Il debito è davvero così centrale nella crisi e nella sua soluzione come si sostiene nei vertici internazionali e nelle discussioni da bar? Il livello del debito è importante perché è importante la distribuzione di quel debito. Insomma, non tutti i debiti sono creati uguali. E la spesa pubblica finanziata in deficit può permettere all’economia di evitare disoccupazione e deflazione, mentre gli agenti fortemente indebitati del settore privato risanano i loro bilanci. Lo Stato potrà rimborsare i suoi debiti una volta che la crisi di deleveraging sia passata.
Se c’è una parola che appare molto spesso nel dibattito sui problemi economici che in questo momento affliggono Stati Uniti ed Europa, questa è sicuramente debito.
Tra il 2000 e il 2008, il debito delle famiglie è cresciuto dal 96 per cento del reddito personale americano al 128 per cento, nel Regno Unito è passato dal 105 al 160 per cento e in Spagna dal 60 al 130 per cento. Un debito in rapida crescita, si dice, ha preparato il terreno per la crisi e l’eccesso di debito (rispetto alla capacità di ripagarlo) continua a rappresentare un ostacolo alla ripresa.
LA TEORIA TRADIZIONALE
L’attuale preoccupazione per il debito si rifà a una lunga tradizione nell’analisi economica, dalla teoria della deflazione da debiti di Irving Fisher, agli studi, ora tornati di moda, di Hyman Minsky sulla instabilità finanziaria, al concetto delle recessioni di bilancio di Richard Koo. (1)
Ma nonostante l’importanza del debito nelle discussioni tra la gente comune sulle nostre attuali difficoltà economiche e la lunga tradizione che indica nel debito un fattore chiave delle contrazioni dell’economia, c’è una sorprendente mancanza di modelli di politica economica, e in particolare di modelli di politica monetaria e fiscale, che corrispondano da vicino alle preoccupazioni sul debito che dominano le discussioni quotidiane. Ancora oggi, molte analisi (incluse le mie) sono condotte sulla base di modelli con un agente economico rappresentativo, che per definizione non possono spiegare le conseguenze del fatto che alcune persone sono debitori e altre sono creditori.
IL NUOVO MODELLO
Un nuovo lavoro che ho scritto con Gauti Eggertsson cerca di offrire un semplice quadro concettuale che rimedi a queste mancanze. (2)
Per quanto il quadro concettuale sia minimale, credo che permetta di mettere a fuoco meglio alcuni problemi che l’economia mondiale si trova ad affrontare proprio in questo momento e suggerisce che buona parte del paradigma concettuale convenzionale che oggi governa le scelte politiche è, nelle attuali circostanze, sbagliata.
Immaginiamo una economia assai simile a quella rappresentata dai tradizionali modelli neo-keynesiani, ma invece di ragionare in termini di agente economico rappresentativo, ipotizziamo che esistano due gruppi di persone: i pazienti e gli impazienti, con gli impazienti che prendono in prestito dai pazienti. Esiste tuttavia un limite al debito di ciascun individuo, stabilito implicitamente dalle idee su quale sia il livello sostenibile della leva finanziaria.
Possiamo allora modellare una crisi, come quella che stiamo vivendo adesso, dovuta a uno shock da riduzione della leva finanziaria,. Per una ragione qualsiasi, si verifica una improvvisa revisione al ribasso dei livelli di debito accettabili, un Minsky moment. Questo impone ai debitori una forte riduzione delle loro spese e se l’economia vuole evitare una recessione, altri agenti devono essere indotti a spendere di più, per esempio attraverso una caduta dei tassi di interesse. Ma se lo shock da deleveraging è sufficientemente forte, anche un tasso di interesse ridotto a zero potrebbe non essere basso abbastanza. Così, un forte shock da deleveraging può spingere l’economia in una trappola della liquidità.
La nozione di deflazione da debito di Fisher emerge immediatamente e in modo naturale da questa analisi. Se i debiti sono definiti in termini nominali e la riduzione della leva finanziaria porta a una caduta dei prezzi, il peso reale del debito cresce e altrettanto accade per la forzata discesa della spesa dei debitori, rafforzando lo shock iniziale. Una implicazione dell’effetto debito di Fisher è che diviene probabile che nell’immediato dopo-shock, la curva della domanda aggregata sia inclinata positivamente e non negativamente. Ovvero, un più basso livello dei prezzi in effetti riduce la domanda per beni e servizi.
