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USCITA DI SICUREZZA DAL NUCLEARE

Dopo il recente incidente, peraltro minore, alla centrale nucleare di Marcoule in Francia, è il caso di chiedersi se i paesi nuclearisti d’Europa non debbano pianificare una rinuncia, graduale ma irreversibile, a questa fonte di energia. Magari sotto l’egida dell’Unione Europea. Il vento sembra essere cambiato in maniera stabile e paesi come la Germania, la Svizzera e l’Italia hanno già imboccato la strada delle fonti sicure, autoctone e pulite.

Un provvedimento che si proponesse di combattere l’inquinamento dell’aria mediante la sostituzione immediata dell’intero parco di vetture vecchie ancora circolanti sarebbe certamente improponibile. Ma una misura come l’Ecopass milanese è riuscita a orientare le scelte di chi aveva deciso di cambiare il proprio mezzo a favore di quelle a metano, Gpl, ibride e comunque più efficienti. Un provvedimento che mirasse a ridurre i consumi energetici del settore civile attraverso l’abbattimento di tutte le vecchie abitazioni non sarebbe naturalmente perseguibile. Ma una politica come la certificazione energetica degli edifici è efficace nell’improntare la costruzione dei nuovi alloggi verso una maggiore efficienza energetica. È la differenza tra lo stock – l’esistente – e il flusso – il nuovo, l’aggiuntivo.

UN PROCESSO GRADUALE, MA IRREVERSIBILE

Pur con tutti i distinguo necessari, una riflessione di questo tipo si impone anche per gli impianti che producono energia (elettrica) in Europa. L’incidente di qualche giorno fa a Marcoule in Francia, non lontano dal nostro confine, induce a domandarsi se non sia giunto il momento per l’Unione Europea e per i suoi Stati membri di dare inizio a un graduale, ma irreversibile, processo di uscita generale dal nucleare.
Gli accadimenti degli ultimi mesi hanno probabilmente cambiato in modo permanente  l’atteggiamento della pubblica opinione dei paesi industrializzati verso il nucleare e progressivamente anche quello dei loro governanti. All’indifferenza e al disinteresse dei più, si sono lentamente sostituite attitudini che vanno dalla mera consapevolezza dei rischi di questa fonte di energia al misurato timore, fino a una distinta paura. Se è vero che le convinzioni delle posizioni estreme pro e contro il nucleare non sono probabilmente mutate, innegabile è il fatto che le classi politiche e i governanti dei paesi occidentali stanno cambiando, in misura diversa beninteso, opinione. Da questo punto di vista, la vera notizia relativa a Marcoule non è l’incidente all’impianto di riconversione dei rifiuti nucleari, quanto la dichiarazione di Martine Aubry, possibile candidata all’Eliseo, riportata due giorni fa dal Corriere della sera: per l’esponente di spicco dei socialisti d’Oltralpe si deve uscire “progressivamente sì, ma senza indugi” dal nucleare. Una dichiarazione non proprio da poco per un politico francese di livello.

FENOMENI CLIMATICI E REATTORI

Vi sono due fatti fondamentali che determinano il crescente cambiamento di convinzioni sul nucleare, che ribalta quello che si affermò negli anni Sessanta e che fino a tutti gli anni Ottanta ha prodotto risultati, cioè nuovi reattori nucleari e nuove tecnologie costruttive. Il primo è rappresentato dal fatto che il mondo sta scoprendo come gli impianti nucleari, i cui incidenti passati e futuri agitano l’immaginario collettivo, siano potenzialmente soggetti ai fenomeni climatici estremi. I lettori più attempati non ricordano di avere sentito in passato notizie allarmanti sulla sicurezza delle centrali nucleari per lo scoppio di un grande incendio, o per l’arrivo di un uragano o per il verificarsi di un terremoto o maremoto. In questo inizio di ventunesimo secolo abbiamo invece visto cosa può succedere a una centrale nucleare se uno tsunami invade le coste del paese su cui sorge. Abbiamo sentito esprimere preoccupazione per i reattori che si trovano su un ampio territorio russo interessato da una vastissimo incendio. E abbiamo ascoltato i media americani raccontare non solo la paura di New York per il passaggio dell’uragano Irene, ma anche la notizia che la centrale nucleare di Oyster Creek in New Jersey è stata chiusa per prudenza. Non si tratta di fenomeni climatici causati dal riscaldamento globale, anche se questo pare avere un ruolo nella loro maggior frequenza e accresciuta intensità.

