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Il nuovo patto? Non funzionerà

 

La terza versione del Patto di stabilità e crescita prevede sanzioni più severe e soprattutto automatiche per i paesi dell’eurozona che non rispettano i vincoli su debito e deficit. Ma le nuove regole sono destinate al fallimento, esattamente come quelle precedenti. Perché derivano da una analisi sbagliata delle cause della crisi. E per il difetto di legittimità politica che incombe sulla Commissione europea. Si possono però ipotizzare norme alternative, tenendo conto anche delle responsabilità delle autorità monetarie.

La Commissione europea ha presentato le sue proposte per rafforzare il Patto di stabilità e crescita. Se saranno accettate dal Consiglio, rappresenteranno la terza versione del Patto dall’avvio dell’eurozona. Due le novità. In primo luogo, le sanzioni finanziarie si applicano anche ai paesi che non riescono a riportare il livello del debito pubblico al di sotto del 60 per cento (nella prima versione del Patto vi incorrevano solo i paesi che non riducevano il loro deficit di bilancio). In secondo luogo, ed è forse la novità più importante, le sanzioni avranno un grado di automaticità molto più elevato rispetto al Patto-versione 1: la decisione finale non sarà presa dal Consiglio, ma sarà imposta automaticamente dalla Commissione europea sulla base di procedure definite. Se saranno accettate, le novità comporteranno un notevole aumento del potere della Commissione europea rispetto al Consiglio. (…)

LE CAUSE DELLA CRISI DI DEBITO

È sorprendente come nell’eurozona si sia ormai diffusa la convinzione che la causa fondamentale della crisi di debito sia da ricercare nell’alto numero di paesi che non hanno saputo mettere in ordine il proprio bilancio prima dello scoppio della crisi finanziaria nel 2007-08. In realtà, il tasso di debito pubblico aggregato nell’eurozona è sceso dal 72 per cento nel 1999 al 67 per cento nel 2007. Nello stesso periodo è invece aumentato in modo massiccio il debito delle famiglie e del settore finanziario. (1) L’aumento del debito pubblico si è verificato dopo il 2007, quando i governi europei sono stati costretti a fare due cose: salvare il sistema bancario, che aveva accumulato livelli di debito insostenibili attraverso una leva eccessiva; e sostenere l’attività economica mantenendo livelli di spesa pre-crisi mentre le entrate diminuivano drasticamente proprio a causa della crisi. Così la ragione principale della crisi di debito va ricercata nell’esplosione di un debito privato insostenibile che ha indotto i governi a incrementare il loro debito per salvare importanti comparti del settore privato. L’eccezione è naturalmente la Grecia, i cui governi hanno manipolato i dati e permesso così l’accumularsi di livelli insostenibili di deficit e debito. Ma non si può dire lo stesso per altri paesi dell’eurozona, come l’Irlanda e la Spagna, che hanno ridotto in modo consistente il loro debito pubblico, eppure si trovano oggi nel mezzo di crisi del debito sovrano.

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IL CORTO CIRCUITO DEMOCRATICO

Tuttavia, anche se la diagnosi sulla crisi di debito fosse corretta, e di conseguenza si dovesse limitare la possibilità per i governi nazionali di creare deficit e debito, il metodo prefigurato nel Patto di stabilità-versione 3 è sbagliato perché è contrario al principio democratico fondamentale secondo il quale non ci può essere tassazione senza rappresentanza.
Spesa e tassazione nell’eurozona sono ancora questioni essenzialmente nazionali. Le decisioni in questi ambiti sono prese dai governi nazionali e votate nei parlamenti nazionali. E i politici nazionali che spendono e mettono tasse affrontano il giudizio degli elettorati nazionali, che possono punirli per i loro comportamenti sbagliati.
Il problema del Patto-versione 3 (e in misura minore anche con le versioni precedenti) è in un corto circuito democratico: le istituzioni europee non incorrono mai in una sanzione politica per le loro decisioni, saranno i governi e i parlamenti nazionali a rispondere di decisioni prese da altri. E ciò è del tutto inaccettabile, sul piano dei principi e sul piano pratico.
Sotto il profilo dei principi, alla Commissione europea non fa difetto la legittimità nel decidere le sanzioni per i paesi membri: l’autorità per sanzionare i governi deriva dal Trattato di Lisbona. Quello che la Commissione europea non ha è la legittimità democratica in senso politico: non può essere punita da un elettorato per decisioni sbagliate nel campo della tassazione.
Oltretutto, il Patto-versione 3 non funzionerà: quando un governo nazionale, sostenuto da un parlamento nazionale, entrerà in conflitto con la Commissione europea su materie di spesa e tassazione, sarà quest’ultima a perdere la battaglia. E non accadrà solo con i piccoli paesi dell’eurozona, ma anche con i grandi.

