Cresce il consenso sul fatto che sia auspicabile una forma di ristrutturazione del debito per i paesi europei a forte rischio di insolvenza. Ma scelte diverse producono effetti drasticamente diversi sulla ripartizione degli oneri tra il debitore sovrano e i suoi creditori. Se lo scopo della ristrutturazione è quello di ridurre gli oneri finanziari per lo Stato debitore e far sì che i creditori condividano le perdite, la soluzione del buy back non va affatto bene. Un default unilaterale o una conversione del debito sembrano largamente preferibili.
Nei giorni scorsi numerose agenzie hanno riportato la notizia che i governi della zona delleuro starebbero mettendo a punto un piano per consentire alla Grecia, e forse anche all’Irlanda, di utilizzare le risorse dello European Financial Stability Facility (Efsf) per riacquistare sul mercato secondario il proprio debito. L’idea è che in questo modo i due paesi potrebbe risparmiare sugli oneri finanziari, perché acquisterebbero i loro titoli in sconto, cioè a un prezzo inferiore al loro valore nominale, poiché il mercato oggi si attende che vengano ripagati solo in parte.
TRE SCENARI
Molti dettagli del piano restano sconosciuti: in un primo scenario l’Efsf, che gode di rating tripla A, prenderebbe in prestito dai mercati internazionali i fondi, li girerebbe a condizioni favorevoli alla Grecia, che a sua volta li utilizzerebbe per comprare, dal mercato o dalla Bce, parte del suo debito. In alternativa, la Grecia potrebbe finanziarsi attraverso un nuovo tipo di debito recante una garanzia da parte dell’Efsf, e i cui proventi sarebbero impiegati per ritirare il vecchio debito. Mentre sembra esserci un consenso crescente che una qualche forma di ristrutturazione del debito sia auspicabile per i paesi europei a forte rischio di insolvenza, lo stato del dibattito tradisce unallarmante confusione sulle diverse possibilità per ristrutturare il debito. Queste, come vedremo, producono effetti drasticamente diversi sulla ripartizione degli oneri tra il debitore sovrano e i suoi creditori. In un bel lavoro del 1989 Paul Krugman ha discusso la logica dei diversi schemi per la riduzione del debito sovrano basati sul mercato, divenuti popolari a partire dal 1989, quando lamministrazione Bush lanciò il piano Brady per risolvere la crisi di debito del Messico. (1) Questa logica permette di confrontare le proposte in discussione: la riduzione unilaterale del debito, un buy back e uno swap di debito junior con debito senior. Prendiamo carta e matita.
UN ESEMPIO NUMERICO
Per fissare le idee, consideriamo un paese che deve rimborsare 100 (in modo che tutti i prossimi numeri possano essere pensati come percentuali del debito da rimborsare), e che si trova ad affrontare una situazione di incertezza sulle risorse (le entrate provenienti dalle imposte o dalle esportazioni) di cui in futuro disporrà per rimborsare il debito. Per esempio, le entrate potrebbero risultare basse (= 66.7) con una elevata probabilità (= 3/5), oppure elevate (= 100) con minor probabilità (= 2/5). Dunque, il nostro paese, ex-ante, è insolvente, in quanto il rimborso atteso, pari a 80 (= 2/5 x100 + 3/5 x 66,7), è inferiore a quanto dovuto, si veda la prima colonna nella tabella 1. Per questa ragione i titoli si scambiano sul mercato secondario a un prezzo inferiore alla parità, e precisamente a 80 centesimi, pari al rapporto tra il rimborso previsto e quello nominale (questo è all’incirca il prezzo di un bond greco sul mercato secondario).
DEFAULT PARZIALE UNILATERALE
Consideriamo ora cosa succede se il paese riduce in modo unilaterale il proprio debito di 20 (seconda colonna della tabella). I creditori avranno, in valore atteso, un rimborso di solo 72 (=2/5 x 80 + 3/5 x 66,7), con una perdita di 8. Il costo per i creditori proviene dallavere perso la possibilità di trarre profitto dallo stato favorevole delle entrate. Dunque, un write off consistente del debito (20 per cento) comporta in questo esempio solo una modesta perdita (guadagno) per i creditori (il debitore). Infine, loperazione provoca un aumento del prezzo sul mercato secondario (da 0,8 a 0,9 = 72/80 ).