CENTRALI SEMPRE PIÙ VECCHIE

Il secondo fatto fondamentale è il progressivo invecchiamento delle centrali che le rende per forza di cose più vulnerabili agli incidenti. Marcoule come Fukushima si inquadrano in tale contesto: gli impianti non sono più pericolosi, soprattutto se manutenzione e vigilanza sono condotte con tutti i crismi, ma l’età crescente accresce la probabilità di malfunzionamenti e incidenti. Il problema riguarda naturalmente i paesi che per primi hanno ospitato impianti nucleari, come Stati Uniti, Europa e Giappone. La durata media della vita di un reattore è stimata dall’Agenzia internazionale dell’energia tra i 40 e i 50 anni. L’età media dei 435 reattori nucleari attualmente in attività nel mondo è di 25 anni, mentre nell’Europa occidentale il 75 per cento è nell’ultima metà del ciclo di vita. In particolare, il 65 per cento dei reattori europei ha un’età tra 21 e 30 anni, mentre un ulteriore 20 per cento opera da oltre trenta anni. L’esplosione all’impianto di Marcoule – che ospita la più vecchia centrale francese del 1955, quella che ha determinato l’entrata dei cugini transalpini nel club delle potenze nucleari – ha fatto tornare alto l’allarme sugli impianti nucleari in Europa.
I risultati degli stress test, disposti dall’Unione europea dopo la catastrofe di Fukushima sui 196 reattori dei Paesi membri e degli Stati confinanti, non saranno definitivi prima di giugno 2012. Nel frattempo, sono cresciute le proteste degli ambientalisti per le centrali meno sicure del continente. Dei tredici impianti a circa 200 chilometri dall’Italia, a preoccupare sono soprattutto quello di Fessenheim, in Alsazia, la più vecchia delle strutture francesi costruita sulla faglia del Reno, e il reattore di Krsko, in Slovenia, teatro negli ultimi anni di numerosi guasti e incidenti. Più distanti, ma altrettanto pericolose, sono la centrale di Kozloduy in Bulgaria, della quale l’Unione Europea ha chiesto da anni la chiusura, e il complesso di Metsamor, ribattezzato la “Chernobyl d’Armenia”, con gli identici, antidiluviani reattori di fabbricazione sovietica.
E mentre restiamo in attesa di azioni concrete prima che succeda qualcosa di grave, le scelte di uscita dal nucleare di Germania e Svizzera e l’esito del referendum italiano suggeriscono un orientamento che anche gli altri paesi europei potrebbero fare proprio, magari all’interno di una generale riflessione europea. Quella della graduale sostituzione degli impianti nucleari, a partire dai più vecchi e pericolosi, con le nuove fonti che si vanno prepotentemente affermando, stando ai dati degli ultimissimi anni, sarebbe una strategia non solo ragionevole ma ormai storicamente inevitabile. Si accelererebbe così il raggiungimento della grid parity, l’uguale convenienza economica con altre fonti di origine fossile, si accrescerebbe l’indipendenza energetica e la riduzione delle emissioni.
Un’operazione del genere non si può realizzare concretamente nel giro di una notte né nel giro di anni, ma l’espressione ufficiale di tale orientamento sarebbe un grandissimo risultato politico per l’Europa. E ancora una volta, in questo ambito, sarebbe in anticipo sugli altri grandi paesi e se possibile in anticipo sul prossimo eventuale incidente.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

25 commenti

  1. Riccardo Mercuri

    Senza nucleare non si raggiungono gli obiettivi della road map al 2050 (riduzione dell’80% delle emissioni).

  2. Michele

    Ma come si fa a sostenere cose tipo “l’Ecopass di Milano è stato un successo” quando ha avuto l’unico effetto di far cambiare auto ai milanesi, tanto che pure la Moratti voleva abolirlo. O che “l’italia ha imboccato la via delle energie rinnovabili” quando la maggior parte della produzione nazionale arriva dal petrolio (secondo wiki il 79% della produzione nazionale)?

  3. Lorenzo

    A mio parere, nel mondo si produce ancora così tanta energia elettrica attraverso reazioni nucleari che non si può pensare di sostituire, nel breve termine, questo processo di produzione con soluzioni alternative “pulite”. Il ricorso alle fonti rinnovabili rischia di essere una soluzione costosa e poco redditizia dal punto di vista energetico. Vorrei sapere, a questo proposito, se il ricorso alle fonti rinnovabili si stia rivelando davvero così benefico per quei Paesi in cui esse sono preponderanti rispetto a carbone, petrolio o nucleare.

