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Storia maestra di vita. E di crisi finanziarie

Finora la storia è stata una vera maestra di vita. La sequenza degli eventi negli ultimi anni ha infatti seguito diligentemente quella osservata nelle crisi susseguitesi con regolarità impressionante in quindici secoli, sotto ogni regime economico e politico, sotto ogni latitudine e con qualsiasi livello di sviluppo economico. Se è così abbiamo davanti tre possibili scenari. Ricordando anche che tutte le crisi sono state accompagnate da restrizioni ai movimenti di capitale, se non da vere e proprie forme di protezionismo finanziario.

Le turbolenze sui mercati finanziari di questo ultimo mese hanno riacceso le preoccupazioni circa il futuro delle economie mondiali. Quella che sembrava una ripresa avviata, seppure con diversa intensità nei differenti paesi, è oggi di nuovo messa in discussione dall’’andamento negativo delle principali borse, da mercati dei cambi nervosi, spread sui titoli di Stato crescenti e preoccupazione sulla liquidità dei mercati monetari. L’’incertezza sui futuri scenari cresce, mentre la girandola delle lettere dell’’alfabeto (V, U, W, L ecc.) ricompare nel lessico degli economisti.

ATTRAVERSO LA LENTE DELLA STORIA

Finora la storia è stata una vera maestra di vita; la sequenza degli eventi succedutisi negli ultimi anni ha infatti seguito diligentemente quella osservata nelle crisi susseguitesi con una regolarità impressionante negli ultimi quindici secoli sotto ogni regime economico e politico, sotto ogni latitudine e con qualsiasi livello di sviluppo economico. (1)
Alla liberalizzazione dei mercati dei capitali e a politiche monetarie espansive è regolarmente seguita una forte crescita del debito bancario, seppure questa volta mascherato dal così detto sistema bancario ombra, composto da migliaia di strutture non regolamentate. (2)
Tutto questo ha portato, in un clima di apparente stabilità e crescita, a un boom del settore immobiliare, a un forte aumento dei prezzi delle materie prime e più in generale di tutti gli asset finanziari (la così detta bolla). Quando in qualche settore nel mercato (nel nostro caso i mutui sub prime) ci si è accorti che gli equilibri finanziari erano insostenibili, la crisi è scoppiata e le banche, come sempre, sono state le prime a saltare. La storia “originate to distribute” si è presto rivelata una mitologia, giacché le banche sono rimaste con una grande parte del rischio delle cartolarizzazioni. In rapida successione, le economie sono andate in recessione e i governi, per fortuna, sono intervenuti a salvare le banche, ma soprattutto le economie. E oggi, come è sempre successo, la crisi ha messo a nudo gli squilibri dei conti con l’’estero e soprattutto dei conti pubblici, giacché il debito privato è stato nazionalizzato.

