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SE L’IMPIEGATO PUBBLICO È IMMOBILE

Non è più rinviabile un deciso impegno per favorire una maggiore mobilità nel settore pubblico. Anche senza il consenso del singolo lavoratore, è necessario riuscire a trasferire risorse dagli uffici sovradimensionati a quelli che necessitano di nuove assunzioni, rese impossibili dal vincolo di bilancio. La riallocazione efficiente delle risorse consentirà di sfruttare meglio e valorizzare le competenze dei lavoratori e di erogare servizi di migliore qualità. Il collegamento tra mobilità e turnover.

Durante la crisi, il governo italiano ha giustamente privilegiato la tenuta dei conti pubblici. Questo non significa tuttavia che, all’interno del vincolo di bilancio, non esistano spazi di manovra in grado di mutare, si spera in meglio, il paese. È ovvio che ciò richiede scelte politiche nette e forti, che devono essere comunicate in modo chiaro e trasparente ai cittadini.
Se non scende la spesa pubblica, in rapporto al Pil, infatti, non ci sono margini per ridurre le imposte nel complesso. 

LA MOBILITÀ NELLA RIFORMA BRUNETTA

La manovra di contenimento appena varata dal governo è un primo atto di responsabilità e va nella direzione di aprire spiragli per un futuro ritorno a politiche di sviluppo. Ma servirà di più, soprattutto se la crescita dell’economia mondiale, oggi di nuovo robusta grazie al contributo dei paesi emergenti, spingerà al rialzo i tassi di interesse, imponendo ulteriori sacrifici al paese, dato il peso del debito e i più stringenti vincoli europei. 
Nell’ottica di una contrazione della spesa corrente non eccessivamente penalizzante, appare non più rinviabile un deciso impegno per favorire una maggiore mobilità nel settore pubblico. Anche senza il consenso del singolo lavoratore, è necessario riuscire a trasferire risorse dagli uffici sovradimensionati a quelli che necessitano di nuove assunzioni, rese impossibili dal vincolo di bilancio. La riallocazione efficiente delle risorse consentirà simultaneamente di sfruttare meglio e valorizzare le competenze dei lavoratori e di erogare servizi di migliore qualità. 
La mobilità dovrebbe essere applicata effettivamente a tutti i livelli della pubblica amministrazione, sia centrale che locale, e riguardare anche trasferimenti tra diverse amministrazioni, mantenendo esclusivamente un criterio di salvaguardia sociale che limiti gli spostamenti all’interno della medesima provincia e garantisca almeno il mantenimento dei livelli retributivi.
A dire il vero, già la cosiddetta riforma Brunetta (decreto legislativo n. 150 del 2009) ha innovato la disciplina della mobilità sotto diversi aspetti, per conseguire una più efficiente distribuzione organizzativa delle risorse umane nell’ambito della pubblica amministrazione, con significativi riflessi sia sul contenimento della spesa pubblica, sia sull’effettività del diritto al lavoro, costituzionalmente garantito.
E ha tentato di semplificare il sistema previsto dal Testo unico n. 165 del 2001 che, stante l’inevitabile connessione della mobilità con gli atti attraverso i quali si determinano la programmazione del fabbisogno triennale del personale e le dotazioni organiche, si presenta piuttosto complicato.
Ciò nonostante, a un anno dalla riforma, lo stesso ministro Brunetta ha rilevato che ancora oggi la mobilità obbligatoria dei dipendenti pubblici non viene utilizzata e che i pochi trasferimenti di personale da un’amministrazione all’altra si verificano a seguito di richiesta del lavoratore.

