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COME RIDURRE IL DEBITO PUBBLICO

Il consolidamento fiscale è una delle sfide più importanti che i paesi avanzati devono affrontare in questo decennio. Ma come si possono stabilizzare e poi ridurre i debiti pubblici? Si può imparare dal passato. L’analisi di precedenti piani di consolidamento fiscale e dei risultati ottenuti permette di enucleare gli elementi di successo e insuccesso. Indispensabile per i politici avere le idee chiare su riforme strutturali da realizzare con il consenso dell’opinione pubblica. Costruito spiegando i problemi e gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

La crisi finanziaria globale ha causato un aumento vertiginoso del debito pubblico nelle economie avanzate. La preoccupazione crescente ha innescato vari dibattiti su come risolvere il problema. Nelle economie avanzate in media il rapporto debito/Pil è oggi vicino a livelli del 100 per cento, i più alti dal dopoguerra, e sembra oltretutto destinato ad aumentare ancora.
L’aggiustamento fiscale richiesto è senza precedenti: serviranno molti anni per ridurre il debito e riportarlo a livelli accettabili.

UN NUOVO APPROCCIO

Studi empirici hanno già identificato episodi di aggiustamento fiscale sulle basi dei risultati ex post. (1) Nel nostro libro utilizziamo però un approccio nuovo. (2) Analizziamo piani di consolidamento fiscale scelti in base alle riduzioni previste in termini di debito e deficit. Questo approccio ci permette di trarre lezioni non solo dai successi, ma anche dai fallimenti, di confrontare i risultati ex post con i piani ex ante e di eliminare le distorsioni dovute alla selezione o sopravvivenza del campione.
Analizziamo in dettaglio ciascuno dei paesi del G7 e effettuiamo analisi statistiche cross-country per tutti i paesi dell’Unione Europea negli ultimi due decenni.
Riportiamo qui alcuni dei risultati principali riguardo a ciò che i piani prevedevano inizialmente, ciò che ha funzionato e no, e perché.

I PIANI E IL GRADO DI SUCCESSO

Non sorprende che i piani di consolidamento, e il loro grado di ambizione, fossero positivamente correlati alla gravità delle situazioni fiscali iniziali, quali la prospettiva dell’ingresso nella Unione monetaria. Nella maggior parte dei casi, la loro struttura era ragionevole e basata su assunzioni macroeconomiche (crescita, tassi di interesse, eccetera) sorprendentemente simili alle proiezioni delle previsioni indipendenti per lo stesso periodo.
Gli aggiustamenti previsti si sono concentrati sui tagli alla spesa, in maniera proporzionale all’entità iniziale della spesa pubblica, in particolare in Europa. Ed è interessante notare come la maggior parte dei piani prevedessero tagli della spesa sufficientemente ampi da consentire, oltre alla riduzione del deficit, anche una diminuzione delle imposte. Solo un terzo dei grandi piani di consolidamento europei indicava una crescita del rapporto entrate/Pil, e meno di un sesto prevedeva espliciti aumenti nella tassazione.
Nel complesso, i risultati ottenuti sono stati in media positivi per il campione europeo: per un miglioramento previsto del 2,5 per cento del Pil nel corso di tre anni, quello effettivo è stato del 2 per cento del Pil. In media, i piani più ambiziosi hanno dimostrarono di avere le stesse possibilità di realizzazione di quelli meno ambiziosi. Tuttavia, i governi non sono stati capaci di tagliare le spese tanto quanto avevano previsto e, per compensare (sebbene solo in parte), sono dovuti ricorrere a un incremento delle entrate maggiore del previsto.
Il fenomeno si è verificato in modo più pronunciato in Italia e in Francia a metà degli anni Novanta, ma lo si ritrova anche in altri paesi, sia in Europa che altrove.

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IL RUOLO CHIAVE DELLA CRESCITA ECONOMICA

L’elemento più importante che ha determinato il raggiungimento degli obbiettivi indicati dai piani è la crescita economica. Una crescita  di un punto percentuale al di sopra della proiezioni iniziali ha ridotto l’errore di implementazione (la deviazione degli aggiustamenti effettivi dagli aggiustamenti pianificati) di mezzo punto di Pil. Vi è anche evidenza di effetti asimmetrici: quando la crescita è stata minore del previsto, l’errore di implementazione è peggiorato di più di quanto sia migliorato quando la crescita è stata superiore alle previsioni. Questo suggerisce che i politici sono più propensi ad adottare misure anti-cicliche quando l’economia è più debole del previsto piuttosto che a risparmiare le entrate in eccesso dovute a inaspettate accelerazioni della crescita.