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I TRE SCENARI

A questo punto cosa ci aspettiamo dalla storia? Tre sono i possibili scenari, che non si escludono del tutto a vicenda, più un corollario. Il primo scenario è quello del default o della ristrutturazione del debito pubblico. Probabilmente, è la strada che presto o tardi prenderanno alcuni paesi periferici dell’’Europa (Grecia, Portogallo e forse Ungheria), dove il default, non l’’uscita dall’’euro, probabilmente avrebbe un limitato effetto sistemico e dove la cultura del paese non è mai stata quella della stabilità (si ricordi che dall’’indipendenza del 1829, la Grecia ha vissuto il 50 per cento degli anni in uno stato di default). La seconda strada è quella del così detto modello giapponese, dove ripetute correzioni del deficit pubblico permettono di evitare il default, ma non una stagnazione, e una deflazione, prolungata. È probabilmente la strada che verrà imposta dalla Germania, dove la cultura della stabilità è quasi paranoica, al resto dell’’Europa: Italia, Francia, Spagna e forse Inghilterra. Infine, il terzo modello è quello della crescita e dell’’inflazione, che tante volte è stato utilizzato dai governi per ridurre in maniera più indolore il debito accumulato. Sarà probabilmente la strada seguita dagli Stati Uniti, dove il debito e il deficit sia pubblico che estero sono superiori a quelli europei, ma il mito della crescita è parte integrante della cultura americana.
Infine il corollario. Tutte le crisi sono state accompagnate da restrizioni ai movimenti di capitale, se non da vere e proprie forme di protezionismo finanziario. Anche adesso non sembriamo capaci di sfuggire a questa regolarità. Basti pensare a molta della regolamentazione finanziaria che è stata o sta per essere introdotta, dal divieto alle vendite allo scoperto introdotto dal governo tedesco, che tutte le analisi economiche hanno dimostrato essere controproducente, alle normative che stanno per abbattersi sui fondi hedge e di private equity, che pure hanno giocato un ruolo molto limitato sia nell’’innestare la crisi che nel propagarla. (3) Per non parlare poi della nuova normativa che il governo inglese sta preparando in tema di takeover dall’’estero. Oppure della rilocalizzazione imposta dal governo francese alle case automobilistiche, dopo gli aiuti di stato. Ma seguite con attenzione anche la vendita della banca polacca Zachodni, imposta alla Allied Irish Bank, dove il governo di Varsavia, che vuole ri-nazionalizzare la banca, ha candidamente dichiarato di non poter offrire più soldi dei numerosi contendenti, ma certamente un iter di approvazione più rapido e certo.
(1) Reinhart, Carmen M. and Rogoff, Kenneth S. (2010), “From Financial Crash to Debt Crisis,” NBER Working Paper.
(2)  Solo per citare qualche esempio: Structured investment vehicle (Siv), Limited purpose finance corporation (Lpfc), Collateralized loan obligation (Clo), Collateralized bond obligation (Cbo), Collateralized debt obligation (Cdo), Commercial paper (Cp), Medium term note (Mtn), Certificate of  Deposit (Cd), Residential mortgage backed security  (Rmbs), Commercial mortgage backed securities (Cmbs).
(3) Si veda Alessandro Berer e Marco Pagano “Short-selling bans in the crisis: A misguided policy” VOX 6 febbraio 2010.

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Ma quel compenso non è equo

  1. adriano velli giornalista

    Più che a vere e proprie forme di protezionismo finanziario, credo che si andrà inevitabilmente verso imposizioni fiscali ai movimenti dei capitali. Potrebbe essere perfino una scelta condivisibile se la tassazione riguardasse esclusivamente le transazioni finanziarie non assistite da fatturazione di merci o, per intenderci, dai fissati bollati che certificano l’acquisto di azioni o titoli di stato. Si dovrebbero colpire in sostanza solo le scommesse, oggi impropriamente assimilate al concetto di speculazione. Peraltro non credo sia più a lungo sostenibile che con un deposito di diecimila dollari e un semplice clic si possano acquistare a termine millecinquecento barili di petrolio oppure vendere cinquecentomila euro contro l’acquisto di mezzo milione di dollari. Ogni giorno nel mondo si fanno milioni di operazioni di questo genere:la loro concentrazione con movimenti unidirezionali ha determinato vistose anomalie sui mercati che hanno perso ogni credibilità perché, come ha rilevato giustamente Lamberto Dini, certamente non sospettabile di inclinazioni protezionistiche.

  2. Giulio Riggio

    "Divieto alle vendite allo scoperto introdotto dal governo tedesco, che tutte le analisi economiche hanno dimostrato essere controproducente" ma perché? Non ditemi perchè ridurrebbe il PIL, vi prego basta informarsi un po’ e si capisce che il numero di posti di lavoro in un paese come l’italia non c’entra con la crescita del PIL, e la cosa importante è il numero dei posti di lavoro. Redistribuiamo le risorse con le patrimoniali, vedete come aumentano i posti di lavoro e come cresce il PIL.