INCENTIVI NECESSARI

È necessario, quindi, introdurre norme che incentivino il ricorso a tale istituto e che spingano i dirigenti a passare dalla “teoria” alla “pratica” della mobilità. In questa prospettiva, si colloca l’articolo 13 del collegato lavoro approvato definitivamente il 19 ottobre 2010, che amplia l’ambito di applicazione sia della “mobilità collettiva” che della “mobilità volontaria”. Nel primo caso, saranno attivate tutte le procedure necessarie per ricollocare il personale in esubero; nel secondo, invece, si prevede la possibilità di utilizzare in assegnazione temporanea il personale proveniente da altre pubbliche amministrazioni per un periodo non superiore al triennio.
Il ricorso alla mobilità consentirà, dunque, di rendere meno gravosi, in particolare negli uffici sottodimensionati, gli effetti sia dei blocchi dei turnover che gli sfasamenti temporali nella copertura di posizioni a seguito di procedure di concorso, limitando i danni nell’erogazione di servizi efficienti ai cittadini. 
In questa prospettiva, si potrebbe prevedere un collegamento più stringente tra mobilità e turnover. Attualmente, quando un’amministrazione deve effettuare un bando per nuove assunzioni, sia pure nei limiti imposti dal blocco del turnover, è necessario solo verificare preliminarmente la disponibilità di personale presso altri enti che hanno effettuato riordini o razionalizzazioni, oppurericorrere alla mobilità volontaria.
Si potrebbe prevedere, invece, l’obbligo per le amministrazioni di provvedere, sia pure parzialmente, alla sostituzione dei dipendenti cessati dal servizio mediante le procedure di mobilità volontarie e collettive, estese a tutta la pubblica amministrazione. Solo dopo aver adempiuto a tale obbligo, si potrebbe autorizzare la copertura dei posti residui attraverso nuove assunzioni.
In tal modo, si potrebbe iniziare a dare una concreta risposta alle aspettative dei cittadini di maggiore efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, senza gravare sui conti pubblici.

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22 commenti

  1. Emanuele Fossati

    Una proposta del genere, pur se condivisibile in astratto, mi lascia due enormi dubbi. Uno spostamento anche limitato alla stessa Provincia significherebbe, per assurdo, anche costringere un dipendente comunale di Paullo residente a Paullo ad accettare un posto a Pogliano Milanese (ovvero, nella migliore delle ipotesi, 4 ore di automobile o mezzi pubblici al giorno). Inoltre, il trasferimento coatto (che sinceramente non ho mai visto neanche nel privato) aprirebbe la strada ad ogni tipo di mobbing interno. Non ubbidisci scodinzolando? Ti trovi nella sede piu’ disagiata possibile.

  2. raffaele principe

    Il tema della mobilità nel pubblico impiego ogni tanto ritorna all’attenzione e puntualmente si arena nei meandri oscuri degli uffici. Il problema di fondo è che nella gestione annuale di una qualsiasi struttura pubblica i costi del personale non vengono presi in considerazione, perchè sono assunti come dati e ininfluenti, pertanto avere personale in abbondanza accresce il "potere" del dirigente. Che poi molti di questi vengono sotto utilizzati, questo poco importa. Allora nell’assegnare il badget ad una struttura sarebbe opportuno inserire anche i costi del personale e valutarne il peso anche ai fini del raggiungimento degli obiettivi. Se ciò venisse introdotto, come succede nelle imprese private, salterebbero fuori molti esuberi e un processo di razionalizzazione si avvierebbe. Questo esubero potrebbe essere messo a disposizione per la mobilità, almeno a livello cittadino o di ambito territoriale (parlare di provincia obiettivamente può essere molto penalizzante perché vi possono essere distanze anche notevoli). In primis la mobilità potrebbe essere volontaria, ovvero spinta con incentivi economici e di carriera, previa verifica seria sulle competenza e formazione.

  3. stefano delbene

    Al di là di alcune evidenti eccezioni (ad es. magistrati) mi sembra che una maggiore mobilità del dipendente pubblico sia nella logica delle cose, ancor prima che delle necessità di risparmio. Mi chiedo però come si possano avanzare simili richieste a persone che vedono (e vedranno) le proprie retribuzioni immobili da anni, e costrette a lavorare in condizioni che rendono impossibile qualsiasi valutazione di produttività (mi riferisco alla sempre maggiore precarietà). Inoltre continuano a mancare strumenti veramente efficaci di reclutamento, gli incentivi, per come vengono erogati, non hanno nessun tipo di effetto sui risultati. Francamente mi chiedo quale dipendente pubblico in una simile situazione, accetterebbe questa mobilità: il rischio è un ulteriore peggioramento delle prestazioni.

