Lavoce.info

LA PIÙ FINALE DELLE CONSIDERAZIONI

In un paese in cui la classe dirigente ha scarsissima cultura economica e le statistiche non sono considerate un bene pubblico, le Considerazioni finali del Governatore di Banca d’Italia sono molto importanti. Le sei stilate da Mario Draghi non mostrano alcuna accondiscendenza verso il potere politico. Molte delle sue raccomandazioni non sono state ascoltate, ma hanno tolto copertura alla difesa dello status quo. Chi lo sostituirà in Banca d’Italia deve essere altrettanto indipendente: per questo non può venire dalle fila dell’esecutivo. Un post scriptum a commento di una proposta di Eugenio Scalfari.

Ognuna delle sei Considerazioni finali del Governatore Mario Draghi contiene un forte richiamo alla politica.

I SEI MONITI DI DRAGHI

Nel 2006, prendendo in mano un’istituzione in grave crisi di identità dopo il regno interminabile di Antonio Fazio, non esitava ad attaccare chi cercava facili capri espiatori nel tasso di cambio e nella Cina, per giustificare la deludente performance economica del nostro paese.
Nel 2007 se la prendeva con le “commistioni tra politica e banche”, che non possono essere tollerate in “un sistema finanziario moderno”.
Nel 2008 la sua critica era indirizzata contro l’incapacità dei governi di riformare e tenere sotto controllo una spesa corrente che spesso “premia l’inefficienza”.
Nel 2009, nel pieno della recessione, richiamava l’esecutivo a non abbandonare l’agenda delle liberalizzazioni, sottolineando come potevano generare un dividendo in termini di crescita senza gravare sui conti pubblici.
Nel 2010 puntava il dito sulla questione generazionale, sui “giovani: le vere vittime di questa crisi” chiedendo con forza di “riformare il mercato del lavoro”.
Ieri, nella più finale delle sue Considerazioni, se l’è presa con i tagli uniformi alla spesa pubblica, che possono ulteriormente indebolire la crescita. Ha sottolineato come il declino economico è presente sia al Nord che al Sud del paese smontando un argomento, la palla al piede meridionale, con cui Giulio Tremonti ha cercato di giustificare lo zero assoluto registrato negli ultimi dodici anni nel tasso di crescita dell’economia italiana. E parlando come presidente in pectore della Bce ha sottolineato come l’istituzione che presto verrà chiamato a gestire non dovrà mai abbassare la guardia nel tenere bassa l’inflazione, non cedendo alle pressioni di governi e banchieri.
Seppur molte di queste raccomandazioni non siano state ascoltate, come riconosciuto dallo stesso Draghi, non sono mai state prediche inutili. Hanno dato voce a istanze trascurate dal dibattito pubblico, allungandone gli orizzonti, hanno tolto copertura a posizioni di difesa dello status quo, facendo sì che il declino economico del nostro paese non venisse del tutto ignorato. Non è poco perché un paese entra davvero in una fase di declino inarrestabile quando vi scivola dentro senza neanche accorgersene. E in assenza della sponda offerta da Banca d’Italia a chi in tutti questi anni denunciava i problemi strutturali del paese, non ci sarebbero stati freni alle miopie della classe politica che in Italia ha una bassissima cultura economica e mostra continuamente di ignorare o, peggio, svilire le statistiche.

LE SFIDE ALLA BCE

Mario Draghi dovrà ora mostrare la stessa mancanza di accondiscendenza nei confronti del potere politico alla guida della Bce. Avrà più poteri, ma anche sfide molto, molto più impegnative di quelle da lui affrontate sin qui. La Banca centrale europea ha dovuto farsi carico delle indecisioni della politica, imbottendosi di titoli di Stato di paesi periferici di fronte alla crisi del debito pubblico, in attesa di interventi coordinati dei governi a livello europeo. La Bce ha fornito liquidità al sistema finanziario europeo impedendone il collasso, ma non ha gli strumenti per gestire la probabile crisi di insolvenza di quelle banche che oggi sono maggiormente esposte nei titoli di stato dei paesi periferici e che subirebbero i contraccolpi di una ristrutturazione del debito sovrano. Per questo Draghi dovrà sin da subito richiamare chi ha in mano le leve della politica fiscale ad agire, evitando di continuare a procrastinare scelte ineludibili che divengono col tempo sempre più onerose. L’aver guidato per anni il Financial Stability Board lo rende la persona giusta al posto giusto. Gli permetterà di essere ascoltato non solo presso il club ristretto dei banchieri centrali, del Fondo monetario internazionale e delle altre organizzazioni internazionali, ma anche tra i politici di paesi che hanno margini più ampi per azionare la leva fiscale, per finanziare e rendere operativi strumenti come il meccanismo europeo di stabilità. E a questi politici potrà parlare senza timidezza alcuna.

