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QUANDO A MILANO C’ERANO I FURBETTI DELLA MONNEZZA

Negli anni Novanta il capoluogo lombardo rischiò il collasso-spazzatura. Ma con uno spregiudicato artificio burocratico i rifiuti “urbani” si trasformarono in rifiuti “speciali” e furono smaltiti fuori dalla Lombardia, in impianti localizzati in varie regioni italiane. I trucchi che si possono fare con l’immondizia sono degni di Totò e Peppino e possono diventare ottimi affari. Forse anche i californiani li conoscono bene.

 

Se fior di tecnici che stimo e rispetto non sono riusciti a venire a capo della catastrofe della munnezza napoletana, non sono certo così pazzo da pensare di risolverla dal comodo salotto di casa (dove peraltro stazionano ben cinque pattumiere separate per la raccolta differenziata). Non intendo neppure pronunciare la parola “inceneritore”, onde evitare che la mia casella mail venga bombardata di spam dai grillini di tutta Italia e il sito de lavoce.info venga sommerso dagli strepiti di indignados e anime belle.
Forse, però, prima che qualcuno pensi di indire un referendum anche per la monnezza, una ripassatina alla storia recente farebbe bene a quanti – politici, esperti (veri e fai-da-te), semplici cittadini – stanno in questi giorni assistendo all’ennesima puntata della tragicommedia partenopea.

SMALTIMENTO DI RITO AMBROSIANO

Qualcuno ricorda ancora, per esempio, che negli anni Novanta una crisi simile a quella napoletana fu vissuta da Milano. La leggenda dice che, con un soprassalto di meneghina efficienza, la “capitale morale” si rimboccò le maniche, e in poco tempo mise all’opera un sistema integrato basato sulla raccolta differenziata e il riciclo, ricorrendo – solo per lo stretto tempo necessario – alla solidarietà delle regioni amiche. Ma non andò proprio come ce la raccontano.
Il comune di Milano per gestire il rifiuto realizzò un impianto di selezione, compostaggio e produzione di cdr (combustibile derivato da rifiuti) – più o meno come quelli che sono stati realizzati a Napoli, e non hanno funzionato perché non sono stati in grado di ottenere un compost e un cdr davvero riutilizzabili. Nemmeno Milano ci riuscì, peraltro. Del compost e del cdr che uscirono dall’impianto realizzato sull’area ex-Maserati non fu mai recuperato nemmeno un grammo. Quel compost e quel cdr invenduti, ormai diventati “rifiuti speciali”, potevano però essere legalmente smaltiti in impianti autorizzati collocati ovunque, e presero la strada del Friuli, della Puglia, della Campania, dovunque ci fossero discariche autorizzate per rifiuti industriali.
Anche sul destino del 30 per cento raccolto con la differenziata non metterei la mano sul fuoco: chiunque operi nel settore di rifiuti sa che dei materiali raccolti in modo differenziato si recupera una frazione tanto più grande quanto più il materiale è conferito in modo ordinato e pulito, mentre la frazione di scarti è tanto più alta quanto più la raccolta viene improvvisata (e Milano la improvvisò in poche settimane). Anche quegli scarti, tuttavia, sono rifiuti speciali, che potranno essere smaltiti presso qualunque operatore autorizzato, e dunque non rientrano più nella contabilità della gestione del rifiuto urbano, la quale si esaurisce nel momento della cessione al soggetto che dichiara di avviarli al recupero.

RIFIUTI URBANI E SPECIALI

Il meccanismo era perfettamente legale nella forma, anche se ben lontano dallo spirito del cosiddetto “principio di prossimità e autosufficienza”, in base al quale i rifiuti urbani devono essere trattati nel territorio che li ha prodotti: i rifiuti urbani, appunto (circa 32 milioni di tonnellate, in Italia). Per quelli speciali (107 milioni di tonnellate), ossia i rifiuti prodotti dalle attività commerciali e industriali, vale l’obbligo di affidarli ad operatori autorizzati, ma non il principio di prossimità; se si tratta di materiali almeno teoricamente destinati al recupero, è del tutto lecito smaltire in Calabria o in Danimarca un rifiuto speciale prodotto da un’azienda veneta o marchigiana.
In sé e per sé, niente di male, se non fosse che Milano prima, ma ancor oggi moltissimi operatori del Centro e del Nord, un po’ per necessità, un po’ per convenienza, hanno fatto largo ricorso alla pratica di realizzare impianti di cosiddetto “riciclaggio”, che in realtà non riciclano un bel nulla, ma trasformano i rifiuti urbani in una merce teoricamente destinabile alla vendita, che poi però non vuole nessuno. Se un produttore di mozzarelle non riesce a vendere il suo prodotto prima della data di scadenza, questo diventa un rifiuto speciale da smaltire. E il cdr e il compost milanesi, come tante mozzarelle scadute, presero a girare per l’Italia come rifiuto speciale, eludendo il vincolo territoriale. Un trucco degno di Totò e Peppino, che per una volta sono stati i milanesi a insegnare ai napoletani.