  4. Rossano Zanin

    Per fare quello che suggeriscono gli autori dell’articolo, bisognerebbe prima effettuare una mappatura completa e precisa di tutti gli enti pubblici sovradimensionati o meglio ancora inutili, e una mappatura di tutti gli uffici pubblici con carenza di personale. Cominciamo con questo primo passo in modo che un dipendente, chiamiamolo perdente posto, possa scegliere, estrapolare, indicare una sede, o una serie di sedi adatte al suo ruolo compatibilmente con la distanza dalla residenza ecc… ecc.. Passato un periodo di tempo congruo si provvederà ad un trasferimento forzato.

  5. Lorenzo

    Anche la flessibilità nel privato era iniziata con l’idea di aumentare l’efficienza e anche in quel caso si era parlato di incentivi e vantaggi per il lavoratore. L’idea insomma di ridurre i diritti, chiamati spregiativamente privilegi, era vista come una via per migliorare la situazione del lavoratore stesso. Continuo a non capire come si possa pensare che la riduzione delle conquiste possa migliorare la situazione dei lavoratori. Perchè invece non inserire metodi di decisione democratica dei lavoratori pubblici sull’allocazione delle risorse?

  6. Stefano

    Personalmente ritengo il trasferimento coatto un´ipotesi staliniana da scartare nel modo piu´assoluto per tre motivi. Il primo e´stato gia´stato sollevato dal primo commentatore ed e´inerente ai costi e ai tempi di trasporto. Il secondo e´inerente al tipo di mansioni svolte. Il terzo, come detto dal primo commentatore, e´il rischio di mobbing. Molto meglio creare un mercato "secondario" interno alle amministrazioni. Un´amministrazione mette sul mercato i propri dipendenti in eccesso: se qualcuno se li prende e i lavoratori accettano si liberano di un peso. L´amministrazione che prende il lavoratore di un´altra potrebbe avere una parte del costo (es. 20%) pagato dallo stato, che comunque risparmierebbe il restante 80%. Per facilitare gli spostamenti si potrebbero anche dare incrementi di stipendio ai lavoratori (es. 10% a carico dello stato che comunque risparmierebbe soldi destinati ad un lavoratore "inutile").

  7. Ciro Daniele

    In tutti gli organismi internazionali la mobilità è assolutamente normale per i funzionari di medio ed alto livello, mentre è piuttosto limitata per gli impiegati e alcuni (pochi) tecnici. Il meccanismo è semplice: se si rimane nello stesso ufficio per oltre 4-5 anni si perdono opportunità di carriera. Così la mobilità è (spontaneamente) maggiore per i profili più dinamici ed i flussi si indirizzano proprio dove c’è più richiesta di personale (e quindi offerta di buone posizioni). Questo sistema ha anche il vantaggio di scoraggiare la collusione tra dirigenti e dipendenti e la formazione di circoli chiusi, che funesta la PA, e perfino la corruzione.

  8. Simone C U L L A

    L’articolo non coglie il punto. Riduzioni o soppressioni di uffici ci sono state, di solito a livello di uffici periferici, quando c’è stata una volontà politica: vedi i casi del Demanio, dei Monopoli di Stato/ETI, della Banca d’Italia, dell’ex-Ministero del tesoro. Il punto è: chi definisce che un ufficio è sovradimensionato? Esiste una seria mappatura dei carichi di lavoro? Un’amministrazione pubblica ha interesse a dichiararsi "sovradimensionata"? Sulla carta quasi tutti gli uffici sono sotto organico, anche se l’organico è stato stabilito decenni or sono e non si sa con quali criteri. I rappresentanti politici "locali" (non solo amministratori di enti locali, ma anche parlamentari che hanno un bacino elettorale radicato nel territorio) hanno interesse a privare la propria città di un ufficio? NB: il più delle volte nella distribuzione sul territorio degli uffici e del personale di una stessa PA non si individua un criterio nemmeno nelle amministrazioni pubbliche dove il prodotto dei diversi uffici è in qualche misura confrontabile e misurabile (es. uffici giudiziari). A fronte di questo, è pensabile ipotizzare a breve termine un confronto, misura e ridistribuzione tra PA diverse?