LE QUALITÀ DEL SUCCESSORE

L’investitura di Draghi a presidente in pectore della Bce è stata una buona notizia per l’Europa, prima ancora che per l’Italia. Da noi, in realtà, lascerà un vuoto non facilmente colmabile. La crisi in corso impone che il nuovo governatore venga nominato in tempi brevi. Ci sono validi candidati e già molti hanno sottolineato quale debba essere il profilo di competenze del nuovo governatore. Vorrei solo aggiungere un requisito che ritengo di gran lunga il più importante: il nuovo governatore non può venire direttamente dalle fila dell’esecutivo. Abbiamo già un presidente della Consob, nominato mentre era sottosegretario, che ci ha dimostrato fin dai suoi primi atti come scelte di questo tipo non garantiscano l’indipendenza degli organismi che sono chiamati a gestire. Il Tesoro è attivo nel settore del credito con Poste Italiane, la Cassa Depositi e Prestiti, la Banca del Sud e la supervisione delle fondazioni bancarie, dunque è in parte sotto la vigilanza della Banca d’Italia. Inoltre, chi lavora per l’esecutivo in qualche modo finisce per essere accondiscendente verso le sue scelte, qualche volta dimenticando i dettami della sua disciplina, talvolta andando contro il buon senso. Proprio per questo i tecnici del Tesoro non dovrebbero neanche avere l’ambizione di sedere a un posto da cui bisogna indicare la strada da percorrere,  Non sarebbero certo in condizione di fare “prediche inutili” alla classe politica, dopo il silenzio utilissimo a chi aveva in mano le leve della politica economica su misure come la Robin tax o l’invio dei prefetti nelle banche. Bene che questi tecnici, prima di ambire a sedere al posto di Mario Draghi, si facciano almeno un turno in panchina.

PS. In un editoriale del 2 giugno Eugenio Scalfari, contribuendo al dibattito sulle caratteristiche di indipendenza del futuro Governatore della Banca d’Italia, ha anch’egli sottolineato l’importanza che la persona che ricoprirà quel ruolo non abbia legami diretti con la politica e con il Tesoro in particolare. Egli è stato anche più chiaro, chiedendo che per queste ragioni venga esplicitamente escluso dal novero dei candidati il direttore generale del Tesoro. Niente da obiettare. Ma propone come possibile candidato -da includere accanto al corrente direttore generale della Banca d’Italia, al suo vice e a Lorenzo Bini Smaghi- anche il nome di Pierluigi Ciocca, già vice direttore della Banca d’Italia nel direttorio di Antonio Fazio. Sebbene non si abbia niente da ridire sulle capacità intellettuali e professionali di Ciocca, esiste un problema di opportunità: Ciocca è in parte corresponsabile della gestione Fazio della Banca d’Italia non foss’altro che per aver taciuto sulla politica dell’allora Governatore. Quell’epoca è desiderabile chiuderla definitivamente.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  L'ultimo tesoretto*
Leggi anche:  Reagire all'inflazione: un'indagine sulle imprese del made in Italy

Precedente

PROMEMORIA PER NUOVI SINDACI

Successivo

OBAMA, BERLUSCONI E IL FANTASMA DI HAMILTON

13 commenti

  1. Giorgio A.

    Invece i banchieri d’affari di Goldman Sachs andavano benissimo per la Banca d’Italia? Insomma, se si lavora per il Governo si è "ineleggibili", se invece si lavora per una multinazionale della finanza che ha contribuito al dissesto di nazioni intere e alla crisi attuale (oltre che al "sacco d’Italia" delle privatizzazioni degli anni Novanta), allora tutto bene?

  2. Stefano Scarabelli

    Mi sembra di ricordare che Mario Draghi sia stato direttore generale del Tesoro, come Vittorio Grilli, che viene velatamente citato nell’ultima parte dell’articolo. Mentre Antonio Fazio e Cesare Geronzi sono invece fulgidi esempi della scuola Bankitalia. Infine: un conto è fare le prediche, un altro è mettere in pratica i principi; e fare il ministro dell’Economia in Italia è uno dei ruoli più scomodi del pianeta, come ha potuto constatare pure un ex banchiere centrale come Padoa-Schioppa. E non si parli di tagli selettivi: l’emblema di questo paese è l’attore Scamarcio che protesta in piazza contro la manovra, in collegamento con Annozero. Invece di continuare ad attaccarlo, cercate di sostenere la battaglia del ministro Tremonti per il contenimento della spesa pubblica: se dopo Grecia, Portogallo e Irlanda, cade l’Italia (insieme alla Spagna), non è solo la fine dello (scriteriato) progetto dell’Euro, ma è possibile che in Europa sia in pericolo la democrazia. Cordiali saluti