  3. Giuseppe

    Ottima analisi. Fra le tre ipotesi quella più giusta mi sembra la seconda (modello giapponese). Premia le prudenti formiche, penalizza chi sperpera e si vanta di vivere al di sopra dei propri mezzi. Speriamo che ponga un limite allo sfrenato consumismo che ha caratterizzato gli ultimi decenni,proponendo modelli di vita più parchi e sobri,soprattutto a vantaggio delle giovani generazioni, alle quali auspico di riscoprire valori umanistici e culturali, trascurati nella ricerca ossessiva di beni materiali. Per quanto riguarda il protezionismo finanziario, mi auguro che non si cada in controproducenti esagerazioni.

  4. Giovanni

    Non si capisce in generale in cosa consiste una crisi finanziaria e i rimedi per evitarle oppure per superarle, forse perchè sono semplicemente redistribuzione di profitti e quindi i mercati si autoregolano senza alcun intervento pubblico.

  5. Michele Giudilli

    Ma scusate l’autore consiglia di superare questa crisi con nuova inflazione, che significa in parole povere aumento della massa monetaria che in altre parole povere significa stampare altra carta-straccia? Qualcuno crede ancora che l’inflazione è determinata dall’aumento dei prezzi e sia un fenomeno spontaneo del mercato? Questa crisi si supera: a) semplicemente ritornando al gold standard, che è la premessa indispensabile per evitare il formarsi di nuove crisi; b) aumentando la riserva delle banche (non dico al 100% ma quasi); c) lasciando i tassi di interesse liberi di fluttuare. E’ inconcepibile che il più grande mercato del mondo (i tassi di interesse) debbano essere decisi arbitrariamente da un’istituzione. Si chiama controllo dei prezzi, cari liberisti-monetaristi-keynesiani, un qualcosa che ha sempre alterato il mercato.

  6. Michele

    L’analisi storica e i possibili scenari paventati sono indubbiamente condivisibili. Dalla lettura dei commenti, sembra però che le misure protezionistiche siano state effettuate per debellare il male della speculazione. La speculazione di per sè non è il male in terra: speculare significa assumersi dei rischi che possono produrre grossi guadagni o enormi perdite. Chi lo fa lo sa, e contemporaneamente produce effetti benefici per la liquidità dei mercati. Il problema vero sono le regole, anche per gli speculatori: chi sbaglia deve pagare, chi sbaglia la sua speculazione deve essere in grado di far fronte ai propri impegni (il che significa avere un organismo in grado di valutare il rischio assunto e le garanzie offerte), non deve direttamente o indirettamente addossarli alla collettività.

  7. giobatta

    Recentemente un militare di carriera mi ha ricordato il quarto scenario: la guerra. Da tempo immemorabile si è andati avanti così, e nel Novecento il metodo è stato grandemente perfezionato: si distrugge, si risolve il problema del debito con l’iperinflazione, si creano posti di lavoro, si ricostruisce vigorosamente, si reinstalla l’amore per la vita nella popolazione, il senso della solidarietà nazionale, ecc. Peccato che le atomiche e le armi biochimiche rischino di farci ricominciare da troppo indietro: ma che sviluppo ci attenderebbe ripartire dalla clava, magari con una umanità mutata anche geneticamente dall’uso delle armi di distruzione di massa!

  8. Giovanni

    …e quindi, piu’ che attardarsi in avviluppamenti di sintomatologia cronicistica con riguardo a cause e rimedi, varrà forse la pena rimeditare la visione che Fernand Braudel aveva della storia o, per restare sulla contemporaneità, rileggere gli studi di Giovanni Arrighi su certe ciclicità del capitalismo. Il punto focale della crisi corrente, a mio avviso, si colloca nella disequazione che ha separato la crescita dal progresso. E dopo che il culto del mercato ha mandato in soffitta Stati e Sovranità temo che presto o tardi la quarta opzione prima citata, quella bellica, possa porsi davvero come unica soluzione. Il famoso lavacro di sangue che rigenera l’umanità è dietro l’angolo. Maestra Storia, evidentemente, ha alunni alquanto distratti.

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