  4. Marcello

    Troppo spesso le scelte sono dettate da ragionamenti di ordine qualitativo, il che rischia di portare più danno che altro. La sostituzione di un auto Euro 3 con un Euro 5 è spesso un non senso, perchè un’auto nuova costa in energia circa 7000 kep (di cui 2/3 da fonte fossile). Per compensare l’emissione di CO2 necessaria per la sua fabbricazione con le minori emissioni deve fare ca. 120.000 km, senza contare che l’auto Euro 3 venduta al concessionario continuerà ad emettere gas nocivi, magari in un Paese dell’est…si tratta di misure volte più a sostenere l’industria che a migliore la qualità dell’ambiente. Ciò detto sostituire il nucleare con “qualcos’altro” è una pia speranza, se vogliamo mantenere gli standard di vita (trasporti, cibo, riscaldamento, leisure,…) a cui siamo abituati. Tra le fonti rinnovabili non ci sono oggi sul mercato tecnologie in grado di sostituire le fonti fossili (in termini di EROEI, quantità, costi reali, ciclo di vita, elasticità nella produzione, ecc.), peraltro neanche il nucleare ha tali caratteristiche. Si confida nello sviluppo tecnologico ma un “buon padre di famiglia” dovrebbe considerare che, forse, potrebbe non esserci una soluzione..

  5. Anonimo

    Ogni scelta di carattere industriale dovrebbe tenere conto delle crescite occupazionali, pertanto il ritorno all’atomo come fonte di energia è una caratteristica delle categorie di scelte politiche e non referendarie.

  6. Armando D'Asdia

    Trovo discutibile partire da un banale incidente industriale per arrivare alla conclusione che bisogna uscire dal nucleare. Nello stesso giorno di Marcoule, in Kenia un oleodotto uccideva un centinaio di persone e nel frosinate sei operai morivano dilanianti in una fabbrica di fuochi d’artificio (40 morti solo in Italia, negli ultimi dieci anni, il 3% dell’intera forza lavoro del settore). Occorre semmai essere razionali e decidere sulla base dei numeri storici (vittime/kWh prodotto), delle stime future (fabbisogno energetico), oltre che dell’impatto ambientale (CO2).

  7. Franco

    Far tesoro delle disgrazie e dei pericoli occorsi sarebbe il segno di maturità e saggezza degna di un vecchio continente quale l’Europa. Purtroppo, a mio parere, quello che trattiene i politici governanti è sempre il primato della cosiddetta sicurezza esterna, motivo per cui non si tagliano mai le spese militari e i bilanci della cosiddetta difesa. Il “peccato originale” delle centrali nuclerari è quello di essere nate per la guerra e che anche le riconversioni civili poggiano sempre su una struttura di guerra ( si veda l’avversione all’Iran). Una vera politica per il disarmo generale e per la riduzione della produzione di acciaio sarebbe i segni distintivi di governi che seriamente pensassero al progresso umano e civile dei loro popoli.

  8. Vincenzo Balzani

    Sono contento che La voce abbia cambiato idea. Fino a poco tempo fa sosteneva il ritorno al nucleare. Oggi e si accorge che l’Italia ha imboccato la strada delle rinnovabili. In realtà non l’ha imboccata, ma la sta già percorrendo velocemente. Oggi il fotovoltaico italiano genera 12 miliardi di kWh ogni anno, che è l’equivalente di quanto produce una centrale nucleare da 1600 MW. In due anni abbiamo fatto l’equivalente di una centrale nucleare, se continuiamo così al 2020 avremo 5 “reattori nucleari rinnovabili”.

  9. marco

    condivido le osservazioni intelligenti fatte da alcuni lettori. Il nucleare è soltanto una tecnologia non più pericolosa di molte altre (se gestita razionalmente) e capace di generare energia con continuità a costi che sono una frazione di quelli delle rinnovabili più strombazzate (salvo l’idroelettrico, ma agli ambientalisti a oltranza non piace neppure questo). Gli incidenti in centrali nucleari hanno provocato forse un milionesimo dei morti dovuti al petrolio, forse un centomilionesimo di quelli dovuti alla circolazione stradale. Aggiungo che in un mondo che ha triplicato il numero di abitanti in 50 anni forse ci dovremmo anche porre il problema di come alimentare seriamente la sete di energia crescente. O forse speriamo che il terzo mondo non si sviluppi?

