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LA VIGILANZA EUROPEA CHE FA PAURA ALLA CITY

La City di Londra è il principale centro finanziario d’Europa e per anni si è avvantaggiata di condizioni favorevoli dal punto di vista regolamentare e fiscale oltreché dell’integrazione dei mercati finanziari perseguita dall’Unione Europea. Ora la crisi ha cambiato tutto. Bruxelles ha istituito tre nuove autorità di vigilanza che eserciteranno la loro influenza anche sulle attività finanziarie del Regno Unito. E ciò potrebbe causare conflitti pericolosi. Londra preoccupata da un eventuale ruolo più marginale nelle relazioni con gli Stati Uniti.

 

Dalla fine degli anni Novanta e per tutti gli anni Duemila, la City di Londra, il principale centro finanziario d’Europa, ha beneficiato di una particolare combinazione di fattori. Ha tratto enormi vantaggi dall’integrazione finanziaria europea, stimolata dagli sforzi dell’Unione Europea di creare un mercato unico dei servizi finanziari, e dalla tendenza internazionale a rimuovere le barriere finanziarie cross-border. Nello stesso tempo, l’intero sistema finanziario del Regno Unito, City compresa, era sostanzialmente non regolamentato a causa della politica del “tocco leggero” adottata dalla Financial Services Authority (Fsa), l’autorità di vigilanza britannica. Altrettanto favorevole era il trattamento fiscale. Il governo e l’opinione pubblica inglese non hanno avuto nulla da ridire perché in larga misura vedevano nella fortuna della City un vantaggio per l’intero paese. Mentre le autorità europee, a Bruxelles, erano felici di procedere con l’agenda della deregolamentazione volta ad abbattere le barriere nazionali all’interno dell’Unione.

LA CRISI HA CAMBIATO TUTTO

Questa stato di cose è stato spazzato via dalla crisi. Nel Regno Unito si è rapidamente passati ad accusare i banchieri per le attuali difficoltà economiche. I vertici della Fsa e della Bank of England sono diventati le voci più forti nelle richieste globali di una stretta sui modelli di business delle imprese finanziarie ed è probabile che la commissione indipendente sul settore bancario, istituita dal governo Cameron, proponga misure di questo tipo nel suo rapporto finale, atteso nei prossimi mesi.
Intanto, una forte spinta al consolidamento fiscale aumenta la pressione per arrivare a un giro di vite nella tassazione sulla City e sui ricchi individui che la circondano.
Nello stesso tempo, il Regno Unito è interessato dai cambiamenti che avvengono al di là della Manica. L’Unione Europea ha intrapreso un suo ciclo di ri-regolamentazione. Tre nuove autorità europee di vigilanza (le Esa) hanno iniziato la loro attività dal 1º di gennaio ed è probabile che abbiano un’influenza molto più diretta sul sistema di regolamentazione di Londra rispetto ad altre istituzioni arrivate dal Continente prima della crisi, comprese la European Securities and Markets Authority (Esma) con base a Parigi e la European Banking Authority (Eba) con base a Londra. Il loro compito è creare un “regolamento unico” che armonizzi le regole finanziarie ben al di là delle attuali direttive europee. Inoltre, vigileranno direttamente su alcuni attori del mercato, come l’Esma sulle agenzie di rating.