Più in generale, un forte shock da deleveraging porta l’economia in un mondo alla rovescia, dove molte delle normali regole non valgono più. Al tradizionale, ma a lungo trascurato, paradosso del risparmio, nel quale i tentativi di risparmiare di più finiscono per ridurre il risparmio aggregato, si aggiunge ora il paradosso del duro lavoro, nel quale un incremento del prodotto potenziale riduce il prodotto reale, e il paradosso della flessibilità, nel quale una maggiore disponibilità dei lavoratori di accettare tagli ai salari porta in realtà a un aumento della disoccupazione.
Dove il nostro approccio sembra veramente offrire una chiarificazione, tuttavia, è nell’analisi della politica fiscale. Nel dibattito corrente, il debito è spesso invocato come una ragione per respingere le richieste di espansione della politica fiscale in risposta alla disoccupazione: non si può risolvere un problema creato dal debito facendo salire ancora di più il debito, si dice. Già le famiglie hanno fatto un eccessivo ricorso ai prestiti, dicono in molti, si vuole ora che il governo ricorra al prestito ancora di più?
Che cosa c’è di sbagliato in questo argomento? Assume, implicitamente, che il debito sia debito, indipendentemente da chi è il debitore. Tuttavia, ciò non può essere corretto perché, se lo fosse, il debito non sarebbe un problema. Dopotutto, in prima approssimazione, il debito è denaro che dobbiamo a noi stessi. È vero gli Stati Uniti hanno debiti verso la Cina e altri, ma non è questo il punto. Se ignoriamo la componente estera o guardiamo al mondo nel suo insieme, il livello complessivo del debito non fa nessuna differenza per il valore netto della ricchezza aggregata: il passivo di una persona è l’attivo di un’altra. Ne segue che il livello del debito è importante perché è importante la distribuzione di quel debito, perché gli agenti fortemente indebitati affrontano vincoli diversi rispetto agli agenti con basso debito. Questo significa che non tutti i debiti sono creati uguali, ed è per questo che il ricorso al prestito ora da parte di alcuni agenti può aiutare a risolvere i problemi causati dall’eccesso di ricorso al prestito di altri agenti in passato.
Questo diventa molto chiaro nella nostra analisi: nel modello la spesa pubblica finanziata in deficit, almeno in linea di principio, può permettere all’economia di evitare disoccupazione e deflazione, mentre gli agenti fortemente indebitati del settore privato risanano i loro bilanci e il governo potrà rimborsare i suoi debiti una volta che la crisi di deleveraging sia passata.
In breve, si ha una visione molto più chiara dei problemi che il mondo deve affrontare, e delle loro possibili soluzioni, se si considerano in modo serio il ruolo del debito e i vincoli che si pongono ai debitori. E, sì, la nostra analisi suggerisce che la saggezza convenzionale rispetto a ciò che i politici dovrebbero fare è quasi completamente sbagliata.
(1) Rispettivamente: Fisher, Irving, (1933), The Debt-Deflation Theory of Great Depressions, Econometrica, Vol. 1, no. 4. Minsky, Hyman (1986), Stabilizing an Unstable Economy, New Haven: Yale University Press. Koo, Richard (2008), The Holy Grail of Macroeconomics: Lessons from Japans Great Recession, Wiley.
(2) Eggertsson, Gauti and Krugman, Paul (2010), Debt, Deleveraging, and the Liquidity Trap.
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Gerardo Vespucci
Non sono un economista, ma penso che non ci vogliano competenze straordinarie per comprendere che la questione del debito pubblico non è così ovvia come si potrebbe pensare: se così fosse, lItalia col suo 120% di debito/Pil dovrebbe essere collassata da un pezzo! Lunica cosa che larticolo non spiega è come agisce sui bilanci il peso degli interessi da debito, ma è ormai indubbio che, per la natura di questa crisi, nuova occupazione può crearsi solo con interventi in debito: questo, poiché non deve alimentare né aumenti salariali, né ridursi ad attività di speculazione finanziaria ma solo sostenere gli industriali che fanno investimenti, si configura addirittura come una gigantesca azione di solidarietà intergenerazionale con una precisa scadenza a tempo.
