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Come va l’economia: notizie sparse di inizio Agosto

Capire cosa succede all’’economia di un paese è complicato. Ma di certo non si può affermare, come hanno fatto di nuovo i media nei giorni scorsi, che la produzione industriale e il Prodotto interno lordo sono ai massimi quando i dati dicono che siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi. E non si può guardare al superindice Ocse solo quando dà buone notizie.

Perfino da sotto l’’ombrellone o dalla cima di una montagna un utente dei media italiani potrebbe porsi la domanda: l’’economia va bene? O almeno, se non va ancora bene, va meglio? Ecco una sequenza di titoli presi da vari giornali e Tg che potrebbero orientare la risposta.

NOTIZIE SPARSE DI INIZIO AGOSTO

Il Sole 24 Ore, 4 agosto 2010: “Sono aumentate del 9,8 per cento a luglio le richieste di cassa integrazione rispetto a giugno. L’incremento è attribuibile all’aumento di ore autorizzate per cassa integrazione straordinaria. L’’Inps sottolinea la forte ciclicità del dato“
Tg 1 e Tg2, La Stampa e il Messaggero del 6 agosto: “Produzione industriale +8,2, al top dal 2000”
Tutti i giornali e i Tg del 6 agosto: “Istat: pil in crescita dell’1,1 per cento in un anno. L’incremento annuo del Pil è il più alto dall’inizio della crisi”
I titoli riportati sopra ci aiutano a rispondere alle domande su come va l’’economia? A mio parere, no. Un po’’ il mondo è complicato: il mercato del lavoro risponde con ritardo all’’evolversi dei fatturati e delle vendite delle aziende. Il che rende a volte inevitabile l’’alternarsi di notizie apparentemente contraddittorie. Un po’’ è che i dati sono pubblicati in modo sfalsato: i dati sul Pil (relativi al secondo trimestre 2010) escono in ritardo rispetto a quelli sulla Cig (di luglio 2010) e sulla produzione industriale (di giugno 2010). Anche questo porta all’’alternarsi di notizie contrastanti a pochi giorni di distanza l’’una dall’’altra. Ma c’’è anche che i media non fanno abbastanza per aiutarci a capire. Provo a spiegare.

PRODUZIONE INDUSTRIALE, PIL E MERCATO DEL LAVORO

Come già scritto tre mesi fa in un precedente articolo, la produzione industriale di oggi è lontana dall’’essere ai massimi (allora si diceva dal 2006, oggi ci si spinge fino al 2000). Era ai massimi nell’’aprile 2008 (valore dell’’indice: 109.2). Oggi (giugno 2010) è a 88.5. Ha toccato il minimo di 80.4 nel marzo 2009. Il +8 virgola qualcosa che registra l’’Istat per il giugno 2010 è rispetto al dato di giugno 2009, che era ancora un dato molto vicino al minimo del marzo 2009. Per un’’altra volta, un titolo più equilibrato per la notizia sarebbe stato: “Industria, prosegue il recupero” oppure, se il dato congiunturale (mese corrente sul mese precedente) è particolarmente buono: “Industria, accelera il recupero”. Un modo equilibrato di dare la notizia (né da corvi né da pigri) suggerirebbe di raccontare che nell’’economia italiana (a) le cose vanno meglio ma (b) siamo lontani dall’’aver recuperato i livelli pre-crisi. Avevamo perso 29 punti di produzione industriale, ora ne abbiamo recuperati 8, circa il 28 per cento. Manca ancora il 72 per cento.
Cose simili potrebbero dirsi per il Pil. Sotto riporto i dati relativi al livello del Pil trimestrale a valori concatenati (vuol dire che si toglie l’’inflazione) dal trimestre precedente all’’inizio della crisi e il suo grafico dal 2000, nel quale per comodità di lettura il livello del Pil è stato posto uguale a 100 nel 2000. Il tutto copiato e incollato dal comunicato dell’’Istat.

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Che cosa si legge dalla tabella e dal grafico? Qualitativamente le stesse cose della produzione industriale, e cioè: (a) le cose vanno meglio perché il Pil sta aumentando (meno che nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ma lasciamo perdere: per fare confronti più precisi è meglio aspettare anche i dati ufficiali di Germania, Francia e Spagna e dell’’area euro; arrivano il 13 agosto) (b) il Pil del secondo trimestre 2010 (304 miliardi di euro e spiccioli) non è ancora tornato al livello del quarto trimestre 2008. Al ritmo di + 0.4 per cento al trimestre (la crescita congiunturale del secondo trimestre 2010) per ritornare ai livelli pre-crisi di 323 miliardi di euro ci metterà quindici trimestri, quasi quattro anni.
Ricordare questi dati serve semplicemente a dare gli elementi per capire i dati sulla cassa integrazione e a capire perché la percentuale di forza lavoro disoccupata non è più quella del 2006 (era il sei per cento virgola qualcosa) ma più di otto e mezzo punti percentuali. Se la produzione industriale e il Pil (cioè redditi, cioè vendite e fatturati aziendali) sono di tanti punti percentuali sotto i livelli pre-crisi non possiamo meravigliarci troppo che le ore di cassa integrazione non diminuiscano e che la disoccupazione continui ad aumentare o diminuisca molto lentamente.

E NEI PROSSIMI MESI?

Un’’altra domanda (la gente sotto l’’ombrellone e in cima alle montagne non ha molto da fare) potrebbe essere: e nei prossimi mesi le cose andranno ancora meglio? Qui, volendo fare un po’’ di informazione estiva si potrebbe guardare a come va un indicatore che circa un anno fa era improvvisamente diventato molto popolare quando si trattava di annunciare il più presto possibile che la crisi era finita. Si tratta del super-indice Ocse, un indicatore riassuntivo di tante variabili (come ordini industriali, aspettative di consumatori e imprese, prezzo del petrolio, condizioni del credito) che di solito prevedono con un anticipo di circa sei mesi come andrà il ciclo economico. Proprio il 6 agosto, tra l’’altro, l’’Ocse ha pubblicato l’’aggiornamento sull’’evoluzione di questo indice.
Ecco le prime righe del comunicato Ocse: “OECD composite leading indicators (CLIs) for June 2010 point to a possible peak in expansion. The CLI for the OECD area decreased by 0.1 point in June 2010. The CLIs for France, Italy, China and India all point to below trend growth in coming months, whilst the CLI for the United Kingdom points to a peak in the pace of expansion. Stronger signs of a peak in expansion have also emerged in Brazil and Canada, and in the United States the CLI has turned negative for the first time since February 2009. The CLIs for Japan and Russia point to future slowdowns in the pace of expansion but for Germany the CLI remains relatively robust.”
Il grafico dell’’indice per l’’Italia è qui sotto. La svolta c’’è stata tra febbraio e marzo 2010. L’’indice segnala quindi cattive notizie per il terzo trimestre 2010.

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Più in generale, il superindice Ocse indica nubi in addensamento per i mesi a venire. Per ora i segnali sono piccoli. Francia e Italia, che l’’indice aveva più o meno correttamente indicato più di un anno fa come i primi paesi che sarebbero usciti dalla recessione, sono indicati come i paesi in cui potrà verificarsi presto un “downturn” (flessione). Flessione è meno di recessione, perché potrebbe essere solo un episodio di crescita negativa e non una sequenza. Peraltro ci sono brutte notizie anche per gli Usa e per Cina e India. Buone notizie solo per la Germania. Il problema dei prossimi mesi sarà quindi se la Germania potrà fare la locomotiva dell’’Europa (e del mondo) se il resto del mondo rallenta e se, per quanto ci riguarda, gli esportatori italiani – che per ora hanno portato sulle loro spalle il Pil – riusciranno a fare nuovi miracoli nei prossimi mesi.
I media italiani -– concentrati sui commenti alle magnifiche e progressive sorti del Pil e della produzione industriale -– si sono dimenticati di riportare questi dati e quindi non ci aiutano a riflettere su questi temi. L’’anno scorso invece ad esempio il Sole 24 ore del 7 agosto 2009 e anche i Tg titolavano: “Segni di miglioramento nel superindice Ocse”. Nella migliore delle ipotesi sembra che sotto l’’ombrellone o in cima alle montagne non ci siano solo i lettori ma anche quelli che fanno i media. Un’’altra possibilità è che prevalga un’’atmosfera tipo “non disturbare il manovratore”. E’’ troppo chiedere più passione per i dati e meno “tifo” a chi diffonde l’’informazione economica?