UN PARALLELO TRA REGNO UNITO E GERMANIA

Il Regno Unito ha accettato questa riforma nel vertice del 2009, quando il ricordo della crisi islandese era fresco ed era diffuso il timore di essere ritrovarsi isolati in una situazione difficile. Ma sembra che ora a Londra molti ci abbiano ripensato. Ed emerge un interessante parallelo: nei primi anni Novanta, la Germania ha accettato di delegare la propria politica monetaria come prezzo per la creazione dell’euro e il rafforzamento del mercato unico europeo che ne derivava. Ma la crisi attuale ha imposto alla Banca centrale europea, nonostante la sede a Francoforte, di smettere di agire come una Bundesbank con un ampio mandato. Le reazioni in Germania, inclusa la recente saga delle dimissioni di Axel Weber, hanno dimostrato quanto delicata sia la questione della perdita della sovranità monetaria da quelle parti. Allo stesso modo il Regno Unito ha accettato le Esa per il bene dell’integrazione finanziaria europea, ma potrebbe non essere pienamente preparata alle sue conseguenze.
Il principale timore della City è di vedersi aggirata nella sua posizione di guardiano di quella che rimane la più importante relazione finanziaria transcontinentale, quella tra Stati Uniti ed Europa. La fusione tra Deutsche Börse e Nyse Euronext ha un forte valore simbolico e ha prodotto una certa apprensione a Londra per i legami diretti che crea tra vecchio e nuovo continente. Ma una battaglia sulle Esa può dar luogo a ben più rilevanti tensioni: le nuove istituzioni sono piccole e alle prime armi; la loro struttura di governance, che riconosce lo stesso peso a tutti i membri dell’Unione Europea, provocherà probabilmente qualche disfunzione e il processo di stress-test in corso potrebbe minare subito la credibilità dell’Eba. Ma è quasi certo che le Esa cresceranno col tempo e le grandi imprese finanziarie degli Stati Uniti avalleranno lo sforzo contro il protezionismo nel continente e le inevitabili frizioni con Londra avranno una rilevanza ben più significativa delle consuete scaramucce.
Naturalmente, la politica di Londra verso l’Unione Europea ha davanti a sé sfide molto più importanti. Nella crisi dell’euro, il Regno Unito – diversamente da Svezia e Polonia, per esempio – oggi si comporta come se dovesse rimanere immune dalle conseguenze degli accordi su una nuova governance economica. Non è possibile. Nel bene e nel male, il Regno Unito non potrà restare fuori da quella che probabilmente diverrà una verifica fondamentale delle istituzioni europee nelle quali si inserisce la moneta unica. Ma gli sviluppi che ne deriveranno possono aver bisogno di qualche tempo per dispiegarsi. Per qualsiasi politico inglese, che ha di fronte a sé elettori euro-scettici, nascondere la testa sotto la sabbia è la strada più semplice nel breve periodo.
Allo stesso tempo, le controversie sui poteri delle Esa rimarranno il punto centrale della relazione tra il Regno Unito e i suoi vicini europei. Le condizioni pre-crisi nelle quali la City ha sviluppato un’attività pan-europea in assenza di una vigilanza pan-europea erano insostenibili e non ci si può aspettare che tornino. Ma molti attori della city non vogliono ancora riconoscere il nuovo stato di cose. L’attuale quasi totale assenza di dibattito sull’Unione Europa nel Regno Unito dovrebbe preoccupare non soltanto Bruxelles, ma anche Londra.

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UNA NEUROECONOMIA PER IL FUTURO

  1. luciano pontiroli

    Sto leggendo una voluminosa monografia, How to Protect Investors. Lessons from the EC and the UK, di N. Moloney. Ne emerge una Fsa molto attiva nella regolazione e nella vigilanza sui mercati finanziari, anche se talvolta critica rispetto alle idee portanti della legislazione dell’UE. Non mi pare che si possa parlare di una sostanziale mancanza di regolazione: semmai di una regolazione insoddisfacente, ma è un problema comune atteso che, in larga misura, i principi e le forme sono le stesse in tutta l’Ue.

  2. Massimo Tosatto

    Non credo che un regolato sia mai contento di una ragolazione, a meno che questa non gli lasci sostanziale mano libera su tutti gli argomenti relativi alla propria attività. Rimane da notare come Germania e Inghilterra continuino a considerare l’Europa come, il primo, una comoda estensione della propria area di influenza, la seconda, una porta girevole da attraversare quando conviene, tenendo dentro un piede del mercato comune e fuori quello della cassaforte. Credo che questo sia un vero fardello per l’Europa, vale a dire considerarla positivamente quando fa i nostri interessi e negativamente, o disattenderla, quando no. Insomma, se si decide di stare dentro si deve anche accettare di sottoporsi a quello che gli altri paesi vogliono, altrimenti non si fa un’unione bensì un’annessione. Insomma, bisogna pure decidersi, o si entra in toto in Europa o si rimane alla porta, ma, nell’uno e nell’altro caso, godendo vantaggi (stabilità, mercato, valuta forte) e svantaggi (sentire il parere di un pese baltico poco stimato, ma che ha uguali diritti ai miei di parlare) senza volerne solo gli uni e gli altri no.

  3. luciano pontiroli

    L’Europa è un’Unione di Stati, che in alcuni casi decide a maggioranza ma ha solo le competenze attribuitele dai trattati; le decisioni prese a maggioranza possono essere anche impugnate dallo stato che ne dissente avanti la Corte di giustizia che, in alcuni casi, le ha annullate. Non si tratta di un’Entità superiore, alla quale inchinarsi, ma di un utile ed importante strumento di collaborazione.

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