  9. Dario Quintavalle (Dirigente del Ministero della Giustizia)

    Vorrei sapere perché ogni discorso sul pubblico impiego deve partire sempre dall’idea di una imposizione coattiva, quasi che il dipendente pubblico fosse solo un mulo recalcitrante da prendere a bastonate? Senza inventarsi nuove regole, esiste un meccanismo molto semplice, che si chiama “mercato”. Nel mondo normale, i lavoratori migliori si muovono spontaneamente verso i datori di lavoro che offrono le migliori condizioni di impiego, e tendono ad occupare i posti per i quali hanno maggiore vocazione; tra i datori di lavoro si apre una competizione virtuosa per accaparrarseli. Perché dovrebbe essere diversamente nella PA? Tanto per cominciare si potrebbe ripristinare quel Ruolo Unico della Dirigenza, abolito nel 2002 dalla Legge Frattini, in modo da consentire un autentico mercato delle professionalità dirigenziali, trasversale a tutte le PA, sia nazionali che locali. Rimuovere tutti gli ostacoli alla mobilità volontaria, far evolvere le Direzioni del personale da gestori burocratici di piante organiche a una vera funzione ‘Risorse Umane’, accettare la sfida del mercato e della competizione mi sembra assai più moderno che immaginare deportazioni di massa.

  10. bellavita

    Nelle banche è normale l’avvicendamento da una filiale a un’altra anche di diverse regioni, per evitare collusioni e amicizie coi clienti. Ancora di più dovrebbe essere obbligatorio per i pubblici funzioanri. Io sono convinto che il "pizzo" non è quello estorsivo descritto a dai giornalisti, ma un conveniente abbonamento ai servizi che funzionari pubblici più o meno colllusi possono rendere al "pizzato": comprensione fiscale, infortunistica, sanitaira, previdenziale, divieti di sosta, tolleranza urbanistica ecc. Tutti funzionari che devono al politico colluso con le mafie il loro avvicinamento a casa e alle mafie la possibilità di integrare lo stipendio. Magari senza rischio, se a incassare è il mafioso.

  11. Luigi Maria Porrino

    Sono d’accordo con gli ultimi due interventi: la mobilità provinciale potrebbe essere molto penalizzante e il trasferimento coatto era in passato o strumento utile per portare le coscienze: gli autori non debboo dimenticare che i dip. pubblici non sono dipendenti aziendali ma erogano prestazioni di pubblica utilità e per garantire la terzietà di quest’ultime si è creata l’attuale situaizone di scarsa mobilità. Comunque, al solito, il governo predica bene e razzola male: gli effetti della L. 20/2010 hanno comportato l’attuale totale paralisi della mobiltà tra amministrazioni, che sta vanificando anche la mobiltà volontaria (vista dagli Uff. di Bilancio come nuova assunzione). Necessario, infine modificare la finanziaria 2006 che impedisce di trasportare, come in passato, il vecchio stipendio nella nuova Amm.ne. Ciò ha comportato l’ulteriore diminuzione della mobiltà volontaria. La mobilità coatta, comunque, si scontrerà con l’abbattimento delle motivazione e risuletarà vano, quindi, l’intento di trasferire le competenze.

  12. Fabrizio Bertorino

    Trovo corretto sollevare il problema della mobilità nel pubblico impiego; capisco meno affermazioni del tipo "La riallocazione efficiente delle risorse consentirà simultaneamente di sfruttare meglio e valorizzare le competenze dei lavoratori e di erogare servizi di migliore qualità". Sarebbe vero (e bello) se ci fosse la prassi di: 1. mappare le competenze dei propri dipendenti; 2. da parte dei responsabili o degli uffici del Personale, quella di mappare le esigenze di competenza delle unità organizzative; 3. incrociare questi dati. Altrimenti si rischia di spostare numeri (che in realtà sono persone) a casaccio.

  13. Paolo

    Sono un dipendente pubblico di ruolo dal 1977. Ho cambiato 4 volte posto di lavoro, su mia richiesta, per concorso e l’ultima volta "ope legis" (L. R. che ha trasferito dalla Regione alle Province il personale operante su materie delegate). Non ho perciò preclusioni in materia (inoltre lavoro a 55 km dalla mia residenza, auto più treno). Solo una modesta proposta: perché non fare come le aziende private plurisede (come le banche), che collegano alla mobilità opportunità di carriera?

  14. War

    Dopo anni di propaganda volta a screditare la Pubblica Amministrazione, qualsiasi bestialità riceve il plauso. Il problema della P.A. quindi non sono gli "imprenditori" che drenano miliardi con gli appalti, o i politici, i loro figli/amici raccomandati, le società miste dove si piazzano gli stessi raccomandati, ma quei pochi impiegati entrati per merito (così sprovvisti di amicizie da dover superare un Pubblico Concorso) che, oltre a dover lavorare anche per i raccomandati, oltre a non fare carriera (perché i livelli superiori sono "occupati" dagli stessi raccomandati), saranno soggetti anche all’ulteriore minaccia del "trasferimento coatto". Ecco l’Italia, forti coi Deboli.

  15. Dario Quintavalle (Dirigente del Ministero della Giustizia)

    Sarebbe auspicabile smettere di parlare di Pubblica Amministrazione a partire da petizioni di principio tanto inoppugnabili quanto tutte da dimostrare. Troppo facile dire che “bisogna far lavorare i fannulloni”, “occorre tagliare gli sprechi”, “bisogna spostare i lavoratori in esubero”, senza mai produrre un numero che dimostri la reale consistenza, o anche esistenza, dei fenomeni denunciati. In base a quale serio studio scientifico, in ragione di quale evidenza statistica, gli autori concludono che gli impiegati pubblici sono “immobili”? Ci sono dati sulla mobilità? Quali amministrazioni hanno personale in surplus? Si concentrano in particolari regioni? Quali? Gli "esuberanti" basterebbero davvero a compensare gli spaventosi vuoti in organico aperti da una decennale politica di blocco del turnover? E per quanto, prima che l’emorragia dei pensionamenti ne apra di nuovi? L’età media del personale pubblico è molto alta: io in pochi anni ho perso il 30% degli effettivi del mio ufficio. La mobilità non può essere alternativa ai concorsi, il cui blocco ha causato l’invecchiamento della PA e perdita di opportunità di lavoro e crescita professionale per un’intera generazione di giovani.

  16. Nandokan

    L’impiegato pubblico è immobile sì, ma nel senso che è in istato comatoso. Innoviamo, modernizziamo, stravolgiamo. Ma facciamolo con un progetto e, soprattutto, mettendoci dei soldi. Da più di tre lustri si scrivono rivoluzioni copernicane che si pretendono sempre a costo zero. Ammesso e poco concesso che vi sia tutta questa esuberanza di personale – anche se nei ministeri l’età media, al netto della quantità, è da casa di riposo – spostiamo la gente ma incentivandola, anche perchè non mi pare che nel mitizzato privato si facciano pogrom "a gratis". Se vogliamo un’amministrazione funzionale, cerchiamo di pianificare degli snellimenti procedurali – perchè le amministrazioni, piaccia o meno, si muovono nell’ambito della normazione vigente – e laddove questa è rococò fino ad essere oscura, non c’è trippa per gatti. Se vogliamo un diverso approccio al cittadino, svecchiamo, anche perchè nessuna organizzazione complessa, privata o pubblica che sia, investirebbe giammai in formazione quando il ciclo lavorativo di buona parte della sua compagine non supera il lustro. Se vogliamo incentivare, usiamo anche la carota e non solo la clava.