SPAZZATURA CHE PUZZA UN PO’ MA RENDE BENE

Ma poi si può raffinare ulteriormente il gioco. Prendiamo il compost (da rifiuti indifferenziati): è di qualità così bassa che nessuno lo vuole. Ma supponiamo che, invece di collocarlo in discarica come dovrebbe, il suo detentore stipuli un accordo con aziende agricole compiacenti; anzi, supponiamo che se le comperi proprio (al Sud, ma anche al Nord, sono molti i terreni agricoli in via di abbandono, in vendita per un tozzo di pane). Li compera, finge di coltivarli, e dunque li concima col suo compost di bassissima qualità, e incassa pure i contributi europei. E già che c’è, perché fermarsi? In quel compost potrebbe mescolare qualche po’ di altri rifiuti, magari di notte, dopo che un tecnico ha certificato che di compost si tratta. Lo stesso si può fare con molte altre “materie seconde” recuperate nel ciclo dell’edilizia, nelle massicciate, nelle barriere antirumore, per citarne solo alcune. Forme di recupero lecite e meritevoli, si intende: finché qualche manina discola non interviene a mischiare le carte.
Mi fanno sinceramente sorridere le prese di posizione degli amministratori del Nord che oggi strepitano indignati dicendo di “essersi stufati” di venire in soccorso dei napoletani. Ai quali il giochetto (di trasformare gli urbani in speciali) non può riuscire, anche perché nel frattempo tutte le discariche d’Italia sono state riempite di rifiuti (milanesi e più in generale del Nord). Quindici anni fa, una discarica in Lombardia costava già 150 euro per tonnellata o più, e al Sud 10 o 20 volte meno. Ora la pacchia è finita, e anche al Sud la discarica è divenuta merce rara.
Il Nord non è senza peccato, insomma, e farebbe bene a non dimenticare dove i suoi rifiuti sono veramente andati a finire per almeno dieci anni, e in parte continuano tuttora. Vero è che il tempo guadagnato con il giochino servì a Milano per pianificare e realizzare con calma gli impianti di cui oggi può ben andare fiera, e che – oggi sì – possono permetterle di affermare a testa alta di aver risolto i problemi chiudendo la filiera: riciclando, recuperando, bruciando per produrre energia, se non azzerando riducendo in modo sostanziale la dipendenza dalle discariche.
Per realizzare quegli impianti e mandare a regime le soluzioni che caratterizzano un moderno sistema integrato di gestione ci vollero molti anni. Non bastano sei mesi, e solo un ciarlatano poteva pensare che a Napoli ci si potesse arrivare per la scorciatoia del commissariamento e degli impianti presidiati dall’esercito, senza pensare a dove metterli nel frattempo. Già detto, già scritto troppe volte su queste colonne, già verificato sulla pelle dei cittadini. Cos’altro resta da aggiungere?
Ma a Napoli, forse, si prenderà un’altra strada. Pare che ad istruire la nuova giunta su cosa fare sia venuto un guru da San Francisco: quella città che sta facendo credere al mondo intero che i suoi rifiuti vengono riciclati al 75 per cento. Ora, sarebbe interessante che ci si raccontasse cosa accade veramente a quel 75 per cento “riciclato”. Esso viene raccolto con una differenziata multimateriale (ossia: tutti gli imballaggi e i materiali riciclabili vengono messi in un unico contenitore) che avvia il raccolto a un impianto di selezione dove il tutto viene separato, un po’ meccanicamente, un po’ a mano. Quel che ne risulta sono materiali teoricamente riciclabili, per cui anche in America escono dalla contabilità del rifiuto. Ma mi ha detto un uccellino che buona parte di quelle “materie seconde” un mercato lo trova sì, ma in estremo Oriente. Totò e Peppino, dalla tomba, sorridono …

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32 commenti

  1. armando

    Il mio commento è che la carissima Tarsu che pago a Milano è peggio di un furto. E’ taglieggiamento.