  10. Neutrino

    Scusate ma non condivido. Come spesso accade occorre avere maggiori informazioni prima di poter dire se il nucleare va bene oppure no. Riguardo alla reale portata di ciascun tipo di energia secondo me è utile visitare questo sito. Nello specifico occorrerebbe cominciare a valutare il tipo di nucleare da impiegare a fini energetici. Io sono favorevole a continuare gli studi per la progettazione e la costruzione di centrali al Torio. Forse non tutti sanno che questo filone di ricerca fu accantonato a fine seconda guerra mondiale poiché non permetteva di ricavare materiale utile per la costruzioni di armi atomiche (cosa che le centrali nucleari ad Uranio permettono) benché il Torio presentasse innegabili vantaggi (è più abbondante dell’Uranio e le scorie decadono in circa 30 anni). Negli ultimi tempi sia la Cina che l’India hanno lanciato dei programmi di ricerca pluriennali per acquisire la conoscenza necessaria alla costruzione di centrali che usano il Torio (la Cina per circa 500 miliardi di dollari di valore). Per chi fosse interessato suggerisco di visitare questo sito.

  11. Davide

    Ogni attività umana ha i suoi inevitabili rischi; provocatoriamente ricordo che annualmente i morti sul lavoro al mondo sono circa due milioni, e non mi risulta che qualcuno abbia mai chiesto l’abolizione del lavoro, ma più sicurezza sul lavoro. Perchè per il nucleare deve essere diverso e si deve per forza cancellare questo tipo di energia? Per quanto riguarda le rinnovabili (contro le quali non ho nulla in contrario), i numeri della produzione globale sono incontestabili, ma non è solo la produzione globale il dato da tenere in considerazione, ma anche la potenza istantanea. Questa rappresenta il vero tallone d’Achille delle rinnovabili, poichè non può essere regolata in base alla potenza richiesta dalle utenze, ma è variabile nel corso delle giornata, azzerandosi dal tramonto in poi e riducendosi drasticamente in caso di cielo nuvoloso (fotovoltaico) o legato alla presenza o meno del vento (eolico). Allo stato attuale delle tecnologie, le uniche fonti che garantiscono la possibilità di poter garantire la potenza istantanea variabile con la richiesta sono: petrolio, gas, carbone e nucleare. A voi la scelta.

  12. Danilo

    Sono decisamente d’accordo con Lei, devono darsi una mossa, a cominciare dai francesi. sarebbe opportuno un coinvolgimento dell’UE per fare pressing serio.

  13. Franco Valentini

    L’ Italia ha bisogno di innescare la crescita economica, a costo zero per il bilancio dello stato. Il meccanismo di incentivi per il fotovoltaico incide solo sulle bollette elettriche, escluse le imprese energivore esentate dalla componente A3 per gli incentivi. La legge attuale prevede incentivi decrescenti fino al 2016, poi sarà grid parity, qualora si installi più del previsto, dal 2013, la riduzione delle tariffe sarà accelerata. Facilitare il fotovoltaico attrae investimenti esteri, genera occupazione, sviluppo economico, entrate per fisco ed imposte. Nelle giornate di sole, dalle 10:00 alle 14:00 il fotovoltaico riduce la domanda e quindi il prezzo alla borsa elettrica, le centrali a gas non riescono ad entrare in funzione. Occorre trovare meccanismi per incidere sulla domanda di petrolio e lavorare per l’indipendenza energetica, il fotovoltaico è una parte della SOLUZIONE, il passaggio all’auto elettrica potrebbe incidere sulla domanda di petrolio ed allargare il mercato elettrico italiano.

  14. Paolo

    Sono anch’io del parere, dai tempi del referendum del 1987, che il nucleare non rappresenta una soluzione affidabile, per pericolosità e costi. Attenzione però: il problema dell’energia non si riduce a questo! Ci sono vari ambiti da considerare: usi produttivi, trasporti e riscaldamento, nei quali non è applicabile su vasta scala l’energia elettrica, per vari motivi, almeno per un bel po’ di tempo. Non sarà invece che occorre un grandissimo sforzo di ricerca, anche economica, per rimodellare il tutto, non solo la produzione, ma anche i consumi di energia?

