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Europa: quando mancano le regole

L’adozione della moneta unica avrebbe dovuto essere affiancata dall’introduzione dei necessari regolamenti e dall’azione di supervisione bancaria nella zona euro. Ma lo hanno impedito atteggiamenti nazionalistici o protezionistici. Una lezione che non sembra essere stata compresa neanche adesso, di fronte alla crisi finanziaria globale né a quella, più recente, della Grecia. Eppure, è evidente quello si deve fare: centralizzare la regolamentazione e la supervisione bancaria e decentralizzare il Patto di stabilità.

L’adozione della moneta unica avrebbe dovuto essere affiancata dall’introduzione dei necessari regolamenti e dall’azione di supervisione bancaria nella zona euro. Ma atteggiamenti nazionalistici o protezionistici hanno impedito che si compisse tale processo. Da questo immobilismo l’Europa ha almeno tratto qualche insegnamento? Nessuno, almeno per il momento.

CHI HA IMPARATO LA LEZIONE

Si sono accumulate montagne di rapporti che sostengono la necessità di rifondare da zero la regolamentazione bancaria. Due comitati internazionali di stanza a Bali (il Comitato sul controllo bancario e la Commissione di stabilità finanziaria) hanno fatto proposte molto valide che traggono insegnamento dalla crisi e che, se fossero adottate da tutte le piazze finanziarie, rappresenterebbero un progresso considerevole, istituendo regole del gioco comuni. Stati Uniti, Gran Bretagna e Svizzera hanno già fatto proprie, o lo stanno facendo, gran parte di queste raccomandazioni.
Nella zona euro si riflette sulla questione, ci si smarrisce in scelte politicamente facili (inquadramento dei bonus e relativa tassazione), ma ci si guarda bene dal toccare il cuore del problema, vale a dire i profitti e le cause di instabilità finanziaria. Non si è neanche chiarita ancora la situazione delle banche, come del resto risulta evidente dalla tardiva decisione di sottoporle a stress test, dopo aver peraltro discusso e cavillato sulla definizione di stress (molto dolce) e sulla pubblicazione dei risultati.
La lobby bancaria ovviamente si sta dando da fare. Negli Stati Uniti la riforma ha potuto progredire solo quando il presidente Obama è andato personalmente a Wall Street per dire ai banchieri di smetterla di boicottare il suo progetto. In Gran Bretagna e in Svizzera le lobby hanno resistito finché possibile, ma non hanno potuto impedire le riforme, anche se – sugli aspetti tecnici – c’è da aspettarsi alcuni colpi di forbice . Nell’Europa continentale non vi è alcun dibattito pubblico in proposito e i banchieri cercano di far passare la riforma di Bali come inadeguata.
Un altro insegnamento da trarre è che le autorità di supervisione bancaria hanno fallito. Non sono solamente quelle europee ad aver sottovalutato l’importanza dei rischi che andavano accumulandosi prima del 2007; è un fenomeno generale. Alcuni paesi hanno però imparato la lezione e preso misure interessanti. È il caso degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Svizzera e della Germania. La cosa più grave, senza dubbio, è che gli organismi internazionali sono ancora una volta riusciti a bloccare la creazione di un’autorità unica per la zona euro. Il Rapporto di Larosière aveva avanzato proposte – assai limitate – in questo senso, ma non si riesce a renderlo operativo.

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LA QUESTIONE DELLA DISCIPLINA DI BILANCIO

Infine il terzo insegnamento – il più importante – riguarda la crisi delle finanze pubbliche in Europa e suggerisce che non può esistere moneta comune durevole, se in ogni paese membro non si rispetta la disciplina di bilancio. Non è una scoperta. Già nel 1989 il Rapporto Delors aveva sottolineato questo punto. Il Trattato di Maastricht aveva dedicato tre articoli al problema. I primi due stabilivano il principio secondo cui ogni governo è il solo responsabile del suo debito e gli altri governi, nonché la Bce, non debbono intervenire in caso di difficoltà. Il terzo articolo prevedeva il sistema di sorveglianza e di sanzioni, divenuto poi il Patto di stabilità e di crescita. Il Patto non ha funzionato, perché i paesi membri della zona euro sono sovrani in materia di bilancio: non si può dar loro ordini ed è politicamente difficile sanzionare un governo amico, democraticamente eletto.
Purtroppo sia l’aiuto urgente concesso alla Grecia, sia la creazione, nel maggio 2010, del Fondo di stabilizzazione finanziaria , sia infine il prestito accordato dalla Bce contraddicono lo spirito e persino la lettera del Trattato europeo. E così una crisi, originariamente solo greca, è divenuta crisi della zona euro non appena gli altri governi hanno deciso di non abbandonare i colleghi in difficoltà. Peggio ancora, i mercati finanziari – che la vedono più lunga dei governi – non si sono contentati delle vaghe promesse lanciate; ed ecco il lungo periodo di crisi e incertezza che ha contraddistinto i primi mesi di quest’anno, instillando il dubbio sulla capacità dei paesi membri di comprendere e gestire una crisi divenuta, nel frattempo, acuta.
E, di peggio in peggio, i governi, la Bce e la Commissione, con la manifesta volontà di rendere più rigidi Patto e sanzioni, sembrano far dipendere tutto il problema della disciplina di bilancio da un solo strumento, il Patto, che pure ha dato prova della sua inefficacia. Certo, l’obiettivo annunciato è quello di renderlo più incisivo, tuttavia non viene minimamente menzionata la contraddizione fondamentale col principio di sovranità in materia di bilancio. Così facendo, e cioè puntando tutto su uno strumento quantomeno dubbio, le autorità europee finiscono col relegare la questione della disciplina di bilancio in una zona ambigua e incerta. Ed è ciò che rende nervosi i mercati ed è il motivo per cui la crisi si prolunga. Né si vede come la zona euro possa uscirne.
Per il momento, la situazione ha cessato di deteriorarsi, perché in effetti le somme mobilitate nel mese di maggio sono considerevoli. Se i deficit dei paesi più presi di mira dai mercati finanziari (Grecia, Spagna, Portogallo) diminuiranno nei mesi a venire, tornerà la calma, pur perdurando le linee di frattura della zona euro. Tutti i paesi assumono provvedimenti anti-deficit, ma questi avranno successo unicamente se riprenderà la crescita economica, il che è ben lungi dall’essere certo, considerando la natura di tali provvedimenti. Se la piccola ripresa in corso perde vigore e i deficit aumentano, la crisi riprenderà ancor più forte di prima.
Forse, solo toccando il fondo si supereranno quelle resistenze e quelle reticenze che impediscono di giungere a due conclusioni, pur evidenti.
La regolamentazione e la supervisione bancaria possono funzionare solo a livello europeo, in quanto implicazioni della zona euro e del mercato unico. Tali funzioni devono essere centralizzate.
La disciplina di bilancio è cosa che riguarda il singolo paese: è a livello nazionale, pertanto, che devono essere presi i provvedimenti istituzionali capaci di arginare quelle derive che, da parecchi decenni, hanno fatto impennare i debiti pubblici. Il Patto di stabilità deve essere decentralizzato.

