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QUANTO COSTA LA FESTA

Il 17 marzo l’Italia celebra la festa dell’unità nazionale, con un corollario di polemiche sui costi che la sua istituzione comporterebbe. Ma una stima mostra che se è vero che le ore lavorate annue rispondono al numero di feste effettive, l’effetto è minore di quanto ci si aspetterebbe: un giorno di festa in più si traduce in una riduzione di 2,5 ore lavorate all’anno. Invece, la correlazione tra feste effettive e produzione industriale non è statisticamente diversa da zero. I benefici di una festa che potrebbe contribuire a cementare un’idea comune di futuro.

 

Ai cultori delle barzellette sul colmo dei colmi, in voga qualche decennio fa, avrebbe fatto piacere conoscere la storia di un paese in cui politici, imprenditori, sindacalisti e intellettuali si dividono su un giorno di festa proclamato per celebrare il 150esimo anniversario dell’unità nazionale. In verità, il tema del contendere non sembra riguardare l’importanza della ricorrenza. Ma i costi associati alla sua istituzione, anche per un solo anno, perché la strana festività in affitto cadrà di giovedì, facendo perdere un giorno lavorativo a un sistema paese già gravato dalla crisi internazionale.

LA POLEMICA

Sono stati gli industriali e la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia a lanciare l’allarme sui costi della festività del 17 marzo 2011, istituita per celebrare la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861. Dopo un rincorrersi di polemiche e controproposte, inclusa quella di celebrare la ricorrenza andando a lavorare, il governo ha varato la festa per decreto, sopportando la rumorosa contrarietà dei ministri leghisti. L’argomento sui costi economici è semplice: se le imprese non possono utilizzare la loro manodopera per un giorno, che dovrà comunque essere retribuito, una parte della produzione andrà persa. Da un punto di vista monetario, non c’è dubbio che ci sia un aggravio dei costi per le imprese. Ma, tenendo ferme leggi dello Stato e disposizioni orarie dei contratti collettivi, lo stesso avviene per i lavoratori quando alcune festività cadono di sabato o domenica: in quell’anno, si lavora di più a parità di retribuzione. Si tratta di fluttuazioni facilmente riassorbibili.
Non convince del tutto, infatti, che un giorno di festa in più si traduca irrimediabilmente in un calo della produzione industriale. Mario Deaglio su La Stampa del 7 febbraio ha stimato che il costo di un giorno perso per imprese che possono contare tra i 200 e i 250 giorni di produzione in un anno oscilla tra lo 0,4 per cento (=1/250) e lo 0,5 per cento (=1/200) della produzione totale. La stima di massima, pur avendo il fascino di una disarmante semplicità, non tiene conto del fatto che le imprese non sono passive trasformatrici di una quantità data di fattori produttivi in un certo ammontare di prodotto. È difficile pensare che lascino inevasi degli ordini solo perché c’è da celebrare una nuova festa. È molto più probabile che ritmi e processi lavorativi finiscano per essere riaggiustati nel corso dell’anno in modo da fronteggiare comunque la domanda di mercato.