TRE PRINCIPI PER UN NUOVO PATTO

I motivi per cui il Patto-versione 3 non funzionerà sono esattamente gli stessi che hanno portato al fallimento del Patto-versione 1: il conflitto tra governi nazionali che affrontano la sanzione politica interna e la Commissione europea che non lo fa. La Commissione ha perso la battaglia ed è un bene che sia andata così. Semmai è sorprendente che non abbia imparato la lezione e proponga ora di rafforzare le regole di un Patto che si è dimostrato inapplicabile: aggiungere ulteriori regole e sanzioni non servirà a farlo funzionare meglio.
Quali sono allora le alternative al Patto-versione 3? Ecco alcuni principi che si dovrebbero seguire nel definire il controllo di deficit e debito in una unione monetaria.
Primo, finché le decisioni su tassazione e spesa restano nelle mani dei governi e parlamenti nazionali, il monitoraggio e controllo sul debito e deficit eccessivo dovrebbe essere organizzato a livello nazionale. Si può farlo in molti modi, ad esempio con autorità nazionali indipendenti di controllo sulla politica fiscale. (2)
Secondo, si può applicare a livello europeo la pressione dei pari additando alla pubblica vergogna chi non rispetta le regole, la procedura non dovrebbe però prevedere sanzioni automatiche.
Terzo, i responsabili dello sviluppo di un debito pubblico e privato non sostenibile non sono solo i governi nazionali, una buona parte di responsabilità l’hanno anche le autorità monetarie europee, e in particolare la Banca centrale europea. (1)
Se il credito bancario è la causa primaria di bolle e boom e se le autorità monetarie hanno la possibilità di controllarlo, se ne deduce che la responsabilità delle autorità monetarie europee nello sviluppo di un livello di debito privato non sostenibile siano maggiori di quelle dei governi nazionali. (2)
Nella figura mostro i tassi di crescita del debito bancario totale nell’eurozona nel periodo 1999-2009. si può vedere che durante gli anni di bolle e boom è aumentato di più del 10 per cento l’anno. Certamente, la Bce avrebbe potuto intervenire sulla crescita del debito bancario, anzi è probabilmente la sola che avrebbe potuto farlo.
Non sto dicendo che la Bce avrebbe dovuto seguire una diversa politica dei tassi di interesse, semplicemente avrebbe potuto utilizzare altri strumenti a sua disposizione, ad esempio i requisiti sulla riserva minima per controllare il tasso di crescita del credito bancario. Inoltre, l’Eurosistema avrebbe potuto usare i requisiti di riserva minima in modo diverso nei diversi mercati bancari nazionali, applicandone di più alti nei paesi dove si registravano più rapidi tassi di crescita del credito bancario (Irlanda e Spagna). E l’applicazione differenziata della riserva minima sarebbe stata possibile perché la componente retail dei settori bancari dell’eurozona è tuttora segmentata lungo confini nazionali.
(1) De Grauwe, P., “Fighting the wrong enemy”, Vox, May 2010, http://www.voxeu.org/index.php?q=node/5062
(2) Wyplosz, C., “Fiscal Policy: Institutions versus Rules, National Institute Economic Review”, no. 191, January 2005.

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  1. Federico Giri

    Facile alimentare la crescita quando ogni cittadino spende il triplo di quello che possiede. Si potrebbero anche inserire parametri qualitativi sul debito. Maturity più lunghe garantiscono più stabilità, un debito in mano prevalentemente nazionale è meno soggetto a rischi di uno detenuto principalmente in mani estere,etc… In ultimo credo che il vero punto dirimente sia il fatto che deve nascere un bilancio comunicario. Se vogliamo stare dalla Grecia alla Finlandia sotto l’ombrello euro i paesi del nord europa devono trasferire fondi a quelli del sud con i quali poter fare interventi di tipo strutturale. Oggi i paesi del sud non sono in grado di competere con quelli del nord in termini di produttività e se i tassi di cambio non variano più come possono i paesi come Grecia o Spagna ad esportare qualcosa in Germania o in Olanda? Questioni scritte di getto e di fretta e da raffinare! Scusate per la confusione.

  2. raffaele principe

    C’è solo un "piccolo appunto" da fare a questo ragionamento: la moneta comune (Euro) che fine fa. Al di là della legittimità, c’è un problema di merito. L’Euro come lo si governa, solo con BCE e poi ogni paese fa quello che vuole? Oppure bisogna coordinare, con regole certe e automatiche, le politiche fiscali, di bilancio ed economiche, ma aggiungo anche sociali dei paesi membri?

  3. Confucius

    Appellarsi alla “pressione dei pari” ed alla “pubblica vergogna" per un paese come l’Italia, che non solo non si merita di non adempiere agli impegni presi in sede internazionale (vedi quale esempio le trattative all’Onu per il finanziamento delle attività anti-AIDS) e chiede l’"aiutino" di rateizzare i 290 milioni di € dovuti e non pagati, mi sembra una pia illusione! Già il nostro ministro Tremonti ha affermato che le nuove regole andranno in vigore nel 2016 (a "babbo morto") e comunque non varranno per l’Italia (non si capisce se perchè l’Italia avrà già ridotto l’indebitamento dal 118 % al 60 % del PIL [e come?] o perchè gli italiani sono particolarmente simpatici). Sarebbe questa la "pressione dei pari"? In ogni caso, debiti dell’entità del PIL di un paese del G8 hanno lo stesso peso della multa da 4,9 miliardi di € comminata al trader francese della Societe General. Si tratta di cifre talmente spropositate da non avere alcun significato reale. Debiti simili non verranno comunque mai saldati ma soltanto rinnovati fino a che i mercati faranno finta di crederci e poi cancellati dal default.

  4. PDC

    Trovo tutto il discorso alquanto dissonante.
    Prima si dice che il nuovo patto non funzionerà (ed è giusto che non fuzioni) perché alla fin fine ogni governo nazionale, democraticamente eletto, seguirà la propria agenda a dispetto delle decisioni prese in sede europea (tra l’altro l’autore sembra pensare che Commissione e Consiglio Europeo non siano istituzioni democraticamente rappresentative). Sarebbe quindi necessario delegare ogni responsabilità alla buona volontà dei governi nazionali.
    Come dire, gettare la spugna.
    Poi si dice che, visto che il problema reale non è tanto il debito pubblico ma quello privato, avrebbe dovuto essere la BCE a tenere sotto controllo la situazione, imponendo a tutte le banche europee un comportamento responsabile e conservativo. Come se lo sviluppo del credito facile non fosse un importante elemento della politica economica di diversi stati e potesse quindi essere gestito da un ente tecnico centrale senza doversi più preoccupare della rappresentatività democratica dell’ente decisionale.

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