  17. Massimo Lanfranco

    Manca un accenno ad un attore fondamentale. I sindacati sono tra i più importanti ostacoli ad una vera mobilità. Se hai un posto vuoto in organico c’è sempre la possibilità di riempirlo con una bella progressione, quindi niente mobilità dall’esterno. Poi ci sono i tempi determinati da stabilizzare, poi i portaborse (per le regioni), poi le chiamate dirette (per i dirigenti). Ho provato tre mobilità, sapendo che c’erano dei posti vuoti in pianta organica dove volevo andare. Non ci sono mai riuscito.

  18. Stufo

    Concordo con gli Autori dell’articolo purchè ad essere assegnati ad altre amministrazioni siano per primi i professori e i ricercatori universitari in esubero per gli innumerevoli corsi di studio quasi deserti . Non vedo perchè dopo vent’anni di insegnamento ed un probabile esubero a causa di una "riforma" che ha tagliato di brutto le cattedre (diritto ed economia) dovrei essere impiegato di forza in qualche ente per il quale non ho mai pensato di fare concorso . Quindi che vadano avanti pure le categorie sopra menzionate che io seguirò in buon ordine : sacrifici per tutti ! Ho anche un suggerimento per un eventuale loro impiego, specie per gli economisti : all’INPS o come dirigenti degli uffici economici dei vari enti locali .

  19. Dario Quintavalle

    Ci sarebbe una ricetta molto semplice per produrre esuberi di personale, ed è abolire le Province. In questo modo, si potrebbero coprire – con personale già radicato in zona, evitando deportazioni – uffici statali (per esempio i Tribunali) che sono in perenne sofferenza, soprattutto al nord, dal momento che il meccanismo del concorso nazionale non si è dimostrato adatto a coprire esigenze specifiche dei territori. Ma si tratta, anche qui, di volontà politica. Proviamo a scoprire le carte, invece che ricorrere al sempre comodo alibi del dipendente pubblico fannullone, immobile, e nemico del cambiamento?

  20. francesco

    Sono daccordo fino ad un certo punto, cioè fino a quando si dice di dover assicurare ai cittadini un servizio migliore. Ma mi chiedo: se pensiamo di sostituire il personale che va a godere della pensione con il personale in mobilità, quando daremo la possibilità ad altri giovani disoccupati la possibilità di lavorare? E’ giusto pensare ai conti pubblici ma, secondo me, è altrettanto giusto pensare a chi non ha un lavoro e, quindi, non ha un futuro.

  21. Fabrizio F.

    Avete ragione a scrivere la "cosiddetta" Riforma Brunetta, anzi la chiamerei sedicente. In realtà contiene solo alcuni provvedimenti punitivi a carico del personale del pubblico impiego, e una riforma vera non può essere solo questo. Una riforma è lo snellimento delle procedure, l’informatizzazione, la formazione del personale, l’incentivo alla produttività. L’Ultima riforma del P.I. e della P.A. che si rispetti è quella del Ministro Bassanini degli anni 90. Semplicemente una società non può basare la propria ripresa risparmiando sui contratti pubblici. Non basta. Servono rifrome vere. Liberalizzazione nelle professioni (soprattutto farmacisti e notai) e vera efficienza della P.A. e naturalmente lotta all’evasione. Non basta stringere sul Pubblico Impiego.

  22. Francesco Scaramellini

    Signor martone, lei eminente giurista e studioso saprà che lo stipendio di un impiegato/dipendente pubblico è mediamente inferiore a quello di un privato, è vero che alla fine dell’anno si effettua una indicizzazione al tasso di inflazione. Penso che i primi impiegati pubblici a dover dare i buon esempio debbano essere i nostri politici per i quali la seggiola e i lauti benefit sono inamovibili.

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