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Non sparate sui debitori

Punire i debitori, lasciandoli fallire, per ridurre le aspettative di salvataggi futuri può rivelarsi un’illusione. Anzi rischia di sortire l’effetto opposto. Chi credeva che condannando i banchieri di Lehman Brothers si sarebbe imposta maggiore disciplina sugli altri è rimasto deluso, perché la promessa implicita di salvataggio è aumentata. Al contrario, il salvataggio della Bear Stearns non ha portato a un aumento delle aspettative di bail-out. Bisogna tenere conto di questo quando si discute di Irlanda e altri paesi ad alto debito.

 

 

Il caso Irlanda ha riportato alla ribalta la polemica sulla opportunità di salvare un paese –o le banche di un paese – sull’’orlo dell’’insolvenza. Il tentativo della signora Merkel di inserire un meccanismo di partecipazione dei privati alle perdite che emergono in un processo di ristrutturazione del debito sovrano, ha scatenato l’’allarme sui mercati finanziari: hanno interpretato quel tentativo come una minaccia di ritirare (seppure parzialmente) la garanzia di salvataggio implicita nel “fondo salva-Stati”, inaugurato nella scorsa primavera sull’’onda della crisi greca.

SALVARLI O NON SALVARLI?

C’’è chi sostiene che quel tentativo è stato inopportuno, per il costo che sta imponendo ai paesi ad alto debito. Questa visione si concentra sulla “efficienza ex-post”: una volta che un debitore è arrivato al punto di essere sull’’orlo della bancarotta, bisogna intervenire in suo aiuto, perché i costi del non intervento sono troppo alti. C’’è invece chi sostiene che Angela Merkel ha ragione, perché se si salva un debitore insolvente si incoraggiano i partecipanti al mercato finanziario a comportamenti irresponsabili: i debitori sono incentivati ad accumulare alti debiti e i creditori a incorrere in rischi elevati, nella speranza che qualcun altro salvi tutti e due qualora emergano problemi. Questa visione si concentra sulla “efficienza ex-ante”: lasciando fallire i debitori insolventi si riducono le aspettative di bail-out futuri, imponendo così maggiore disciplina ai mercati finanziari.
Chi ha ragione? Se le cose stessero effettivamente così, sarebbe impossibile rispondere, perché la risposta dipenderebbe da quale ottica viene privilegiata: efficienza ex-post o ex-ante?  Tuttavia, vi sono buoni motivi per ritenere che le cose stiano diversamente, nel caso di debitori con impatto sistemico: grandi banche e paesi sovrani. In questo caso, la rinuncia al salvataggio non è solo inefficiente ex-post, ma lo è anche ex-ante. Perché le conseguenze del fallimento di un grande debitore sono così costose e diffuse, da portare a un aumento delle aspettative di bail-out futuri, anziché a una loro riduzione.
Guardiamo a quello che è successo a partire dal 2008, con l’’aiuto della figura 1: riporta i premi pagati sui credit default swaps (Cds a cinque anni) relativi alle banche europee e al debito sovrano dell’’area euro. Si vede bene come il fallimento di Lehman Brothers produce un repentino aumento dei Cds premia per gli Stati sovrani dell’’area euro, che da allora seguono da vicino quelli delle banche della stessa area. Questo significa che da quel momento i mercati finanziari si aspettano che eventuali insolvenze del settore bancario ricadano sui bilanci pubblici; in altri termini, è aumentata sensibilmente l’’aspettativa di bail-out. Chi credeva che “punendo” i banchieri di Lehman Brothers si sarebbe imposta maggiore disciplina sugli altri è rimasto deluso, perché la promessa implicita di salvataggio è aumentata, anziché diminuire. Si noti che il salvataggio della Bear Stearns, al contrario, non ha portato a un aumento delle aspettative di bail-out. Il principio per cui sarebbe meglio non salvare i debitori insolventi, per non generare aspettative di altri salvataggi futuri, sembra quindi sovvertito dall’’evidenza dei fatti.
Le aspettative dei mercati hanno trovato conferma nei piani di salvataggio approvati dai governi europei: tra ottobre 2008 e marzo 2010 essi hanno stanziato 4.131 miliardi di euro, equivalenti al 32,6 per cento del Pil, seppure con forti differenze tra un paese e l’’altro. (1)
La cosa notevole è che più è grande il settore bancario, maggiore è l’’incentivo del governo a garantirne il salvataggio. La figura 2 ci mostra che l’’impegno degli Stati, misurato in rapporto al totale attivo del settore bancario, è crescente nel rapporto tra totale attivo e Pil di un paese. Il caso dell’’Irlanda è eclatante, e spiega perché quel paese si trovi nelle attuali condizioni. Il famoso principio “troppo-grande-per-fallire”, tradizionalmente applicato a singoli intermediari, sembra quindi trovare applicazione anche a livello di intero sistema bancario.

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(1) Il dato, riferito all’’Europa EU-27, è tratto da “State Aid Scoreboard”, Rapporto della Commissione europea, maggio 2010.

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Perché i nostri conti pubblici sono opachi

  1. P. Magotti

    Senza entrare nel merito del "hanno fatto bene o hanno fatto male", ma a mio modo il salvataggio di Bear Stearns non ha fatto impennare i CDS perché gli assicuratori si sentivano coperti dagli stati sovrani in caso di nuovi default, non perché non credevano che ce ne sarebbero stati altri. Che dati e basi teoriche ci sono per sostenere la tesi dell’articolo? Grazie

  2. guido

    I cds sui debiti pubblici europei sono molto diversi, il grafico quindi riporta una media. Se si scorporasse il debito tedesco, credo che l’ndicazione, cioè la rischiosità rispetto a quella delle banche, dopo Lehman. Per i paesi rimanenti sarebbe ancora più rafforzata, ma varrebbe anche per la Germania da sola, confrontata con le sue banche? Per gli Stati Uniti, altro debito di grande qualità, si è notato lo stesso il fenomeno di cui sopra, osservando spreads negativi sugli swap a dieci anni.

  3. Anonimo

    La situazione economica finanziaria attuale è chiaramente definita da una speculazione non casuale (vedi la politica monetaria della FED) ad opera degli agenti economici che interagiscono sui mercati finanziari con un aumento considerevole del rischio di default dei Paesi dell’UE per effetto di un debito sovrano che potrebbe sembrare insostenibile ma che in realtà sta determinando una crescita non razionale dei prezzi dei titoli obbligazionari (vedi bolla finanziaria) dei Paesi più virtuosi (vedi Germania) o che detengono la valuta come riserva di valore quale risulta essere il dollaro USA.

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