  2. Stefano Folli

    Sarebbe interessante se la voce dell’uccellino diventasse un serio e dettagliato resoconto di cosa succede ai rifiuti di San Francisco dopo la raccolta. Altrimenti restiamo solo ai “si dice” che alimentano solo polemiche non fondate.

  3. AlbertoS

    Ma i cinque bidoncini le stazionano proprio in salotto!? Anche io sono molto curioso di sapere come fanno a San Francisco, città che adoro. Bell’articolo.

    • La redazione

      Non proprio in salotto, in cucina (ma ho una cucina open space)

  4. Andrea Zatti

    Se, come penso, smaltire il rifiuto speciale costa di più rispetto a quello urbano, allora il meccanismo dello smaltimento oltre regione non mi pare sia negativo. Mi è fin troppo noto che anche l’autore dell’articolo non è un particolare fan del principio di prossimità e quindi penso sia d’accordo. Si potrebbe ulteriormente intervenire (e alcune regioni già lo fanno) alzando la tassa sullo smaltimento in discarica per tributi provenienti da fuori. Così facendo, chi non provvede al proprio interno versa risorse ad altre regioni e l’incentivo economico opera nella giusta maniera. Semmai, il vero problema, che differenzia le due realtà descritte, è che l’Ambros e Luis degli anni ’90 (i cittadini milanesi) penso abbiano pagato per i rifiuti smaltiti un pò ovunque (e ciò ha creato un incentivo a realizzare un sistema autonomo efficiente e funzionale) mentre temo che Totò e Peppino continuino ad addossare i costi sul Pantalone nazionale. La differenza non mi pare da poco…

    • La redazione

      Sono perfettamente d’accordo con le tue osservazioni, con una precisazione. Smaltire il rifiuto speciale non costa necessariamente di più (se consideriamo le tariffe "al cancello" dell’impianto): anzi costa di meno se paragonato al costo dello smaltimento "locale" in aree congestionate, anche considerando il trasporto. La norma che consente la movimentazione solo ai rifiuti urbani "valorizzabili" e non allo smaltimento aveva una motivazione, quella di evitare il dumping ambientale in un’Europa dove comunque ci sono ancora forti squilibri nella capacità di smaltimento tra le varie aree: con il rischio che quelle più congestionate (in genere le più ricche) colonizzino la capacità di smaltimento di quelle non ancora congestionate (in genere, meno ricche e sviluppate), sottraendo loro un pezzo del loro futuro. Ma si potrebbe ottenere lo stesso risultato con una buona tassazione ambientale tale da penalizzare il trasporto a distanza. Anche perché la divisione del mercato tra urbani e speciali come la conosciamo è ormai un confine sforacchiato da tutte le parti, che non ha più molto senso. Ma in Italia si fa il contrario. In termini di tassa sulla discarica, Toscana ed Emilia incassano oltre 20 milioni di € ciascuna, mentre la Campania incassa la miseria di 200.000 €.

  5. Giuseppe Savarino

    Interessante articolo, che chiarisce in effetti, un sacco di dubbi che avevo in merito. Volevo solo aggiungere che con questo "giochetto" alla fine perdiamo tutti, ma soprattutto perde l’Italia tutta intera. Non sono di Napoli, ma vederla in queste condizioni è mortificante e mi fa vergognare di essere italiano prima, europeo poi. Non mi stupisce per il resto l’atteggiamento del Nord, in realtà della Lega: l’ignoranza non ha limiti e non concepisce solidarietà: prima di essere italiani siamo tutti uomini con diritto di dignità.

  6. checco

    Bello l’articolo. Una sola considerazione; non mi sembra che il problema rifiuti a Napoli sia un fenomeno recente; sono anni che se ne sente parlare. Milano in una situazione analoga, ha "esportato" per anni i propri rifiuti e nel frattempo si è organizzata per smaltirseli in casa. Napoli sta facendo già qualcosa in questo senso o in questa città siamo sempre al punto di partenza? E se è valida la prima ipotesi, a che punto siamo nella gestione del problema?