Tabella 1: Ristrutturazione del debito sovrano
BUY BACK
Del tutto diverse le conseguenze un buy back del debito, una delle proposte attualmente in discussione in Europa. Un riacquisto del debito comporta un grande vantaggio per i creditori e una perdita ancora maggiore per l’emittente, si veda la terza colonna. Supponiamo che il paese usi 20 di un prestito dellEfsf per ricomprare il proprio debito sul mercato secondario. Questo richiede che il prezzo del titolo aumenti fino al punto in cui gli investitori sono indifferenti tra vendere e tenersi i titoli, ovvero il prezzo deve aumentare fino a 0.912 centesimi: a questo prezzo il governo ritira circa 22 del debito, lasciandone in circolazione 78.07. (2) Mentre l’effetto sul prezzo del titolo è simile al caso di default unilaterale, le implicazioni sulla ripartizione degli oneri sono radicalmente diverse: i creditori ci guadagnano in modo sostanziale (i rimborsi attesi aumentano di 11.23, passando da 80 a 91,239), mentre il debitore ci perde un sacco (i maggiori pagamenti cui si sommano i 20 presi in prestito dallEfsf).
SWAP TRA DEBITO JUNIOR E SENIOR
Infine, si consideri uno swap in cui lo Stato emette 20 di nuovi (euro) obbligazioni, garantite dallEfsf, e utilizza i proventi per l’acquisto del vecchiodebito. Poiché il nuovo debito è senior, cioè ha la priorità nel rimborso, si vende alla pari e permette di ricavare 20. I vecchititoli diventano ora più rischiosi (sono junior), e il loro prezzo deve immediatamente cadere fino al punto in cui gli investitori siano indifferenti tra scambiarli con i nuovi titoli, oppure tenerseli. Il prezzo di equilibrio si riduce a 0,777 centesimi. (3) L’operazione comporta un (modesto) beneficio per il debitore, 2.3, e un analogo costo per i creditori. (4)
LA MORALE DELL’ESEMPIO
L’esempio mostra che se lo scopo della ristrutturazione è quello di ridurre gli oneri finanziari per lo stato debitore e far sì che i creditori condividano le perdite, la soluzione del buy back non va affatto bene perché consiste in un vero e proprio regalo ai creditori a danno del debitore: le soluzioni di un default unilaterale o di una conversione del debito sembrano largamente preferibili.
(1) Paul R. Krugman, 1989, Market Based Debt Reduction Schemes, NBER Working Paper No. 2587. Si veda anche (1995) Currency and Crises, Ch.3 and 4, MIT Press, e J. Bewley, K.Rogoff, The Buy Back Boondoggle, Brookings Papers on Economic Activity, 1988, vol.2. Sul piano Brady si veda Ian Vásquez, The Brady Plan and Market-. Based Solutions to Debt Crises, Cato Journal 16, no. 2 (Fall 1996): 23343. 21.
(2) Infatti, se linvestitore non vende, ottiene un rimborso atteso pari a 71.23= (2/5) *78.07 + (3/5)*66.7, che corrisponde, in percentuale del valore nominale, a un rendimento di 0.912 =71.23/78.07, e che è proprio uguale al prezzo che linvestitore otterrebbe vendendo il titolo.
(3) A un prezzo di 0.777 centesimi per i vecchi titoli, con 20 di nuove emissioni il governo compra 25.74 di vecchi titoli, lasciandone in circolazione 74.26. Poiché il nuovo debito ha priorità nel rimborso, se linvestitore non vende i vecchi titoli ottiene un rimborso atteso di 57.7=(2/5)*74.26 + (3/5)* (66.7-20), che corrisponde a un rendimento sul valore nominale pari a 0.777 (=57.7/74.26), e che risulta proprio uguale al prezzo che linvestitore spunterebbe sul mercato vendendo i vecchi titoli.
(4) Si noti che a differenza della proposta degli euro bonds di Juncker-Tremonti, nello swap che si sta discutendo èil paese emittente che rimane titolare del debito. Si veda anche Paolo Manasse, per una discussione.