  3. AM

    Ritengo che sia importante la scelta dell’uomo giusto per questa carica senza guardare la provenienza. Chi conosce Banca d’Italia sa bene che vi sono non poche persone in grado di coprire dignitosamente la carica di governatore. Tuttavia la presenza di un Direttore generale capace non preclude anche scelte esterne purchè non ispirate dalla politica (sia berlusconiani che oppositori). Sono d’accordo poi sul fatto che occorre prudenza verso personaggi legati all’estroso, ma non sempre affidabile, mondo dei geniali mercenari della finanza internazionale.

  4. enzo

    I tagli unilaterali: perfettamente vero. Vale la pena ricordare il richiamo del presidente Napolitano di qualche tempo fa nella stessa direzione. Ma è bene tenere presente che se alcuni settori ritenuti giustamente strategici non devono essere sottoposti a tagli, altri settori, per raggiungere l’obiettivo del contenimento del deficit, devono subire tagli maggiori per lasciare inalterata la somma algebrica. A questo punto cosa succede? Ogni ministro vittima delle virtuosa economia comincerà a strepitare, per non parlare delle categorie coinvolte. Le grandi imprese. Vero. Mancano in Italia è non è detto che piccolo sia sempre bello. Allora? Solo colpa degli imprenditori? In Italia vige una legislazione differenziata fra pmi ed altre imprese. Cosa fare per il futuro? Lasciare queste differenze? Non è che ha ragione Marchionne? Nessun investimento straniero perché? Anche gli imprenditori stranieri acquisiscono i difetti degli italiani oppure è "l’ambiente" Italia a non essere interessante per gli investimenti? La scuola. Giustamente Draghi lo considera un settore strategico da non sottoporre a tagli ma dice anche che è inefficiente a parità di spesa. Allora?

  5. alessandro di napoli

    La BCE ha sostituito le decisioni politiche riempendosi di bond a rischio. Bene, la BCE, però, gli euro da prestare li ha stampati. Non li deteneva prima e quindi non si è privata di una ricchezza a favore di altri. O sbaglio? saluti

  6. Jorge

    Le ultime Considerazoni di Draghi contengono anche due importanti riconoscimenti all’azione del governo, forse non così frequenti in passato: risultati significativi nella lotta all’evasione ed il controllo efficace dei conti pubblici. Sulla ormai costante critica ai famigerati "tagli lineari", mi piacerebbe che ogni volta si precisasse dove e come si doveva tagliare di più: ridurre pensioni (a chi esattamente?), tagliare dipendenti o stipendi pubblici (quali?)… E’ vero poi che la crescita italiana degli ultimi 10-15 anni è stata bassissima sia al Nord che al Sud, ma ciò non significa che le cause della mancata crescita siano le stesse. A mio avviso, è ben difficile crescere se si deve sostenere un deflusso annuo di risorse pari a decine di miliardi di euro (cinquanta, secondo Ricolfi), non più disponibili per poter competere in termini di istruzione, servizi, infrastrutture e ricerca con le altre aree industrialmente avanzate del mondo.

  7. Giovanni

    Più del Governatore mi preoccuperei del Ministro dell’Economia. In una situazione attuale, dove si verificano allo stesso tempo globalizzazione, politica monetaria restrittiva, regolamentazione dei mercati a livello internazionale dopo un periodo post comunista, mi chiedo come sia possibile trovare un tecnico che abbia una visione macroeconomica coerente ed abbia alle spalle la forza politica per applicarla. I cambiamenti imposti dalle autorità economiche alle classi governanti hanno una forza senza precedenti, specialmente in Italia. Già non erano abituate al mercato, figuriamoci oggi.

  8. Francesco Burco

    A me sembra che le sue parole lasciano trasparire l’ineluttabilità della sconfitta, la malinconia di chi è un marziano nella terra del mandolino. E’ la stessa sensazione che si ha leggendo molti scritti di Ennio Flaiano. Apre con un panegirico sul civil servant, e la punta di malinconia vira decisa verso la tristezza quando ricorda TPS. Per tutto l’inizio della Relazione sottolinea che l’indipendenza è il bene massimo, ma Draghi sa che dopo la riforma Tremonti del 2005, il caso fortuito di incidenze astrali che lo ha portato al soglio goveratoriale non si ripeterà più e presto o tardi toccherà al servant, senza civil, di turno. Vabbè, che nessun governo riuscirà mai lontanamente ad avvicinarsi a fare neanche l’ombra che anche la massaia capirebbe andrebbe fatto è evidente. Già è tanto se questo governo (per recuperare credibilità elettorale) non ci spedisce nel baratro dei maiali. Di solito in questi casi arriva sempre provvido il governo tecnico. Chissà? Intanto beato lui che come un giovane neolaureato di belle esperanze fugge all’estero!