  7. Alice Tura

    Non metto in dubbio che molti rifiuti del Nord (industriali all’origine o diventati dopo una sommaria lavorazione) siano finiti e continuino a finire al Sud; rilevo però che contro questi rifiuti non insorge nessuno. Penso allora che alla base di tutto ci sia una questione economica: il Nord paga per smaltire i propri rifiuti, mentre al Sud la Tarsu non copre i costi (anche per l’inefficienza delle aziende pubbliche), con il risultato che i rifiuti urbani vengono gestiti male, esasperando i cittadini che abitano vicino agli impianti. E periodicamente occorre un decreto governativo per finanziare gli interventi indifferibili…..

    • La redazione

      Credo che lei veda giusto. Personalmente ritengo che il tabù del "principio di autosufficienza" dovrebbe essere abbandonato, ricorrendo piuttosto a forti penalizzazioni economiche proporzionali alla distanza dello smaltimento (es. una tassa sui trasporti di rifiuti o sulla discarica fuori ambito), destinando il gettito alle comunità locali che ospitano gli impianti. Vuol vedere che passeremmo dalla sindrome Nimby al suo contrario?

  8. giulio

    L’episodio di Milano in preda a spazzatura fu increscioso ma rimane un episodio. Come venne smaltita la spazzatura interessa relativamente: fatto sta che lo smaltimento fu efficace e l’episodio, per quanto disonorevole, ebbe termine. A Napoli il problema ricorre almeno fin dagli anni Ottanta (e forse anche da prima, ma, per l’età che ho, non ne ho reminiscenza). Il napoletano medio rifiuta raccolta differenziata, discariche, inceneritori, ecc. E poi se la prende con il Nord, patria dei cattivi, che non lo vogliono aiutare…

  9. bob

    A Napoli il problema rifiuto ha messo alla luce una nuova e tragica realtà: la politica ha vinto sulla camorra! Nel senso che Napoli gli interessi economici della Politica nazionale ( anche della sua Milano) hanno estromesso finanche la camorra. Napoli è una partita tra clan politici. Non crediamo che il cosidetto "Nord" sia immune da schifezze, basterebbe scavare in certe zone del Veneto per vedere cosa uscirebbe fuori ( oltre quello esportato a Napoli). Pensate per un attimo alle concerie di Vicenza, a Dolo- Marghera, Isola della Scala etc. Per cui Napoli rimane il palcoscenico per la resa dei conti di questa miserabile classe politica, che sta azzerando nel mondo una immagine di questo Paese creata dai ns.padri con tanti immani sacrifici. Questo Paese ha bisogno di gente che torni a parlare di Paese e non di misere beghe localistiche che mettono contro solo la povera gente ingenua!

  10. Vincenzo

    Fu un episodio, quello di Milano, ma come leggerà dal post, all’epoca era più facile reperire una discarica. A Napoli non è che non la vogliono: a Napoli non c’è spazio e in provincia nemmeno, tanto che hanno pensato di aprirla nel Parco del Vesuvio, contro la legge. Differenziata? In vari quartieri arriva al 70, 80 per cento. Si informi. E’ chiaro che se non si ha un sistema di smaltimento hai voglia a mettere ogni cosa nel suo bidoncino colorato. Termovalorizzatori? La Regione vuole costruirne uno a Napoli Est, che non è propriamente una zona poco popolata. Per anni ci hanno declamato percentuali altissime, tipiche del Nord efficiente. Quando poi De Magistris ha dichiarato che non c’era bisogno del termovalorizzatore, ecco (non so se l’ha visto, sabato scorso) un tempestivo editoriale del TG1 che faceva notare che la percentuale di differenziata più alta raggiunta in Italia da un capoluogo è il 40% di Torino. La prova che la differenziata non interessa a chi vuole costruire per forza termovalorizzatori.

    • La redazione

      Non conta cosa si fa in questo o quel quartiere, ma cosa si può fare nel complesso della città. Nel resto d’Europa gli impianti si fanno nelle zone popolate: a Vienna, ad esempio, è in una zona residenziale della città. Ad ogni modo, i napoletani facciano un po’ di conti e sappiano che ancora per stavolta la solidarietà forse riusciranno ad ottenerla, la prossima probabilmente no. Tanti auguri a De Magistris.