I COSTI (ATTESI) DI UNA FESTA

Forse, esiste un modo per capire se sia più vicina alla realtà l’ipotesi della perdita secca o quella dell’aggiustamento nel corso dell’anno. Di anno in anno, infatti, esiste una naturale (e casuale) fluttuazione nel numero di feste effettive, dettata dal fatto che alcune festività stabilite per legge cadono di sabato o domenica. Sfruttando questa variazione casuale, si può cercare di stimare se esista una correlazione negativa tra l’avere un giorno di festa in più e l’ammontare di quanto si produce annualmente.
Prima della riforma del 1977, in Italia c’erano sedici festività all’anno, a cui si aggiungevano due-tre solennità civili. Dopo il 1977, le festività hanno oscillato da un minimo di dieci al numero attuale di dodici. (1) Partendo da questi dati, ho costruito la serie storica dal 1950 al 2010 delle feste effettive (il cui numero è dato dalla differenza tra le feste stabilite dalla legge e quelle che cadono di sabato o domenica). A parità di festività ufficiali, la variazione nell’indice è quindi data dal semplice fatto che alcune feste possono cadere nel weekend, vanificandone l’effetto sulle ore di lavoro.
Ho poi guardato alla correlazione tra l’indice delle feste effettive da una parte, e le ore lavorate, gli indici della produzione industriale e manifatturiera dall’altra (fonte: Ocse), controllando per il numero di feste stabilite dalla legge e per gli effetti del ciclo economico. (2) I risultati sono facili da sintetizzare. Le ore lavorate annue rispondono al numero di feste effettive, ma l’effetto è minore di quanto ci si aspetterebbe meccanicamente. Un giorno di festa in più si traduce in una riduzione di 2,5 ore lavorate all’anno, cioè una riduzione pari allo 0,1 per cento e non all’atteso 0,4-0,5 per cento.
La correlazione tra feste effettive e produzione industriale o manifatturiera, invece, non è statisticamente diversa da zero. Non sembra esserci un impatto di rilievo del numero di festività che cadono di sabato o domenica sulla produzione annua. Addirittura, dopo il 1977, sembra esserci una correlazione positiva tra feste effettive e livelli di produzione industriale: un risultato difficile da spiegare, che potrebbe nascere dalla volatilità di dati raccolti solo per una prima stima approssimativa. In ogni caso, non esiste evidenza empirica a favore dell’ipotesi della perdita secca associata a un giorno di festa in più. (3)
Certo, esiste un’obiezione a questo test: nel caso del 17 marzo, il problema è che la festa è stata istituita dopo molte incertezze e le imprese non hanno avuto il tempo di programmare i propri ritmi di produzione. Ma questo avrebbe dovuto spingere chi le rappresentava a non alimentare polemiche e a chiedere che si decidesse sull’argomento senza tornarci sopra. Insomma, a conti fatti, i costi della festa per l’Unità nazionale non appaiono enormi e saranno probabilmente riassorbiti nel corso dell’anno.

I BENEFICI (POTENZIALI) DI UNA FESTA

Ma anche se i costi non sono grandi come paventato da alcuni, quali benefici possiamo aspettarci da una ricorrenza del genere? Per rispondere, può essere utile gettare lo sguardo oltre l’Atlantico. Due economisti, Andreas Madestam dell’università Bocconi e David Yanagizawa Drott dell’università di Harvard, hanno condotto uno studio empirico molto interessante sugli effetti di una festività come il 4 luglio negli Usa. I loro risultati mostrano che, se un americano medio tra i 3 e i 18 anni è stato costretto a non festeggiare in pubblico (probabilmente insieme alla propria famiglia) la festa del 4 luglio a causa di forti (e casuali) precipitazioni piovose, allora, quasi trenta anni dopo, quello stesso americano ha una probabilità minore di partecipare alla vita politica e civile del suo paese. In particolare, un 4 luglio festeggiato in più durante l’infanzia o l’adolescenza si traduce in un aumento dell’8-9 per cento nella probabilità di votare alle elezioni. Insomma, la presenza di riti e celebrazioni che cementano il tessuto civile favorisce la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica.
Certamente, è impossibile paragonare una festa così sentita dagli americani come il 4 luglio con una festività (in affitto) come il 17 marzo 2011 da noi. L’Italia è un paese in cui tutto è fonte di divisione, a partire dalla ricostruzione del proprio passato. Ma anche gli Stati Uniti hanno un passato condiviso più nelle celebrazioni che negli aspri risvolti della loro storia. Neanche un mese dopo la proclamazione del Regno d’Italia, gli Usa entravano in una guerra civile che avrebbe causato più di mezzo milione di morti. Ancora mezzo secolo fa, una parte importante della popolazione non poteva frequentare certe scuole o prendere certi autobus. Per non parlare delle ondate migratorie di ultima generazione che rendono difficile parlare di passato comune. Negli Usa, tuttavia, l’unità nazionale è cementata da un’idea comune di futuro, da un insieme di valori che fanno da cornice al compimento del desiderio di felicità di ciascuno. Le ricostruzioni storiche e le celebrazioni sono funzionali a questa idea: non la guidano, ma ne sono guidate. Ecco forse un tema su cui avremmo dovuto riflettere con più calma in vista del 17 marzo prossimo venturo: come renderlo un elemento di socialità in cui gli italiani potessero maturare (anche inconsciamente) un senso di comunità che sa guardare in avanti.

Raccolta dati a cura di Federico Cilauro e Francesco Esposito

(1) Per la legislazione pre-riforma del 1977 (contenuta nella legge 5 marzo 1977, n. 54), si veda la legge 27 maggio 1949, n. 260. Per le variazioni nelle festività post-riforma del 1977, si vedano il Dpr 28 dicembre 1985, n. 792, e la legge 22 maggio 1986, n. 200.
(2) Per controllare per i fattori ciclici legati al passare del tempo, ho usato due diverse specificazioni: (a) una in differenze prime (in cui si spiega la variazione nella produzione dall’anno precedente a quello attuale in funzione della stessa variazione nell’indice di feste effettive); (b) una che controlla per un polinomio di terzo grado del tempo. Entrambe le specificazioni producono risultati simili. Inoltre, usare il Pill al posto della produzione industriale o manifatturiera produce correlazioni ancora meno significative con l’indice delle feste effettive: risultato che non sorprende visto che il Pil include anche lo stipendio dei dipendenti pubblici, che resta immutato al variare delle festività.
(3) Ho ripetuto lo stesso esercizio sfruttando gli anni bisestili (che regalano un giorno di lavoro in più all’anno) e la variabilità dovuta al fatto che il 29 febbraio può cadere di sabato o domenica. Di nuovo, non sembra esserci nessuna correlazione significativa tra queste variazioni (casuali) nei giorni di lavoro e la produzione industriale o manifatturiera annua.

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29 commenti

  1. Gianluca

    Ho molto apprezzato, nell’articolo, il concetto di unità nazionale basata su un’idea comune di futuro anzichè fondata unicamente sulla condivisione del passato. E’ di speranze per il futuro che, infatti, i nostri giovani hanno bisogno, circondati da una classe politica vecchia e litigiosa. Complimenti

  2. Giorss

    In Italia festeggiamo da sempre senza lavorare dal patrono cittadino all’8 dicembre, e tutte le feste religiose e non (carnevale) e nessuno, Confindustria, Pdl, Lega, …, dice nulla. Per una volta ogni 50 anni (ammesso che si festeggi ogni 50 anni) in cui si dovrebbe festeggiare l’unità d’Italia nel suo anniversario tutti a far conti sui costi. Bha, che strani questi italiani.

  3. marco

    Era una festa inopportuna in un periodo di crisi etcetcetc? E cosa tira fuori la Lega? Un’altra festa… Vabbe’…

  4. Franco

    Tutta questa analisi svolta sull’effetto del giorno non lavorato credo che non possa fare, come si pèotrebbe dire, una grinza dal momento che si basa su dati elaborati credo correttamente. La obiezione sorge, e mi sembra che a questo sostanzialmente si riferisse la Marcegaglia, dall’effetto "PONTE" che potrebbe sorgere (e me la sentirei quasi di scommettere che si verificheranno parecchi casi). In questo caso la perdita di giornate lavorative sarebbe di 2 giorni pieni (giovedì e venerdì) più volumi/presenze ridotte per sabato e domenica. L’esempio della festa nazionale negli Usa, e aggiungerei sicuramente almeno il 14 luglio in Francia, non penso che sia comparabile con il nostro caso perché in quei Paesi sicuramente il fenomeno "PONTE" non esiste: basterebbe analizzare i nostri tassi di assenteismo, soprattutto quelli a ridosso delle festività (inclusi sabato e domenica), grazie anche ai medici "clementi" e nonostante la legislazione stipulata con i sindacati pe combattere l’assenteismo. Franco

  5. Raffaello Morelli

    L’impostazione metodologica dell’articolo è significativa perché non si limita a riprendere i costi attesi per la festa dell’Unità d’Italia ma argomenta, anche mediante dati comparativi, a favore dei suoi benefici potenziali. Ciò serve a smontare l’approccio distorto delle critiche avanzate da un federalismo provinciale e da un imprenditorialismo miope. Festeggiare ufficialmente il 150° ha ricadute positive sul come intendere la convivenza. Non a caso viene sottolineato come negli USA l’unità nazionale venga cementata da un’idea comune di futuro. In particolare, è interessante il rilievo che anche in Italia sarebbe meglio riflettere sul come rendere il 17 marzo un elemento di legami simbolici per guardare in avanti e porre un freno alla disgregazione operativo familistica. Magari, aggiungo, ricordando che a fine marzo è anche il 150° del principio di separazione tra Stato e religioni, per non dimenticare che anche questo è un aspetto ineludibile di una sovranità del cittadino davvero praticata.

