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IL BUON ESEMPIO DELLA CONCILIAZIONE *

L’Italia è ferma all’ottantesimo posto nella classifica Doing Business, punto di riferimento degli investitori internazionali. Colpa soprattutto dei tempi lunghissimi nel recupero dei crediti per via giudiziale. Per migliorare la competitività del sistema paese e guadagnare posizioni occorrono riforme dagli effetti immediati. Come la conciliazione, che punta a ridurre drasticamente i tempi della giustizia civile, a costo zero per lo Stato. I risultati nei primi tre mesi di mediazione obbligatoria sono molto incoraggianti.

Il nostro paese è inchiodato nella classifica del Doing Business, punto di riferimento degli investitori internazionali, all’ottantesimo posto. Per dare una scossa alla competitività del sistema Italia e guadagnare posizioni occorrono riforme con un impatto immediato e risultati misurabili in sei-dodici mesi. Il rapporto redatto annualmente dalla Banca Mondiale prende in considerazione la media di nove indicatori caratteristici del ciclo di vita di una impresa: dalla facilità nell’aprire un’azienda, all’ottenimento del credito, fino alla rapidità delle procedure fallimentari. Tra i nove indicatori, la posizione di gran lunga peggiore, l’Italia la fa registrare nella classifica che misura il recupero di un credito per via giudiziale (Enforcing Contracts), in cui si attesta al 157° posto. Senza reinventare la ruota e tirare a indovinare, l’analisi dei paesi ai vertici della classifica di ciascun indicatore fornisce utili suggerimenti di best practices, come il ricorso all’Alternative Dispute Resolution. Ovvero il tentativo obbligatorio di conciliazione che l’Italia ha recentemente adottato con il plauso convinto del commissario alla Giustizia della Commissione europea, Viviane Reding.  

UN PAESE DAI TROPPI CONFLITTI

Per comprendere l’importanza della riforma che contribuirà a ridurre drasticamente i tempi della giustizia civile, a costo zero per lo Stato, occorre analizzare qualche dato.
Il confronto con gli altri paesi evidenzia senza tema di smentita che il motivo principale della lentezza della giustizia civile in Italia è l’altissimo numero di cause iscritte a ruolo ogni anno, in un trend sempre crescente: 4,3 milioni nel 2007, 4,6 milioni nel 2008 e 5 milioni nel 2009. Di queste cause, solo il 44 per cento arriva a sentenza. Il resto intasa inutilmente il lavoro dei magistrati, in quanto transatto o abbandonato. Con questa enorme mole di lavoro, la produttività dei nostri magistrati è tra le più alte d’Europa. Ovviamente ampi margini di miglioramento sono sempre possibili grazie, ad esempio, alla digitalizzazione, alla chiusura dei tribunali minori e alle sentenze brevi. Sono però soluzioni che non andrebbero minimamente a intaccare l’altissimo numero di cause che ogni anno approdano in tribunale. L’anomalia, tutta italiana, è generata dalla combinazione letale di due fattori.
Il primo, la presenza sopra la media di un gran numero di “clienti” del sistema giustizia (sia litiganti che consulenti) e di leggi da rispettare. Max Weber sosteneva che in una società molto regolamentata, come è diventata l’Italia, aumentano i conflitti. Poco importa, poi, capire se il bisogno di tanti avvocati sia dovuto all’alta litigiosità degli italiani o al contrario la presenza di tanti avvocati faccia diventare litigiosi gli italiani. È come risolvere il dilemma dell’uovo e della gallina. Sappiamo solo che questo fattore è inamovibile nel breve periodo.
Il secondo fattore è il bassissimo costo che lo Stato richiede sia all’inizio che al termine del processo, anche quando è stato chiaramente abusato dalla parte soccombente per scopi dilatori. Provarci conviene sempre e si rischia poco. Il rapporto Doing Business rileva che il costo del servizio giustizia (il contributo unificato) in Italia è tra i meno cari: il 2,9 per cento del valore del contenzioso. Quasi la metà della Germania e dell’Olanda. La recente introduzione del contributo unificato nell’opposizione alle multe (prima non vi era alcun costo) ha infatti ridotto drasticamente le cause davanti al giudice di pace. Oltre ad avvicinare il contributo unificato alla media europea, bisognerebbe eliminare la prassi della compensazione delle spese, inserendo meccanismi automatici che addossino al soccombente le spese di giudizio e le parcelle dei legali di controparte. Chi vuole far causa o resistere a scopi dilatori, ci penserà due volte. Contemporaneamente, il mantenimento del patto di quota lite (con tetti massimi prestabiliti) è determinante per dare la possibilità ai meno abbienti di poter iniziare agevolmente un giudizio.
L’accesso alla giustizia come ricorso indiscriminato al magistrato, causato dalla combinazione dei due fattori descritti, ha prodotto il risultato esattamente opposto al diritto di cittadini e imprese di avere giustizia. Al contrario, l’introduzione della conciliazione crea ulteriori spazi per la risoluzione delle liti in modo che ogni conflitto non si trasformi necessariamente in una causa. Non occorre ridurre né i conflitti né i suoi principali attori (obiettivo irrealistico), ma semplicemente coadiuvare il lavoro dei tribunali aggiungendo un ulteriore e diverso luogo per la soluzione dello scontro. In tribunali meno ingolfati, i magistrati giudicheranno più velocemente le liti inconciliabili.