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rick
Perchè, in tutti i casi, la probabilità di rimborso totale del debito residuo rimane costante (2/5) anche se il debito diminuisce (da 100 a 80 o 78 o 74)? Al diminuire del debito, non dovrebbe aumentare la probabilità che lo stato realizzi risorse sufficienti a rimborsarlo totalmente e quindi variare la distribuzione di probabilità da usare per calcolare il rimborso sperato? Nel caso di riacquisto, il valore dei titoli sale da 0,80 a 0,91 solo dopo il riacquisto. Se lo stato non compra, il valore rimane a 0,80. Non è quindi pensabile che ciò possa indurre i creditori a vendere ad un prezzo più vicino a 0,80 che a 0,91?
La redazione
La spiegazione si trova qui sopra. (lettore Magotti)
Magotti P.
Le probabilità di 2/5 e 3/5 non sono le “probabilità di rimborso o meno”, ma sono le probabilità delle entrate statali alte o delle entrati statali basse. Se si verifica il caso di entrate 100, il debito verrà interamente pagato sia che i titoli valgano 100, sia che valgano 80. Mentre se le entrate sono 66,7 i titoli non vengono rimborsati interamente in nessuno dei due casi. Il tutto pesato sempre con le stesse probabilità di 2/5 e 3/5.
Inoltre è bene tenere presente che questo è solo un semplice esempio, per dimostrare grosso modo gli effetti delle diverse politiche. Il modello si può “agevolmente” complicare per ottenere risultati più reali, passando dal discreto al continuo.
La redazione
Grazie mille per la spiegazione data al lettore successivo. rick
Giuseppe Caffo
L’interessante articolo induce alcune riflessioni.
1) Prima di dichiarare default uno Stato deve essere certo di avere un avanzo primario per almeno un decennio. L’esperienza insegna che dopo un default si può tornare sul mercato dei capitali non prima di dieci anni.
2) Un debitore che non assolve puntualmente ai suoi impegni spende un patrimonio di credibilità e affidabiltà non solo economico ma anche politico e culturale che è faticoso da ricostituire.
3) Nell’attuale fase delicata di costruzione dell’Unione Europea il fallimento anche parziale di uno dei suoi Stati potrebbe innescare un’indesiderata reazione a catena sul piano politico ed economico i cui effetti negativi sono difficilmente prevedibili.
Pertanto appare maggiormente auspicabile che paesi con difficoltà di bilancio applichino rigorose politiche di rientro dal debito incentrate su lotta all’evasione, corruzione e tagli drastici alla spesa pubblica improduttiva.
La redazione
Circa i punti 1) e 2) la letteratura empirica ottiene risultati opposti a quelli che lei enumera, si veda Panizza e Borensztein: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001696-351.html. Il terzo punto è chiaramente quello che fa la differenza tra gli episodi di default di singoli paesi nel passato e l’attuale crisi della zona Euro.
Luca Giubergia
Credo si tenda a sottostimare gli effetti politici e di credibilità delle istituzioni europee, dopo che si sono “spese” nel garantire che nessun default e nessuna ristrutturazione fosse possibile per stati sovrani dell’area euro. Con che credibilità le stesse istituzioni potrebbero contrapporsi a crisi di debiti sovrani ben più cospicui, come quello italiano? Non condivido, inoltre, che lo scopo debba essere quello “di ridurre gli oneri finanziari per lo stato debitore e far sì che i creditori condividano le perdite”. Si dimentica che fino ad un anno fa questi stessi titoli quotavano in tutt’altro modo e che erano investimenti per risparmiatori “tranquilli”. Cosa direbbe il prof. Paolo Manasse ai vecchietti che comprano Cct o Btp se fra un anno gli venisse detto di avere un “haircut” del 30%? In fondo un titolo di stato area euro non può essere equiparato ad un Lehman, Parmalat o Argentina….