FATTORI POLITICI E ISTITUZIONALI

Sul piano istituzionale, diversi fattori si sono dimostrati rilevanti per la realizzazione degli obiettivi: (i) dati aggiornati e accurati (revisioni al rialzo dei deficit iniziali raramente hanno portato a incrementi della riduzione prevista del debito che le compensassero), (ii) limiti di medio termine vincolanti (iii) riserve di emergenza (iv) coordinazione fra i vari livelli governativi e (v) regole fiscali.
A livello politico, il sostegno della popolazione ai piani di consolidamento fiscale si è dimostrato molto più importante di una vasta maggioranza in parlamento.
Ad esempio, all’inizio negli anni Novanta i sondaggi indicavano che i cittadini canadesi percepivano il livello del debito pubblico come il principale problema del paese: questo ha facilitato il successo del piano di consolidamento del Canada.

ALCUNE LEZIONI PER I POLITICI

Avere un piano: è di cruciale importanza per rassicurare i mercati e l’opinione pubblica e per mantenere bassi i costi di indebitamento.
Spiegare chiaramente
da subito come si intende reagire agli shock, in particolare quelli relativi alla crescita economica. Il clima economico può rivelarsi ben diverso da quello inizialmente previsto. Un calo imprevisto nella crescita farà scendere le entrate bassi e può mutare l’opinione del governo riguardo alle politiche necessarie, se di aggiustamento o di stimolo. Ecco due possibili opzioni per realizzare piani non legati a variazioni dei livelli di crescita: (i) proporsi obbiettivi strutturali (ii) proporsi obbiettivi di spesa di medio periodo che non dipendono dai cicli economici.
Migliorare la qualità, la puntualità e la copertura dei dati fiscali perché diminuisce la probabilità di avere sorprese spiacevoli e difficili da risolvere a metà percorso.
Pensare a quali sono le spese che convengono di più: è ciò che ha fatto il Canada, il caso di maggior successo tra quelli che abbiamo esaminato. La Germania di metà anni Duemila è un altro buon esempio.
Utilizzare le riforme strutturali: pochi consolidamenti basati sulle entrate identificati dagli studi precedenti erano state pianificati come tali dai politici; piuttosto le entrate sono aumentate grazie a fattori temporanei quali boom economici e prezzi dei beni. Il nostro studio suggerisce che i consolidamenti basati sulle riforme (della spesa o delle entrate) sono quelli che ottengono i risultati migliori e più duraturi.
Garantirsi l’appoggio dell’opinione pubblica: è più probabile che si raggiungano gli obiettivi di aggiustamento se hanno il sostegno dell’opinione pubblica. Per ottenere il consenso dei cittadini è fondamentale spiegare in modo chiaro che l’aggiustamento fiscale è necessario per mantenere basso il costo del credito e assicurare così la creazione di posti di lavoro e la ripresa della crescita economica. E il peso dell’aggiustamento deve essere suddiviso in modo equo tra la popolazione.

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(1) Alesina, Alberto, and Silvia Ardagna, 1998, “Tales of Fiscal Adjustments”, Economic Policy, No. 27, pp. 489-545.
(2) Mauro, Paolo (ed.), 2011, Chipping Away at Public Debt—Sources of Failure and Keys to Success in Fiscal Adjustment, New Jersey: J. Wiley & Sons, Inc.

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  1. Luigi Sandon

    Si continua a parlare di “crescita”, ma nessuno spiega come e quale. In particolare è necessaria una crescita “positiva”, cioè non solamente numerica ma che sia benefica per la nazione in toto. Una crescita “contabile” basata perlopiù su delocalizzazioni e/o sulle attività finanziarie “estreme” (com’è successo negli anni passati) con disoccupazione in aumento e salari reali fermi o peggio può essere crescita “negativa” che accumula ricchezza nelle mani di pochi (in genere quelli con battaglioni di esperti fiscali bravi a farla sparire dove è tassata meno o per nulla) alla fine non porta alcun beneficio e lascia tutti i problemi sul tavolo. Poiché il vaso di Pandora ormai è aperto, come stimolare una crescita virtuosa della quale non si avvantaggino solo le “economie emergenti” e qualche executive? Non ditemi finanza, terziario e servizi, perché fra un po’ si chiederanno a chi venderli, i servizi – e la finanza ha già dato abbastanza guai.