  6. Ugo Pellegri

    Non sono leghista, mi commuovo ogni volta sento suonare l’inno di Mameli, ho lavorato sia al Sud sia al Nord apprezzando i dati positivi e rilevando quelli negativi degli Italiani, ma questa festa non mi va proprio giù. Non è per la festa in se ma come è stata proclamata in maniera pasticciata e all’ultimo momento, dopo un lungo periodo di polemiche e ignavia su una ricorrenza tanto importante. Ho l’impressione che sia solo un bonus pre elettorale, sono sicuramente di più i contenti per una festa insperata e non prevista che quelli che si lamentano. Buon voto!

  7. Franco

    Una questione passata stranamente sotto silenzio è quella della retribuzione per le feste soppresse (S Francesco, SS Pietro e Paolo, etc) dal Governo Andreotti. A seguito di quel provvedimento si contrattò con i sindacati dei lavoratori il risarcimento per la perdita della Festività. Adesso che si aggiunge una Festa a scapito, pare, di un’altra, come la mettiamo per la retribuzione dell’altra? Sarebbe interessante una appropriata risposta da parte del Ministro Sacconi, anche perchè risulterebbero più facilmente comprensibili dall’opinione pubblica i comportamenti e le dichiarazione delle varie Marcegaglia e imprenditorie leghiste.

  8. bzbiz

    Non so per quali categorie di lavoratori valga, ma per alcuni se una festività cade di domenica (o in concomitanza del giorno di riposo di quella categoria) in busta paga viene riconosciuta una voce per “festività non goduta”, pari alla paga di un giorno di lavoro.

    • La redazione

      Può vedere la risposta al commento precedente, quello di Marella Monaro.

  9. marella monaro

    Apprezzo molto l’articolo e il tentativo di razionalizzare il “costo” di una festività. Mi piacerebbe avere dalla Marcegaglia dati altrettanto concreti sul danno di questa festività per la produzione industriale. In un anno in cui la maggior parte delle festività cade di sabato o domenica! Contava su queste festività “scippate” dal calendario per superare la crisi? Preciso che il mio contratto prevede il pagamento dei giorni festivi che cadono di domenica ma non quelle che cadono di sabato. Infine condivido i commenti sul valore della festa dell’unità per il futuro del nostro paese.

    • La redazione

      Anche se i giorni festivi che cadono di domenica vengono remunerati, resta il fatto che i giorni di lavoro effettivi cambiano e questo potrebbe avere un effetto sulla produzione (tesi Marcegaglia). I dati non sembrano mostrare effetti rilevanti su questo costo opportunità.

  10. agostino pendola

    …E per lo Stato e gli enti pubblici la Festa è a costo zero, infatti sarà tolto un giorno delle così dette "festività soppresse", che ancora esiste nei loro contratti.

  11. bob

    Caro emerito professore, credo che in un Paese serio un discorso del genere non andava neanche affrontato. Guardi l’ultima barzelletta che si è compiuta al consiglio della Regione Lombardia. Credo che sia il momento che la parte sana del Paese cominci a venire fuori e mettere questi miseri uomini all’angolo. Bisogna ritrovare una centralità del Paese altrimenti saranno guai.

    • La redazione

      Sì, il baratto delle feste che è avvenuto nel consiglio regionale lombardo è davvero un esempio da manuale di come le forze politiche tendano a cavalcare argomenti di merito (come quello dei costi attesi di una festività) in maniera del tutto pretestuosa.

  12. ciro daniele

    In realtà, quando c’è una festa, parecchi continuano a lavorare e molti lavorano anche il doppio. Ad esempio, le piante e gli animali continuano a crescere (e con loro il valore aggiunto agricolo), le fonderie, gli acquedotti e le centrali elettriche non si fermano, i telefoni e le TV funzionano anche di più, i ristoranti, gli impianti sportivi, cinema e teatri fanno il tutto esaurito e polizia, nettezza urbana ed ospedali (sperabilmente) non chiudono, le case continuano ad essere affitttate (alcune sono utilizzate solo per le feste), le assicurazioni continuano a coprire rischi. A spanne, circa il 25% italiano del Pil è insensibile alle feste e, di questo, almeno la metà è creato soprattutto quando la maggior parte delle persone ha finalmente il tempo di fare turismo e divertirsi. Senza contare tutta la produzione di beni e servizi attivata proprio in vista di una festività (dai rifornimenti per i ristoranti, alla produzione di carburanti e ai trasporti). Non mi meraviglierei se, in base a calcoli un pò più sofisticati di quelli dell’autore (ad esempio disaggregando l’effetto per settori e considerando anche la presenza di “ponti”), si scoprisse che le feste fanno bene al Pil.

    • La redazione

      Sì, per questo motivo ho usato indici diversi dal PIL (che comprende anche il pubblico impiego). E in effetti l’effetto sulla produzione industriale di una festa effettiva in più è stranamente positivo negli ultimi decenni. Ma questa correlazione non sembra spiegata dal settore turistico. Ho replicato lo stesso esercizio empirico con serie storiche sull’andamento del turismo in Italia. Una festività effettiva in più si traduce in un aumento delle notti spese in albergo, ma l’aumento (anche se statisticamente significativo) è piccolo: 1%.

  13. federico zampolli

    Vorrei tranquillizzare tutti coloro che ritengono “la questione del 17 marzo” una pura discussione di costi. Nei fatti il datore di lavoro più ITALIANO di tutti (ovvero la P.A.) ha eliminato la festività soppressa del 4 novembre (ovvero le famose 4 festività soppresse passano da 4 a 3) cosicchè il totale delle ferie annuali non subirà variazioni, e con esso non dovrebbe subire variazioni neanche il totale dei costi dovuti alle feste effettive. Rimane il vero problema: nessuno “sente” questa festa; per i politici la questione è solo strumentale alla propria parte (sia da una parte che dall’altra); per i cittadini e gli elettori è solo un occasione per fare un ghiotto ponte, primavera e bel tempo permettendo. L’unica vera “festa” ce la stanno facendo giorno dopo giorno e, quando andiamo all’estero, tentiamo di dire che siamo svizzeri ticinesi (e chi conosce il ticino capisce la nostra disperazione), perchè c’è tanto da vergognarsi.

  14. Confucius

    A proposito dell’effetto "ponte" provocato dalla festività che cade di giovedì, ricordo che il "ponte" verrebbe costruito mediante un giorno di ferie comunque "perduto" ai fini produttivi, visto che le ferie sono comunque previste dai contratti di lavoro ed il cui numero non dipende dalle festività eventualmente aggiunte nel corso dell’anno. Se poi incrementare la produzione è così importante ed il concetto di Patria così poco sentito, perchè non eliminare anche la festività del 25 aprile e del 2 giugno? E, visto che i cattolici praticanti sono ormai una minoranza in Italia, perchè non eliminare anche le festività religiose (Pasqua e Lunedì dell’Angelo [che cade sempre in giornata lavorativa], Natale, Ferragosto [questo si connesso a ponti bi- o tri-settimanali!], il Patrono locale). In fin dei conti i Musulmani festeggiano il Ramadan in privato, così come i Buddhisti la festività della nascita di Buddha.

  15. matteo

    Questa storia della festività che danneggerebbe il pil è una ridicola manfrina che non tiene conto
    a) che quest’anno molti ponti saltano perchè svariate festività cadono di domenica
    b) il problema dell’industria italiana non è produrre di più ma riuscire a vendere ciò che si produce
    Per la cronaca nella Pa dove lavoro se una festa cade di domenica non è previsto alcun indennizzo ai dipendenti, semplicemente ci guadagna l’amministrazione perchè con la medesima paga ottiene più giornate lavorative.

  16. Maurizio

    Il testo del decreto legge prevede la soppressione di una ex-festività. Gli imprenditori non retribuiranno alcun giorno festivo in più, come se i lavoratori dipendenti fossero costretti a prendere ferie quel giorno.