La redazione
Nel mio articolo non volevo sostenere l’opportunità o meno di un default della Grecia. Su questo le opinioni sono diverse (le mie sono riportate su la voce e sul mio blog). Volevo sostenere semplicemente che non si può sostenere (come fa la signora Merkel) che i creditori debbano pagare parte dei costi del default e allo stesso tempo che si debba adottare la strada del buy back (in effetti la signora Merkel è contraria al back).
annarita tonet
Credo che oltre a valutare "chi paga quanto", ovvero la spartizione degli oneri tra creditori ed emittente, si dovrebbero anche valutare le conseguenze economico-politiche delle diverse soluzioni ipotizzate. La cancellazione unilaterale del debito seppur parziale – costituisce un forte rischio reputazionale per lo Stato che la mette in atto nonostante, come discusso nellarticolo, possa comportare perdite contenute per i creditori; simili considerazioni si possono svolgere per lalternativa dello swap. Una soluzione che faccia ricadere gli oneri del dissesto in gran parte sui creditori renderà più difficile/costoso per lo Stato emittente collocare nuovi titoli di debito sul mercato in futuro. E da vedere come questa possibile conseguenza si inserisca nel quadro dellunione monetaria, in cui potrebbe ancora giocare leffetto-disciplina favorito dai Paesi più virtuosi, ma mi sembra difficile che un Paese seppure in ununione monetaria possa cancellare o convertire parte del suo debito senza che ciò abbia ripercussioni di sorta. annarita tonet
La redazione
La difficoltà sta nel fatto che i costi di reputazione che lei correttamente ricorda non sono facili da valutare. La letteratura empirica tende a trovare che questo costi sono abbastanza piccoli (si veda ad esempio Panizza e Borensztein sul lavoce: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001696-351.html)
Luca Giubergia
Illustre Professore, la ringrazio della gentile risposta. Nello specifico mi riferivo all’attributo “morale” con cui le ha connotato il buy-back che, cito, “consiste in un vero e proprio regalo ai creditori a danno del debitore”. A me non pare il creditore, a cui viene riconosciuto quanto contrattualmente previsto, ottenga un regalo. A meno che non si identifichino i creditori unicamente con gli speculatori che hanno acquistato i titoli di credito a sconto. Inoltre definire danno per il debitore il fatto che questo sia tenuto a pagare esattamente quanto previsto, mi sembra alla stessa stregua opinabile. A mio avviso invece ci sarebbero regali “iniqui” in caso di default, e sarebbe proprio il debitore, o, come in questo caso, la classe politico-imprenditoriale e chi ha tratto vantaggio da questo indebitamento non sostenibile, a ricevere una indulgenza.
Alessandro
Non riesco proprio a capire! La Grecia oggi avrebbe la possibilità di ridurre il suo debito semplicemente con qualche dismissione. Siamo proprio sicuri che la Cina o, piuttosto, uno stato "pericoloso", non sarebbero disposti ad acquistare una parte del suo patrimonio isolano per creare una piattaforma in Europa? Se fossi al posto della Grecia, inizierei a contattare Iran, Cina ed India. Ciò che fa la Germania rispecchia sempre il tipico atteggiamento bancario: ti aiuto, ti indebito di più e poi…"ti tiro pure il sangue"! Il salvataggio, più che salvare la Grecia, gli ha dato il colpo di grazia, con l’obiettivo, tra l’altro, di salvare la Germania più che la Grecia ( il debito a rischio default era in mano ai tedeschi). Quindi, talvolta, meglio portare tutto in tribunale e ricomprarlo al prezzo di mercato…che pagare di più!
La redazione
Credo che il lettore sottovaluti le conseguenze politiche della cessione parti anche piccole del territorio nazionale. Cosa succerebbe ad un politico italiano se proponesse di vendere qualche piccola isoletta delle Egadi (ad esempio) per ridurre il debito pubblico?
Giuseppe Caffo
Egr.Professore la ringrazio per la cortese attenzione. Ho letto l’articolo da Lei consigliato e ne ho tratto due brani significativi: “il modello di Grossman e Van Huyck (7), in base al quale le ristrutturazioni del debito inevitabili hanno ripercussioni limitate in termine di perdita di reputazione, al contrario invece di quelle strategiche. Se questa interpretazione è corretta, rinviare la ristrutturazione del debito è equivalente a scegliere il minore dei due mali” ” in tutte le ristrutturazioni del debito studiate nei nostri lavori empirici, la ripresa economica è stata aiutata da un deprezzamento del tasso di cambio. Poiché questa non sembra essere un’opzione attuabile per i paesi appartenenti alla zona euro, un default della Grecia potrebbe avere costi molto alti” L’ipotesi presa in esame nel suo articolo riguarda un default strategico (non inevitabile) in paesi che non possono contestualmente deprezzare la moneta. Risulta rafforzata la mia opinione che rigorose politiche di bilancio siano la soluzione meno dannosa.