  2. Piero

    Il debito pubblico si può ridurlo pagandolo con moneta buona (politiche di bilancio rigorose) o con moneta cattiva (inflazione), per la prima opzione abbiamo un debito pubblico troppo elevato, la seconda non è più nella disponibilità dello stato italiano, quindi non c’è via d’uscita in Italia, se non uscire dall’euro e riappropriarci della possibilità di stampare la moneta. Le misure che debbono essere prese per la competitività, per una sana e rigorosa politica di bilancio (mai più deficit spending), per la lotta all’evasione, per la riforma del mercato lavoro e pensioni, sono misure per il futuro, in questo mondo globalizzato, dobbiamo essere più bravi degli altri per sopravvivere, ma per il passato non vedo vie d’uscita. Chi predica al contrario mi deve dire contabilmente come si può fare una manovra da 200 miliardi all’anno per rimborsare gli interessi ed una piccola parte del debito pubblico, in rapporto al PIL italiano è una manovra annuale di oltre il 10%, sarebbe possibile ciò solo se il PIL cresce del 5% all’anno (crescita difficile da ipotizzare in un contesto senza inflazione).

  3. Casimiro Corsi

    L’unico modo per estinguere il Debito pubblico è recuperare allo Stato la Sovranità monetaria ceduta da politici camerieri ai banchieri con il trattato di Maastricht a una banca privata come è la BCE (lo è anche Bankitalia in maniera irregolare fino a quando Napolitano ha firmato la modifica all’art 3 dello statuto di Bankitalia). Art 1 della Costituzione La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. La Sovranità monetaria è stata ceduta incostituzionalmente dai politici-camerieri (Andreotti/de Michelis).

  4. Marco Passafiume

    Puo’ essere secondo voi una idea quella di stilare un piano pluriennale di sviluppo e contenimento della spesa, che vada oltre le singole legislature e consenta di “blindare” decisioni dagli effetti di medio-lungo termine che nessun Governo con orizzonti brevi potrebbe prendere? Non dico proprio una sorta di “patto tra generazioni” ma comunque un impegno di lungo termine. Ci vedrei dentro anche decisioni importanti sulle scelte energetiche (es. i progetti sulle rinnovabili) e sulle grandi infrastrutture. Forse questo Governo puo’ essere quello giusto per affrontare temi come questi.

  5. Piero

    La sovranita’ monetaria e’ stata svenduta dal Prof. Prodi. Oggi con 10 anni di moneta unica Prodiana siamo diventati lo zimbello dell’Europa, verremmo commissariati da Merkel con la collaborazione di Monti. Bravi i politici, ma tanto loro lo stipendio e’ garantito, a Monti gia’ hanno dato la carica di senatore a vita, ma non si sa per quali meriti, sicuramente per garantirgli una serena pensione, non capisco perche’ non si possono togliere gli stipendi ai senatori a vita, gia’ hanno la pensione, la carica non viene dal popolo che vengono pagati a fare.

  6. Angelo Mazzoleni

    Per me il discorso è semplice e si riduce ad un provvedimento: LA PATRIMONIALE unico modo,insieme a tassazioni delle transazioni finanziarie e una politica non asservita ai poteri forti, per ridurre il debito di molto e sottrarre agli speculatori della finanza ogni alibi per attaccarci 1-debito pubblico italiano = 1.900 miliardi di euro circa , 2-valore del patrimonio privato dei beni in possesso dei superricchi = circa il triplo dell’ammontare debito 3-ammontare del patrimonio pubblico italiano= 1800 miliardi di euro 4-faccio presente inoltre che l’Italia ha riseve auree tra le piu’ ricche d’europa (e oggi il valore dell’oro è aumentato di molto) Dunque non è difficile capire, anche senza essere degli economisti , che basterebbe fare un mix tra patrimoniale, dismissioni di parte del patrimonio pubblico e, al limite, di vendita di parte delle scorte oro (Prodi a suo tempo lo propose) per ridurre o addirittura azzerare completamente il nostro debito pubblico a seconda di come la si fa . Altro che inique riforme pensionistiche che peraltro renderebbero solo 9 miliardi. Resta poi il problema di costruire un nuovo modello economico fondato sui popoli e non sulla finanz

  7. Gian Luca Tesei

    Proporre di ridurre il debito pubblico con l’inflazione, oltre ad essere un metodo (sta volta sì da prima repubblica!) significa nella sostanza far pagare le classi più deboli a reddito fisso. Allora il problema non è tecnico, come si vuol far credere, ma politico: chi deve in sostanza pagare per i debiti dello Stato? Questo è il vero quesito da rivolgere agli elettori italiani senza ingannarli con la falsa propaganda che caratterizzerà come al solito la prossima campagna elettorale!

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