  11. luigi del monte

    Io ne ho 5 in cucina (carta, plastica, vetro, organico e indifferenziato) più qualcuno nel box dove differenzio olio cucina, lattine Al e Fe, materiali ceramici, batterie esauste, neon, lampadine, apparecchi domestici, inerti da piccole demolizioni e purtroppo (che non ho) materiale organico da sfalcio perchè non ho il giardino il tutto in un isola ecologica non lontano dal centro in zona artigianale del mio paese. Non abito sulla luna, ma ad una 50ina di km da milano (anzi per l’esattezza 42 ccol treno) in prov di Bergamo.

  12. il fra

    Quindi la soluzione a sto casino è smaltire l’indifferenziato napoletano ovunque in Italia per 5 o 6 anni e nel frattempo a Napoli organizzare la raccolta differenziata in modo da avere meno Rfu da mandare in discarica? Discarica che sarebbe a individuare è così? Domande? Ma il riciclato di S.Francisco in Asia va in discarica o viene riutilizzato? Dov’è la discarica di Milano?

    • La redazione

      Più o meno, ma io ci aggiungerei anche quell’altra cosa che non si può dire altrimenti mi bombardano la mail di spam. Cosa avvenga ai rifiuti di San Francisco in Asia lo lascio immaginare a lei. La "discarica di Milano" non c’è: tutto il rifiuto residuo di Milano viene incenerito, e le ceneri sono un rifiuto speciale che, a seconda dei casi, viene recuperato come inerte o collocato in discarica per speciali.

  13. giulio

    In provincia di Napoli esisterà poco spazio per inceneritori e discariche, ma non è che nelle periferie milanesi o romane ce ne sia di più. Però a Milano, e in altre zone densamente popolate (si pensi alle località liguri) in qualche modo le soluzioni sono state trovate. E se non vi è spazio in provincia, si provveda tramite le province. Insomma, si cerchi di fare qualcosa. Per il Sud e in particolare per Napoli, ho molta difficoltà a credere a percentuali che parlano del 70% di raccolta differenziata…

    • La redazione

      Anche io (non lo credo raggiungibile nemmeno al nord, salvo casi molto particolari)

  14. Vincenzo

    Se in Campania non si fa la differenziata, l’immondizia resta per terra. A Portici (una delle Tarsu più basse in Campania, evidentemente perché rivende il riciclato ai vari consorzi) e vari comuni del Napoletano non ce n’è, a Salerno e provincia nemmeno, continuerei con altri comuni o quartieri.

  15. Gabrin

    Il suo sarcasmo non le fa onore. Per quanto mi riguarda preferisco le anime belle che votano contro il nucleare e la privatizzazione dell’acqua, che chi ci fa i soldi sporchi sopra.

    • La redazione

      Io invece preferisco chi fa soldi puliti facendo ciò che va fatto, detesto i pifferai e compiango coloro che pensano di salvare il mondo andandogli dietro.

  16. Jorge

    Probabilmente nessuno è immune da peccato per avere il diritto di scagliare la prima pietra, ma è un dato di fatto che dopo decenni di finte soluzioni per prendere tempo non si può fare altro che allinearsi a quanto avviene in centinaia di altre città: differenziare al massimo ma puntando a percentuali realistiche, individuare siti per discariche, costruire e accettare inceneritori.

  17. anna

    Lei scrive “solo un ciarlatano poteva pensare che a Napoli ci si potesse arrivare per la scorciatoia del commissariamento e degli impianti presidiati dall’esercito, senza pensare a dove metterli nel frattempo”. Ma dare del ciarlatano a colui il quale ha preferito percorrere la strada più breve significa dare del ciarlatano a tutti coloro i quali si sono recati alle urne per eleggerLo. In un sistema democratico egli rappresenta la volontà dei suoi elettori… forse dovrebbe fare più attenzione nell’uso di determinati termini…

    • La redazione

      Do del ciarlatano a chi vende patacche, e del babbeo a chi le compra. E’ democrazia anche questa, se non le spiace.

