidenzia il problema di politica economica e di bilancio dovuto alla deflazione. Purtroppo difficilmente un paese in crisi riuscirà a evitare deflazione, con o senza svalutazione interna, con o senza correzione fiscale.

  3. Pier Filippo Fiorentini

    In effetti sono rimasto molto sorpreso da come ieri i marcati abbiano reagito a quella che tutto sommato non è una cura a lungo termine, ma piuttosto una terapia (molto) intensiva da pronto soccorso. La cura è infatti in buona parte da definire e, soprattutto, da applicare. Su questo punto francamente non so quanto si possa fare affidamento sulla realizzazione dei piani di cui sento parlare. Non vorrei che per evitare adesso un default che dai numeri mi sembra abbastanza inevitabile non si siano gettate le basi per un problema più esteso in un futuro non molto lontano. Mi chiedo ancora se, alla luce di quanto si è visto dalla seconda metà del 2008 ed in paricolare negli ultimi giorni, i mercati possano essere in grado di adempiere ai loro compiti, cioè rendere efficente e trasparente la valutazione degli strumenti finanziari e permettere un’altrettanto efficiente allocazione del risparmio.

  4. Giuseppe Caffo

    Non mi è ben chiaro perchè il consolidamento fiscale avrà inevitabilmente effetti deflattivi sui prezzi. Una parte considerevole della manovra messa in campo dalla Grecia è costituita da aumenti dell’IVA e delle accise su tabacchi alcoolici e forse qualcos’altro che ora non ricordo.Come effetto immediato l’inflazione è aumentata più che nella media di eurolandia. Anche il nostro Tremonti nell’annunciare la grande riforma fiscale si propone di spostare le tasse dalle persone alle cose,e visto che bisogna abbassare di molto il rapporto deficit PIL in presenza di bassa crescita,l’aumento delle tasse sui beni di consumo sarà sostanziale. In ultimo consideriamo che l’indebolimento dell’euro porterà ad un aumento del costo delle materie prime e di tutte le merci importate. Tutto questo mi porta ad attendere uno scenario inflattivo,certamente contenuto da una bassa domanda interna e da una contenuta dinamica salariale.

  5. Fulvio Krizman

    Credo non sia proponibile un taglio di pesioni e stipendi. Se negli USA il PIL cresce è in buona parte per una maggiore richiesta di consumi interni che pesano sul PIL per oltre il 75%. In italia nel 2008 si consumava per l’80% del PIL. Se diminuisse ulteriormente la propensione ai consumi degli italiani,per ovvi motivi, siamo sicuri che ne potrebbe giovare la produzione nazionale in tutta la sua filiera? Fulvio Krizman

  6. bonzer

    Per quello che so io una politica di bassi tassi da benefici (sollievi in questo caso) nel breve periodo ma problemi nel lungo. Questa crisi non è come quella del 29 americana dovuta a crisi di liquidità ma è sopratutto una crisi figlia di questo eccesso di globalizzazione e di un Europa che non riesce a salvaguardare le nostre imprese. Delocalizzare va bene ma noi non possiamo vivere di solo terziario e ora si inizieranno a vedere le vere conseguenze. Ad esempio la Cina vende qua anche se non fa dumping ma siamo noi che non produciamo più a causa di costi troppo elevati (stipendi lordi tra i più alti in Ue e netti più bassi). Ci vuole un po di protezionismo, e regole diverse. Le regole uguale van bene per scenari, e paesi uguali in caso contrario no ,a cominciare anche dal Wto. Gli stati dovrebbero iniziare a guardare un po più dentro ai confini (impossibile con l’Ue) e un po meno alle trimestrali di multinazionali delocalizzate. A noi basterebbe una moneta come l’ecu per tutti gli scambi in europa a 27 e regole che salvaguardino Ue de attacchi economici esterni. Per il resto ognuno per sé.

  7. luca

    Immagino che nell’articolo parlando di Sud Europa ci si riferisca anche alla nostra Italia. Alla luce di quanto detto emerge la necessità di misure urgenti di riforma del fisco? L’idea di ridistribuire il carico fiscale dalle persone o dalle famiglie alle rendite e ai grandi patrimoni permetterebbe un impulso alla domanda interna o è solo una fantasticheria dei giornali? Tale misura accompagnata con un recupero consistente dell’evasione fiscale permetterebbe in Italia di evitare misure quali la svalutazione interna?