La redazione
La sua è una opinione perfettamente legittima, anche se i tentativi recenti di stimare i costi di un default sovrano (Panizza e Borensztein sul lavoce.info) sembrano suggerire che questi non siano poi troppo grandi. E’ però vero che in molti dei casi considerati negli studi (ad esempio l’Argentina) il paese è stato aiutato dalla svalutazione, che resta più problematica, anche se possibile, nel caso dei paesi dell’Euro. Inoltre i rischi di contagio e dunque gli aspetti sistemici non sono presenti nelle esperienze del passato, e questo elemento rafforza la sua tesi. Il mio articolo, però, si pone un quesito più limitato: posto che si voglia procedere a un qualche forma di ristrutturazione/default parziale, quali sono le opzioni e le implicazioni delle varie possibilità in discussione?
Giancarlo Perasso
Il default unilaterale, per esempio, della Grecia ha due conseguenze: 1) il paese non ha più accesso ai mercati internazionali dei capitali (vd Argentina che ha dovuto ricorrere a private placements con Chavez per avere disponibilità finanziarie) finché non ha raggiunto un accordo con i creditori. Questo significa, ad esempio, una riduzione del commercio estero del paese, quindi un abbassamento del tenore di vita. Tanto vale allora fare una ristrutturazione concordata; 2) se la Grecia fa default, il mercato si aspetterà un default di Irlanda, Portogallo, Spagna e probabilmente Belgio ed Italia. L’effetto contagio porterebbe alla fine dell’euro. Si otterrebbe il contrario dell’effetto voluto. Ricordiamo che queste proposte di riduzione dell’onere del debito sono avanzate per mantenere l’Euro. Il default unilaterale avrebbe costi per i creditori, naturalmente, fondi pensioni, banche, individui, ECB, hedge funds…. alcuni dei quali dovranno essere sostenuti dai contribuenti. Siamo sicuri che i benefici siano superiori ai costi?
La redazione
Sono d’accordo con Giancarlo Perasso: nel mio esempio il caso di default "unilaterale" semplicemente esclude un intervento o una garanzia esterni. Meglio dunque una soluzione concordata. Ci sono poi evidentemente dei costi di contagio: ma poiché l’articolo si sofferma solamente sulle conseguenza delle diverse possibilità di default parziale, a meno che questi costi di contagio risultino diversi nelle diversi casi (haircut, buy back, senir debt) possiamo pensare che essi non incidano sulla desiderabilità relativa delle diverse opzioni.
Luca Giubergia
Leggendo la sua risposta a Giancarlo Perasso lei dice "a meno che questi costi di contagio risultino diversi nelle diversi casi (haircut, buy back, senir debt) possiamo pensare che essi non incidano sulla desiderabilità relativa delle diverse opzioni." Mi pare che le diverse opzioni hanno costi di contagio molto diversi: un buy back volontario non può nemmeno essere considerato un default, non venendo a meno il rispetto degli obblighi del contratto debitorio e quindi il diritto al nominale e al flusso cedolare contrattuale. Mi sembra evidente che le tre opzioni hanno grosse differenze di "perdita di credibilità" e relativi rischi reputazionali e di effetto panico.
Sergio Capaldi
Le conclusioni sono sostanzialmente le stesse anche correggendo un errore nel pricing dei bond di secondario in caso di hair cut. Ceteris paribus il prezzo dei bond scende (a 0.72). Al contrario nel testo sale (a 0.90), nell’articolo si esprime il prezzo post hair cut in 80esimi (!). La formula sarebbe giusta se l’emittente sorteggiasse e distruggesse il 20% dei bond in circolazione. L’hair cut sarà doloroso per i detentori di titoli greci (a probabilità invariate o per seguire Krugman se siamo a sinistra della Laffer Debt Curve) questo è inevitabile. Le altre due opzioni di mercato non sono risolutive del problema sostenibilità (per avere un impatto andrebbero fatte su tutto lo stock di debito) e risultano molto costose per il contribuente (Tedesco). Saluti