  18. Michele De Nicolò

    Confermo, prove alla mano, quanto de Lei scritto a proposito delle migrazioni dei rifiuti del milanese ( diventati compost o speciali) in altre regioni. In data 7/6/1996, nominato perito dal P.M., partecipai ad un sopralluogo, con la G. di Finanza, presso un’azienda agricola di Minervino Murge (BA). I rifiuti ereno stati seppelliti e sversati persino in una "neviera". Riporto testualmente stralcio del verbale: "..si nota una cospicua presenza di sacchetti in polietilene di colore grigio che, lacerati, mostrano di contenere scarti alimentari di provenienza domestica. Su alcuni sacchetti è impressa la dicitura in colore nero – Comune di Veduggio con Colzano-". Questi rifiuti (stimati sul campo in almeno 6.000 mc) vennero spacciati per compost!

  19. Michele F.

    Faccio solo una domanda all’autore: come mai quando a Milano si parla dei problemi della città non stiamo a preoccuparci se a Napoli è meglio o peggio, ma piuttosto di risolvere i problemi della città? come mai invece gli articoli come questo cercano sempre di dimostrare che “tanto è uno schifo dappertutto”? forse perché se fa schifo ovunque non è importante (forse neppure possibile) risovere? perché, sepolti di monnezza, l’importante è sempre e solo tirarne su altre città, meglio se del nord? perché non interrogarsi sulle problematiche e sui perché per risolverle piuttosto? chessò, chiedersi perché un Bassolino ha firmato un contratto senza leggerlo, ma anche far notare che la differenziata a Milano fu possibile perché i cassonetti stanno nei cortili condominiali, sotto la responsabilità del condominio, e non in strada alla portata di tutti. Scriva quello che le pare (magari la prossima volta ci metta anche qualche fonte però, o siamo a livello di calunnia). Resta comunque che quello che a Milano si è fatto a Napoli non si riesce. Con i miei auguri di una pronta soluzione. sig. de Nicolò, altro comune, altra provincia, 5 anni dopo.

    • La redazione

      Non sto dicendo che è uno schifo dappertutto, ma semmai cercando di mettere in guardia contro le false soluzioni. Dall’emergenza si esce (nel breve) con la solidarietà, nel lungo solo con gli impianti. A Milano negli anni 90 c’ero anch’io. Quanto alle fonti, mi dispiace di non potergliele fornire, ma vedrà che nessuno mi denuncerà per calunnia.

  20. Vincenzo

    Chi crede alle parole dei ciarlatani non si chiama ciarlatano, ma credulone. Vorrei inoltre fare un chiarimento sulla topografia napoletana. I cortili esistono a stento nei quartieri moderni (e infatti lì, esempio Colli Aminei, la differenziata arriva a buone percentuali). Al centro i cortili non esistono!

  21. Pietro Baroni

    Condivido appieno l’articolo e voglio sottolineare come la leggenda metropolitana del 75% di riciclo a San Francisco sia una vera e propria bufala. Non solo perché, come da lei riportato, la raccolta dei riciclabili secchi (carta, plastica, vetro e metalli) avviene con un unico cassonetto multimateriale, generando inevitabilmente un alto livello di scarto non riciclabile. Ma soprattutto perché i californiani considerano nel calcolo del 75% anche i rifiuti del settore demolizione e costruzioni, che anche da noi ricicla quasi tutto… In realtà, se consideriamo i rifiuti che in Italia definiamo "urbani", cioè i rifiuti delle famiglie (i "domestici") e quelli delle ditte più simili ai domestici (gli "assimilati"), la percentuale di raccolta differenziata di San Francisco scende al 36%!Direi che, sia come sistema di raccolta, sia come risultati, San Francisco non ha niente da insegnarci, anzi dovrebbero venire loro a imparare da molte realtà del nord Italia.

  22. Gabrin

    Mi dispiace che la vicenda referendaria la abbia talmente riempita di livore. Le sue rassicurazioni circa le meraviglie dei monopoli privati sui servizi di base non convincono, specie nella realtà italiana.

  23. Fulco Ruffo

    All’epoca c’ero anch’io, e concordo in pieno sull’articolo. Vorrei solo aggiungere che l’escamotage normativo comprese la possibilità che i privati entrassero velocemente nel settore dello smaltimento tecnologico (inceneritori o termovalorizzatori che siano), attraverso procedure formalmente rispettose dei criteri di base delle leggi sui servizi in concessione, ma che semplificarono molto le cose facilitando l’iniziativa privata. Questo permise la realizzazione di diversi impianti privati in affiancamento a quelli delle municipalizzate di Brescia e Milano.

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