  9. BOLLI PASQUALE

    La classe dirigente del nostro paese ed in particolare quella politica ha scarsissima cultura economica e grande attitudine al servilismo. Queste due caratteristiche sono state le cause che ci hanno portato in una palude da cui uscirne sarà molto difficile: l’immobilità, il tirare a campare ed il pensare più al proprio orto che al bene della gente sono da imputare a chi da tempo per nostra stessa irresponsabilità governa l’Italia. Il Governatore di Banca d’Italia ha sempre raccomandato, ha sempre cercato di sollecitare con le sue Considerazioni, ma la sua voce è rimasta inascoltata. Il risultato è sotto i nostri occhi che forse non hanno più lacrime per piangere: le nostre finanze sono ampiamente dissestate perchè abbiamo un debito spaventoso, non si producono risorse e non si affrontano le riforme strutturali. Siamo in un vicolo cieco senza uscita e c’è chi ancora accusa la severa politica del contenimento della spesa per solo populismo e tanto per parlare. Si vuole supportare la ripresa dell’economia con l’incremento del nostro indebitamento, ma che fine faremo? Non siamo molto distanti dalla Grecia? E’ mai possibile che in questi anni nessuno ha avuto la dignità di opporsi e parlare?

  10. paolo lencioni

    Personalmente ho sempre avuto una certa idiosincrasia per quelli che cominciano i loro discorsi con "bisogna fare" questo o quello; ho invece ammirazione per le persone che "fanno". Magari non tutte le decisioni che prendono sono giuste…un mio gran capo usava dire: dobbiamo prendere una decisione al giorno, non tutte saranno corrette al 100%, alcune saranno errate, ma se le decisioni giuste superano il 70% del totale, l’azienda va avanti e guadagna. Riempire di demagogia le esternazioni è la cosa più facile di questo mondo, gestire un’azienda è più difficile, gestire l’azienda Italia (dove la politica è fortemente condizionata da lobbies, enti mangiasoldi, caste, associazioni, categorie,etc e dove le mafie sono l’alternativa allo Stato) è improbo per chiunque, a maggior ragione per quelli che, da un qualsiasi pulpito, sono solo capaci a criticare.

  11. BOLLI PASQUALE

    Chi sono gli uomini di Stato? Quali requisiti devono avere? Gli uomini di Stato sono,oggi,una specie in estinzione perché: dignitosi,con schiena dritta,competenti e silenziosi.Nella nostra società questi uomini sono una rarità perchè ad essi si preferiscono i servitori dei potenti di turno, che tacciono e modellano la propria schiena secondo necessità di percorso. Il vero uomo di Stato non banchetta a cene o pranzi con il potente da ringraziarsi. E’ un solitario che decide nel silenzio delle sue stanze con la sola presenza della sua coscienza libera da condizionamenti, ma responsabile nei confronti della comunità.Per un uomo di Stato,ovunque inserito, non si dovrà mai dire, come nei nostri giorni, di essere vicino o di avere sinpatia per chi dovrà, poi, criticare o, peggio ancora giudicare. Il Governatore Draghi è l’esempio dell’uomo di Stato. Non è corretto ripetere che dire è più facile che fare. I compiti istituzionali del Governatore non sono quelli di fare ma di evidenziare e suggerire secondo i concetti di economia e finanza. Il Governo deve fare, ma, da anni, non fa. Gli uomini giusti restano nella memoria, i servi, però, appaiono e scompaiono come l’arcobaleno di un afoso giorno d’estate.

  12. piero r

    In relazione alle candidature da prendere in considerazione per la successione all’attuale Governatore, eviterei di fare nomi (sia per proporre, sia per dissuadere: mi sembra inelegante e anche contro-producente … ). Sottolinerei invece il requisito dell’indipendenza, in primis intellettuale, e della competenza, testimoniata dal track record professionale. Con stima.

  13. andrea celati

    L’indipendenza della Banca d’Italia ebbe una tradizione di competenza ed autorevolezza indscusse. Quasi sempre inascoltata dalla classe politica, priva di volontà/capacità strategica.Confermo gap culturale in economia/statistica esteso alla maggioranza della classe di laureati di ogni disciplina. La distruzione del principio di selezione meritocratica estesa a tutto il settore produttivo, formazione compresa, a mio parere, è ancora sottovalutata.
    Non so immaginare una soluzione di breve periodo. Ho molto sconforto per questo.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén