La seconda fase della riforma della fiscalità comunale scatterà dal 2014. A partire da quell’anno, i comuni che decideranno di farlo potranno istituire una nuova imposta, denominata Imposta municipale propria (d’ora in poi Imup), regolata dalla normativa statale ma con il riconoscimento ai comuni di margini di autonomia. Se istituita, l’Imup cancellerà le imposte statali immobiliari devolute nella prima fase (con l’eccezione della cedolare secca sulle locazioni) e l’Ici.
DUE COMPONENTI PER UN’IMPOSTA
Dell’Imup, il decreto fissa alcuni elementi fondamentali ma su altri rimanda la decisione al futuro. Sarà un’imposta doppia, con due differenti componenti: la prima basata sul possesso dell’immobile, come l’Ici attuale, la seconda sul suo trasferimento, come oggi l’imposta di registro e quella ipo-catastale. E sarà un’imposta patrimoniale, visto che la base imponibile resta il valore catastale, gravante prevalentemente sulle seconde case (a disposizione e locate) e sugli immobili non residenziali, con netta conferma dell’esenzione totale dell’abitazione principale per la componente possesso. Le aliquote base saranno fissate dallo Stato, ma si riconosce ai comuni la possibilità di manovrarle in aumento o in diminuzione entro limiti prefissati, addirittura fino al 3 per mille sulla componente possesso. Sulla stessa componente è poi previsto un regime fortemente agevolativo, addirittura metà dell’imposta ordinaria, nel caso di immobili locati e in quello di immobili utilizzati nell’esercizio dell’attività di impresa, arti e professioni ovvero posseduti da enti non commerciali.
La nuova Imup sarà in realtà un tributo composito, basato su presupposti differenti (il possesso, il trasferimento di immobili), una collezione di tributi oggi esistenti che, sotto una etichetta unica, manterranno in gran parte i loro caratteri distintivi. Insomma, una forzatura dettata dall’obiettivo di attribuire tutta la tassazione immobiliare ai comuni (con margini differenziati di manovrabilità) e di semplificare a tutti i costi, senza però cambiare nulla in sostanza, senza cogliere l’occasione per mettere mano a una riforma concreta della tassazione immobiliare.
UNA SUPER-PATRIMONIALE SULLE SECONDE CASE
Valutare l’Imup è esercizio arduo in quanto il decreto manca di fissare un elemento fondamentale del nuovo tributo: l’aliquota base della sua componente principale, quella collegata al possesso dell’immobile. Qualche considerazione di larga massima è comunque possibile.
Sotto il vincolo della neutralità finanziaria, data la riconferma della piena esenzione della prima abitazione, data la necessità di recuperare la perdita di gettito derivante dalla cedolare secca al 20 per cento rispetto all’Irpef attuale e dati infine i regimi fortemente agevolativi previsti nella nuova imposta, il risultato non può che essere un pesante spostamento del prelievo fiscale a danno, in particolare, delle seconde case.
Le prime simulazioni indicano che per garantire parità di gettito, l’aliquota base dovrebbe essere fissata nell’intervallo tra l’11 e il 14 per mille, ossia circa il doppio dell’aliquota Ici attuale. Il risultato sarebbe pertanto una super-patrimoniale sulle seconde case. Questa prospettiva avrebbe qualche vantaggio in termini redistributivi, ma penalizzerebbe fortemente l’investimento immobiliare diverso da quello finalizzato all’acquisizione della prima abitazione. La possibilità di fissare l’aliquota base a un livello un po’ più basso dipende criticamente dall’effettivo recupero di evasione nella tassazione sugli immobili che dovrebbe derivare dagli incentivi all’emersione generati dall’abbattimento dell’aliquota previsto con la cedolare secca e dal maggiore coinvolgimento dei comuni nell’attività di accertamento. Ma su entrambi i fronti, i margini di incertezza sono forti.
Anche per la seconda fase rimangono i problemi evidenziati sul piano perequativo, in quanto la nuova Imup concorre al finanziamento del fondo di perequazione. Un punto di ambiguità che permane nel testo del decreto è poi quello che riguarda il carattere facoltativo del passaggio dalla prima alla seconda fase. La Relazione sul federalismo fiscale del 30 giugno affidava l’istituzione dell’Imup a una verifica di consenso popolare su iniziativa dei singoli comuni. Si tratta di una previsione alquanto singolare poiché nel caso in cui solo alcuni comuni decidano di passare alla nuova imposta, si avrebbero seri problemi di funzionalità per il sistema perequativo municipale. E ciò perché il meccanismo perequativo dipende dalla determinazione della capacità fiscale, la quale deve necessariamente riferirsi a tributi di applicazione generale in tutti i comuni. Il testo del decreto sembra allontanare questo scenario, ma non risolve tutte le ambiguità.
Da ultimo, la riforma va valutata sul piano dell’obiettivo della semplificazione della tassazione immobiliare rispetto al quadro attuale. Il combinato dei differenti trattamenti differenziali previsti per le diverse tipologie di proprietari e di immobili porta a un sistema di tassazione di redditi e patrimoni immobiliari (vedi tabella 1) che sembra francamente coraggioso definire più semplice e più neutrale rispetto a quello attuale.
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