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22 commenti

  1. luigi zoppoli

    E’ mortificante una informazione economica che nella migliore delle ipotesi è sciatta e nella media è fuorviante quando non tendenziosamente utilizzata. Anche sulla stampa "indipendente" c’è un conformismo asfissiante e perfino Repubblica acriticamente e superficialmente usa gli argomenti nello stesso modo sballato. Ma non c’è verso. Perfino nelle conversazioni private, una precisa esposizione dei dati viene deifnita disfattismo.

  2. Tony

    Egregio sig.re Francesco Daveri, la ringrazio ancora una volta per la fornitura di dati chiari e semplici per l’analisi dell’andamento del nostro sistema produttivo, è evidente che l’informazione sulla nostra economia da vari tg e testate crea solo confusione e false speranze, per il futuro mi auguro che molte più risorse arrivino al vostro sito in modo che voi possiate continuare nel vostro meritevole lavoro di approffondimento, grazie.

  3. giancarlo c

    Eh, sì: i giornalisti di fesserie ne dicono tante. A volte per tifo, altre per ignoranza (sono un appassionato di fisica e astrofisica: non vi dico quante baggianate riportano giornali e tg quando riprendono una notizia in questi campi!). Una questione, però, mi preme di più: premesso che il prodotto interno lordo avrebbe bisogno di almeno un quinquennio per riportarsi sul sentiero di crescita (faccio l’ipotesi che sia lineare, nds) del PIL potenziale (a patto che questa grandezza abbia senso…), secondo l’opinione del prof Daveri e di chi legge e leggerà l’articolo, il crollo avutosi nella serie storica del prodotto è un semplice ciclo recessivo o, piuttosto, un break strutturale? Secondo me è questa la vera domanda. Saluti.

  4. Hans Suter

    Il PIL è sceso del ca. 7% dalla punta più alta, questo fa che l’Italia si muove attualmente al di sotto del trend di crescita dei 20 anni precedenti di ca. del 9%. Facessi il giornalista partirei da qui per dipingere il quadro della situazione.

  5. alfonso scarano

    e… con l’occasione vorrei citare un preveggente scritto di Federico Caffé, "Una Economia in ritardo" … dove, tra molte importanti e profonde riflessioni, il professore annota: "Nella più recente politica economica italiana è infatti possibile rilevare un grado notevole di trasformismo, in forza del quale, ad un certo momento, tutti hanno detto o dicono le stesse cose. A un coerente gioco delle parti si è andato sostituendo un continuo rimescolamento delle carte. Chi aveva tempestivamente fornito una indicazione valida, ma rimasta inascoltata, viene ora scavalcato dal vociare dei ritardatari che apportano ai raggiunti convincimenti un fervore a volte ingenuo, a volte arrogante." Ebbene, questo ruolo di ritardatari "ingenui" o "arroganti", pare si sia eccezionalmente infoltito dall’agosto 2007 inizio della crisi dei mercati interbancari, anche per opera di professionisti della comunicazione che non hanno alcun interesse ad una razionale rappresentazione scientifica della realtà, ma ad una opportunistica occupazione del posticino nel vasto coro di quelli che hanno il compito di scovare appigli per dare apparente consistenza al vaticinio "la crisi é finita, ma la ripresa sarà lenta".

  6. Fabio Colasanti

    Ottimo articolo. Grazie.

  7. MCR

    Non bisognerebbe "tamper with the numbers" ma si fa. Si fa perche` i padroni lo chiedono e i giornalisti sono spesso servi. Purtroppo.

  8. Alberto

    Questo è un’articolo da scuola di giornalisti, voto 10. Peccato che non sarà mai ripreso da nessun quotidiano ad alta diffusione.

  9. renato foresto

    Fra le notizie sparse d’ agosto c’é quella dei debiti comunali giunti a 65 miliardi da aggiungere alla montagna di debiti delle altre PA. Ma i debiti dei Comuni hanno una fisionomia diversa perché la gran parte hanno come concedente e creditore lo Stato nella persona del ministro dell’Economia. Ma c’é da dire di più ricordando il varo trent’anni fa della Legge Bucalossi che introdusse gli Oneri di urbanizzazione che, finanziando appunto le opere di urbanizzazione, avrebbe sollevato i Comuni dai mutui. Il calcolo non era sbagliato: – tanti Oneri incassati contro altrettante opere – ma ben pochi Comuni fecero tesoro di quella opportunità (ma ce n’é e si possono contare) a scorno dello Stato e degli altri Comuni che preferirono distrarre gli Oneri verso altri scorretti impieghi.