Anonimo
Sicuramente il debito è sostenibile in presenza di crescita del reddito prodotto finanziato da spesa pubblica, ma potrebbe verificarsi ugualmente una deflazione dovuta ad una svalutazione competitiva del reddito reale netto a meno dell’attuazione di politiche monetarie espansive con l’obiettivo di un aumento controllato generale dei prezzi.
angelo carbone
La politica economica europea taglia i disavanzi, taglia il debito e in sostanza non permette alle economie europee di fare un piano di infrastrutture anticiclico e che rilancerebbe l’economia, anzi permette all’euro di rafforzarsi danneggiando ulteriormente le nostre aziende a vantaggio di quelle extraeuropee. Il supereuro conviene in particolar modo alla Germania, ma in europa ci sono altre 400 milioni di persone e se non si vuole che l’Europa si sfasci (come penso accadrà) l’Unione europea dovrebbe emettere titoli di stato europei con i quali costruire infrastrutture in tutta Europa dove serve, questo debito europeo a interessi bassissimi renderebbe la base monetaria più ampia e quindi deprezzerebbe la moneta creando di nuovo un poco di sana inflazione.
AM
La politica suggerita da Krugman è condivisibile. Peccato che negli anni ’80 in Italia si sia tenuto costantemente il piede sull’acceleratore della spesa pubblica senza staccarlo neppure nei momenti di congiuntura favorevole. Ne è risultato un debito pubblico enorme che ci rende oggi più difficile la manovra.
Enrico Motta
"il debito è denaro che dobbiamo a noi stessi" dice Krugman assieme ad altre amenità; mai letto niente di più astratto (per usare un eufemismo). Certe cose vada a raccontarle ai creditori, e alla generazioni future che si vedono scaricare addosso i debiti da pagare; poi vediamo come rispondono.
adriano.velli giornalista
Finalmente un’analisi seria e scientifica sul debito, pubblico e privato.
adriano velli giornalista
Finalmente un’analisi seria e scientifica sul debito, pubblico e privato. Peraltro da un premio Nobel non ci si poteva aspettare di meno. Più ironicamente, in alcune interviste Jean Paul Fitoussi ha invitato i governanti, soprattutto quelli europei più ossessionati dal debito a prendere dei tranquillanti. Mi permetterei di suggerire il valium, particolarmente efficace. Putropppo analisi e suggerimenti degli scienziati sono sistematicamente ignorati da una classe politica, soprattutto in Europa, tanto arrogante quanto ignorante a cominciare dalla signora Merkel che non ha neppure le competenze economiche di una semplice casalinga. Il nostro ministro dell’economia, che pure nell’area euro è uno dei migliori, non si stanca di ripetere che l”Italia ha il terzo debito pubblico del mondo dimenticandosi sistematicamente di aggiungere che, essendo un flusso, con il debito non c’entra proprio niente. I veri indici di solvibilità sono altri e l’Italia fortunatamente nell’area euro è al secondo posto, a un’incollatura dalla Germania. Per non parlare dei paranoici criteri di contabilità europea che sono la vera palla al piede dell’area euro.
Don
Il debito di Tizio non è altro che un credito di Sempronio: complimenti al Nobel! (e per ogni persona che se lo prenderà in quel posto ce ne sarà un’altra ad averglielo messo). Se i privati non hanno più soldi da investire ci pensi lo stato che si finanzierà coi Bot: splendido e grazie alle generazioni future.
e_cerri
Credo che i links debbano essere riconosciuti.
https://docs.google.com/viewer?url=http://www.princeton.edu/~pkrugman/debt_deleveraging_ge_pk.pdf
http://voxeu.org/index.php?q=node/5823
E il testo integrale, con la necessaria attenzione, è meglio del sunto.
Roberto
Ci mancava il nobel per farci sapere chi ha debiti a fronte ha chi quel credito avanza e che il deficit spending aiuta l’economia. Purtroppo non tutti i debiti sono uguali: c’è il nostro che è enorme, 120% del Pil, come quello irlandese (sentito niente ‘sti giorni?). Per cui Tremonti nulla poteva fare e nulla ha fatto in termini di deficit spending. Se dovessimo fare una manovra come quella irlandese (15 mld), per noi sarebbero 210 mld. Ve lo immaginate Berlusconi che dà questa bella notizia agli italiani? Io no; scommettiamo che l’onere ricadrà sulle sinistre, ben felici (come il passato) di andare a togliere le castagne dal fuoco al centro destra?