  8. Pietro Salinari

    Anche a me sembra che sia stato affrontato il pronto soccorso e non la cura. Il problema immediato di un soggetto indebitato è quello di rifinanziarsi o provare ad alterare la metrica del debito (svalutazione, deflazione interna) ma la via maestra è quella di provare ad aumentare il proprio reddito per ripagarlo. Se il soggetto indebitato è uno stato si tratta di espandere la propria economia. L’ intervento europeo ha contrastato le scommesse sul default Grecia, ma la scommessa di base dei mercati finanziari è su uno sviluppo dell’ Europa molto minore del resto del mondo. Purtroppo un’aspettativa fondata, che tagli drastici non compensati aiuterebbero a realizzare. Ho visto vari interventi sul problema di come suscitare una politica fiscale che favorisca un’ espansione non inflativa: per la situazione Italiana Ricolfi (Il sacco del Nord), Tabellini e Navaretti sul Sole (Cure urgenti ..), De Benedetti (Giù le tasse), Fassina (Spesa pubblica da tagliare, fisco da rivoluzionare etc), e De Rita su Il Foglio. Secondo La Voce, questa linea, le cui implicazioni positive per le vittime della deflazione sono ovvie, regge ad un’analisi più approfondita?

  9. Daniele

    Ma una svalutazione interna non provocherebbe una nuova ondata di emigrazione? Da parte di quella parte di popolazione che magari ha sacrificato un pò di anni allo studio e ora vorrebbe goderne i frutti. E in più se si fa una svalutazione interna e contestualmente la BCE compra titoli l’inflazione non farebbe un balzo in avanti tale da ammazzare i consumi?

  10. Giancarlo Bellincampi

    Da più di duecento anni in Europa si è capito che lo sviluppo dell’economia passa per prima cosa per la qualità delle infrastrutture disponibili ad accogliere ed assistere gli investimenti e che fra esse la prima indispensabile da fornire agli operatori econimici è la certezza del diritto che regola e garantisce ogni tipo di contratto fra gli uomini sottraendolo all’arbitrio e all’alea; proprio la sua mancanza è, secondo me, una delle ragioni prime della delocalizazione e della assenza di investimenti esteri e, in sostanza, della prossima prevedibile uscita dell’Italia dall’area euro.

  11. Bruno

    Stato sociale in crisi (oneri insostenibili), Capitalismo in crisi terminale come prima il comunismo (partito dagli antipodi fallisce allo stesso modo). Europa: un insieme artificioso di stati con economie troppo lontane e diverse per poter stare insieme con le stesse regole Italia del Nord e del Sud agli antipodi. Ma dove si vuole andare? Bruno

  12. mirie

    Dobbiamo rassegnarci ad una riduzione del tenore di vita. Non abbiamo alcuna speranza di essere competitivi con paesi che possono contare su milioni e milioni di schiavi, disposti a lavorare 12 ore al giorno per 1 o 2 euro di compenso, come la Cina. Ecco dunque che la riduzione della spesa pubblica improduttiva diventa un imperativo non eludibile. Tagliare o perire ! E quando ci sono regioni in cui l’80% del PIL è fatto del valore aggiunto (derivato o indotto) di trasferimenti dello stato, come la Sicilia e la Campania, tagliare i trasferimenti significa molto semplicemente condannarli alla fame. I tentativi che il governo sta facendo di ricondurre la spesa pubblica sanitaria in certe regioni entro limiti fisiologici, sono semplicemente velleitari.

  13. LP

    Interessante, l’agire solo sul potere di acquisto di basso livello. Ma una valutazione se dei famigerati 100€ spesi dallo stato, questi come sono spesi? Qualcuno ci da delle garanzie sulla qualità della spesa? Non mi pare che ci sia un controllo così corretto delle voci di spesa tali da garantire se quest’ultime siano o meno giustificate. Inoltre, in un paese come il nostro chi verrebbero premiati sono gli evasori fiscali e i lavoratori a nero che non essendo vincolati e non avendo mai versato il dovuto o un euro comunque usufruiscono dei differenti servizi, strade, ospedali e via dicendo. Non è solo il controllo della spesa, ma la qualità della spesa che nel nostro paese deve raggiungere una qualità elevata. E non solo puntando al ribasso del costo, ma anche al meglio della qualità.

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