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Perché il Piano Merkel è un errore

Il progetto tedesco di introdurre il pareggio di bilancio quale condizione per l’appartenenza all’euro è sbagliato: non funzionerà e distrae dal vero problema dell’Europa, la crescita. Certo, il Patto di stabilità va rivisto, ma in modo intelligente. Da un debito elevato si esce in un paio di generazioni, non in un paio di anni e occorre ridurre la spesa, non aumentare le tasse. Non tutte le spese poi sono uguali: ridurre quelle legate all’invecchiamento della popolazione ha effetti diversi da un taglio alle infrastrutture. Il ruolo dei comitati indipendenti autorevoli.

 

Il progetto tedesco di introdurre il pareggio di bilancio quale condizione per l’’appartenenza all’’euro è sbagliato per due motivi. Primo, non funzionerà, e quando ce ne renderemo conto la credibilità dell’’euro subirà un ulteriore colpo: non ce n’’era bisogno. Secondo, distrae dal vero problema dell’’Europa, che è la crescita, non la finanza pubblica. Ciò non significa che ridurre la spesa pubblica e la dimensione degli stati sociali non sia una priorità in Europa. Ma se si sceglie di farlo occorre farlo in modo credibile e non velleitario, caratteristiche che mancano al progetto della signora Merkel.

PERCHÉ NON FUNZIONERÀ

Il progetto è poco credibile a cominciare da chi lo propone. Fu proprio la Germania (insieme alla Francia), nel 2005, a imporre una modifica delle regole del Patto di stabilità al fine di non dover essere costretta a pagare la multa  prevista per i paesi che violano quelle regole. Né è credibile la minaccia dell’’espulsione dall’’euro nel caso un paese non rispetti il vincolo del pareggio di bilancio. La Germania ha accettato di salvare la Grecia mettendo a rischio la credibilità della Bce: sarebbe davvero pronta a espellere l’’Italia dall’’euro se violassimo il pareggio di bilancio?
L’’esperienza di simili regole introdotte da altri paesi ricordano che i vincoli di bilancio raramente funzionano. La legge proposta dai senatori Gramm, Rudman e Hollings negli Stati Uniti prevedeva limiti alla spesa con la facoltà di tagliare automaticamente capitoli del bilancio federale nel caso il vincolo aggregato venisse violato. La legge ebbe vita difficile: fu necessario modificarla già nel 1987, quando la Corte Suprema dichiarò incostituzionali alcuni dei tagli introdotti e soprattutto contribuì solo marginalmente al contenimento del deficit federale (1). Gli Stati Uniti raggiunsero il pareggio di bilancio, ma non grazie a questa legge, bensì all’’accelerazione della crescita dopo la metà degli anni Novanta.
Quelli che invece spesso funzionano sono i limiti ai bilanci dei singoli stati degli Stati Uniti, con due cautele (2). Innanzitutto, molti stati escludono dal vincolo del bilancio in pareggio le spese per investimenti pubblici che possono essere finanziati in deficit tramite l’’emissione di obbligazioni direttamente collegata all’’opera pubblica finanziata. In secondo luogo, anche questi vincoli, se necessario, vengono violati. La California, ad esempio, sta finanziando un disavanzo di parte corrente emettendo Iou, cioè promesse di pagamento che i californiani accettano come se fossero vere e proprie obbligazioni dello stato.
Ciò che pare funzionare non sono i vincoli, ma le procedure. Nel caso italiano, ad esempio, una svolta la si ottenne quando si fece precedere la presentazione della Legge finanziaria da una risoluzione parlamentare che fissava ex-ante il massimo deficit ammissibile. Gli studi di Jurgen von Hagen sulle procedure seguite da vari paesi confermano che hanno effetti reali significativi (3). Nella stessa direzione si muove la proposta di Charles Wyplosz di introdurre comitati di esperti incaricati di produrre un’’opinione sulla qualità della Legge finanziaria (4). La proposta è vicina a quanto deciso la scorsa settimana dal governo di David Cameron che ha introdotto un Office for Budget Responsibility presieduto da Sir Alan Budd con il compito di produrre previsioni indipendenti sugli effetti delle leggi di bilancio.