BUONI I PRIMI RISULTATI

Nei primi tre mesi, i risultati dell’introduzione della mediazione obbligatoria sono molto incoraggianti. Il numero di mediazioni cresce giorno dopo giorno, il 70 per cento degli incontri si chiude con un accordo e le iscrizioni a ruolo nei tribunali stanno diminuendo in maniera significativa. Per il pieno successo di questa riforma, però, il ruolo dei magistrati e degli avvocati è decisivo. Non a caso l’Unione europea ha recentemente cofinanziato due progetti di formazione in mediazione per giudici e avvocati in tutti gli Stati membri (Lawyers in Adr e Judges in Adr). Per smaltire l’enorme arretrato, i magistrati possono utilizzare un nuovo strumento (l’art. 5.2 del decreto legislativo 28/10) che permette loro, dopo aver valutato lo stato della causa e il comportamento delle parti, di invitare i litiganti in mediazione. Gli avvocati possono continuare ad assistere i loro clienti in mediazione e non solo nei tribunali,nonostante la comprensibile resistenza al cambiamento che accompagna ogni innovazione. La mediazione delle liti civili è solo all’inizio del suo percorso, ma rappresenta un esempio significativo di quelle best practices di forte impatto necessarie in Italia.  

*L’autore è un esperto di Alternative Dispute Resolution e ricopre un ruolo di responsabilità presso una delle principali società di Adr italiane.

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12 commenti

  1. kircherinolanda

    Personalmente trovo l’aumento del contributo obbligatorio, invece che un incentivo a seguire pratiche alternative, un incentivo a patire abusi passivamente (ad esempio da parte delle amministrazioni locali attraverso le multe). In merito poi a prendere l’Olanda come esempio, ho molti dubbi. Innanzitutto perché il sistema olandese ha un gran numero di strutture non giudiziare che si occupano di risolvere le controversie e che non esistono in Italia. In un’economia supercontrollata e superpianificata come quella olandese, i problemi relativi agli affitti sono risolti da apposite commissioni pubbliche, i problemi interni al posto di lavoro vedono comitati aziendali formati da sindacalisti e manager incredibilmente forti etc. Inoltre, il cittadino ha diritto ad un’assistenza legale gratuita offerta dall’amministrazione locale ma indipendente da essa (juridische lokeet). Insomma, si hanno molte più garanzie che in Italia. Dopodiché resta il fatto che iniziare una causa in Olanda è incredibilmente difficile, la stessa polizia scoraggia le denunce. Il risultato è che alla fine o si ottiene ragione dal sistema di tutela interno oppure scoraggiati si rinuncia pur avendo platealmente ragion

  2. Alessandro Pagliara

    Sono d’accordo con i contenuti dell’articolo, ma mi permetta una provocazione contro chi loda il sistema appena varato (in pieno conflitto d’interessi – anche se lavoce.info per trasparenza è da lezione per tutti): se al posto della conciliazione obbligatoria con versamento agli enti “parificati” a giustizia, si fossero messi degli obblighi con una conciliazione diretta tra avvocati in cui i “litiganti” versano allo stato una somma X, dopo di che gli avvocati tra le parti hanno un tempo ragionevole per mettersi d’accordo, in tal caso la somma X viene recuperata (magari trattenendo la sola imposta di bollo) non sarebbe stato più giusto rispetto ad una vera è propria privatizzazione della giustizia che in questo modo non fa altro che mettere la classe più povera in condizioni disagiate?

  3. gianluca ricozzi

    Nel giro di un paio di anni potremo vedere se l’introduzione della mediazione obbligatoria avrà realmente ridotto il contenzioso nei tribunali. Però vorrei anche ricordare che la lentezza della giustizia civile è problema antico, anche quando il volume di cause era lontano da quello attuale. ritengo che alcuni aggiustamenti sul processo civile vadano effettuati, mentre le riforme realizzate negli ultimi anni anni hanno avuto un effetto irrilevante. Non sono d’accordo sui costi dell’accesso: innanzi tutto per motivi di principio: la difesa dei miei diritti non deve costare molto; in secondo luogo mi sembra fuorviante paragonare i costi italiani con quelli di paesi che hanno un reddito medio pro capite decisamente più elevato. Invece sarebbe molto più giusto e utile generalizzare lo strumento della responsabilità aggravata ex art. 96 del codice di procedura civile, ancora largamente sottoutilizzato dai giudici italiani.