  15. Ruggero Revelli

    I pareri espressi da chi mi ha preceduto sono interessanti e variegati. Mi ha stupito il dato dei 12 miliardi di kWh prodotti in Italia, quando Scienza Oggi parla di 1,9 . Forse l’autore del 12 miliardi di kWh si riferiva alle prospettive a fine anno di potenza di picco installata e quindi non di produzione. Pare che la produzione prevedibile scenda invece allo 0,6 % del totale della produzione nazionale. Ma poi, perché non rinunciamo , SUBITO, ai 50 miliardi di kWh di origine nucleare che importiamo, ogni anno, da Francia, Svizzera e Slovenia ? Un minimo di coerenza ci vorrebbe! Andate a calcolare quanto incide sulla bolletta elettrica di tutti (compresa l’industria) il fotovoltaico. Esilarante, per il sostegno occupazionale, l’idea di chiudere la produzione di acciaio in Italia (60.000 disoccupati in più).

  16. Alberto Rotondi

    Per avere numeri corretti sul fotovolatico, consiglio di visitare il sito eccezionale http://atlasole.gse.it/atlasole/ del gestore elettrico GSE, che riporta i dati on line ora per ora. Risulta che la potenza installata è di ben 10.8 miliardi di watt (GW). Da notare il fatto che nel 2009 si avevano solo 1.5 GW installati (potenza degli incentivi). Poiché, secondo i dati GSE, la capacità di utilizzo in Italia è dell’ordine del 12% (si veda il rapporto sulle rinnovabili del GSE (www.gse.it), si ottiene una energia prodotta (e si spera immessa in rete) nel corso di un anno di 10.8 GW x 0.12 x 8760 h = 11535 GWh = 11.5 TWh. Dato che il consumo elettrico italiano annuale è di 320 TWh, abbiamo che la percentuale di fotovoltaico è ora del 3,6%, contributo ancora piccolo ma non più trascurabile.

  17. Giuliano

    La scelta di andare via dal nucleare è irrazionale ( gli incidenti motociclistici hanno causato 50.000 morti in Europa negli ultimi 20 anni, ma i giornali non parlano di abolizione di moto, o neanche di limitazione della velocità), causerà un impoverimento della popolazione (perchè il solare e l’eolico sono molto più costosi al KWH del nucleare) e causerà molti morti in più (perchè fanno molti più morti l’energia solare -gente che cade dal tetto cercando di ispezionare un impianto fotovoltaico- e il carbone -i morti per cancro ai polmoni).

  18. Davide

    E’ obbligatoria una importantissima precisazione sul commento di Rotondi che,così come è riportato, è fuorviante.Il dato a cui si da tanta enfasi è la potenza complessiva degli impianti installati,somma della potenza dei singoli impianti. Detta potenza,come sanno gli addetti ai lavori (me compreso),viene chiamata potenza di picco, ovvero la potenza nominale dell’impianto nelle condizioni di irraggiamento definite standard: 1000 W/mq a 25° di temperatura ambiente.Condizioni che non sono sempre raggiunte durante una giornata,come ho spiegato nel mio post precedente. I numeri del post pertanto non sono corretti,come l’autore vuole invece asserire,poichè si basan o su 8760 ore annue di funzionamento, che diviso 24 ore al giorno fa 365 giorni, notti incluse.

  19. Marcello Urbani

    Purtroppo le fonti “sicure, autoctone e pulite” sono pure immaginarie. Non conosco nessun paese, per quanto piccolo e “verde” che copra buona parte del suo fabbisogno con le rinnovabili in modo continuato. Propone forse di lavorare quando tira il vento (notte o domenica che sia) e riposare con la bonaccia? Sui rischi del nucleare si può discutere, anche se è difficile ragionare in mezzo alla cagnara di demonizzatori e minimizzatori, ma chi propone seriamente di passare alle rinnovabili dovrebbe dimostrare che è fattibile. Finora ho solo visto un sacco di soldi buttati e statistiche taroccate (in ambo i sensi) giocando su picchi,valli e quant’altro.

  20. Alberto Rotondi

    Negli impianti che ho visitato si prende il numero di kWh immessi in rete in un anno, lo si divide per (8760 x la potenza installata nominale) e si ottiene sempre, almeno in pianura padana, 0.12 (chiamato dai tecnici fattore di capacità). Questo è il fattore sperimentale che fa passare dalla potenza di picco convenzionale alla potenza media effettivamente prodotta. Cosa c’è allora di sbagliato nel mio conto? Se 10.8 GW è la potenza nominale installata (e questo è un dato GSE) qual’è la potenza effettivamente prodotta? Per me vale il conto 10.88 x 0.12 = 1.3 GW. Questa potenza media, moltiplicata per 8760 (giorno e notte) mi dà l’energia prodotta in un anno 1,3 GWx 8760h = 11.4 GWh che è il numero che ho riportato, pari al 3.5% della energia eletrica consumata in un anno in Italia. E’ lecito chiedersi quanta di questa energia prodotta sia stata effettivamente utilizzata e non invece buttata via per problemi di rete, ma non ho dati in proposito, Se Davide non concorda, per favore mi presenti il conto che secondo lui è corretto.