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UN PAREGGIO DISCUTIBILE

Vi sono altri tre aspetti che rendono la proposta del pareggio di bilancio discutibile e in ogni caso di difficile attuazione. Innanzitutto, il pareggio di bilancio inclusa la spesa per interessi è asimmetrico: impone tagli tanto maggiori quanto più elevato è il debito pubblico. In paesi ad alto debito pareggiare il bilancio significa far scendere il rapporto debito-Pil a un tasso tanto più elevato quanto maggiori sono l’’inflazione e lo stock di debito. L’’esperienza storica mostra che i paesi che hanno ridotto il loro debito, lo hanno fatto gradualmente nel tempo: accelerazioni sono avvenute solo in occasione di default (5).
In secondo luogo, non è detto che pareggiare il bilancio corrente sia sempre la strategia giusta. Oggi ad esempio, una politica fiscale espansiva è necessaria per far fronte alla crisi. Come ripete da molti mesi il Fondo monetario internazionale (Fiscal strategies after the global crisis), per stabilizzare il debito occorre intervenire non sul deficit corrente, ma sui deficit futuri, in particolare sulle spese legate all’’invecchiamento della popolazione. Concentrarsi sul pareggio di bilancio oggi potrebbe essere una distrazione costosa. Potrebbe aggravare la crisi e non far nulla per i deficit futuri.
Infine, ed è forse l’’aspetto più importante, pareggiare il bilancio senza spiegare come, può essere molto pericoloso. Stretto da un vincolo di bilancio e dalla minaccia di espulsione dall’’euro un paese potrebbe essere indotto ad alzare le tasse. L’’esperienza irlandese del 1982 e poi del 1987 e gli studi di Alerto Alesina e Silvia Ardagna mostrano che le stabilizzazioni fiscali costruite su aumenti delle tasse di solito falliscono.
Ma il rischio maggiore è che la proposta tedesca sposta l’’attenzione dal problema centrale dei paesi dell’’euro, che è la crescita. Stati Uniti e Gran Bretagna uscirono dalla seconda guerra mondiale con rapporti debito-Pil superiori al 150 per cento. In quindici anni li ricondussero vicini al 50 per cento e ciò fu possibile grazie alla crescita di quei decenni. Il Giappone cerca da venti anni di ridurre il proprio debito, senza mai riuscirci. Con una crescita media vicino a zero il rapporto debito-Pil giapponese è salito al 200 per cento. Ciò che spesso si dimentica è che il rapporto debito-Pil è appunto un rapporto: lavorare sul numeratore senza preoccuparsi degli effetti che ciò ha sul denominatore può dar luogo a spiacevoli sorprese, come è accaduto nel caso giapponese.
Tutto ciò non significa che il Patto di stabilità non debba essere rivisto. Ma va fatto in modo intelligente, riconoscendo che da un debito elevato si esce in un paio di generazioni, non in un paio di anni, che per uscire occorre ridurre la spesa, non aumentare le tasse e che non tutte le spese sono uguali: ridurre le spese collegate all’’invecchiamento della popolazione ha effetti diversi da un taglio alle infrastrutture. E infine che introdurre comitati indipendenti autorevoli è una soluzione più intelligente che affidarsi a tagli automatici. Un “comitato indipendente autorevole” l’’Europa già lo possiede: sono gli uffici della Commissione. Nella vicenda greca la commissione ha evidentemente fallito. Occorre capire perché e chiedersi che fare per evitare che ciò si ripeta.