  4. beppe caravita

    Questo primo segnale positivo è generalizzabile oltre?

  5. francesco piccione

    La costituzione italiana ha previsto che tutti possano agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Ritengo, quindi, che si debba realizzare un sistema che coniughi libertà di accesso al servizio e velocità del giudizio. Non si può pensare che per decongestionare i tribunali si aumentino i costi della giustizia, che sono bassi solo se confrontati con l’estero, ma non lo sono certo in assoluto e posso dirlo con cognizione di causa, facendo l’avvocato. Né la soluzione può essere individuata nella mediazione obbligatoria, almeno come prevista oggi dalla legge, per gli oneri eccessivi che vengono imposti; oneri che posso raggiungere varie migliaia di euro. Per cercare di rendere più veloci i processi bisogna agire sui codici di rito, unificare le procedure e rivedere le circoscrizioni giudiziarie; senza considerare interventi più decisi sulla molteplicità delle giurisdizioni e sul diritto sostanziale, che resta eccessivamente frastagliato, non organico e di difficile applicazione per l’utente non tecnicamente preparato.

  6. Antonio Mastromarino

    Ben venga la mediazione in linea di principio, ma siamo sicuri che quella introdotta vada nella direzione giusta? La mia banca mi ha appena inviato una modifica delle condizioni di contratto con cui, di fatto, mi obbliga a rivolgermi, in caso di contenzioso, al mediatore di sua scelta. Che, guarda caso, è una società privata posseduta dai più grandi istituti bancari. Si arriva così all’ assurdo che le banche guadagnano anche sul contenzioso che esse stesse generano.

  7. luciano pontiroli

    L’autore dell’articolo dimentica che le conciliazioni effettivamente iniziate sono circa il 20% di quelle domandate: nella maggior parte dei casi la parte invitata rifiuta di comparire. L’obbligatorio ricorso alla conciliazione comporta allora un ritardo nell’inizio del processo e maggiori costi per la difesa dei propri diritti.

  8. Cristina

    Nel caso dell’arbitrato con 3 arbitri come vengono divise le spese (che mi risultano ingenti)? Mi trovo a dover agire contro un creditore insolvente che ha inserito la clausola dell’arbitrato nel contratto ..

  9. ROSARIO CUCINOTTA

    Non comprendo da che parte l’Autore dell’articolo derivi i dati sull’efficacia delle procedure di conciliazione. La mia esperienza di Avvocato mi fa, invece, rilevare che la conciliazione é miseramente fallita (nei fatti), in quanto i cittadini si rifiutano di far conciliare controversie di particolare complessità a mediatori di competenza giuridica inadeguata e che, tra l’altro, sono in debito di riconoscenza con la parte attrice che li ha nominati. Ad onor del vero qualcuno ha avuto giovamento dalla nuova legge: gli organizzatori dei corsi di formazione dei “mediatori professionali” che hanno fatto pagare ai frequentatori cospicue somme !

  10. Andrea Colletti

    Sarei davvero curioso di sapere dove l’autore abbia preso tali dati. Nella camera di conciliazione forense del mio distretto mi hanno detto che solo l’1-2% delle mediazioni riesce. In realtà la mediazione è stato un fiorente business per coloro che facevano i corsi (fra cui se non mi sbaglio c’era la società della moglie di Alfano) nonchè per i c.d. conciliatori. In realtà è solo una vera e propria tassa (nonchè una perdita di tempo) per accedere alla giustizia. Nel mio piccolo ho iniziato tre mediazioni: in nessun caso la controparte è venuta. Forse l’autore tira l’acqua al suo mulino.

  11. pgdaviero

    Occorre fare un passo in piu, che senso ha che dal giudice di pace sia obbligatoria l’assistenza di un avvocato per le azioni di valore superiori ai 500 euro, circa?

  12. GIOVANNI GOLOTTA

    A proposito dell’utilità della mediazione vorrei sottoporre all’attenzione della Redazione e, poi, dei lettori del sito qualche brevissima considerazione, con l’impegno di un ulteriore approfondimento ove se ne ravvisasse l’interesse. Parto da una domanda: era davvero necessaria l’adozione del D. Lgs 4 marzo 2010, n. 28 recante norme di “Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. (10G0050)(GU n. 53 del 5-3-2010)” ? La giustificazione corrente dell’intervento normativo è quella che la cosiddetta media-conciliazione rappresenti un quasi indispensabile strumento di deflazione del contenzioso . In tal senso s’è espressa su “ L Voce.info” Leonarda d’Urso il 15 luglio scorso sottolineando che la mediaconiliazione :> con positivi riverberi sull’andamento dell’economia. Al riguardo mi permetto di registrare, proprio a partire dalle considerazioni dell’Autrice, una sorta di traslazione dell’asse valoriale attorno al quale si pretenda ruoti ora il sistema dell’amministrazione

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