  10. Enrico

    Quello che si richiede in fondo al bell’articolo è difficile da ottenere se chi governa è anche lo stesso soggetto che possiede/controlla la maggior parte dei mezzi di informazione. Si chiama/chiamava conflitto d’interessi ma pare che, da in po’ di tempo a questa parte, non vada più molto di moda parlarne…

  11. DAVIDE T.

    Mi trovo da due settimane negli Stati Uniti e solo ora ho dato uno sguardo all’ "Italia" non attraverso i canali standard ma attraverso canali piu’ ufficiosi ed attendibili, giacche’ tutta l’ informazione italiana e’ nelle mani o di ignoranti o di lecca lecca. Personalmente, sono molto contento di questa crisi, prevista da molti anni, perche’ oggi l’informazione e la politica possono molto poco contro la realta’; non possono manipolare piu’ nulla, mi spiego… possono essere smascherati il giorno dopo attraverso dati reali e inconfutabili di aziende che falliscono o di stati che falliscono. La mia visione simile alla sua si basa non su dati economici ma su dati di "strada"; i miei clienti pagano ad 1 anno (sono nel settore costruzioni) qualcuno non paghera’, l’Italia ha perso la leadership (nel mio settore). L’azienda per cui lavoro ha dovuto comprare un’azienda all’estero per continuare a mantenere il mercato in USA ( un operaio in Italia costa 180 euro al giorno contro i 300 dollari al mese – le rotte commerciali verso il mediterraneo sono diventate costose e particolarmente lente). Lei ha perfettamente ragione.

  12. Alberto Cottica

    Grazie per un riassunto così chiaro e articolato. La domanda di chiusura probabilmente è retorica. Sto giusto finendo "The irrational voter" di Bryan Caplan: ci sono molte cose nel libro che non mi sento di condividere, ma la mole di ricerche empiriche e "conventional wisdom" citate è davvero impressionante, e converge a: 1. l’elettore mediano non capisce quasi nulla di economia; 2. egli tiene alla propria ideologia (che comprende posizioni di tutti i tipi, da "gli stranieri ci rubano il lavoro" a "comprate americano"). In questa situazione, l’informazione economica ha un forte incentivo a raccontare al pubblico storie che solleticano la sua sfera emotiva: non c’è sostanzialmente nessun prezzo da pagare per le scemenze. Quindi probabilmente sì, a meno di essere Lavoce.info a chiedere obiettività e misura nell’informazione economica è troppo.

  13. Alessandro Terracina

    Purtroppo oggi l’informazione in Italia è ai minimi termini! Con il festival dell’economia di Trento di quest’anno si è cercato di sollevare il problema della diffusione delle "vere notizie" supportate da dati e da statistiche, ma a quanto vedo l’andazzo nelle redazioni dei tg e dei giornali resta sempre lo stesso! Ognuno cerca di servire il suo padrone, distorcendo le informazioni a vantaggio dei meschini interessi di bottega. Povera nostra Italia! Dobbiamo reagire! La democrazia è informazione e cultura. Credo che anche lavoce.info dovrebbe cercare altri canali per raggiungere un pubblico più vasto, e soprattutto meno istruito (penso ad esempio ad una versione settimanale free press da distribuire nelle metro e nelle stazioni).

  14. Piero

    Perché il governo vuole le elezioni subito : perchè in questo momento siamo nel massimo picco ciclico nel senso che gli stimoli macroeconomici modiali dell’ultimo anno stanno dando solo ora i loro effetti (ci vogliono almeno 6 mesi) … ma l’anno prossimo si faranno sentire le manovre restrittive appena varate in Europa (cui ne dovranno seguire altre) per evitare problemi di default… e quindi sarebbe politicamente più difficile sostenere attraverso i media che siamo stati i migliori.. con problemi di gestione del consenso ellettorale evidenti.. indi oggi il governo vuole il carpe diem.. fregandosene dello spread und-Btp e dei Cds!

  15. Salvatore

    Forse vi siete dimenticati che i giornali prendono soldi dallo Stato (escluso Il Fatto).
    Forse vi siete dimenticati di Minzolini – Saccà e compagnia bella.
    Cercate su youtube intercettazioni e tutto vi sarà chiarissimo.
    Grazie comunque dell’analisi molto interessante.