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(1) Si vedaJim Poterba. “Do Budget Rules Work?,” in A. Auerbach, ed., Fiscal Policy: Lessons from EconomicResearch (Cambridge: MIT Press, 1997), 53-86.
(2) Si veda Jim Poterba, “Fiscal Rules and State Borrowing Costs: Evidence from California and Other States”, San Francisco: Public Policy Institute of California, 1999 (con K. Rueben). E sempre dello stesso autore”Balanced Budget Rules and Fiscal Policy: Evidence from the States”, National Tax Journal 48, September 1995, 329-338
(3) Si vedanoKarl-Martin Ehrhart, Roy Gardner, Jürgen von Hagen and Claudia Keser, 1999,”Budget Processes: Theory and Experimental Evidence“, CIRANO Working Papers99s-33, CIRANO. EJim Poterba and J. von Hagen (eds) “Fiscal Institutions and Fiscal Performance”, Chicago: University of Chicago Press, 1999.
(4) Di Charles Wyplosz si vedano Emu’s Decentralized System of Fiscal Policy (scritto con Jürgen von Hagen per la Commissione europea), febbraio 2008;“Why is the idea of establishing fiscal policy councils is proving to be unpopular with policy makers? An essay”;“A Common Pool Theory of Deficit Bias Correction”, (scritto con Signe Krogstrup), settembre 2006 (rivisto nell’aprile 2009); e “How to reform the Stability and Growth Pact?”, versione pubblicata in National Institute Economic Review, gennaio 2005.
(5) Albert Marcet & Elisa Faraglia & Andrew Scott, 2008. “In Search of a Theory of Debt Management,” UFAE and IAE Working Papers 743.08, Unitat de Fonaments de l’Anàlisi Econòmica (UAB) and Institut d’Anàlisi Econòmica (CSIC).

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Dilettanti allo sbaraglio sulla non autosufficienza

18 commenti

  1. Giovanni Scotto

    Condivisibile l’analisi dell’articolo, il dilemma vero è che suggerisce come via di uscita la crescita economica. Ma questa crescita sta toccando con evidenza i limiti di sostenibilità del sistema planetario, con la sempre minore disponibilità di risorse naturali da sfruttare a costo energetico basso. Pensiamo a fenomeni che si stanno manifestando con chiarezza come: diminuzione progressiva del ritorno energetico sull’energia investita per gli idrocarburi; diminuzione del grado di concentrazione medio per i minerali; fenomeno del picco di produzione per questi e quelli; progressiva incapacità del sistema ad assorbire le scorie del processo produttivo (CO2, rifiuti vari, inquinamento). Quindi il ragionamento va costruito all’inverso: dato che una crescita in termini fisici diventa sempre meno proponibile e possibile, quali possibili strategie esistono per giungere a un sistema economico nazionale e globale relativamente stabile ?

  2. Giovanni Barone-Adesi

    L’Italia,il Belgio e la Grecia non hanno mai rispettato il patto di stabilità. Cambiandone il testo in modo ‘intelligente’ diventerà credibile?

  3. giampaolo vitali

    Purtroppo, nella realtà non esistono organismi "indipendenti", anche se autorevoli. Evitiamo quindi questa proposta utopistica, mentre l’attenzione al pareggio di bilancio è la soluzione più semplice e attuabile. Ogni governo sceglierà se seguire risultati di breve (taglio degli investimenti) o di medio termine (taglio della spesa improduttiva). Però, dobbiamo considerare il pareggio del bilancio primario (al netto del servizio per il debito): se il bilancio primario è in pareggio, il debito si riduce automaticamente (anche se lentamente) nel corso del tempo, grazie alla riduzione degli interessi ottenuta con l’aumento della fiducia dei mercati. Nel maggio 1998, quando siamo stati esaminati per entrare nel club dell’euro, si è seguita tale strada con indubbio successo. E’ quindi logico seguirla anche oggi.