alfredo
Il nostro debito pubblico è alto, ma abbastanza costante e controllato egregiamente. Non a caso durante questa crisi abbiamo mantenuto uno dei minori deficit annuali e uno dei migliori prevedibili rientri nel 3% di deficit/Pil rispetto agli altri paesi europei (Germania compresa). Ma visto che si parla di "responsabilità verso il paese", come mai finora nessun giornale ha messo in evidenza che questa esasperata ricerca della crisi ha portato negli ultimi 15 giorni a farci perdere il 9% del valore delle nostre società in borsa, rispetto al + 0,3% della Germania ed al – 4% della Francia? Il conto dei miliardi persi li lascio a voi…
habsb
La decadenza del pensiero di Krugman non conosce più limiti. Il debito è denaro che dobbiamo a noi stessi? Nossignore, il debito è per definizione una distribuzione instabile delle risorse tra due soggetti distinti (non esiste un "noi"), che richiede una produzione di ricchezza da parte del debitore ai fini del rimborso. Se questa produzione di ricchezza da parte del debitore non è sufficiente a rimborsare, ogni ulteriore credito legittimamente si arresta. Non si puo’ ipotizzare come fa Krugman che il mondo sia un tutt’uno, che il denaro dovuto ai Cinesi, agli Emirati, a Singapore ci ritorni magicamente o che, restando sempre sul pianeta, non presenti alcun problema. Il problema è che aumentare ancora il livello del debito verso questi paesi renderà impossibile il rimborso, quindi l’ulteriore credito da parte loro.
raffaele principe
Il ragionamento di Krugman funziona, ma fino ad un certo punto. Purtroppo i debitori e i creditori sono attori diversi e che agiscono con strategie diverse. Il paradosso attuale è che i poveri: indiani, cinesi, brasiliani ecc. hanno redditi molto inferiori a quelli del mondo sviluppato e nello stesso tempo sono creditori, mentre questultimi sono debitori sia come famiglie che come stati. Questi paesi hanno bisogno di capitali per investire e, per loro fortuna, non hanno pressioni significative per espandere la loro spesa pubblica. Pertanto lì loccupazione aumenta, mentre qui diminuisce, lì il risparmio aumenta, qui in occidente aumentano i debiti. E chiaro che questa spirale va spezzata e sono daccordo che non lo si può fare solo con manovre di bilancio e fiscali, ma con lespansione della spesa e dei redditi nei paesi poveri che porterà alla diminuzione dei loro crediti e consentendo la ripresa occupazionale in occidente, premessa perchè vi sia la diminuzione dei debiti. Il problema a questo sarà la disponibilità delle risorse naturali da trasformare che noi tutti sappiamo in drammatica diminuzione. Ma non cè spazio per approfondire questo argomento.
Alessandro Sciamarelli
Che il nostro debito pubblico è alto, ma abbastanza costante e controllato egregiamente mi pare alquanto opinabile. Nel Q3 2007 era al 105.9% del Pil e nel Q2 2010 ha raggiunto il 119.1% (dati Eurostat). Significa un aumento di ben 13.2 punti di Pil in soli tre anni, pari a 201 miliardi di euro in termini assoluti. Idem su"abbiamo mantenuto uno dei minori deficit annuali e uno dei migliori prevedibili rientri nel 3% di deficit/Pil rispetto agli altri paesi europei". Nel 2007 il disavanzo era al 1.7% del Pil e nel 2009 èstato al 5.3% (in Germania al 3%). Nel merito dell’articolo, stimo Krugman ma la sua teoria sulla dimensione globale del debito non mi convince, anche se non va ipersemplificata. Il punto di fondo, e concordo con il commento di R. Principe, è che occorre un riaggiustamento degli squilibri globali tra paesi creditori (Cina ed emergenti) e consumatori/debitori (USA e parte dell’Ue), altrimenti l’unica via per questi ultimi per la crescita economica sarà ulteriore ricorso al debito, per cui tale circolo vizioso difficilmente si spezzerà. Ciò va di pari passo con il concetto di sostenibilità del debito, che però differisce da paese a paese…
Claudio
Buttiamo giù un pò di numeri, vado a memoria: Debito pubblico 1850 mld al 120% del Pil Deficit al 5% del PIL. Interessi annui sul debito pari a 70/80 miliardi. Ammontare totale del patrimonio degli italiani 8500 miliardi (di cui il 10% della popolazione ne detiene circa il 50%!). Evasione fiscale e contributiva annua stimata per circa 120 miliardi. La corruzione porta via altri 60 miliardi. Sprechi e regalie varie che si possono tagliare senza problemi 50 miliardi A fronte di questi numeri ci sono poche considerazioni da fare, ci vorrebbe un governo che facesse seriamente alcune riforme: -tassa sui grandi patrimoni -innalzamento al 20% della tassazione sulle plusvalenze finanziare (escludendo cedole e dividendi così il pensionato che ha i Bot è accontentato e libero dalle strumentalizzazioni della destra) -credito d’imposta e non più detrazioni/deduzioni pe famigliari a carico -riconoscimento di un credito d’imposta per ogni spesa sostenuta per far emergere evasione -credito d’imposta per le imprese che assumono a tempo indeterminato ecc.. Altro che indebitamento dello Stato per salvare ancora i debitori privati (banche in primis), la parola d’ordine è lotta all’evasione e alla corruzione.
frefedb
Non tutti i debiti sono creati uguali. La spesa pubblica finanziata in deficit può permettere all’economia di evitare disoccupazione e deflazione mentre gli agenti fortemente indebitati del settore privato risanano i loro bilanci. Lo Stato potrà rimborsare i suoi debiti una volta che la crisi di deleveraging sia passata. Non tutti i debiti sono creati uguali, questo dipende dai debitori. Infatti, a secondo della loro situazione saranno più o meno vincolati al rispetto di una serie di norme/comportamenti. La politica fiscale può poco, ci vuole la spesa pubblica. Krugman dici sempre le stesse cose.
PAOLO PETTENATI
Nelle discussioni sul debito pubblico si trascura di norma un principio elementare che vale per qualsiasi operatore, sia esso pubblico o privato: un debito è sostenibile se viene contratto per finanziare un investimento ‘produttivo’, un investimento cioè che sia in grado di generare rendimenti futuri tali da consentire di ripagare il debito stesso. Il debito costituisce quindi un problema e un onere per le generazioni future soltanto se è utilizzato in modo improprio, ossia per finanziare le perdite, nel caso delle imprese, il consumo privato, nel caso delle famiglie, e il consumo collettivo o investimenti ‘improduttivi’ nel caso dello Stato. Riformulerei quindi la tesi di Krugman nel seguente modo: "la spesa pubblica finanziata in deficit può permettere all’economia di evitare disoccupazione e deflazione se è destinata ad investimenti in infrastrutture o in altre forme di capitale, ivi compreso il capitale umano". Una volta che sia rispettato tale criterio, si potrebbe infatti ritenere, in base al teorema Modigliani-Miller, che il modo in cui la spesa pubblica per investimenti è stata finanziata sia irrilevante per il valore e quindi la sostenibilità della "cosa pubblica".
Mirko Cecchini
La cosa che mi chiedo è come farà lo stato, nell’ipotesi di Krugman, a rimborsare il debito che ora sta creando o dovrebbe creare. Mi pare che ciò sia possibile solo se la manovra dello stato consentisse all’economia di riprendere a crescere. Ma siamo sicuri che, dopo che l’Occidente ha delocalizzato il grosso della produzione in Asia, esso sia ancora in grado di crescere a ritmi sostenuti? Non è forse questo che non ha capito Krugman, e che invece ha capito la Merkel, e cioè che l’epoca della crescita in Occidente è finita, e che quindi si tratta fondamentalmente di ridurre il tenore di vita?
Paolo Coppola
Non sara’ che il debito e’ diffuso e il credito concentrato? Con questa proposta non si fa altro che trovare un trucco per ridistribuire liquidita’ aumentando ancora di piu’ la concentrazione del credito. Possibile che non si riesca a capire che in mancanza di meccanismi efficienti di ridistribuzione qualunque soluzione e’ momentanea e destinata a fallire?
Canio Trione giornalista
Le tesi di Krugman sul tema del debito impongono un supplemento di riflessione. Quello del debito è IL problema dei nostri giorni e certamente non è pensabile proporre manovre restrittive dal lato della domanda (e quindi della spesa pubblica) o altro prelievo fiscale o, ancora, manovre sulla moneta (come tasso di interesse o disponibilità). Quindi Krugman ha ragione? Certamente si, ma è ugualmente vero che il debito va pagato ed è e sarà certamente arduo -direi impossibile- pagarlo vista la sua dimensione e la reazione del Pil a quote aggiuntive della spesa finanziata in deficit. Infatti il Pil cresce molto poco al crescere del deficit e, quindi, la ricetta di Krugman (che è la più esatta oggi esistente) va completata. Se non si trova un modo per far crescere soddisfacentemente il Pil, ogni idea è insufficiente. Ho perfezionato una risposta che soddisfi sia la necessità di finanziamento in deficit della spesa pubblica, sia limpegno di rendere credibile la solvibilità del debitore Stato sia, infine, di stimolare -anche attraverso il debito stesso- la crescita del Pil. Proposta che vorrei avere lonore di discutere con il premio Nobel Krugman.