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  1. Ricardo_D

    dopo anni passati a scrivere trattati e creare regole da applicare e rivedere siamo ad un punto cruciale: all’Europa (con la E maiuscola) ci si crede oppure no. La riluttanza – comprensibile, ma non giustificabile – dei Paesi Membri nel delegare poteri veri e non solo sovraorganismi a Bruxelles, sta facendo diventare la UE una macchina farraginosa non in grado di rispondere ad un sistema economico, sociale e finanziario di scala globale. La recente esperienza finanziaria non è che un esempio, ma la strada ancora lunga da compiere è quella di rendere l’unione più uniforme e l’ampliamento fino a 27 paesi sulla carta deve diventarlo nella realtà. Ci vogliono uomini politici coraggiosi che sappiano investire nel futuro del loro paese e continente. Ce ne sono ancora in giro?

  2. mirco

    In molte altre occasioni si sono fatti i rgionamenti dell’articolo. E’ chiaro che la soluzione passa per la gestione di una politica fiscale comune e attarverso una unione politica dell’europa. E allora? Non mi sembra che la classe dirigente europea attuale ne sia consapevole, ma neanche i popoli europei visto il risultato dei referendum sulla costituzione irlandese e francese. Credo che quando succederà qualcosa di nuovo e di positivo io già non sarò più …. quindi chi se ne frega? Dormiamo pure la notte…..

  3. sandro

    La sovranità degli Stati membri in materia di bilancio, è un problema economico-industriale primachè finanziario. Si pensi agli aiuti di Stato che la Serbia (ancora extra-UE) piuttosto che la Romania o l’Irlanda in passato concedevano agli investitori stranieri, in termini di contributi a fondo perduto e sgravi fiscali per diversi anni, oltre a un costo della manodopera con cui non potevamo competere. Politiche di questo tipo invogliano gli imprenditori a delocalizzare. E’ inutile difendere la stabilità del sistema bancario per tutelare l’economia reale, se poi questa è compromessa dalle politiche fiscali di alcuni Stati, che usano la sovranità per fare concorrenza sleale agli altri. Questo sito è una fonte più che autorevole per sollevare tale problema.

  4. Roberto Montagna

    Siamo sicuri che gli aumenti attuati sui servizi offerti da Istituti di Credito, Banche, Assicurazioni, e, forse, anche agenzie pubblicitarie siano in accordo cun una sana valutazione del giusto profitto giustificato dal rischio di tipo economico? Qualora l’andamento dell’importo medio e la varianza degli aumenti in questione correlasse in modo significativo con gli aumenti d’ uso di ammortizzatori sociali come assegni di disoccupazione, incremento di cassa integrazione guadagni per azienda, livello di disoccupazione, ecc… quale conclusione se ne potrebbe trarre, in un’ economia detta di libero mercato: sostengono il mercato interno o lo deprimono? Personalmente, io d’istinto, non li trovo positivi per il nostro paese. Grazie per l’attenzione, e buona continuazione.

  5. Stefano Scarabelli

    1. Irlanda e Spagna, due dei paesi nell’occhio del ciclone, hanno sempre rispettato fino al 2007 i parametri di Maastricht in tema di conti pubblici: questo significa che tali parametri sono insufficienti e fuorvianti. 2. I paesi di cui viene apprezzato l’approccio in tema di regolamentazione bancaria hanno operato, rispetto alle loro banche, esattamente nel modo opposto alla ricetta che l’autore propugna per gli emittenti statali: bail-out di tutte le istituzioni finanziarie sistemiche (Bear Stearns, Fannie Mae, Freddie Mac, Citigroup, Bofa negli Stati Uniti; Rbs ed Lloyds/Hbos in Gran Bretagna; Commerzbank e HRE in Germania; UBS in Svizzera) e, per quanto concerne Stati Uniti e Gran Bretagna, massiccio quantitative easing. Peraltro la Germania, che viene citata tra i paesi virtuosi in tema di regolamentazione bancaria, ha lanciato una (mezza) ciambella di salvataggio a Grecia ed Irlanda proprio per l’esposizione del suo settore bancario. In conclusione, credo che la ricetta dell’autore sia l’anticamera per un default a catena degli emittenti dell’Eurozona, paesi core inclusi. Cordiali saluti

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