  4. luigi del monte

    Sono d’ accordo con l’ultima frase dell’autore quando dice che l’organismo di controllo (commissione UE) non ha funzionato, il perchè va ricercato. E’ indubbio che per ripianare debiti dell’ordine del PIL (100, 120, 150) siano necessari decenni e non anni, però è anche vero che uno stato non può andare avanti a debito all’infinito. Se il piano merkel dice che, per esempio, in 5 anni tutti i debiti devono arrivare al massimo al 60% del PIL è sbagliato perchè non tutti i paesi partono dallo stesso punto. Deficit e debito sono legati anche dai trattati di Maastricht (che però hanno guardato solo il deficit). Giusto come dice l’autore che sono manovre a lungo termine e che quindi occorrerebbe un sistema di regole che impone a chi ha il 115% di debito di scendere di un 2% annuo così che tra 10 anni si è al 95, mentre chi è all’80 o scende alla stessa velocità del 2 per meno anni o + lentamente per un numero maggiore di anni. Nel caso del deficit, in casi straordinari come questo, si allenta la morsa per riprendere subito dopo la crisi.

  5. marco

    L’ipotesi che siamo in procinto di toccare i limiti nello sfruttamento delle risorse del pianata è preoccupante, ma vorrei che si valutassero meglio due aspetti: a – lo sviluppo abnorme della popolazione mondiale, abbinata alla crescita economica delle aree meno sviluppate, è enormemente più preoccupante degli attuali livelli di consumo di risorse, inquinamento, ecc. Perché non si parla mai di esplosione demografica? Non è un tema politically correct? b – lo sviluppo tecnologico proporrà delle soluzioni intelligenti, forse brillanti, per diminuire l’impatto sull’ambiente, come geotermico, nucleare di 3 e 4 generazione, ecc. ma cosa potrà contro la sovrapopolazione mondiale?

  6. Paolo Paolone

    La Merkel colpisce (ancora) con le sue ricette restrittive che sacrificano lo sviluppo a favore della "stabilità quantitativa degli aggregati monetari" ; il Governo Merkel è leggermente strabico,con un occhio guarda ai vantaggi offerti alla propria ‘economia reale dalla CEE e con l’altro è molto più interessato ad Est, al mercato russo e al problema energetico. Se questa impostazione dovesse prevalere bisogna aspettarsi una lunga recessione in Europa, seguita da una stagnazione. Sul problema del controllo dei conti pubblici dei paesi CEE si avanzano le solite ricette: visto che un organo non ha dato buona prova su un certo argomento lo si sostituisce con un comitato "indipendente"; per me è la Commissione che deve esercitare questo controllo con lo staff tecnico di cui dispone, se non l’ha fatto in futuro non è solo e tanto perchè mancava di poteri (vero), ma perchè quei posti ben retribuiti sono diventati la sinecura di politici "usciti dal circuito attivo": necessità una svegliata generale. Sulla bomba demografica ed effetti bisognerà un giorno fare un discorso completo e realistico, magari ospitato in più puntate sul vostro sito.

  7. Alberto Confetti

    E’ semplicemente il dogma della crescita perpetua e continua ad essere sempre più sbagliato e fuori da ogni logica, semplicemente perchè non è realizzabile. E si dovrebbe avere l’onestà di riconoscere che è un modello da non seguire, altrimenti fra qualche anno ci ritroveremo ancora nella stessa situazione di oggi. Ma con meno risorse, più cittadini e soprattutto più immigrati disoccupati ed un disastro irreparabile a livello sociale.

  8. mlv

    Non si può che essere sostanzialmente d’accordo, ma la riduzione dei deficit europei del dopo guerra non so se possono essere paragonati a quello che potremo fare oggi, appunto, senza prima una guerra che nessuno si augura e vuole. Il problema dei problemi è ora nudo e visivo a tutti, ossia la spesa pubblica eccessiva, con tutti i distinguo fatti dall’autore che condivido. Ora vediamo come si reagirà, se con consapevolezza oppure come fatto fino ad ora (già i primi segnali da sindacati!). Quando penso a questo mi viene in mente la notizia (che subito fa sorridere) dei forestali di certe regioni al paragone con quelli dell’alto adige e mi viene poi da piangere a pensare chi li dovrebbe controllare e chi dovrebbe controllare i controllori. E non rido neppure nel sentire dell’evasione ma piango uguale nel sentire che uno è ladro, l’altro è tollerato per esigenza. E appunto veniamo all’organismo sovranazionale Ue di controllo (indipendente). Ben venga e prima possibile, per il bene di tutti, visto che da soli non riusciamo perchè non seri e immaturi.

  9. Roberto Rossi

    Coniugare crescita e risanamento è forse possibile: ci aspettiamo una ricetta seria, sostenibile e che spieghi tutte le dinamiche e i passaggi necessari (anche numerici) per un riequilibrio in entrambi i sensi (della crescita e del risanamento). Mi sembra di ricordare che ai tempi dell’ingresso nell’Euro, con Ciampi ministro del tesoro, l’impegno preso dall’Italia (con un debito allora attorno al 100% del Pil) fosse una riduzione sostenibile del debito in un certo numero di anni per avvicinarsi al rapporto previsto del 60%. Che ne è stato di quell’impegno? Probabilmente bisognerebbe ripartire da lì magari programmando un impegno meno ambizioso (raggiungere l’80% nell’arco di parecchi anni).

  10. Giuseppe Caffo

    E’ difficile non essere d’accordo sulla necessità di ridurre l’entità del debito, per non finire nella spirale di interessi crescenti. Ma è proprio sulla sua composizione che occorrerebbero analisi approfondite. Alla formazione del debito possono concorrere diverse voci: sprechi e ruberie, inefficienze della burocrazia, costi eccesivi della politica, welfare mal gestito, evasione fiscale; ma anche investimenti in infrastrutture e in ricerca e sviluppo. In altre parole esiste un debito cattivo, che va ridotto con urgenza, e un debito che prelude alla crescita, al progresso e a una maggior efficienza e produttività, un investimento per il futuro che, se gestito con competenza e intelligenza, si ripaga nel tempo da solo, creando benessere e speriamo anche maggior equità sociale.

  11. Giorgio Massarani

    Partendo dalla considerazione che da un debito elevato si esce in due generazioni e non in due anni sarebbe bene allungare lo sguardo verso il futuro e capire quale modello di sviluppo economico sia proponibile nel ventunesimo secolo. E’ stato facile cinquanta anni fa realizzare la crescita passando da agricoltura a industria manufatturiera, così come è facile oggi per i grandi paesi asiatici; ma dobbiamo renderci conto che il modello "cementificare" è terminato, anzi bisognerebbe seriamente iniziare a demolire prima di costruire di nuovo. Anche il modello veline-calciatori-televisioni-politici, terziario moderno all’ italiana, non ci darà crescita. Cosa ci resta se non la "knowledge society", università + scienza + alfabetizzazione generalizzata ? E’ questa la direzione da imboccare, ma l’Italia non è consapevole.

  12. Enrico Motta

    Arrivare al pareggio di bilancio in 2 generazioni, cioè 50 anni? E in questi 50 anni quanto debito si aggiungerà a quello già esistente? In realtà più si aspetta più diventa difficile evitare la bancarotta. Inoltre, la soluzione della crescita mi sembra fantasia; il Giappone, che ha avuto forse il più grande sviluppo economico nel ‘900, si ritrova col debito più grande, che probabilmente è servito allo sviluppo stesso, ma sarà pagato da altri. Pagato molto prima di 50 anni.

  13. Leonardo rosselli

    Secondo me occorre mettere mano alla riforma delle pensioni prescindendo dal dogma che il sistema attuale si regge cosi com’è. E’ vero ma è l’unica leva sulla quale possiamo rilanciare il nostro paese, come? Aumentando l’età pensionabile a 67 anni, o verso quota 100, e riducendo simultaneamente la contribuzione media dal 32 al 24%. Di questi 5 punti dovrebbero andare nelle tasche dei consumatori per stimolare la domanda interna e 3 come taglio del costo del lavoro per le imprese e scoraggiare così il lavoro sommerso o quantomento l’utilizzo di forme atipiche per mascherare il lavoro dipendente. Un paese come il nostro che si basa sulla manifattura una manovra del genere darebbe respiro alla domanda e aumenterebbe la competitività delle imprese innestando quel processo di crescita del Pil indispensabile che invocava il professor Giavazzi nel suo articolo. Un’altra mossa sarebbe l’eliminazione di tutti gli incentivi alle imprese e contestuale riduzione di pari importo dell’Irap. Leonardo Rosselli