  21. Alberto Rotondi

    …. scusate, ho sbagliato l’unità di misura finale. Ovviamente 1.3 GW x 8760 h = 11388 GWh = 11.4 TWh (TeraWatt ora) che è il 3.6% di 320 TWh, il consumo elettrico totale

  22. Davide

    Il conto che viene fatto (da progettista) per un singolo impianto è:Potenza di picco (kWp) x ore di irraggiamento annue (variabili da nord a sud tra 900 e 1200) x BOS dell’impianto (un rendimento elettrico pari a 0,85) x perdite da cattiva orientazione dell’impianto (se non orientato a sud, -5%,se non disposto a 35°,-15% se orizzontale e -35% se verticale,una media per le altre inclinazioni) x fattore di “ombreggiamento” (se l’ombra di case o alberi “copre” parzialmente il pannello si riduce il rendimento:fattore assolutamente incalcolabile, ma ricavabile da sopralluogo sul sito). Questo per il primo anno. Per ogni anno successivo al primo, -1% per deterioramento dei pannelli fotovoltaici fino a -20% per i pannelli amorfi, -0,5% per anno fino a circa -6% dopo 20 anni per monocristallini. Questi sono i conti standard per calcolare il rendimento economico di un singolo impianto. E’ impossibile pertanto quantificare la produzione di 250mila impianti irraggiati diversamente, inclinati e orientati diversamente, ombreggiati ciascuno a modo suo, e con pannelli differenti.

  23. Alberto Rotondi

    Il gestore elettrico GSE fornisce i metodi, basati sui dati sperimentali in suo possesso sull’energia immessa in rete, che consentono il calcolo medio e di insieme del rendimento di tutte le installazioni fotovoltaiche italiane, prescindendo dalle caratteristiche del singolo impiamto. Il rapporto si trova in: http://www.gse.it/attivita/statistiche/Documents/Solare%20fotovoltaico%20-%20Rapporto%20Statistico%202010.pdf A pagina 4 si legge:”un impianto da 1kWp, ottimamente orientato ed inclinato, installato su una struttura fissa è capace, passando da nord a sud, di una produzione specifica variabile tra 1000 e 1400 kWh.” Questo corrisponde ad un fattore di capacità compreso tra 0.11 e 0.15. Prudentemente, ho utilizzato 0.12, valore che ho rilevato in alcune installazioni domestiche nelle zone di Pavia e Varese. A pagina 32 si legge che, depurando i dati della produzione 2010 dagli impianti entrati in funzione in corso d’anno, il valore medio delle ore effettive di utilizzazione è pari a 1200. Pertanto, 1200/8760 = 0.137, leggermente superiore al valore di 0.12 che ho utilizzato nei miei calcoli precedenti.

  24. Davide

    …al punto che potrà controllare come a pagina 26 a fine 2010 viene dato il valore di 1,9 TWh di produzione. Inoltre sempre nello stesso rapporto, a pagina 9, si parla di un aumento del 203% della potenza installata rispetto al 2009. Tradotto in italiano, la potenza fotovoltaica italiana a fine 2010 è triplicata rispetto al 2009. E’ lecito quindi pensare che questa potenza, che ha lavorato per quasi tutto il 2011, abbia consentito di triplicare la produzione del 2010; pertanto (un pò alla buona) 3×1,9 = 5,7 TWh. Questo valore è circa la metà di quello da lei indicato, e pertanto dovrebbe coprire circa l’1,8% del fabbisogno di energia italiano, a mio avviso attualmente molto più plausibile. Peccato che non ci sia ancora un analogo Rapporto GSE per il 2011 per una verifica.

  25. Davide

    …prendiamo il dato di produzione da fotovoltaico di fine 2010, ovvero tutta l’energia generata da tutti gli impianti entrati in servizio entro il 31/12/2009. Produzione circa 1900 GWh. Potenza complessiva degli impianti che hanno generato questa produzione: circa 3,5 GWp (Fonte Rapporto 2010 del GSE). Ora 1900/3,5 = 543 ore annue. Ben lontani dal minimo di 1000 ore considerato…e proprio per tutte quelle variabili che elencavo nel mio post precedente.

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