    • La redazione

      E’ vero: il decreto annulla gli effetti economici del 4 novembre. Ma il punto dell’esercizio empirico contenuto nel mio pezzo è un altro. Quando si sta a casa per una festività, o quando l’effetto di una festività viene annullato perché capita di sabato o domenica, c’è sempre un costo opportunità, indipendentemente da cosa si decide di fare delle altre festività (e infatti alcune associazioni imprenditoriali hanno ribadito che il 17 marzo sarebbe stato meglio lavorare anche con la soluzione economica individuata dal decreto, per via della crisi internazionale che attanaglia il sistema delle imprese). Le stime contenute nel mio pezzo sembrano indicare che questo costo opportunità è molto basso, perché le imprese riescono comunque ad aggiustare i propri ritmi lavorativi a fronte di variazione marginali nelle feste effettive. Quindi, il punto centrale è che il dibattito che ci ha accompagnato all’istituzione del 17 marzo 2011 si è concentrato su costi attesi che in verità sono più bassi di quelli che sono stati paventati, senza spendere una parola su come massimizzare i benefici di una ricorrenza del genere.
      Infine, una nota al margine: il decreto deve essere convertito. E la mancata conversione dopo il 17 marzo ci lascerebbe con la festa (avvenuta) e farebbe sparire la norma sul 4 novembre. Ma, ripeto, questo è un aspetto secondario: qualsiasi cosa avverrà rispetto al 4 novembre, il punto del pezzo sull’analisi costi-benefici dell’istituzione del 17 marzo e sui limiti delle polemiche che hanno segnato questa decisione resta.

  17. bob

    Perchè qualcuno non mette l’occhio sui dati palesemente mistificati, soprattutto della nostra fama di Paese esportatore, in cui la metà delle fatture farlocche serve solo per farsi rimborsare l’ IVA? Andate ad aprire il menu vini in un ristorante di Londra e vedete chi siamo. Nulla, solo furbaschi impostori!

  18. Bruno Ferrari

    Forse è giusto rispondere con dei dati. Ma anch’io sono meravigliato di come persone serie possano interessarsi di quanto una festa (civile!!) possa incidere o meno sulla produzione. Mi sembra davvero una dimostrazione penosa della cortissima visione da pizzicagnolo che domina imprenditori ed economisti. Non c’è da meravigliarsi se, con questa visione delle cose e della società, l’Italia si è avviata da tempo verso il sottosviluppo.

  19. Francesco Burco

    Le banche ci guadagnano (e le imprese ci perdono). Perchè nel giorno di festa i soldi non girano, non si addebitano e non si accreditano. Rimangono nella saccoccia delle banche. Fra l’altro non va sprecata nemmeno la produzione!

  20. diana

    Vorrei far notare che diverse aziende private, quando la festa non era ancora stata fissata, hanno deciso per la chiusura obbligatoria non solo del 17 ma anche per il 18 marzo. Far utilizzare le ferie residue 2010 è abbastanza importante!

  21. alias

    Una ventina d’anni fa fu elargita una giornata di festa nazionale, per motivi di squisita propaganda politico-elettorale, dall’allora presidente della repubblica del paese dove risiedevo e lavoravo. Si chiamava (si chiama) Robert Gabriel Mugabe. Il paese era lo Zimbabwe.

  22. Berardo

    Hanno istituito una festività che durerà un solo anno e solo per il 2011 le aziende non pagheranno una festività abolita (il 4 novembre), in pratica ci costringono alle ferie! La scusa è quanto costerebbe alle aziende pagare un giorno in più di festività abolita in un momento di crisi mondiale, questo argomento non regge!! Quanto è costata ai lavoratori questa crisi? Quanto è costata agli Ad delle aziende, a chi incassa i dividendi, ai banchieri ed agli speculatori? Pagassero loro almeno questo giorno di festa… Perché il cetriolo sempre a noi?

  23. engineering

    Ringrazio l’Autore e riprendo il tema ricordato da altri aggiungendo una considerazione sull’informazione demagogica che è stata data in altri canali, compresi quelli attivati dai datori di lavoro. Il DL in oggetto, perché prevede la "sostituzione" della festa del 4 novembre con quella del 17 marzo, si è tradotta, come da comunicazione ufficiale ricevuta dalla mia azienda, con una limitazione per i lavoratori dipendenti che fino all’istituzione della festa avevano la possibilità di scegliere se farsi pagare la festività del 4 novembre (lavorando) o fruirne in un giorno a scelta (concordato con il datore), adesso invece si trovano a fruire di un giorno di festa che sottraendone un’altro, esclude la prima possibilità (oltre che a vincolare la scelta del giorno). Tecnicamente osservo che questa impostazione produce non solo un’assenza di maggiori oneri (come erroneamente e presumo demagogicamente descritto nel DL "senza peraltro che ne derivino nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e a carico delle imprese private") ma un risparmio sia per le imprese private che per la Pubblica Amministrazione.

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