  14. Leopoldo Durante

    Tutto vero quello che è scritto nell’articolo. Tutto giusto se non si tiene conto del tempo e della speculazione (quella che negano molti economisti che incolpano "la politica"). Il deficit per finanziare lo sviluppo si crea immediatamente. Lo sviluppo si creerà in seguito e non è detto che il mercato ci creda e che sicuramente si realizzerà. Se voci interessate convincono i mercati che il debito sovrano è vicino al default è sufficiente la non sottoscizione delle nuove emissioni per creare la catastrofe. La Merkel , da buona tedesca memore della grande inflazione, si preoccupa di questo. La buona reputazione di solvibilità non è in molti schemi di macroeconomia.

  15. Giovanni

    La crescita legata al debito è fondamentale in termini di potere d’acquisto delle masse produttive (non vantaggioso per le attività commerciali più deboli come domanda) il tutto garantito dalla moneta unica e quindi un euro forte…

  16. Oreste Parise

    La moneta è da sempre espressione della sovranità. Abbiamo creato l’euro senza alcuna autorità che governi l’economia. Il piano Merkel entra a gamba tesa e cerca di affrontare il problema. Gli stati nazionali devono rinunciare a un buon pezzo di autorità e accettare di operare in regime di zero budgeting. Si dovrebbe avere il coraggio di consolidare i debiti dei singoli stati con eurobond emessi dalla BCE con ammortamento a carico degli Stati per l’ammontare del debito consolidato. La crisi è una grande occasione di ristrutturazione del sistema produttivo e la politica di crescita dovrebbe essere finanziata con progetti di ampio respiro a livello europeo nel campo della ricerca, dell’energia, dei trasporti, dell’ICT, dell’agroalimentare e con una rigorosa regolamentazione dei mercati finanziari. La sfida da vincere è la competizione con la Cina e l’India e non sarà certo il ritorno all’Europa dei comuni che ci darà le risorse necessarie. Il Patto di stabilità nazionale è necessario per allineare la politica degli Stati aderenti all’euro a quello dei Paesi più virtuosi. Il collo di bottiglia dell’Europa è l’incapacità di perseguire obiettivi ambiziosi.

  17. A.U.

    Ritengo – da non-competente – che l’imperativo (tedesco) del pareggio di bilancio sia ancorato nel cosiddetto "Stabilitätsgesetz" e nell’architettura istituzionale/costituzionale della Germania. Non dimentichiamo che la costituzione tedesca (Grundgesetz) ha avuto molti padri, sì, ma soprattutto una nonna che si chiamava Weimar. E nell’ottica dei nipoti di Weimar parole come stabilità, iperinflazione, depressione hanno un significato un po’ diverso da quello degli altri europei. Del resto: con la logica della stabilità (più serietà e capacità) la Germania ha raggiunto risultati economici decisamente soddisfacenti. Stabilità, rigore e crescita sono perfettamente coniugabili – quando si è Germania, Olanda, Svezia. E’ ovviamente piú difficile quando si è Grecia, Sicilia o Spagna. Per questo i tedeschi hanno aderito all’euro a condizione di un mantenimento delle logiche/regole di stabilità del DM – e sono rimasti truffati (complice buona parte dei loro politici). Adesso si trovano a remare sulla barca del "Club Med" e non sanno come uscirne. E sono inferociti. Da buon lombardo, non posso non capirli…

  18. Francesco Cuzzola

    Vorrei sapere cosa ne pensa adesso, il prof. Giavazzi del piano della Merkel. Dalle notizie di questi giorni sembra che come previsione non fosse molto azzeccata…

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