  16. maurizio sbrana

    Occorre mettersi in testa che la attuale non è una crisi qualunque: è una crisi di sistema. Il Capitalismo va bene se ‘corretto’ nelle sue aberrazioni più eclatanti, altrimenti prima o poi implode…E’ questo che si sta verificando! E pochi lo capiscono… Se non si mette mano ad una redistribuzione della ricchezza, mediante : a) lotta senza quartiere (sul serio!) all’evasione fiscale (pensate se all’erario entrassero ogni anno i circa 120 miliardi di euro che gli evasori non versano…); b) detassazione dei redditi medio-bassi, il che comporterebbe maggior potere d’acquisto…

  17. Federico Giri

    Della serie "quando l’informazione si discosta dai fondamentali dell’economia". Credo comunque che queste cose non succedano solo nel nostro paese. Pensate solo alla campagna che è stata fatta dall’ "autorevole" (mi permetto di far notare le virgolette) stampa anglosassone contro i Pigs. I fondamentali dicevano che paesi come UK, Usa e irlanda non è che se la passassero poi così bene ma il prossimo obbiettivo era sempre l’italia. Anche lì i media si sono piegati alla ragion di stato? chissà…

  18. Sam

    Il giornalismo italiano (non solo economico) ormai ha raggiunto un livello tale che ormai per recuperare un minimo di credibilità occorreranno un paio di generazioni. Conservo ancora un geniale articolo del 2005 di Gerhard Mumelter che ho incorniciato e appeso nella mia camera, e che di tanto in tanto mi ricorda di benedire ancora il giorno in cui, dopo la laurea, ho evitato di fare il master in giornalismo. Adesso altrimenti sarei un precario che prende 5 euro a pezzo per scrivere boiate del genere, un generatore di disinformazione o nel migliore dei casi di rumore bianco.

  19. Marcello

    Condivido il giudizio di Alberto, ribadisco ancora: peccato davvero che questo articolo non verrà mai ripreso da alcun quotidiano italiano ad ampia diffusione.

  20. Max

    Nella rappresentazione dell’andamento economico per l’Italia viene costantemente utilizzato il tasso di disoccupazione che, strutturalmente, è fuorviante in quanto non tiene conto dell’ampia fascia di chi non risulta "ufficialmente" in cerca di lavoro o di chi ha addirittura abbandonato ogni speranza di trovarne uno. Io credo sarebbe meglio affiancare sempre anche il tasso di occupazione, a quello di disoccupazione, per meglio quantificare la percentuale di popolazione attivia. Un’ultima annotazione, forse eccessiva ma che deriva dalla mia esperienza nell’analizzare le prestazioni aziendali: per poter confrontare dei dati questi devono essere omogenei tra di loro, quindi quelli di un paese, come l’Italia, nel quale è presente una quota di sommerso superiore al 30% dovrebbero essere non considerati alla stregua di altri dove invece tale quota rientri in una soglia determinata come fisiologica.

  21. Donty

    L’analisi del trend del Pil – almeno in Italia – è un indicatore, ma quasi sicuramente un po’ bugiardo. Perché se nel paniere considerato dal Pil ci sono "beni" come la benzina consumata, è sufficiente che si usino un po’ più razionalmente i mezzi di trasporto (mezzi pubblici, car-sharing, bicicletta) e che diminuiscano anche i chilometri percorsi dagli autotreni per variate abitudini di acquisto per far scendere il Pil, ma tale diminuzione non è da considerare negativa. Ci sono sempre più persone che comprano tramite i Gas (Gruppi di Acquisto Solidale) privilegiando di conseguenza la cosiddetta "filiera corta", mentre le fontane leggere ed i distributori di latte presenti ormai capillarmente in molte o in tutte le Regioni hanno di fatto ridotto i trasporti di acqua minerale e di latte confezionato. E potrei proseguire con altri esempi. Questo incide di sicuro sul Pil, anche se non negativamente sul reddito delle famiglie, al massimo casomai su quello dei trasportatori. I tagli effettuati sugli acquisti di beni inutili (il cosiddetto shopping sfrenato), che si attuano allo scoppiare di una qualunque crisi economica, fanno anch’essi precipitare il PIL. E allora che indicatore è?

  22. Giovanni

    Credo che nell’area dell’euro sia in atto una crescita della ricchezza prodotta grazie ad una maggiore competizione presente nei due sistemi rispettivamente quello privato (vedi mercati finanziari) e quello pubblico in termini di minore spesa, gioverà tutto questo in termini di occupazione e di distribuzione equa dei redditi?

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